I santi, la famiglia e le anime

COME GOVERNARE LA FAMIGLIA

SAN BERNARDO: una curiosa lettera di san Bernardo, indirizzata a Messer Raimondo signore di Castel Sant’Ambrogio, tradotta dal latino da un anonimo del sec. XV e conservata alla Biblioteca Marciana di Venezia, offre un esempio della bonaria semplicità e umana saggezza del grande Dottore della Chiesa.

san-bernardo-lettera-famiglia1_54477dc14050cCOME GOVERNARE LA FAMIGLIA

Tu m’hai dimandato con molt’istanza, o Amico carissimo, ch’io voglia darti una salutifera istruzione per lo governo di tua casa, e il modo col quale t’hai da governare con la tua famiglia.
Dicoti che, quantunque i negozi umani sieno sottoposti per la più parte agli accidenti di fortuna, perciò non mancano i savii filosofi di formar leggi giuste, e dar delle regole sante e buone, acciò possano gli uomini dabbene vivere con modo e ragione, ed essere provvisti di rimedi profittevoli per difendersi dalle disgrazie ch’ogni dì lor possono intervenire.
Questi leggendo, potrai da te imparare, senz’alcuno t’insegni, quello ch’adesso mi dimandi. Ma perché non posso mancarti (deluderti), e vedendo che col mio dire posso a te ed altri giovare, quello che circa la tua dimanda m’accade, brevemente dirotti.

Fa che il vivere di tua persona e la spesa della tua casa sia assai minore della tua facultade o rendita; perché essendo eguale, ti possono intervenire de’ casi inopinati e degl’infortuni e delle infermità, alle quali non potendo rimediare, è forza che vivi in pena e travaglio.
La modestia è necessaria in tutte le cose, e sappi esser vera la sentenza di Esiodo, che “chi alla cima non compensa, e al mezzo non dispensa; quando il fondo gli pare, mal vai il compassare” (= chi non sa mantenere una certa misura nell’abbondanza e al mezzo non scialacqui le proprie risorse perchè, quando gli appare il fondo, inutile misurare poi con precisione, il danno è fatto e i mezzi per far fronte non ci sono più perchè sono stati scialacquati).

Più gran dolore avrai [nel] cadere dal tuo grado, che innanzi la caduta moderarti con savia prudenza.
Quel che spendi col povero, faratti ringraziato.
Quel che spendi in accrescimento del tuo grado, è onorevole.
Quel che spendi con vagabondi e disutili, è dannoso.
Quel che spendi co’ tuoi amici, è ragionevole.
Il spender sontuoso delle nozze dimostra piuttosto leggerezza che magnificenza.
In questo punto abbi sempre in costume di conferir la fatica del spendere col travaglio del guadagnare.
Il mangiar della tua famiglia sia regolato.
Fa che piuttosto non mangi cibi grossi ma ben che siano delicati, donde da li grossi nasce la gola disordinata, ch’è un vizio incorreggibile che solo con morte si finisce.
Il vizio della gola negli uomini è una lebbra incurabile che più s’accresce, come più si vive.
La golosità è fracidume d’uomo vile e codardo.
Nei dì delle feste e negli solenni sia il vivere alquanto più abbondante che negli altri giorni, non perciò ricercato; in modo che satisfacci (soddisfi) più alla necessità che alla tua fantasia.

Procura di vedere in quanto puoi quel che sia litigio in fra la borsa e la gola. E domandandoti alcuna cosa la gola, dille che sei impedito dal voler della borsa (=comandare alla gola in base anche alle possibilità del portafogli e, in sostanza, non spender tutto per il cibo).
Ed essendo a caso costretto dar giudizio in tal materia, non sii tristo giudice, che sapendo la verità vogli confonder la giustizia; che riguardando bene, vedrai tutta la ragione esser della borsa, ed avere torto la gola, i cui testimoni sono poveri, di niun credito, bassi di condizione, e i quali testificano ancor che non siano chiamati, ma di lor propria volontà; ed i quali sono golosità epicurea, voracità inumana, artifizioso appetito e disordinato…

Tua moglie, s’è savia, onorala, come discreto perché una tale è corona e vita di suo marito.
Imperò, se non è tale, e sappi sua condizione, non t’affaticare a riprenderla: perché hai da sapere, tal ferita esser incurabile con tale unguento. S’ha d’alleggerire il tuo dolore, col vedere cioè che ve ne sia un’altra peggiore della tua in fama, vita e condizione.
Cerca piuttosto di non sapere, che saper quello che fa: però che da poi che saprai della tua mala moglie, niun medico te ne potrà guarire. Se vuoi ammonirla, meglio è castigarla con riso, che con bastone; ma se è cattiva di natura, faralla il castigo peggiore. Non ti hai da dimenticare le parole di Paolo ai Corinti: – “e il marito non ripudi la moglie. Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi: perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie? (1Cor.7, 11-16)

Le vesti ricche e ricamate, se addossate per il piacere tuo e lontano dalle feste comandate, dimostrano povertà di senno.
La veste di molto prezzo, se addossate ogni giorno, è cagione di mormorio e d’invidia a’ tuoi vicini.
La superbia contro il vicino è un bagno che aspetta il tuon colla saetta.
Procura d’esser più onorato per tua bontà, che per vestire.
La virtù è sempre teco, ma si finisce il vestire con la ricchezza.
Grande infamia è la tua che con verità si dica, che più vale quel che porti addosso, che non la virtù di tua persona, o il resto di quel che hai…

Quando sei infermo non chiamare quel medico ch’ha molta scienza e poca pratica; ché nell’uffizio della medicina uccidendo uno s’impara guarire un altro. Scegline uno, dicoti, che sia prudente, pratico, né troppo risoluto, e più amico dello aspettare, che del concludere: e dove puoi conoscere che voglia far sopra di te nuova esperienza, non lo comportare (non lo permettere).
Né ti curar troppo di quello che va ben vestito, né di quello che porta molte gioie ed anella; ché tal cose non sono da medicina, ma da più guadagno.
Vergogna saratti dar poco salario, a chi porta seco tante ricchezze. Scampa il medico ebrio.
Abbi diligenza in mirar talvolta i tuoi cavalli e mule, e non fidarti dei tuoi servi, acciò che talvolta corrucciati teco non facciano lor vendetta sopra di loro.

I cagnoletti presentali alle Reine e gran Madonne, acciò che si trastullino con loro. I cani grossi e da caccia dànno più noia e danno, che utile e piacere.

Giunta la vecchiezza che è propinqua alla morte hai da disponer le cose tue, che siano convenevoli alla salute dell’Anima tua, di modo che le cose ordinate in tua vita piacciano al mondo e sieno accette a Dio, acciò che si arricordi di te.
E quando giungi al punto della morte scordati di moglie e figliuoli, e solo attendi alle cose dell’anima; perché molto è pericoloso un tal passaggio.
E quando sei sano ordina il tuo testamento, e non aspettare l’infermità, perché cava più volte l’uomo di sentimento: e prima comanda che siano pagati tutti i tuoi debiti, massimamente quei della tua famiglia; e di quello che avanza fanne limosina per suffragio all’anima tua. Procurati d’aver lasciato alli figlioli l’eredità della santa fede cattolica.

E nel confessarti in quello estremo punto eleggi persona per l’anima tua, che sai aver cura della sua.
A chi ama la tua persona non commettere l’anima tua, ma a quelli che amano la propria (il Santo Dottore suggerisce di affidare la propria con preghiere e suffragi a chi, fra amici e parenti, sono gente timorata di Dio che in vita pensano alla propria anima che al proprio corpo, e di non affidare l’anima a chi ama l’esteriorità del morente).

Non ti curar d’amici in questo punto, ma sol de’ servi di Dio; ai quali t’hai da raccomandare che preghino Dio per te: e lassa i tuoi figliuoli eredi tanto pacifici che non abbiano dopo la tua morte a diventar inimici per spartir la tua roba. Morto il padre, i figliuoli cercano la divisione.
Se nobili, è meglio che si spandano per lo mondo, che venire alla divisione della eredità (=se non fanno nulla, come i nobili, è meglio che se ne vadano per i fatti loro, piuttosto che riunirsi per leticare circa l’ammontare eredità, dando di scandalo); perciocché spesso è guastamento della loro schiatta la divisione della eredità.
Se lavoratori, facciano ciò che vogliono. Se mercanti, è più sicuro il dividere che lo stare insieme, acciò l’infortunio di uno non sia imputato all’altro.

Questo mi si è offerto in risposta della tua dimanda. Quello che è utile e fa per te, ricevilo come amico: e di quello che non è tale, accusa la mia ignoranza, non la mia intenzione.

(Da: Lettera di S. Bernardo a Messer Raimondo signore di Castel Sant’Ambrogio sul modo di ben governare una casa e reggere la propria famiglia. Pubblicazione per nozze Tono-Apostoli. Padova, Tip. del Seminario, 1868).

san-bernardo-lettera-famiglia2_54477e406139dJULIAN OF NORWICH (XIV sec.) Ben poco si sa della maggiore fra le mistiche inglesi. Probabilmente di distinta famiglia, entrata nel convento benedettino di Carrow a Norfolk, visse molti anni quale eremita o reclusa presso la piccola chiesa di San Giuliano. Quivi ebbe, l’8 maggio 1373, sedici “rivelazioni del Divino Amore”, di cui dettò una relazione, resa pubblica molto tempo dopo con l’imprimatur del vescovo diocesano e che costituisce uno dei più impressionanti documenti di colloqui mistici con Cristo.

Il Papa Benedetto XVI le dedicò una Catechesi del Mercoledì: Giuliana di Norwich ha compreso il messaggio centrale per la vita spirituale: Dio è amore e solo quando ci si apre, totalmente e con fiducia totale, a questo amore e si lascia che esso diventi l’unica guida dell’esistenza, tutto viene trasfigurato, si trovano la vera pace e la vera gioia e si è capaci di diffonderle intorno a sé.
(Benedetto XVI Udienza generale 1° dicembre 2010)

LE VISIONI DI UNA MISTICA

Vidi con vista fisica, sul volto del Crocifisso che mi pendevàsi inanzi e sul quale tenevo costantemente lo sguardo, parte della Sua passione, benché sputasse e si lordasse, e ansimasse e soffrisse dolorose pene, più di quanto possa descrivere, e spesso mutasse di colore.
E a un certo momento vidi un tratto del volto, a partir dall’orecchio, coprirsi di sangue raggrumato finché tutta metà della faccia ne fu macchiata. Poi anche l’altra metà s’insozzò allo stesso modo, mentre nella prima il sangue spariva così com’era venuto.

san-bernardo-lettera-famiglia4_54477ec796216Questo vidi fisicamente, in modo torbido, malcerto, e desiderai una maggiore vista fìsica per poter vedere più chiaramente. E dentro di me mi fu risposto: “Se Iddio vuol mostrarti di più, Egli sarà la tua luce: tu di nessuno hai bisogno fuorché di Lui”.
Perciò io lo vidi dopo averlo cercato.

Noi siamo ora infatti tanto ciechi e dissennati che non cerchiamo mai Dio sino a quando Egli nella Sua bontà non si mostra a noi.
E non appena per grazia Sua ne scorgiamo una parte, allora siamo spronati da questa stessa grazia a cercare con gran desiderio di vederlo più beatamente.

E così lo vidi e lo cercai; e lo ebbi, e lo desiderai. E questo è ! e dovrebbe essere a parer mio il nostro scopo comune quaggiù.

Un giorno il mio intelletto fu condotto nel profondo del mare e qui vidi colline e verdi valli che parevano tappezzate di muschio, di alghe e di ghiaia. Allora compresi che se un uomo o una donna sl si trovassero sotto la grande acqua, qualora potessero possedere la vista di Dio così come Dio è costantemente con l’uomo, sarebbero sicuri di corpo e di spirito, al riparo da ogni offesa, e nel trapasso avrebbero più consolazione e conforto di quanto sia possibile alle parole umane descrivere.
Poiché Egli vuole che noi crediamo di vederlo costantemente, anche se questo a noi sembra poca cosa; e in questa certezza ci fa acquistare sempre più grazia.
Poi chi Egli vuole essere veduto e cercato: vuole che gli siamo fedeli e che abbiamo fiducia in Lui…

Mi disse il nostro buon Signore Gesù Cristo: “Sei contenta che io abbia sofferto per te?”.
E io gli risposi: “Sì, buon Signore, ti ringrazio; sì, buon Signore, possa Tu essere benedetto”.
Al che Gesù, il nostro caro Signore, replicò: “Se tu sei contenta, lo sono anch’io; è per me una gioia, una beatitudine, una soddisfazione senza fine aver sofferto la passione per te; e se potessi soffrire di più, lo farei…”.

In queste parole: “Se potessi soffrire di più, lo farei”, vidi in verità che se potesse morire molte volte lo farebbe e l’amore non gli darebbe tregua finché non lo avesse fatto.
E contemplai con grande attenzione, per imparare quante volte morrebbe, se lo potesse.
E invero il numero tanto superò la mia comprensione e il mio intelletto che la mia ragione non fu in grado di afferrarlo. E quando Egli fu tante volte morto, o avrebbe dovuto esserlo, per amore, tuttavia lo stimò zero: poiché tutto gli pareva ben poca cosa in paragone del Suo amore…

E tutto ciò ch’Egli ha fatto per noi, fa e farà in eterno non gli costò né gli pesò mai, né lo potrebbe, se non ciò ch’Egli fece rivestito della nostra umanità, principiando dalla dolce incarnazione sino alla beata risurrezione del mattino di Pasqua: tanto durò la fatica e il peso della nostra redenzione “in atto”: del quale atto Egli si rallegra senza fine, come già ho detto.

Gesù vuole che noi prestiamo attenzione alla beatitudine che emana dalla beata Trinità a motivo della nostra salvezza e vuole che con l’aiuto della Sua grazia noi desideriamo avere altrettanto godimento spirituale: vale a dire che il godimento della nostra salvezza dev’essere uguale alla gioia che ne trae Cristo come può essere mentre noi siamo quaggiù.

Tutta la Trinità prese parte alla passione di Cristo, dispensando a noi per mezzo Suo abbondanza di virtù e copia di grazie: però solo il Figlio della Vergine soffrì, del che tutta la beata Trinità si rallegra senza fine.
Tutto ciò fu mostrato in queste parole: “Sei contenta?”. E dalle altre che Cristo pronunciò: “Se tu sei contenta, lo sono anch’io”, quasi avesse detto: “Per me è gioia e soddisfazione bastante, e non ti chiedo null’altro per il mio travaglio se non di poterti compiutamente piacere”.

(Da: JULIAN OF NORWICH, Revelations of Divine Love. Londra, Methuen & C., 1958. – M. G.).

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