Quando arriva il 25 ottobre non possiamo fare a meno di pensare a Enrico V e alla battaglia di Agincourt dove sconfisse i francesi in una delle giornate più incredibili. Era il 1415 e alla fine del combattimento racconta Shakespeare di questo dialogo tra il re inglese e l’araldo francese:
- ENRICO V: Sia lodato Dio per questo e non la nostra forza! Che castello è questo che si erge qui vicino?
MONTJOY: Lo chiamano Agincourt.
ENRICO V: Chiamiamo dunque questa la battaglia di Agincourt, combattuta il giorno di Crispino e Crispiano.»
I santi che Enrico V cita sono festeggiati proprio il 25 ottobre e sono i protettori dei calzolai e titolari della Cattedrale di Soissons.
Secondo la tradizione agiografica, erano due giovani cristiani inviati da Roma nella Gallia Belgica come missionari; qui diffondevano il Vangelo e si mantenevano esercitando il mestiere di calzolai. Durante l’impero e le persecuzioni anticristiane ordinate da Massimiano furono arrestati dal prefetto Rizio Varo e, sotto lusinghe, minacce e torture, si provò a far loro rinnegare la fede in Gesù Cristo. In un accesso d’ira per il fallimento, il prefetto Rizio Varo si sarebbe ucciso gettandosi nel fuoco. L’imperatore Massimiano, per vendetta, condannò i due giovani cristiani a morte. I loro corpi furono poi nascosti e conservati da alcuni fedeli, che al termine delle persecuzioni, li deposero in due sepolcri vicini, dove poi sorse la basilica a loro dedicata a Soissons.
Sono titolari dell’antica cattedrale di Soissons (VI secolo).
Forse il giorno di San Crispino è meglio conosciuto per essere citato da Shakespeare nell’Enrico V (1599), nello specifico dallo stesso re Enrico V nel discorso ai suoi uomini prima della battaglia di Agincourt, avvenuta il 25 ottobre 1415.
Pur essendo le vicende della loro vita ricavabili solo da testi agiografici, l’antichità e la diffusione del culto dei due martiri approvano la storicità.
Dunque…. siamo nei pressi di Agincourt prima di una battaglia decisiva. Le forze in campo non sono proporzionate: i Francesi sono molti di più rispetto agli Inglesi. Pertanto l’esercito di Enrico V è abbattuto, ha il morale come si suol dire “sotto le scarpe”, sa che una vittoria è impossibile in quelle condizioni: combattere su un suolo straniero contro un esercito molto più numeroso e attrezzato. E allora Enrico V parla e fa un discorso straordinario. Risponde ad alcuni, fra cui suo cugino, che rimpiangono il non essere in un numero maggiore. Leggiamolo:
- «Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.
In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.
Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.
Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi.
Noi felici, pochi.
Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!».
Ecco il genio del grande scrittore, qual è Shakespeare. Il grande drammaturgo, così come il grande scrittore, il grande poeta, ma il grande artista in genere, riesce ad universalizzare un particolare rendendolo “interessante” per tutti. È ovvio che in questo caso Shakespeare non vuole semplicemente farci conoscere ciò che accadde quel lontano 1415 sul suolo francese, bensì ci vuol far capire che molte volte anche noi, nei gangli della nostra vita, ci troviamo in quel 1415, su quel campo e nei pressi di Agincourt.