Discorso 46 da sant’Agostino ai Pastori che non fanno bene il loro dovere, al monito sul “cavallo di Troia ” del Contarini

Poichè il Discorso è molto lungo, vi postiamo il formato in pdf qui mentre, a seguire postiamo alcuni passaggi interessanti, buona meditazione.


DISCORSO 46 – di sant’Agostino d’Ippona

I PASTORI – DA EZECHIELE 34, 1-16

1. Tutta la nostra speranza è in Cristo; egli è tutta la nostra gloria, gloria vera e salutare. La vostra Carità non ode oggi per la prima volta queste cose: voi infatti appartenete al gregge di colui che provvidamente pasce Israele 1. Ma, siccome ci sono pastori che amano esser chiamati pastori mentre si rifiutano d’adempiere l’ufficio di pastori, scorriamo le parole ad essi rivolte dal profeta secondo la lettura che abbiamo or ora ascoltato. Voi ascoltate con attenzione; noi ascolteremo con tremore.

Una predicazione aberrante.

8. Mai dunque succeda che veniamo a dirvi: Vivete come vi pare! State tranquilli! Dio non condannerà nessuno: basta che conserviate la fede cristiana. Egli vi ha redenti, ha sparso per voi il sangue: quindi non vi dannerà. Che se vi viene la voglia d’andarvi a deliziare con gli spettacoli, andateci pure! Alla fin fine che male c’è?

E queste feste che si celebrano nell’intera città, con grande tripudio di gente che banchetta e – come essa crede – si esilara, mentre in realtà si rovina, alle mense pubbliche… andateci pure, celebratele tranquilli: tanto la misericordia di Dio è senza limiti e tutto lascerà correre! Coronatevi di rose prima che marciscano 23!

E anche dentro la casa del vostro Dio, quando ve ne venisse la voglia, banchettate pure! rimpinzatevi di cibi e bevande insieme con i vostri amici. Queste creature infatti ci sono state date proprio affinché ne godiate. O che Dio le avrebbe mai date agli empi e ai pagani, negandole poi a voi?

Se vi facessimo di questi discorsi, forse raduneremmo attorno a noi folle più numerose; e, se pur ci fossero alcuni che s’accorgessero come nel nostro parlare diciamo delle cose inesatte, ci inimicheremmo questi pochi, ma guadagneremmo il favore della stragrande maggioranza.

Tuttavia, comportandoci in questa maniera, vi annunzieremmo non le parole di Dio o di Cristo, ma le nostre parole; e saremmo pastori che pascono se stessi, non le pecore.

Il pastore che uccide le pecore sane.

9. Dopo aver detto che cosa amino questi pastori, [il profeta] ci dice che cosa trascurino. Pecore viziate si trovano infatti per ogni dove, mentre sono pochissime le pecore sane e grasse, cioè nutrite del solido cibo della verità e capaci, per dono di Dio, di cibarsi in buoni pascoli. Ora i cattivi pastori non risparmiano nemmeno queste. Non basta loro trascurare le prime, cioè le malate, le deboli, le fuorviate, le sperdute; per quanto sta in loro, essi ammazzano anche le forti e le grasse. Eppure esse vivono: vivono per un dono della misericordia di Dio, ma, per quel che dipende dai pastori cattivi, essi le uccidono. In che modo, mi chiederai, le uccidono? Vivendo male, dando cattivo esempio.

O che forse fu detto invano a quel tal servo di Dio, esimio tra le membra del sommo Pastore: Offri a tutti te stesso quale modello di opere buone 24, e ancora: Sii modello per i tuoi fedeli 25?

Succede infatti talora che la pecora, anche quella forte, rilevi la condotta cattiva del suo pastore. Se per un istante essa distoglierà lo sguardo dai comandamenti del Signore, e lo fisserà sull’uomo, inizierà a dire in fondo al suo cuore: Se il mio pastore vive in questa maniera, chi sono io che non debba permettermi le stesse cose che egli fa? In tal modo uccide la pecora forte.

Ora, se uccide la pecora forte, cosa mai farà delle altre, lui che con la sua cattiva condotta è stato causa di morte per quelle che, pur non avendole lui rese forti e robuste, tuttavia le aveva trovate tali?

Dico e ripeto alla vostra Carità: Facciamo pure il caso che le pecore siano vive e forti per la parola del Signore e che si ricordino di quanto udito dal loro Signore: Fate ciò che vi dicono ma non fate ciò che essi stessi fanno 26. Ebbene, anche in tale caso, uno che pubblicamente vive male, per quanto sta in lui uccide quelli che vedono il suo comportamento. Non si lusinghi costui [d’essere innocente] per il fatto che l’altro non è morto. È vero che questi vive, ma egli è ugualmente omicida. È come quando un uomo lussurioso guarda una donna con intenzioni cattive. La donna rimane casta, ma quel tale è un adultero. La sentenza del Signore è, al riguardo, tanto verace quanto risaputa: Chiunque guarda una donna desiderandola malamente ha già commesso con lei adulterio in fondo al suo cuore 27. Non gli fu dato di raggiungere il di lei talamo, ma egli nel suo giaciglio interiore tresca con lei. Allo stesso modo ogni superiore che si comporti male in presenza di coloro che egli deve governare, per quanto sta in lui uccide anche le pecore forti. Chi lo imita muore, chi non lo imita vive; ma il pastore, per quanto sta in lui, è causa di morte per l’uno e per l’altro. Dice: Voi ammazzate le pecore grasse, e non pascete le mie pecore 28.

Preannunziare al cristiano le prove che l’attendono.

10. Avete ormai udito che cosa [tali pastori] amino; ascoltate che cosa trascurino.

Voi non sostenete le pecore deboli, non rinvigorite quelle che sono malate, non fasciate quelle che hanno le ossa spezzate, cioè rotte; non richiamate [all’ovile] le fuorviate, né ricercate quelle che si sono perdute; anzi, uccidete quelle che son forti 29, cioè le ammazzate, macellate.

La pecora è debole quando ha debole il cuore, sicché può cedere alla tentazione che non ha prevista né vi si è preparata. A uno che ha tali convinzioni, il pastore negligente non dice: Figlio, quando ti metti al servizio del Signore, sta’ saldo nella giustizia e nel timore, e prepara la tua anima alla tentazione 30.

Chi parla così sorregge il debole e da debole lo rende robusto, sicché egli, aderendo alla fede, non se ne ripromette delle comodità materiali. Se al contrario fosse stato educato a ripromettersi dei vantaggi materiali, si troverebbe infrollito dalle comodità e, al sopraggiungere delle avversità, ne verrebbe ferito e forse anche ucciso.

Chi lo educa in tale maniera non lo costruisce sopra la roccia ma sopra la sabbia 31. Poiché la roccia è Cristo 32, e il cristiano deve imitare i patimenti di Cristo, non andare a caccia di piaceri.

Viceversa, il debole è incoraggiato quando gli si dice francamente: Da questo mondo aspèttati pure delle tribolazioni, ma da tutte ti libererà il Signore; se il tuo cuore non si allontanerà da lui né si volgerà indietro. Infatti, per infondere coraggio al tuo cuore egli venne a patire e a morire; fu coperto di sputi e coronato di spine; udì oltraggi, e infine fu confitto in croce. Tutte queste cose egli subì per te, e tu non vorresti sopportare nulla! Non per lui, ma per te.

Partecipi della croce di Cristo.

11. Come giudicare allora quei pastori che, per timore di dispiacere a chi li ascolta, non solo non premuniscono i fedeli contro le tentazioni che li sovrastano ma anche promettono una felicità temporale che Dio in nessun modo ha promessa allo stesso mondo? Dio predice al mondo, come tale, travagli su travagli, sino alla fine, e tu pretendi che il cristiano da tali travagli sarà esentato? Essendo invece cristiano, avrà da soffrire in questo mondo più che non gli altri! Dice infatti l’Apostolo: Tutti coloro che vogliono piamente vivere in Cristo soffriranno persecuzioni 33. Piaccia o non piaccia a te, pastore che cerchi i tuoi vantaggi e non quelli di Gesù Cristo, l’Apostolo afferma: Tutti coloro che vogliono piamente vivere in Cristo soffriranno persecuzioni; e tu di’ pure: Se vivrai piamente in Cristo, diguazzerai nell’abbondanza di ogni bene. E se non hai figli, ne avrai e li alleverai tutti e nessuno ti morrà… Questo è dunque il tuo edificare? Guarda che cosa fai e dove costruisci. Tu poni sulla sabbia l’edificio di quel tale che vuoi edificare 34: verrà la pioggia, si gonfierà il fiume, soffierà il vento, e si abbatteranno su quella casa, ed essa cadrà e grande sarà la sua rovina. Toglilo dunque da sopra la sabbia e ponilo sulla roccia 35: sia fondato su Cristo colui che tu vuoi sia cristiano! Che egli consideri i patimenti sofferti immeritatamente da Cristo; che consideri come Cristo, che era senza peccato, sconti per ciò che non aveva rapito 36. Ricordi la Scrittura che gli dice: Dio flagella ogni figlio che accoglie 37, e si prepari ad essere flagellato, ovvero dica che non gli interessa d’essere accolto da Dio.

Dice: Egli flagella ogni figlio che accoglie, e tu gli dici che forse ne sarà eccettuato.

Se ti si risparmieranno i flagelli, è segno che non sei incluso nel numero dei figli. Ma che davvero – dirai – Iddio flagella tutti i suoi figli? Senza dubbio! al segno da non escludere dai flagelli nemmeno il suo Unigenito.

Questo Unigenito era nato dalla sostanza del Padre, nella natura divina era uguale al Padre 38, era il Verbo ad opera del quale furono create tutte le cose 39. Egli non aveva modo di essere flagellato, ma per non rimanere senza flagelli si rivestì di carne. Se dunque Dio flagella il suo Unigenito senza peccato, risparmierà i flagelli al figlio adottivo carico di peccati? Che siamo chiamati ad essere figli adottivi, ce lo dice l’Apostolo 40; e questa adozione a figli che abbiamo ricevuta 41 ci rende coeredi del Figlio unigenito, mentre ne siamo anche l’eredità, come è scritto: Chiedimelo, e io ti darò le genti in eredità 42. Nelle sofferenze di questo Unigenito ha tracciato un modello per noi.

Incoraggiare chi si spaventa.

12. Con ogni cura si deve evitare che il debole venga meno nella prova; per questo non dev’essere né lusingato con infondate speranze né oppresso con [esagerati] timori. Digli pertanto: Prepara la tua anima alla tentazione 43; ma, se per caso comincerà a vacillare, a trepidare, a rifiutare ulteriori passi, hai l’altra massima: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze 44.

Parlar chiaro di certe cose e annunziare che ci saranno delle sofferenze è un rafforzare chi è debole.

Quando però questo debole passa all’eccesso del timore e si sgomenta, occorrerà promettergli la misericordia di Dio: non nel senso che non ci saranno le prove, ma in quanto Dio non gli manderà prove superiori a quel che egli possa sopportare. Questo è fasciare le pecore dalle ossa spezzate. Ci sono infatti persone che, sentendo parlare di prove future, si agguerriscono maggiormente e divengono, per così dire, più assetati di ciò che dovranno bere: considerano roba da poco la medicina comune dei fedeli e anelano alla gloria dei martiri. Delle stesse prove, inevitabili ad ogni cristiano (è infatti una necessità inderogabile per il cristiano avere delle prove: nessun altro avrà da esperimentarle ma solo colui che per davvero vorrà essere cristiano), delle stesse prove dunque si va a parlare con altri. All’udire ciò che li attende, si sgretolano e traballano.

Offri loro la fasciatura della consolazione! stringi ciò che va a pezzi! Di’ loro: Non aver paura! Non ti abbandonerà nella prova colui nel quale hai creduto. Dio è fedele, e non permetterà che la prova sia superiore alle tue forze 45. Non sono, queste, parole mie ma dell’Apostolo, il quale altrove dice: Volete forse toccare con mano il Cristo, che vi parla per mio mezzo? 46. Pertanto le parole che ascolti [da me] son parole che ti pervengono dalla bocca stessa di Cristo, il pastore che pasce Israele, il pastore al quale si dice: Tu ci abbevererai di lacrime con misura 47. Quanto dice l’Apostolo, e cioè: Egli non permetterà che siate tentati al di là di quello che potete tollerare 48, l’aveva già detto il profeta: Ci sarà una misura. Ebbene, non sottrarti all’azione di colui che ti sgrida ed esorta, spaventa e consola, sferza e guarisce.

La sopportazione della prova.

13. Ciò che era debole – dice – voi non l’avete sostenuto 49. Son parole rivolte ai pastori cattivi e falsi, ai pastori che cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo; a coloro che godono per i vantaggi del latte e della lana ma non si curano affatto delle pecore e, quando le vedono malate, non le ristorano. Occorre infatti distinguere fra “debole”, cioè privo di forze, e “malato”. Anche il malato è certamente un debole, ma mi sembra che fra il debole in genere e il malato, cioè uno colpito da infermità, ci sia della differenza. Son queste, fratelli, delle distinzioni appena abbozzate. Mettendoci maggiore impegno potremmo, forse, noi stessi approfondirle meglio, come potrebbero fare anche altri più esperti e interiormente illuminati. Per non deludervi sul senso delle parole scritturali, vi esporrò la mia opinione. Quando si tratta di una persona debole, c’è da temere che, capitandole una prova, ne resti schiacciata; nel caso invece di un malato, esso è già affetto da qualche passione disordinata e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio e di sottomettersi al giogo di Cristo. Osservate certi uomini intenzionati e già decisi a vivere bene: potreste riscontrare che son meno disposti a subire il male di quanto non lo siano a compiere il bene. Invece la fortezza cristiana comporta non solo la pratica del bene ma anche la pazienza di fronte al male: sicché chiunque è zelante in opere buone (o sembra esserlo), se poi si rifiuta o non è in grado di accettare le tribolazioni che gli sopravvengono, costui è un debole.

Quanto invece a quegli altri che, vinti da passioni disordinate, si abbandonano all’amore del mondo e trascurano totalmente le opere buone, costoro giacciono infermi, malati.

La malattia li ha svigoriti completamente e non sono in grado di compiere alcun bene. Così dovette essere nell’anima quel paralitico che, non potendo essere presentato a Cristo per altra via, da coloro che lo portavano gli fu calato dinanzi attraverso un’apertura praticata nel tetto 50.

Voglio dire: Essendo una tal anima paralitica, flaccida in tutte le sue membra, priva di opere buone, coperta di peccati e illanguidita dal male dei suoi cattivi desideri, occorre che tu faccia su per giù lo stesso, e cioè che scoperchi il tetto e la cali dinanzi al Signore.

Quando dunque tutte le membra sono intorpidite e c’è una paralisi interiore, per giungere al medico (può darsi infatti che il medico, sebbene sia dentro di lei, le rimanga nascosto: può darsi, cioè, che il vero significato delle Scritture le sia impervio), in tal caso, spiegando il significato occulto apri il tetto a quel paralitico [spirituale] e lo deponi dinanzi [a Cristo]. Chi non fa questo o lo fa con negligenza, avete sentito la sentenza che lo attende: Voi non avete rinvigorito le pecore malate né avete fasciato quelle che avevano le ossa spezzate 51. Ne abbiamo già parlato. L’uomo era spezzato dallo spavento della prova; sopraggiunge qualcosa che può fasciare ciò che era spezzato: è la consolazione che gli danno le parole: Dio è fedele e non permetterà che voi siate tentati oltre le vostre forze; anzi, insieme con la prova, vi manderà una via d’uscita, sicché possiate reggere 52.

L’eretico va ricondotto all’ovile.

14. Quelle che erano fuorviate, voi non richiamaste [all’ovile]. Ecco il pericolo che ci sovrasta in mezzo agli eretici. Quelle che erano fuorviate non richiamaste [all’ovile]; quelle che si erano perdute non le ricercaste 53. Noi, si voglia o no, ci troviamo in balia di predoni e come fra i denti di lupi feroci. In mezzo a tali nostri pericoli, vi scongiuriamo di pregare per noi. Si tratta di pecore riottose, le quali, quando si vedono ricercate nella via dove si sono smarrite, si proclamano estranee a noi per un loro errore e con loro perdizione.

Perché vi interessate di noi – dicono -, perché ci ricercate?

Quasi che la ragione per cui ce le prendiamo a cuore e le ricerchiamo non sia l’essere loro nella falsità e sulla via della perdizione! E insistono: Se sono nell’errore e nella perdizione, perché mi vieni appresso? perché mi cerchi? Proprio perché sei nell’errore, te ne voglio cavar fuori; proprio perché sei perduto ti voglio ritrovare! Ma io voglio errare così, e così magari perdermi! Vuoi errare e perderti così? Quanto più saggiamente io voglio impedirtelo! Ve lo dico francamente: Sarò un importuno, ma conosco le parole dell’Apostolo: Annunzia la parola, insisti e quando è opportuno e quando è importuno 54. A chi si predica opportunamente e a chi importunamente? Opportunamente a chi vuol ascoltare, importunamente a chi non lo vuole. Ebbene, sarò importuno quanto vi pare, ma con coraggio debbo dirvi: Tu vuoi camminare nell’errore e andare alla perdizione? Io non lo voglio. Del resto, non lo vuole nemmeno colui che mi infonde timore.

Sì, anche se io lo volessi, osserva cosa mi dice lui, cosa mi fa risuonare agli orecchi: Le pecore fuorviate voi non avete richiamate [all’ovile] né avete ricercato le pecore perdute 55. Dovrò io temere te più che non lui? Tutti infatti dovremo presentarci al tribunale di Cristo 56. Non ho quindi timore di te, in quanto tu non riuscirai di certo a rovesciare il tribunale di Cristo, magari sostituendolo con quello di Donato. Pertanto ti richiamerò se sei una pecora sbandata, ti cercherò se sei perduta. Vuoi o non vuoi, farò così. E se nel ricercarti mi feriranno i rovi delle siepi, anche in tal caso mi caccerò nelle loro strettoie, frugherò per tutte le siepi e con tutte le forze che mi darà il Signore, autore della mia paura, mi spingerò per tutto il mondo, richiamando all’ovile chi si era sbandato, ricercando chi s’era perduto. Se tutto questo ti riesce insopportabile, non andare fuori strada, non metterti sulla via della perdizione.

Impedire che il buono si perda.

15. Io mi rattristo perché tu sei fuori strada e ti avvii alla perdizione. Ma questo è poco: temo ancora che, trascurando te, finisca coll’uccidere chi è forte. Nota infatti come continui [la profezia]: Voi uccidete le pecore forti 57. Se non mi prenderò cura di chi è sbandato e si perde, anche chi è robusto s’invoglierà d’uscire di strada e d’andare in rovina. Desidero certo gli emolumenti esterni, ma temo di più i danni interiori. Se restassi indifferente di fronte al tuo errore, chi è forte osservando [il mio comportamento] potrebbe convincersi che sia roba da poco cadere nell’eresia. Quando a uno, forte ma in pericolo di perdersi, balenerà allo sguardo un qualche vantaggio temporale che l’invogli a cambiare strada se io non ricercassi te, pecora perduta, immediatamente egli mi obietterebbe: Dio è con loro come lo è con noi. Che differenza c’è?

Tutto questo l’han causato uomini in lite fra loro. Dio lo si può servire dovunque! Che se a questo tizio si presenta un donatista e gli dice: Non ti lascerò sposare mia figlia se non passerai dalla mia parte, allora costui ha molto bisogno di riflettere e deve poter replicare: Se non fosse un gran male aderire alla loro setta, i nostri pastori non spenderebbero tante parole contro di loro né si affannerebbero tanto per richiamarli dall’errore. Se al contrario noi lasciassimo correre e ce ne stessimo zitti, quel tale trarrebbe la conclusione opposta:

Se l’essere dalla parte di Donato fosse un male, [i nostri vescovi] parlerebbero contro di loro, li riprenderebbero e cercherebbero di recuperarli [alla verità]. Se fossero fuori strada, li richiamerebbero; se stessero in pericolo di perdersi, li ricercherebbero. Non sono quindi inutili le parole che [il profeta] pone per ultime: Le pecore forti voi avete ammazzate 58; e ciò dopo aver detto: Le pecore grasse voi uccidete 59. Si tratta della medesima espressione ripetuta una seconda volta e nata da quanto detto prima, e cioè: Voi non avete richiamato [all’ovile] le pecore fuorviate né avete ricercato quelle che si erano perdute. Comportandovi così, voi avete ucciso anche le pecore forti.

16. Ascolta ora le conseguenze derivanti dalla trascuratezza di questi pastori cattivi o, meglio, falsi. Per mancanza di pastore le mie pecore si sono sperdute e son diventate preda di tutte le bestie feroci 60. Quando le pecore non sono col pastore, lupi insidiosi le rapiscono, leoni frementi le azzannano. In effetti il pastore c’è, ma per coloro che si comportano male egli non fa da pastore: sicché [le pecore] seguono pastori che non sono pastori, pastori che pascono se stessi, non le pecore; e da ciò deriva un errore fatale: le pecore se ne vanno là dove le attendono belve assetate di preda e smaniose di saziarsi del loro cadavere. Questo infatti sono tutti coloro che godono degli errori altrui: sono belve che si saziano di stragi.

CLICCARE QUI PER IL TESTO INTEGRALE E IN PDF e per leggere le note al testo.


RICORDA CHE:


Il “cavallo di Troia” dei mali della Chiesa secondo il “Consilium de emendanda Ecclesia” del 1536

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.04.2023 – Vik van Brantegem] – Don Claudio Centa ha ricordato in un recente post su Twitter «un brano da un notevole documento: il memoriale che la commissione cardinalizia istituita da Paolo III e presieduta da Contarini consegnò al papa (1536). N.B cosa è indicato come cavallo di Troia dei mali della Chiesa. Per aver testi così ci vogliono cardinali come Contarini e…».

Ecco il brano:

  • «E poiché la Santità tua, ammaestrata dallo spirito di Dio, che, come dice Agostino, parla nei cuori senza risonanti parole, ben sapeva che l’origine di questi mali deriva dal fatto che alcuni Pontefici tuoi predecessori, per prurito di udire, come dice l’apostolo Paolo, adottarono maestri in quantità per soddisfare le loro voglie, non per conoscere da essi cosa dovessero fare, ma affinché, attraverso lo studio e le sottigliezze escogitate da tali maestri, si trovassero i pretesti che rendessero lecito ciò che loro piacesse, di conseguenza, oltre al fatto che l’adulazione va sempre dietro ad ogni potere, come l’ombra al corpo, e che sempre con difficoltà la verità arriva alle orecchie di coloro che comandano, avvenne che all’improvviso sorsero dei dottori che insegnarono che il Pontefice è padrone di tutti i benefici e poiché a pieno diritto chi possiede può vendere ciò che è di sua proprietà, necessariamente ne segue che l’accusa di simonia non può riguardare il Pontefice, ne deriva che la volontà del Pontefice, qualunque essa sia, è la norma che dirige ogni azione, per cui ne viene che qualunque cosa si voglia, per il fatto stesso che si vuole, diviene lecita.
    Da questa causa, Padre santo, come dal famoso cavallo di Troia, sono dilagati nella Chiesa di Dio un così grande numero di abusi e di gravi mali da cui, noi lo vediamo, è afflitta in maniera quasi disperata, e la risonanza di tali mali è arrivata anche alle orecchie degli infedeli. Creda la Santità tua a chi ne ha cognizione di causa, ed essi, soprattutto per questo motivo, deridono la religione cristiana tanto che, per causa nostra, proprio per causa nostra, viene vituperato il nome di Cristo tra le genti
    ».

Si tratta della traduzione italiana di uno stralcio dalle prime due pagine del Consilivm delectorvm cardinalivm et aliorvm praelatorum, de emendanda Ecclesia (Romae, apud Antonium Bladum, 1538). È il documento redatto dall’apposita commissione Consilium de emendanda Ecclesia nominata nel 1536 da Papa Paolo III per analizzare la situazione della Chiesa del tempo, per riflettere sugli abusi e sulla corruzione, ed elaborare proposte di riforma. La commissione era presieduta dal Cardinale Gasparo Contarini e ne fecero parte: Cardinale Giovanni Pietro Carafa (poi Papa Paolo IV), Cardinale Jacopo Sadoleto, Cardinale Reginald Pole, Arcivescovo Federigo Fregoso (poi creato cardinale nel 1539 da Papa Paolo III), Arcivescovo Girolamo Aleandro (nominato cardinale in pectore nel 1536 e poi pubblicato cardinale nel 1539 da Papa Paolo III), Vescovo Gian Matteo Giberti, Abate Gregorio Cortese (poi creato cardinale nel 1541 di Papa Paolo III), Padre Tommaso Badia (poi creato cardinale nel 1542 dal Papa Paolo III). Il testo venne presentato a Paolo III nel concistoro del 9 marzo 1537.

Nel memoriale del Consilium de emendanda Ecclesia si espone con schiettezza assolutamente insolita un decisivo programma di riforma “nel capo e nelle membra” e si traccia, dal punto di vista della responsabilità pastorale, il quadro di una Chiesa rinnovata, indicando le vie ed i mezzi per eliminare un gran numero di abusi: “Con un attacco di inaudita audacia il Consilium apriva l’offensiva del movimento riformista contro la roccaforte della Curia romana, dalla cui conquista dipendevano i destini della Chiesa” (H. Jedin).

Papa Paolo III accettò le raccomandazioni ma non si impegnò a sufficienza per ottenere cambiamenti immediati. Il rapporto confidenziale fu pubblicato illegalmente nel 1538 e godette di un’ampia diffusione (un “Vatileaks” ante litteram, non c’è niente di nuovo sotto il sole). Martin Lutero pubblicò una versione tedesca, completata da sarcastiche annotazioni ai margini. Johannes Sturm analizzò più seriamente il Consilium de emendanda Ecclesia, plaudendo allo sforzo compiuto dalla Chiesa Cattolica per risolvere alcune delle sue più evidenti problematiche, ma mostrando grande preoccupazione nel caso la Chiesa avesse potuto riformarsi senza dare una maggiore importanza al Vangelo. La seconda parte del testo entra nel cuore del problema, esaminando nei dettagli i “mali” che affliggono la Chiesa: le ordinazioni sacerdotali, celebrate con molta superficialità, ammettendo all’ordine uomini indegni e di “cattivi costumi”; l’attribuzione delle diocesi, da molti vescovi individuate come fonte continua di cespiti e “giovamento delle proprie utilità”, non disdegnando tanto il cumulo di altri benefici, tanto il commercio degli stessi in funzione del “mero guadagno”. Le proposte contenute nel Consilium de emendanda Ecclesia non trovarono subito attuazione, sebbene molti dei suggerimenti furono alla base delle successive riforme.

Cristofano Dell’Altissimo, Ritratto di Gasparo Contarini cardinale, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Il Cardinale Gasparo Contarini nacque il 16 ottobre 1483 a Venezia. Fu ordinato presbitero in giugno 1537, eletto vescovo il 23 ottobre 1536 da Papa Paolo III e da lui consacrato il 17 febbraio 1538. Quindi, la sua genealogia episcopale risale al Cardinale Guillaume d’Estouteville, O.S.B.Clun. Il 95,6% di tutti i vescovi della Chiesa Occidentale (Cattolica Romana e Veterocattolica) di oggi proviene dalla linea Rebiba, cioè lo pongono al vertice della propria genealogia episcopale, inclusi Papa Francesco e tutti i suoi predecessori ininterrottamente a partire da Papa Benedetto XIII (1600-1669). Un altro 3,3 % appartiene a una delle numerose linee orientali.

Il restante 1,1% dei vescovi hanno la loro origine tra le altre quattro linee latine, quindi, con pochissimi esponenti viventi: linea d’Estouteville, che ha inizio nel 1440, anche denominata linea Francesco della Rovere, con riferimento al capostipite Papa Sisto IV, che fu consacrato vescovo dal Cardinale cluniacense francese Guillaume d’Estouteville; linea Ravizza, che ha inizio nel 1667, anche denominata linea de Lencastre, a motivo della scoperta del capostipite, essa parte da Monsignor Francesco Ravizza, Vescovo titolare di Sidone e Nunzio apostolico in Portogallo; linea von Bodman, che ha inizio nel 1686 con Wolfgang von Bodman, Vescovo titolare di Dardano e Vescovo ausiliare di Costanza; linea de Bovet, che ha inizio dal 1789 con Monsignor François de Bovet, Arcivescovo di Tolosa. Esistono altre linee, ma estinte in quanto prive di esponenti in vita

Gasparo Contarini era il primogenito di Alvise di Federico Contarini, del ramo della Madonna dell’Orto, e di Polissena di Tommaso Malipiero. Apparteneva a una delle più antiche, più potenti e più ricche famiglie del patriziato veneziano: la famiglia Contarini.

Dopo gli studi, lavorò per la Serenissima fino a diventare ambasciatore presso la corte dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo e poi presso la Santa Sede. La sua storia personale si intreccia con quella del Concilio di Trento: ai tempi in cui soggiornava in Germania capì, come pochi, che la ribellione di Lutero non poteva essere risolta con bolle papali o reprimende. Lucidamente avvertiva l’esigenza di una seria riforma della curia romana.
Papa Paolo III Farnese lo creò cardinale nel concistoro del 21 maggio 1535 – senza averlo preventivamente avvertito di tale scelta – insieme ad un’altra importante figura come Giampietro Carafa, divenuto in seguito egli stesso pontefice (Paolo IV – 1555-1559). Eletto nel frattempo Vescovo di Belluno, Contarini, una mente illuminata nella Curia pontificia, fu il più autorevole esponente del movimento di riforma interno al cattolicesimo. Rappresentava l’ala riformatrice più moderata del collegio cardinalizio. Nel 1536 era stato messo a presiedere la commissione Consilium de emendanda Ecclesia) e, forse per questo, Contarini venne inviato a Regensburg nel 1541 per trovare un accordo con i rappresentanti dei Luterani: Melantone e Bucero.

Contarini tentò con Melantone, la vera mente del luteranesimo, il primo – e rimasto per secoli l’unico – tentativo serio di conciliazione tra le due fedi. Si trattò in gran parte di un’opera personale del Contarini, legato di Paolo III in Germania, che andò molto oltre il mandato della Curia ed arrivò anche ad un primo accordo su una serie di importanti concetti teologici. Sul problema della giustificazione Lutero era convinto che per salvare l’anima era necessaria la fede data da Dio. I Cattolici difendevano le preghiere e le opere buone, oltre che la fede, come viatico per la salvezza. Il Contarini cercò di affilare le armi della diplomazia ma, ritornato a Roma si dovette difendere dall’accusa di essere in odore di eresia. Purtroppo, sulla “Santa Cena” e sui sacramenti si arrivò alla rottura.

L’incontro con Melantone fallì, giacché tra protestanti e cattolici cominciava oramai ad aprirsi un baratro sempre più profondo, destinato a provocare uno scisma. L’anno dopo, Paolo III istituisce il Sant’Uffizio, potenziando così l’inquisizione e togliendo ogni speranza di dialogo. I riformatori cattolici si limiteranno a considerare solo gli aspetti di moralizzazione e di disciplina nella Chiesa. In questo clima, nel 1545, Paolo III indice il Concilio di Trento. Uno dei tre Presidenti è il Cardinal Pole, grande amico di Contarini, legato pontificio in Inghilterra, ma rimane poco in carica e così l’ala conservatrice prende il sopravvento. Con il fallimento dell’incontro di Regensburg e la vittoria dell’ortodossia cattolica al concilio tridentino si apriva la strada ad una politica papale di chiusura verso tutti i potenziali nemici, protestanti ma anche eretici.

Contarini morì all’età di 58 anni a Bologna, ove era stato inviato come legato pontificio e incaricato del governo civile.