“Ad te beate Ioseph, in tribulatione nostra confugimus, atque, implorato Sponsae tuae sanctissimae auxilio, patrocinium quoque tuum fidenter exposcimus. Per eam, quaesumus quae te cum immaculata Virgine Dei Genetrice coniunxit, caritatem, perque paternum, quo Puerum Iesum amplexus es, amorem, supplices deprecamur, ut ad hereditatem, quam Iesus Christus acquisivit Sanguine suo, benignus respicias, ac necessitatibus nostris tua virtute et ope succurras.
Tuere, o Custos providentissime divinae Familiae, Iesu Christi subolem electam; prohibe a nobis, amantissime Pater, omnem errorum ac corruptelarum luem; propitius nobis, sospitator noster fortissime, in hoc cum potestate tenebrarum certamine e caelo adesto; et sicut olim Puerum Iesum e summo eripuisti vitae discrimine, ita nunc Ecclesiam sanctam Dei ab hostilibus insidiis atque ab omni adversitate defende: nosque singulos perpetuo tege patrocinio, ut ad tui exemplar et ope tua suffulti, sancte vivere, pie emori, sempiternamque in caelis beatitudinem assequi possimus. Amen.”
“Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca della vera pace. “Egli stesso sarà la pace!” – dice il profeta riferendosi al Messia. A noi spetta aprire, spalancare le porte per accoglierlo. Impariamo da Maria e Giuseppe: mettiamoci con fede al servizio del disegno di Dio. Anche se non lo comprendiamo pienamente, affidiamoci alla sua sapienza e bontà. Cerchiamo prima di tutto il Regno di Dio, e la Provvidenza ci aiuterà. Buon Natale a tutti!” (Benedetto XVI – Angelus 20.12.2009)
Cari Amici, entrati in questo Anno di Grazia dedicato a san Giuseppe, quale Patrono della Chiesa Cattolica, vogliamo offrirvi una raccolta nella quale, l’amato Benedetto XVI, ci ha educati alla sana dottrina su questo grande Santo.
Cari fratelli e sorelle!
In questi ultimi giorni dell’Avvento la liturgia ci invita a contemplare in modo speciale la Vergine Maria e san Giuseppe, che hanno vissuto con intensità unica il tempo dell’attesa e della preparazione della nascita di Gesù. Desidero quest’oggi rivolgere lo sguardo alla figura di san Giuseppe. Nell’odierna pagina evangelica san Luca presenta la Vergine Maria come “sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe” (Lc 1, 27). È però l’evangelista Matteo a dare maggior risalto al padre putativo di Gesù, sottolineando che, per suo tramite, il Bambino risultava legalmente inserito nella discendenza davidica e realizzava così le Scritture, nelle quali il Messia era profetizzato come “figlio di Davide”. Ma il ruolo di Giuseppe non può certo ridursi a questo aspetto legale. Egli è modello dell’uomo “giusto” (Mt 1, 19), che in perfetta sintonia con la sua sposa accoglie il Figlio di Dio fatto uomo e veglia sulla sua crescita umana. Per questo, nei giorni che precedono il Natale, è quanto mai opportuno stabilire una sorta di colloquio spirituale con san Giuseppe, perché egli ci aiuti a vivere in pienezza questo grande mistero della fede.
L’amato Papa Giovanni Paolo II, che era molto devoto di san Giuseppe, ci ha lasciato una mirabile meditazione a lui dedicata nell’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, “Custode del Redentore”. Tra i molti aspetti che pone in luce, un accento particolare dedica al silenzio di san Giuseppe. Il suo è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal “padre” Giuseppe Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presupposto dell’autentica giustizia, la “giustizia superiore”, che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli (cfr Mt 5, 20).
Lasciamoci “contagiare” dal silenzio di san Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l’ascolto della voce di Dio. In questo tempo di preparazione al Natale coltiviamo il raccoglimento interiore, per accogliere e custodire Gesù nella nostra vita. (Angelus Benedetto XVI 18.12.2005)
“L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo. Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l’aveva preparata, prima dei secoli. C’è una misteriosa corrispondenza tra l’attesa di Dio e quella di Maria, la creatura “piena di grazia”, totalmente trasparente al disegno d’amore dell’Altissimo. Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare.” (Angelus Benedetto XVI 28.11.2010)
“La benedizione dei “Bambinelli” – come si dice a Roma – ci ricorda che il presepio è una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia. Questa non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene. Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, il “segno” del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini “che egli ama” (Lc 2,12.14), anche per loro!
Ecco, cari amici, in che cosa consiste la vera gioia: è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità: abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Questo Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella capanna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo. Preghiamo perché ogni uomo, come la Vergine Maria, possa accogliere quale centro della propria vita il Dio che si è fatto Bambino, fonte della vera gioia.” (Angelus Benedetto XVI 13.12.2009)
“San Giuseppe viene presentato come “uomo giusto” (Mt 1,19), fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà. Per questo entra nel mistero dell’Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l’opera di Dio.
Sant’Ambrogio commenta che “in Giuseppe ci fu l’amabilità e la figura del giusto, per rendere più degna la sua qualità di testimone” (Exp. Ev. sec. Lucam II, 5: CCL 14,32-33). Egli – prosegue Ambrogio – “non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la Madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero” (ibid., II, 6: CCL 14,33). Pur avendo provato turbamento, Giuseppe agisce “come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”, certo di compiere la cosa giusta. Anche mettendo il nome di “Gesù” a quel Bambino che regge tutto l’universo, egli si colloca nella schiera dei servitori umili e fedeli, simile agli angeli e ai profeti, simile ai martiri e agli apostoli – come cantano antichi inni orientali. San Giuseppe annuncia i prodigi del Signore, testimoniando la verginità di Maria, l’azione gratuita di Dio, e custodendo la vita terrena del Messia. Veneriamo dunque il padre legale di Gesù (cfr CCC, 532), perché in lui si profila l’uomo nuovo, che guarda con fiducia e coraggio al futuro, non segue il proprio progetto, ma si affida totalmente all’infinita misericordia di Colui che avvera le profezie e apre il tempo della salvezza.
Cari amici, a san Giuseppe, patrono universale della Chiesa, desidero affidare tutti i Pastori, esortandoli ad offrire “ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo” (Lettera Indizione Anno Sacerdotale). Possa la nostra vita aderire sempre più alla Persona di Gesù, proprio perché “Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l’intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio” (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 383). Invochiamo con fiducia la Vergine Maria, la piena di grazia “adornata di Dio”, affinché, nel Natale ormai prossimo, i nostri occhi si aprano e vedano Gesù, e il cuore gioisca in questo mirabile incontro d’amore.” (Benedetto XVI – Angelus 19.12.2010)
“Chiediamo al Signore di custodire sempre la Chiesa sotto la sua costante protezione – ed Egli lo fa! – esattamente come Giuseppe ha protetto la sua famiglia e ha vegliato sui primi anni di Gesù bambino.
Il Vangelo ce lo ha appena ricordato. L’Angelo gli aveva detto: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20), ed è esattamente quello che ha fatto: «Egli fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24). Perché san Matteo ha tenuto ad annotare questa fedeltà alle parole ricevute dal messaggero di Dio, se non per invitarci ad imitare questa fedeltà piena di amore?
(..) vediamo che uno dei desideri più cari dell’uomo, quello di essere testimone della fecondità della sua azione, non è sempre esaudito da Dio. Penso a quelli tra di voi che sono padri e madri di famiglia: essi hanno molto legittimamente il desiderio di dare il meglio di loro stessi ai lori figli e li vogliono vedere pervenire ad una vera riuscita. Tuttavia, non bisogna ingannarsi circa questa riuscita: quello che Dio domanda a Davide è di darGli fiducia. Davide stesso non vedrà il suo successore, colui che avrà un trono «stabile per sempre» (2 Sam 7,16), perché questo successore annunciato sotto il velo della profezia è Gesù. Davide si fida di Dio. Ugualmente, Giuseppe dà fiducia a Dio quando ascolta il suo messaggero, il suo Angelo, dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche davanti ad un annuncio così stupefacente.
E voi, cari padri e madri di famiglia che mi ascoltate, avete fiducia in Dio che fa di voi i padri e le madri dei suoi figli di adozione? Accettate che Egli possa contare su di voi per trasmettere ai vostri figli i valori umani e spirituali che avete ricevuto e che li faranno vivere nell’amore e nel rispetto del suo santo Nome?
Solo Dio poteva dare a Giuseppe la forza di far credito all’angelo. Solo Dio vi darà, cari fratelli e sorelle che siete sposati, la forza di educare la vostra famiglia come Egli vuole. DomandateGlielo! Dio ama che gli si domandi quello che egli vuole donare. DomandateGli la grazia di un amore vero e sempre più fedele, ad immagine del Suo amore. Come dice magnificamente il Salmo: il suo «amore è edificato per sempre, [la sua] fedeltà è più stabile dei cieli» (Sal 88, 3).
Cari fratelli e sorelle, ve lo dico di nuovo di tutto cuore: come Giuseppe, non temete di prendere Maria con voi, cioè non temete di amare la Chiesa. Maria, Madre della Chiesa, vi insegnerà a seguire i suoi Pastori, ad amare i vostri Vescovi, i vostri preti, i vostri diaconi e i vostri catechisti, e a seguire ciò che vi insegnano e a pregare secondo le loro intenzioni. Voi che siete sposati, guardate l’amore di Giuseppe per Maria e per Gesù; voi che vi preparate al matrimonio, rispettate la vostra o il vostro futuro coniuge come fece Giuseppe; voi che vi siete consacrati a Dio nel celibato, riflettete sull’insegnamento della Chiesa nostra Madre: «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità soni i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’Alleanza di Dio col suo popolo» (Redemptoris custos, 20).
Vorrei ancora rivolgere una esortazione particolare ai padri di famiglia, poiché san Giuseppe è il loro modello. San Giuseppe rivela il mistero della paternità di Dio su Cristo e su ciascuno di noi. E’ lui che può loro insegnare il segreto della loro stessa paternità, egli che ha vegliato sul Figlio dell’Uomo. Anche ogni padre riceve da Dio i suoi figli creati ad immagine e somiglianza di Lui. San Giuseppe è stato lo sposo di Maria. Anche ogni padre di famiglia si vede confidare il mistero della donna attraverso la sua propria sposa. Come San Giuseppe, cari padri di famiglia, rispettate e amate la vostra sposa, e guidate i vostri bambini, con amore e con la vostra presenza accorta, verso Dio dove essi devono essere (cfr Lc 2,49)”. (Benedetto XVI – Omelia in visita in Camerun 19.3.2009)
“La Provvidenza ha voluto che questi Esercizi si concludano con la festa di San Giuseppe, mio Patrono personale e Patrono della Santa Chiesa: un umile santo, un umile lavoratore. che è stato reso degno di essere Custode del Redentore. San Matteo caratterizza san Giuseppe con una parola: “Era un giusto”, “dikaios”, da “dike”, e nella visione dell’Antico Testamento, come la troviamo per esempio nel Salmo 1, “giusto” è l’uomo che è immerso nella Parola di Dio, che vive nella Parola di Dio, che vive la Legge non come “giogo”, ma come “gioia”, vive – potremmo dire – la Legge come “Vangelo”. San Giuseppe era giusto, era immerso nella Parola di Dio, scritta, trasmessa nella saggezza del suo popolo, e proprio in questo modo era preparato e chiamato a conoscere il Verbo Incarnato – il Verbo venuto tra noi come uomo -, e predestinato a custodire, a proteggere questo Verbo Incarnato; questa rimane la sua missione per sempre: custodire la Santa Chiesa e il Nostro Signore.
Ci affidiamo in questo momento alla sua custodia, preghiamo perché ci aiuti nel nostro umile servizio. Andiamo avanti con coraggio sotto questa protezione. Siamo grati per gli umili Santi, preghiamo il Signore affinché renda anche noi umili nel nostro servizio e così santi nella compagnia dei Santi.” (Benedetto XVI – Discorso 19 marzo 2011)
“Quest’oggi, 19 marzo, ricorre la solennità di San Giuseppe, ma, in coincidenza con la terza Domenica di Quaresima, la sua celebrazione liturgica è posticipata a domani. Tuttavia, il contesto mariano dell’Angelus invita a soffermarsi oggi con venerazione sulla figura dello sposo della Beata Vergine Maria e Patrono della Chiesa universale. Mi piace ricordare che di San Giuseppe era molto devoto anche l’amato Giovanni Paolo II, il quale gli dedicò l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos – Custode del Redentore e sicuramente ne sperimentò l’assistenza nell’ora della morte.
La figura di questo grande Santo, pur rimanendo piuttosto nascosta, riveste nella storia della salvezza un’importanza fondamentale. Anzitutto, appartenendo egli alla tribù di Giuda, legò Gesù alla discendenza davidica, così che, realizzando le promesse sul Messia, il Figlio della Vergine Maria può dirsi veramente “figlio di Davide”. Il Vangelo di Matteo, in modo particolare, pone in risalto le profezie messianiche che trovarono compimento mediante il ruolo di Giuseppe: la nascita di Gesù a Betlemme (2, 1-6); il suo passaggio attraverso l’Egitto, dove la santa Famiglia si era rifugiata (2, 13-15); il soprannome di “Nazareno” (2, 22-23). In tutto ciò egli si dimostrò, al pari della sposa Maria, autentico erede della fede di Abramo: fede nel Dio che guida gli eventi della storia secondo il suo misterioso disegno salvifico. La sua grandezza, al pari di quella di Maria, risalta ancor più perché la sua missione si è svolta nell’umiltà e nel nascondimento della casa di Nazaret. Del resto, Dio stesso, nella Persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questa via e questo stile – l’umiltà e il nascondimento – nella sua esistenza terrena.
Dall’esempio di San Giuseppe viene a tutti noi un forte invito a svolgere con fedeltà, semplicità e modestia il compito che la Provvidenza ci ha assegnato. Penso anzitutto ai padri e alle madri di famiglia, e prego perché sappiano sempre apprezzare la bellezza di una vita semplice e laboriosa, coltivando con premura la relazione coniugale e compiendo con entusiasmo la grande e non facile missione educativa. Ai Sacerdoti, che esercitano la paternità nei confronti delle comunità ecclesiali San Giuseppe ottenga di amare la Chiesa con affetto e piena dedizione, e sostenga le persone consacrate nella loro gioiosa e fedele osservanza dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Protegga i lavoratori di tutto il mondo, perché contribuiscano con le loro varie professioni al progresso dell’intera umanità, e aiuti ogni cristiano a realizzare con fiducia e con amore la volontà di Dio, cooperando così al compimento dell’opera della salvezza.” (Angelus 19.3.2006)
“San Giuseppe, avvertito in sogno da un angelo, dovette fuggire con Maria in Egitto, in Africa, per mettere in salvo Gesù appena nato, che il re Erode voleva uccidere. Si adempirono così le Scritture: Gesù ha calcato le orme degli antichi patriarchi e, come il popolo d’Israele, è rientrato nella Terra promessa dopo essere stato in esilio in Egitto. Alla celeste intercessione di questo grande Santo affido il prossimo pellegrinaggio e le popolazioni dell’Africa tutta intera, con le sfide che le segnano e le speranze che le animano. In particolare, penso alle vittime della fame, delle malattie, delle ingiustizie, dei conflitti fratricidi e di ogni forma di violenza che purtroppo continua a colpire adulti e bambini, senza risparmiare missionari, sacerdoti, religiosi, religiose e volontari. Fratelli e sorelle, accompagnatemi in questo viaggio con la vostra preghiera, invocando Maria, Madre e Regina dell’Africa.” (Angelus 15.3.2009)
PER LA FONTANA DEDICATA A SAN GIUSEPPE nei Giardini Vaticani
“Nel rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, desidero manifestare viva riconoscenza per questo dono, che mi avete offerto, dedicandolo a san Giuseppe. Grazie per questo delicato e cortese pensiero!
Questa fontana è intitolata a san Giuseppe, figura cara e vicina al cuore del Popolo di Dio e al mio cuore. I sei pannelli di bronzo che la impreziosiscono, evocano altrettanti momenti della sua vita. Desidero brevemente soffermarmi su questi. Il primo pannello rappresenta lo sposalizio tra Giuseppe e Maria; è un episodio che riveste grande importanza. Giuseppe era della stirpe reale di Davide e, in virtù del suo matrimonio con Maria, conferirà al Figlio della Vergine – al Figlio di Dio – il titolo legale di “figlio di Davide”, adempiendo così le profezie. Lo sposalizio di Giuseppe e Maria è, perciò, un evento umano, ma determinante nella storia di salvezza dell’umanità, nella realizzazione delle promesse di Dio; ha perciò anche una connotazione soprannaturale, che i due protagonisti accettano con umiltà e fiducia.
Ben presto per Giuseppe arriva il momento della prova, una prova impegnativa per la sua fede. Promesso sposo di Maria, prima di andare a vivere con lei, ne scopre la misteriosa maternità e rimane turbato. L’evangelista Matteo sottolinea che, essendo giusto, non voleva ripudiarla, pertanto decise di licenziarla in segreto (cfr Mt 1,19). Ma in sogno – come è raffigurato nel secondo pannello – l’angelo gli fece comprendere che ciò che avveniva in Maria era opera dello Spirito Santo; e Giuseppe, fidandosi di Dio, acconsente e coopera al piano della salvezza. Certo, l’intervento divino nella sua vita non poteva non turbare il suo cuore. Affidarsi a Dio non significa vedere tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che noi abbiamo progettato; affidarsi a Dio vuol dire svuotarsi di sé, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere “giusto” come san Giuseppe, può conformare, cioè, la propria volontà a quella di Dio e così realizzarsi.
Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe, il quale svolge la sua attività nel silenzio. E’ lo stile che lo caratterizza in tutta l’esistenza, sia prima di trovarsi di fronte al mistero dell’azione di Dio nella sua sposa, sia quando – consapevole di questo mistero – è accanto a Maria nella Natività – rappresentata nella terza formella. In quella santa notte, a Betlemme, con Maria e il Bambino, c’è Giuseppe, al quale il Padre Celeste ha affidato la cura quotidiana del suo Figlio sulla terra, una cura svolta nell’umiltà e nel silenzio.
Il quarto pannello riproduce la scena drammatica della Fuga in Egitto per sottrarsi alla violenza omicida di Erode. Giuseppe è costretto a lasciare la sua terra con la sua famiglia, in fretta: è un altro momento misterioso nella sua vita; un’altra prova in cui gli è richiesta piena fedeltà al disegno di Dio.
Poi, nei Vangeli, Giuseppe appare solo in un altro episodio, quando si reca a Gerusalemme e vive l’angoscia di smarrire il figlio Gesù. San Luca descrive l’affannosa ricerca e la meraviglia di ritrovarlo nel Tempio – come appare nella quinta formella -, ma ancor più lo stupore di sentire le misteriose parole: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). E’ questa duplice domanda del Figlio di Dio che ci aiuta a capire il mistero della paternità di Giuseppe. Ricordando ai propri genitori il primato di Colui che chiama “Padre mio”, Gesù afferma il primato della volontà di Dio su ogni altra volontà, e rivela a Giuseppe la verità profonda del suo ruolo: anch’egli è chiamato ad essere discepolo di Gesù, dedicando l’esistenza al servizio del Figlio di Dio e della Vergine Madre, in obbedienza al Padre Celeste.
Il sesto pannello rappresenta il lavoro di Giuseppe nell’officina di Nazaret. Accanto a lui ha lavorato Gesù. Il Figlio di Dio è nascosto agli uomini e solo Maria e Giuseppe custodiscono il suo mistero e lo vivono ogni giorno: il Verbo incarnato cresce come uomo all’ombra dei suoi genitori, ma, nello stesso tempo, questi rimangono, a loro volta, nascosti in Cristo, nel suo mistero, vivendo la loro vocazione.
Cari fratelli e sorelle, questa bella fontana dedicata a san Giuseppe costituisce un simbolico richiamo ai valori della semplicità e dell’umiltà nel compiere quotidianamente la volontà di Dio, valori che hanno contraddistinto la vita silenziosa, ma preziosa del Custode del Redentore. Alla sua intercessione affido le attese della Chiesa e del mondo. Insieme alla Vergine Maria, sua sposa, egli guidi sempre il mio e il vostro cammino, affinché possiamo essere strumenti gioiosi di pace e di salvezza.” (Discorso di Benedetto XVI – 5.7.2010)
San Giuseppe, Patrono della Chiesa Cattolica, prega per noi!

ULTERIORI APPROFONDIMENTI
(…) Sia in Maria che in Giuseppe c’era giovinezza, bellezza e promessa. (…) In Giuseppe e Maria non troviamo una cascata controllata e un lago in secca, ma due giovani che, prima di conoscere la bellezza dell’uno e la bella forza dell’altro, hanno voluto rinunciare a queste cose per Gesù. Chinate sulla culla della mangiatoia di Gesù Bambino, dunque, non sono la vecchiaia e la giovinezza, ma la giovinezza e la giovinezza, la consacrazione della bellezza in una fanciulla e la consegna di una forte bellezza all’uomo”. (beato mons. Fulton Sheen)
I vangeli apocrifi (rifiutati dalla Chiesa) descrissero Giuseppe come un anziano vedovo… e una certa tradizione lo ha seguito non per falsificare ma per dare più risalto a Giuseppe che prende sotto la sua protezione la Sacra Famiglia… Giuseppe, in verità, “contrasse matrimonio con Maria: questa era sui 14 o 16 anni, lui sui 20 o 24 anni. Queste le età solite per il matrimonio presso gli ebrei all’epoca… San Giuseppe vecchio non fu tuttavia accettato da tutti. Già san Bernardino da Siena († 1444) si lamentava che «(…) gli sciocchi dipintori el dipingono vecchio e maninconioso e con la mano alla gota, come s’ell avessi dolore a maninconia avuta dalla guardia che gli era dato, che era tutto il contrario, allegro di cuore, di mente e di viso, veggendosi in tanta grazia di Dio»
Lo sposo vecchio o giovane, san Giuseppe e l’iconografia
I vangeli apocrifi, rifiutati dalla Chiesa, hanno descritto un san Giuseppe vedovo e molto anziano al momento di sposare Maria, con una “messa in scena” ricca di dialoghi e segni come il bastone (poi fiorito). I pittori hanno attinto abbondantemente a questi testi. Tra i quadri che rompono la consuetudine dello sposo vecchio c’è il Matrimonio della Vergine di Rosso Fiorentino. E anche certi disegni devozionali moderni, più rispettosi della verità storica, ringiovaniscono san Giuseppe.
Oltre ai quattro Vangeli canonici, la letteratura cristiana produsse altri vangeli o simili, ricchi di particolari rispondenti alla curiosità di conoscere quanto i Vangeli tacevano o raccontavano troppo in breve. Due di questi ampliano le vicende dell’infanzia di Maria e del suo sposalizio con Giuseppe abbondando di particolari soprattutto per quanto riguarda Giuseppe: si tratta del Protoevangelo di Giacomo, databile dopo il sec. IV, e del Vangelo dello Pseudo Matteo, databile dopo il VI secolo e probabilmente oltre. Entrambi accettano l’impostazione di Epifanio su Giuseppe vedovo e molto anziano al momento di sposare Maria, ma con una narrazione ampia e dettagliata che è una vera “messa in scena” ricca di dialoghi e di immagini. Dunque è opportuno, oltre che divertente, conoscerne i testi di prima mano.
IL PROTOEVANGELO DI GIACOMO
Si parte da Maria presentata al tempio e ivi dimorante. Giunta all’età di dodici anni, i sacerdoti sono preoccupati che la fanciulla «non contamini il tempio del Signore» (8,2): non si capisce a motivo di che cosa, ma si suppone che si tratti delle incipienti mestruazioni che in Lv 15,19-30 mettevano nello stato di impurità legale.
Il rimedio più ovvio è di farla sposare: ma come e con chi? Il sommo sacerdote, su consiglio dei colleghi, entra nel santo dei santi del tempio e lì un angelo del Signore gli appare e gli dice: «Esci e raduna tutti i vedovi del popolo. Ognuno porti un bastone: (Maria) sarà la moglie di colui che il Signore designerà per mezzo di un segno» (8,3). Tra i vedovi c’è anche Giuseppe e al momento di ritirare i bastoni che erano stati posti nel tempio, «una colomba uscì dal suo bastone e volò sul capo di Giuseppe» (9,1).
Al che il sommo sacerdote dice a Giuseppe: «Tu sei stato eletto a ricevere in custodia la vergine del Signore» (ivi). Giuseppe si trova alquanto imbarazzato e obietta: «Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza. Non vorrei diventare oggetto di scherno per i figli di Israele» (9,2), ma il sommo sacerdote lo convince ad accettare prospettandogli anche dei castighi di Dio se si fosse rifiutato e Giuseppe, ricevuta in custodia Maria, così a lei si rivolge: «Ti ho ricevuta dal tempio del Signore e ora ti lascio in casa mia. Me ne vado a eseguire le mie costruzioni e dopo tornerò da te: il Signore ti custodirà» (9,3).
L’assenza di Giuseppe è funzionale al suo ritorno, al ritrovare Maria incinta, a piombare nell’angoscia e finalmente a ricevere la soluzione e il conforto dal sogno dell’angelo (come nel Vangelo di Matteo), dopo il quale «Giuseppe si levò dal sonno, glorificò il Dio di Israele che gli aveva concesso questo privilegio, e custodì Maria» (14,2).
Notiamo la novità di due segni: i bastoni e la colomba.
IL VANGELO DELLO PSEUDO MATTEO
Sostanzialmente segue la narrazione precedente, ma con qualche sua accentuazione.
Maria è nel tempio e tutti, sacerdoti e parenti, vogliono che si sposi perché «Dio si venera nei figli e si adora nei discendenti, come è sempre stato in Israele», ma Maria risponde che «Dio si venera nella castità (…). Io fin dalla mia infanzia, nel tempio di Dio ho appreso che la verginità può essere assai gradita a Dio» (7,1). Quando ella giunge al quattordicesimo anno, il sommo sacerdote accetta il suo proposito di verginità, ma ritiene di affidarla a qualcuno.
Allo scopo raduna tutte le tribù di Israele e ne sorteggia una e la sorte cade sulla tribù di Giuda. Quindi il sommo sacerdote stabilisce che quanti della predetta tribù sono senza moglie, vengano il giorno dopo al tempio portando una verga e «avvenne così che Giuseppe, insieme ai giovani, portò una verga» (8,2). Le verghe sono poste nella parte più interna del tempio, nel santo dei santi, e il giorno dopo il sommo sacerdote le ritira, ma da nessuna appare alcun segno. Entrato tuttavia di nuovo, un angelo gli fa notare una verga piccolissima che non era stata notata: «Quella era la verga di Giuseppe, il quale, essendo vecchio, era avvilito per non poterla prendere e perciò neppure lui volle ricercare la sua verga» (8,3).
Convocato dal sommo sacerdote, Giuseppe si fa avanti e «non appena tese la mano e ricevette la sua verga, dalla cima uscì fuori una colomba più bianca della neve e straordinariamente bella: volando a lungo per le sommità del tempio, si lanciò verso il cielo» (ivi). Come nel Protoevangelo di Giacomo, Giuseppe avanza qualche riserva: «Sono vecchio e ho figli, perché mi affidate questa bimbetta la cui età è inferiore a quella dei miei nipoti?» (8,4). Poi, convinto dal sommo sacerdote, giunge a una conclusione piuttosto strana: «Sarò custode fino a quando saprò, a proposito della volontà di Dio, quale dei miei figli la potrà avere in moglie» (ivi). Infine e nonostante tutto diventa lo sposo di Maria.
I PITTORI ALLA SCUOLA DEGLI APOCRIFI
Va precisato che la Chiesa non accolse mai questi vangeli. Già san Gerolamo si rifiutava di ammettere un precedente matrimonio di Giuseppe e in Contro Elvidio (n. 8: PL 23,192) trovava strani certi particolari del Vangelo dello Pseudo Matteo; in ogni caso per il rifiuto di questi vangeli e di altri libri apocrifi, cf. due documenti del Magistero: Innocenzo I († 417), Lettera Consulenti tibi a Esuperio, vescovo di Tolosa (D 231), e il Decretum Gelasianum, attribuito a Papa Gelasio († 496) (D 354).
Spesso però nella Chiesa di Dio certe cose rifiutate – non tutte – restano sottotraccia e continuano ad essere prese in considerazione senza che il Magistero intervenga a tacitarle del tutto. È il nostro caso. La devozione popolare accolse un Giuseppe anziano e i racconti più piacevoli ed esaustivi degli apocrifi, ma soprattutto li accolsero i pittori, per i quali la movimentata scena dei bastoni ritirati nel tempio e della colomba che spicca il volo dal bastone di Giuseppe era un vero… invito a nozze grafico!
Così ad esempio fece Giotto († 1337) nella Cappella degli Scrovegni a Padova che affrescò il matrimonio di Giuseppe con la scena delle verghe ritirate nel tempio. Nell’affresco del matrimonio però, oltre alla colomba, figura anche una verga fiorita in mano a Giuseppe.
La verga fiorita è una nuova elaborazione che trasferisce su Giuseppe il segno dell’elezione di Aronne come sommo sacerdote. Mosè infatti ricevette da Dio l’ordine di prendere dagli israeliti dodici bastoni – uno per ogni tribù – con il nome di ogni capo tribù sul relativo bastone. Sul bastone della tribù di Levi vi era il nome di Aronne, fratello di Mosè; questi «ripose quei bastoni davanti al Signore nella tenda della Testimonianza. L’indomani Mosè entrò nella tenda della Testimonianza ed ecco, il bastone di Aronne per il casato di Levi era fiorito: aveva prodotto germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle» (Lv 17,22-23).
E così sarà il bastone di Giuseppe: fiorito. E non solo in Giotto, ma anche in pittori successivi.
SAN GIUSEPPE DA VECCHIO A GIOVANE
San Giuseppe vecchio non fu tuttavia accettato da tutti. Già san Bernardino da Siena († 1444) si lamentava che «(…) gli sciocchi dipintori el dipingono vecchio e maninconioso e con la mano alla gota, come s’ell avessi dolore a maninconia avuta dalla guardia che gli era dato, che era tutto il contrario, allegro di cuore, di mente e di viso, veggendosi in tanta grazia di Dio» (citato da S. Barbagallo, San Giuseppe nell’Arte. Ed. Musei Vaticani 2013, p. 25).
013, p. 25).
In questo senso uno dei quadri più famosi che rompe la consuetudine di san Giuseppe vecchio è il Matrimonio della Vergine di Rosso Fiorentino († 1540), che fa sposare Maria con un Giuseppe che non è più un anziano, ma un bel giovane, biondo, con un vestito elegante, un’acconciatura ricercata, un elegantissimo paio di calzature e senza rinunciare al bastone fiorito.
Più modestamente anche certi disegni devozionali moderni ringiovaniscono un poco il volto di san Giuseppe. Tutto considerato, forse è un carisma del nostro tempo più rispettoso della verità storica e dunque più attento ad elaborare immagini verosimili. Ciò evidentemente può e deve coesistere con san Giuseppe patrono della buona morte, perché si tratta di un carisma donatogli da Dio e che supera i limiti dell’età e della pura cronaca storica.
In ogni caso ringiovanire l’immagine di san Giuseppe, oltre che raggiungere forse un risultato più verosimile, è un atto di fiducia verso lo sposo di Maria e un atto di fede verso la grazia di Dio, in grado di donare la castità a un Giuseppe giovane senza aspettare che compia ottant’anni o, per maggior sicurezza, forse anche qualche anno in più.
San Giuseppe vecchio? Un errore favorito da Epifanio
Di fronte alle obiezioni degli eretici che negavano la verginità di Maria e interpretavano in senso stretto l’espressione “fratelli di Gesù”, Epifanio di Salamina scrisse il Panarion che narrava di un Giuseppe vecchio e vedovo, con sei figli avuti da un precedente matrimonio. La costruzione di Epifanio non stava in piedi, ma l’idea della vecchiaia rimase. E forse, paradossalmente, ha favorito la devozione a san Giuseppe patrono dei moribondi. Un patronato che oggi andrebbe riproposto.
oggi andrebbe riproposto.
S. Giuseppe e il Bambino – Guido Reni (†1642) – Museum of Fine Arts, Houston
Mentre Gesù durante una visita a Nazaret insegnava nella sinagoga, la gente «rimaneva stupita e diceva: “Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non stanno tutte da noi?”» (Mt 13,54-56).
Ecco il testo problematico su “i fratelli di Gesù”. Mt 13,54-56 è la citazione più completa in quanto riporta i nomi di quattro fratelli e ricorda due sorelle anche senza farne i nomi, ma il Nuovo Testamento ci offre altri riferimenti: Mt 12,46 ricorda «sua madre e i suoi fratelli» che cercavano Gesù per parlargli (cf. Mc 3,31 e Lc 8,19); dopo le nozze di Cana, Gesù «scese a Cafarnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli» (Gv 2,12) e la tradizione giovannea menziona i fratelli in occasione della Festa delle Capanne (cf. Gv 7,3.5.10); dopo l’Ascensione gli apostoli erano concordi nella preghiera «insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,14); Paolo rivendica il diritto di portare con sé «una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa» (1Cor 9,5) e, recatosi a Gerusalemme, informa di aver incontrato «Giacomo, il fratello del Signore» (Gal 1,19).
Oggi per noi questi testi non fanno problema. Come annota la Bibbia di Gerusalemme (BJ) in Mt 12,46, “fratelli” ha «come primo senso “fratelli di sangue”», ma, tenendo conto del sottofondo ebraico/aramaico, «può indicare delle relazioni di parentela più larghe (cf. Gen 13,8; 29,15; Lv 10,4)».
Non così nell’antichità, poiché, quando si affermarono le negazioni sulla verginità di Maria, “fratelli” fu inteso in senso stretto, per cui il matrimonio di Maria e Giuseppe non fu più considerato verginale: Giuseppe avrebbe avuto rapporti sessuali con Maria e da qui sarebbero nati figli e figlie, citati in Mt 13,45-46. Alcuni padri reagirono con il risultato di coniare l’immagine di san Giuseppe vecchio, che spesso corrisponde ancora al nostro immaginario devoto.
SAN GIUSEPPE VECCHIO, IL RUOLO DI EPIFANIO
Origene († 254) nel suo Trattato su Matteo ci porta a conoscenza che «alcuni affermano che i fratelli fossero figli di Giuseppe avuti da una moglie precedente prima di sposare Maria» (n. 17: PG 13,875-876), ma si limita all’informazione senza ulteriori sviluppi.
Chi invece elaborò tale ipotesi precisandola e arricchendola di particolari in modo tale che potesse rispondere a tutte le obiezioni sui fratelli di Gesù salvando la castità di Maria e di Giuseppe, fu Epifanio di Salamina († 403) nell’opera Panarion: il “panarion” era una cassetta di pronto soccorso con medicine contro il veleno dei serpenti, cioè il veleno degli eretici.
Così, arrivato a confutare quanti mettevano in dubbio la verginità di Maria dopo il parto e di riflesso la castità di Giuseppe, Epifanio racconta che Giuseppe era «un uomo vecchio di molta età (…), tanti anni prima privato di una propria moglie» (78,7: PG 42,707-708); tale moglie era «della tribù di Giuda e da questa ebbe sei figli, quattro maschi e due femmine e di questi il primo fu Giacomo» (78,7: PG 42,709-710), «dopo questo gli nacque un altro figlio di nome Jose. Seguirono Simeone e Giuda. Vi furono anche due figlie: Maria e Salome» (78,8: PG 42,709-710). Questi figli furono i “fratelli di Gesù” e «la Scrittura li chiama fratelli con i loro nomi: Giacomo, Jose, Simeone, Giuda, Maria e Salome» (78,9 PG 42,711-712). Veramente la Scrittura non riporta i nomi delle due sorelle Maria e Salome, che l’apocrifo Storia di Giuseppe falegname (n. 2) chiama Assia e Lidia: comunque il nome dei figli maschi e il numero totale di figli e figlie corrisponde a Mt 13,54-56 e il gioco è fatto.
«Morta la moglie, da vedovo e molti anni dopo, (Giuseppe) sposò Maria, quando aveva più di ottant’anni» (78,8: PG 42,709-710). È chiaro a questo punto che «un uomo vecchio al di sopra degli ottant’anni non ricevette presso di sé una vergine per fruirne del corpo, ma piuttosto, per disegno della divina provvidenza, fu posto lì per custodirla» (78,8: PG 42,709-712), cioè dalla divina provvidenza fu decretato che «un vecchio decrepito avesse una consuetudine di vita con una vergine castissima» (78,8: PG 42,711-712).
Ed eccoci arrivati alla conclusione che ‘risolve’ tutto: «Quando udiamo leggere “Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono fuori e ti cercano”, dobbiamo sapere che ciò è detto dei restanti (precedenti) figli di Giuseppe e non dei figli di (Giuseppe e di) Maria, poiché di questi non ce n’era nessuno» (78,9: PG 42,711-712). Epifanio, dunque, per salvare la castità di Giuseppe con Maria ricorre a un matrimonio precedente di Giuseppe, a figli precedenti che sarebbero poi diventati i fratellastri di Gesù, all’età molto avanzata di Giuseppe di per se stessa escludente ogni commercio sessuale.
È chiaro che questi dati sono del tutto estranei alle Scritture del NT ed è altrettanto chiaro – oggi ne siamo più consapevoli – che l’impulso sessuale negli uomini non scompare automaticamente con l’età che avanza. Per cui la costruzione di Epifanio non sta in piedi.
Epifanio non riuscì a imporre l’idea del matrimonio e dei figli precedenti di Giuseppe, ma riuscì a imporre un Giuseppe molto anziano, tra l’altro con un’età inadeguata per esercitare un mestiere che nel testo evangelico non era solo falegname, ma forse muratore o carpentiere. Ma non importa: san Giuseppe sarà un vecchio e così lo ritrarranno i pittori soprattutto nell’area latina e in epoca moderna, come uno splendido quadro di Guido Reni dove il volto di Giuseppe, accanto a Gesù Bambino, è dolcissimo ma insieme coperto di rughe senili.
SAN GIUSEPPE MORENTE E PATRONO DEI MORIBONDI
San Giuseppe molto vecchio favorì l’ipotesi di una sua morte quando ancora Gesù era in casa prima del ministero pubblico e dunque di una morte con l’assistenza di Gesù e di Maria. L’ipotesi non poteva essere provata da alcun testo del NT, comunque prese corpo nello scritto apocrifo Storia di Giuseppe falegname, databile al IV-V secolo, in versione araba e altre due versioni copte. La forma letteraria è un discorso di Gesù ai discepoli sul Monte degli Ulivi, che narra la vita e soprattutto la morte di Giuseppe. Il testo ebbe un qualche uso liturgico in oriente e ha un suo fascino perché descrive in contemporaneo i turbamenti della morte e la serenità di chi muore vicino a Gesù e Maria, alla loro presenza.
Dunque Giuseppe, vecchio di 111 anni – l’età della morte -, «non soffriva alcuna infermità corporale» (n. 10), ma, ricevuto il presentimento della fine, «fu invaso da paura e ingente turbamento» (n. 12), come ogni animale o uomo, e andò a pregare nel tempio. Tornato a casa, «cadde malato e si mise a letto» (n. 14) e il turbamento aumentò con una retrospettiva sulla sua vita accusandosi di peccati commessi con la lingua, con le orecchie, con il ventre ecc. (cf. n. 16): il che suona irrispettoso per Giuseppe, ma non per l’uomo comune e peccatore che avvicinandosi la morte si trova a fare un bilancio. Gesù entrò nella stanza, il turbamento finì e Giuseppe esclamò: «Appena sentì la tua voce, l’anima mia si è sollevata» (n. 17). Entrò anche Maria e Gesù prosegue: «Tenni le mani di Giuseppe per tutto lo spazio di un’ora ed egli, voltando la faccia verso di me, mi indicava di non abbandonarlo» (n. 19). Gesù invocò il Padre di inviare una schiera di angeli con gli arcangeli Michele e Raffaele (cf. n. 22), i quali «presero l’anima di mio padre Giuseppe e l’avvolsero in uno splendente involucro. Giuseppe affidò così lo spirito nelle mani del mio Padre buono ed egli gli diede la pace» (n. 23).
Isidoro de Isolanis († 1528) nella Summa de donis Sancti Ioseph, uno dei primi trattati completi sul santo, verso la fine cita sunteggiandolo quanto sopra, ma precisa: «Questo è quanto – ricevuto dagli orientali – ho brevemente riportato. Per la verità ho omesso molte cose che dai cultori della santa Chiesa Romana – la verità della quale non può venire meno grazie all’azione di Cristo che la conserva -, non sarebbero minimamente state recepite, almeno secondo una mia valutazione» (IV,IX). Come dargli torto? La cronaca è inventata e per di più con qualche caduta di gusto teologico sui rimorsi e sulle paure del santo! Comunque il riferimento alla morte di Giuseppe assistito da Gesù e Maria e con qualche angelo pronto a portarne l’anima in cielo ispirò i pittori e la pietà dei fedeli, confermata in documenti ufficiali.
La Congregazione dei Riti il 18 marzo 1909 approvò le Litanie di san Giuseppe ratificando l’invocazione “Patrone morientium / Patrono dei morenti”. Benedetto XV il 25 luglio 1920 nel motu proprio Bonum sane scrisse: «In modo particolare, poiché Egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l’assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire con tutto il prestigio della loro autorità quei pii sodalizi che sono stati istituiti per supplicare Giuseppe a favore dei moribondi, come quelli “della Buona Morte”, del “Transito di San Giuseppe” e “per gli Agonizzanti”». Oggi la Chiesa nel CCC 1014 «ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte (…) e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte».
Tutto questo forse non sarebbe avvenuto se non si fosse imposta l’immagine di san Giuseppe molto vecchio, sia pure senza fondati argomenti. Il problema adesso non è di trovare altri argomenti storici, ma di scorgere l’azione dello Spirito che ha fatto maturare nei fedeli l’impulso a rivolgersi a san Giuseppe – e a Gesù e a Maria – in previsione dell’ora della morte.
Riproporre questo “patronato” nei tempi che stiamo vivendo, sì che sarebbe stato un “coraggio creativo”. Qualche pastore o qualche “profeta” ci hanno provato?
Non corrispondono al vero le immagini che rappresentano S. Giuseppe come vecchio
di Padre Giuseppe Tomaselli*
UNA RIFLESSIONE QUOTIDIANA SUL PADRE PUTATIVO DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO
Quarto giorno
Pater noster – San Giuseppe, prega per noi!
Il fabbro di Nazareth
La Sacra Scrittura, parlando del Messia, dice: Egli sarà chiamato Nazareno. (S. Matteo II – 23). Proprio a Nazareth Gesù trascorse quasi tutta la vita; anche San Giuseppe nacque e morì a Nazareth. Questa piccola cittadina, situata sopra una collina della Galilea, ove oggi la Sacra Famiglia è tanto onorata con artistiche Chiese, ha un nome significativo. Nazareth vuol dire « Guardiana » o « Custode ». E realmente Nazareth custodì i più grandi tesori dei capolavori divini: Gesù, Maria, Giuseppe.
Quantunque discendente dalla casa reale di David, San Giuseppe visse nella oscurità. Nessuno si curava di lui, tranne Dio. Fin da giovanetto lavorò da fabbro, per assicurarsi il pane.
Il mestiere di falegname in un piccolo centro come Nazareth era poco lucroso. Si trattava di confezionare qualche modesto mobiluccio, ovvero di riparare qualche utensile domestico o qualche arnese di lavoro dei campi.
Agli occhi dei Nazareni San Giuseppe appariva come un brav’uomo; era stimato per le sue virtù morali, tanto che Gioacchino ed Anna, volendo trovare uno sposo degno della Figlia Maria, futura Madre del Redentore, posarono gli occhi sopra di lui. I pii genitori erano convinti che nessun uomo sarebbe stato più virtuoso di quel falegname.
Quantunque la Madonna avesse fatto il voto di verginità, lasciandosi guidare dalla Provvidenza, pur conservando il proposito della perpetua purezza di mente e di corpo, accettò di essere la fidanzata del «Giusto» di Nazareth. Dio disponeva cosi affinché la Vergine Madre fosse senza macchia davanti al mondo e avesse un aiuto nella fuga in Egitto e nelle varie circostanze della vita.
Maria e Giuseppe si diedero la parola di fedeltà: vivere come due Angeli ed attuare appieno i disegni di Dio.
Quale età aveva San Giuseppe al tempo dello sposalizio? Era giovane e, secondo l’uso ebraico, si pensa che fosse sui venticinque anni.
Non rispondono perciò a realtà le immagini sacre, che rappresentano S. Giuseppe già vecchio, con barba e capelli bianchi. Ha tramandato tale figura qualche pittore dei – primi secoli, per vane preoccupazioni morali. Ci sono stati altri artisti che hanno raffigurato San Giuseppe giovane.
Ed era un bel giovane! Il fisico rispecchiava la bellezza della sua anima. Il candore della sua purezza traspariva dallo sguardo dolce e penetrante.
Esempio
La purezza è necessaria all’anima ed è anche utile al corpo. L’immoralità è la rovina dell’anima e del corpo.
Un giovane si era dato ai vizi ed in breve perdette la fede e la salute. Fu ricoverato nell’ospedale.
Una Suora si accorse che l’infermo era lontano da Dio e cercò la via per fare breccia nel cuore di lui. Il giovane alle amorose cure rispondeva con parole beffarde. Ma la Suora, fiduciosa nella conversione, non si stancava di dire la buona parola e di pregare. Le venne l’ispirazione di affidare l’impresa a S. Giuseppe.
Un pomeriggio l’infermo si era levato da letto e passeggiava all’aperto. Ad un tratto senti una forte commozione ed avvertì nuove idee nella mente: Vita futura… inferno… Paradiso… Il suo animo era in tempesta. San Giuseppe, pregato dalla Suora, in quel momento agiva nel suo cuore.
Fu tale l’impressione, che l’infermo volle il Cappellano dell’ospedale e gli disse: Per carità, dia un poco di pace all’anima mia! – Fu esortato a confessarsi.
L’indomani mattina il peccatore era ai piedi del Confessore, per detestare le sue colpe e riceverne l’assoluzione. Sentì il dovere di ringraziare San Giuseppe per la grazia dell’anima ed anche della salute, che subito riacquistò.
Fioretto – Per custodire la purezza, troncare subito i cattivi pensieri.
Giaculatoria – Casto Sposo di Maria, custodisci l’anima mia!
Il testo che vi abbiamo proposto è stato tratto da libro Don Giuseppe Tomaselli, San Giuseppe – Mese in suo onore (1962), di proprietà dell’Istituto Teologico “San Tommaso“, Via del Pozzo, 43 – 98121 Messina, al quale il libro può essere chiesto, oppure scrivendo alla mail: dongiuseppetomaselli@gmail.com.
* Don Giuseppe Tomaselli, nato a Biancavilla (Catania) il 26 gennaio del 1902 e morto a Messina nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1989, entrò nel 1916 nella Congregazione Salesiana, venne ordinato sacerdote nel 1926 e, lungo il suo ministero, durato quasi 63 anni, fu parroco, insegnante, cappellano presso comunità religiose, esorcista, taumaturgo ed apostolo della buona stampa cattolica.
San Giuseppe era Giovane o Anziano?
così rispondeva il Venerabile mons. Fulton Sheen
“La maggior parte delle statue e delle immagini che vediamo oggi di Giuseppe lo rappresentano come un vecchio con la barba grigia, che ha preso Maria e i suoi voti sotto la sua ala protettrice, con lo stesso distacco con cui un medico si prenderebbe cura di un bambino. Naturalmente, non abbiamo prove storiche sull’età di Giuseppe. Alcuni resoconti apocrifi lo ritraggono come un uomo anziano; I Padri della Chiesa, dopo il IV secolo, hanno seguito questa leggenda abbastanza rigidamente…
(…) In qualche modo, l’assunzione della senilità era un miglior protettore della verginità dell’adolescenza. L’arte, quindi, inconsciamente ha fatto di Giuseppe uno sposo casto e puro per età, non per virtù. Ma questo è come presumere che il modo migliore per dimostrare che un uomo non ruberebbe mai è immaginarlo senza le sue mani.
Ma più di questo, fare di Giuseppe un vecchio ci ritrae un uomo a cui era rimasta poca energia vitale, piuttosto che qualcuno che, avendola, l’ha usata per amore di Dio e per i suoi sacri propositi. Far sembrare puro Giuseppe solo perché la sua carne è invecchiata è come glorificare un torrente di montagna che si è prosciugato. (…)
San Giuseppe era Giovane o Anziano?
Inoltre, è ragionevole ritenere che Nostro Signore preferirebbe, per genitore adottivo, qualcuno che avesse fatto un sacrificio, piuttosto che qualcuno che fosse costretto a farlo. (…) Infine, sembra difficilmente possibile che Dio abbia collegato una giovane madre, probabilmente sui sedici o diciassette anni, a un uomo anziano. Se non ha esitato a dare a sua madre un giovane, Giovanni, ai piedi della croce, perché all’inizio avrebbe dovuto darle un vecchio?
Giuseppe era probabilmente giovane, forte, virile, atletico, bello, casto e disciplinato (definito da Dio stesso “l’Uomo giusto”). Invece di essere un uomo incapace di amare, doveva essere infiammato d’amore. Così come poco onoreremmo la Madonna se avesse fatto il voto di verginità dopo essere stata zitella per cinquant’anni, così non potremmo dare molto credito a un Giuseppe che è diventato suo marito perché era avanti negli anni.
(…) Sia in Maria che in Giuseppe c’era giovinezza, bellezza e promessa. (…) In Giuseppe e Maria non troviamo una cascata controllata e un lago in secca, ma due giovani che, prima di conoscere la bellezza dell’uno e la bella forza dell’altro, hanno voluto rinunciare a queste cose per Gesù. Chinate sulla culla della mangiatoia di Gesù Bambino, dunque, non sono la vecchiaia e la giovinezza, ma la giovinezza e la giovinezza, la consacrazione della bellezza in una fanciulla e la consegna di una forte bellezza all’uomo”.
San Giuseppe era un uomo giusto: una omelia di Benedetto XVI che vale una enciclica
Città del Vaticano, mercoledì, 27. dicembre, 2023 11:00 (ACI Stampa).
“San Giuseppe è un giusto, esemplare ancora dell’Antico Testamento. Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta aperta”. É un passaggio di una omelia che Benedetto XVI ha pronunciato nella cappella del Monastero Mater Ecclesiae il 22 dicembre del 2013. Il primo Avvento da emerito. E’ una di quelle omelie che preparava con degli appunti su un quaderno ogni domenica. Una delle omelie che poi le Memores Domini, negli anni a seguire, hanno registrato a trascritto. Una omelia che un giornale tedesco ha pubblicato con l’approvazione della Fondazione Vaticana Ratzinger. Una di quelle omelie di cui abbiamo profondamente bisogno in un tempo di incertezza come quello che viviamo. Una di quelle omelie che alcuni fortunati, come me, hanno ascoltato partecipando alla messa festiva al Redemptoris Mater. Era l’ 8 dicembre di quell’anno per me e io ho ancora nel cuore le parole della omelia di Benedetto XVI sulla Immacolata. Lei vedeva le cose in modo diverso perché non era avvezza al peccato, perché più si pecca e meno si è lucidi, anche se la misericordia di Dio è infinita. Il peccato ci cambia.
Ecco una di quelle omelie che si serve come faro nella notte.
Ecco allora Giuseppe, l’uomo giusto secondo l’ Antico Testamento. Il Pericolo? Ecco come lo racconta Benedetto XVI:”Il pericolo appare nelle discussioni di Gesù con i farisei e soprattutto nelle lettere di San Paolo. Il pericolo è che se la parola di Dio è sostanzialmente legge, va considerata come una somma di prescrizioni e di divieti, un pacchetto di norme, e l’atteggiamento dovrebbe quindi essere di osservare le norme e così essere corretti. Ma se la religione è così, è solo questo, non nasce la relazione personale con Dio, e l’uomo rimane in se stesso, cerca di perfezionarsi, di essere un perfetto. Ma così nasce un’amarezza, come vediamo nel secondo figlio della parabola del figlio prodigo, che, avendo osservato tutto, alla fine è amaro e anche un po’ invidioso del fratello che, come lui pensa, ha avuto la vita in abbondanza. Questo è il pericolo: la sola osservanza della legge diventa impersonale, solo un fare, l’uomo diventa duro e anche amaro. Alla fine non può amare questo Dio, che si presenta solo con norme e talvolta anche con minacce. Questo è il pericolo”.
Ma ecco anche la porta aperta, la promessa: “La promessa invece è: possiamo anche vedere queste prescrizioni, non solo come un codice, un pacchetto di norme, ma come espressione della volontà di Dio, nella quale Dio parla con me, io parlo con Lui. Entrando in questa legge entro in dialogo con Dio, imparo il volto di Dio, comincio a vedere Dio e così sono in cammino verso la parola di Dio in persona, verso Cristo. E un vero giusto come san Giuseppe è così: per lui la legge non è semplice osservanza di norme, ma si presenta come una parola di amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in questo dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme l’amore di Dio, capire che tutte queste norme non valgono per se stesse, ma sono regole dell’amore, servono perché l’amore cresca in me. Così si capisce che finalmente tutta la legge è solo amore di Dio e del prossimo. Trovato questo si è osservata tutta la legge. Se uno vive in questo dialogo con Dio, dialogo di amore nel quale cerca il volto di Dio, nel quale cerca l’amore e fa capire che tutto è dettato dall’amore, è in cammino verso Cristo, è un vero giusto. San Giuseppe è un vero giusto, così in lui l’Antico Testamento diventa Nuovo, perché nelle parole cerca Dio, la persona, cerca il Suo amore, e tutta l’osservanza è vita nell’amore.”
E come ascoltare la parola di Dio ? “Anche per noi è importante questa sensibilità verso Dio, questa capacità di percepire che Dio parla con me, e questa capacità di discernimento. Certo, Dio non parla normalmente con noi come ha parlato attraverso l’angelo con Giuseppe, ma ha i suoi modi di parlare anche con noi. Sono gesti di tenerezza di Dio, che dobbiamo percepire per trovare gioia e consolazione, sono parole di invito, di amore, anche di richiesta nell’incontro con persone che soffrono, che hanno bisogno di una mia parola o di un mio gesto concreto, un fatto. Qui occorre essere sensibili, conoscere la voce di Dio, capire che adesso Dio mi parla e rispondere”.
E per rispondere serve la fede che “diventa fondamento sul quale agire, sul quale vivere, è riconoscere che questa è la voce di Dio, imperativo dell’amore, che mi guida sulla strada della vita, e poi fare la volontà di Dio. San Giuseppe non era un sognatore, anche se il sogno era la porta con cui Dio era entrato nella sua vita. Era un uomo pratico e sobrio, un uomo di decisione, capace di organizzare”.
La preghiera conclusiva è una di quelle con la quale puoi alzarti ogni mattina;: “Signore aiutaci ad essere aperti per Te, a trovare sempre più il tuo volto, ad amarTi, a trovare l’amore nella norma, essere radicati, realizzati nell’amore. Aprici al dono del discernimento, alla capacità di ascoltare Te e alla sobrietà di vivere secondo la tua volontà e nella nostra vocazione”.

ECCO IL TESTO INTEGRALE
22.12.2013 – Domenica IV di Avvento
Omelia di Benedetto XVI
Cappella Privata – Monastero Mater Ecclesiae
Vangelo: Mt 1,18-24
Cari amici,
accanto a Maria, Madre del Signore, e a san Giovanni Battista oggi la liturgia ci presenta una terza
figura, in cui l’Avvento è quasi persona, una figura che incorpora l’Avvento: san Giuseppe.
Meditando il testo del Vangelo possiamo vedere, mi sembra, tre elementi costituitivi di questa
visione.
Il primo e decisivo è che san Giuseppe viene chiamato “un giusto”. Questa è per l’Antico
Testamento la massima caratterizzazione di uno che vive realmente secondo la parola di Dio, che
vive l’alleanza con Dio.
Per capirlo bene dobbiamo pensare alla differenza tra Antico e Nuovo Testamento.
L’atto fondamentale di un cristiano è l’incontro con Gesù, in Gesù con la parola di Dio, che è
Persona. Incontrandoci con Gesù incontriamo la verità, l’amore di Dio e così la relazione di
amicizia diventa amore, la nostra comunione con Dio cresce, siamo realmente credenti e diventiamo
santi.
L’atto fondamentale nell’Antico Testamento è diverso, perché Cristo era ancora futuro e quindi al
massimo era andare incontro a Cristo, ma non era ancora un vero incontro come tale. La parola di
Dio nell’Antico Testamento ha sostanzialmente la forma della legge – “Torah”. Dio guida, questo è
il senso, Dio ci mostra la strada. É un cammino di educazione che forma l’uomo secondo Dio e lo
rende capace di incontrare Cristo. In tal senso questa giustizia, questo vivere secondo la legge è un
cammino verso Cristo, un estendersi verso di Lui; ma l’atto fondamentale è l’osservanza della
Torah, della legge, e così essere “un giusto”.
San Giuseppe è un giusto, esemplare ancora dell’Antico Testamento.
Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta aperta.
Il pericolo appare nelle discussioni di Gesù con i farisei e soprattutto nelle lettere di San Paolo. Il
pericolo è che se la parola di Dio è sostanzialmente legge, va considerata come una somma di
prescrizioni e di divieti, un pacchetto di norme, e l’atteggiamento dovrebbe quindi essere di osservare le norme e così essere corretti. Ma se la religione è così, è solo questo, non nasce la
relazione personale con Dio, e l’uomo rimane in se stesso, cerca di perfezionarsi, di essere un
perfetto. Ma così nasce un’amarezza, come vediamo nel secondo figlio della parabola del figlio
prodigo, che, avendo osservato tutto, alla fine è amaro e anche un po’ invidioso del fratello che,
come lui pensa, ha avuto la vita in abbondanza.
Questo è il pericolo: la sola osservanza della legge
diventa impersonale, solo un fare, l’uomo diventa duro e anche amaro. Alla fine non può amare
questo Dio, che si presenta solo con norme e talvolta anche con minacce. Questo è il pericolo.
La promessa invece è: possiamo anche vedere queste prescrizioni, non solo come un codice, un
pacchetto di norme, ma come espressione della volontà di Dio, nella quale Dio parla con me, io
parlo con Lui. Entrando in questa legge entro in dialogo con Dio, imparo il volto di Dio, comincio a
vedere Dio e così sono in cammino verso la parola di Dio in persona, verso Cristo. E un vero giusto
come san Giuseppe è così: per lui la legge non è semplice osservanza di norme, ma si presenta
come una parola di amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in questo
dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme l’amore di Dio, capire che tutte queste norme non
valgono per se stesse, ma sono regole dell’amore, servono perché l’amore cresca in me. Così si
capisce che finalmente tutta la legge è solo amore di Dio e del prossimo. Trovato questo si è
osservata tutta la legge. Se uno vive in questo dialogo con Dio, dialogo di amore nel quale cerca il
volto di Dio, nel quale cerca l’amore e fa capire che tutto è dettato dall’amore, è in cammino verso
Cristo, è un vero giusto. San Giuseppe è un vero giusto, così in lui l’Antico Testamento diventa
Nuovo, perché nelle parole cerca Dio, la persona, cerca il Suo amore, e tutta l’osservanza è vita
nell’amore.
Lo vediamo nell’esempio che ci offre questo Vangelo.
San Giuseppe, fidanzato con Maria, trova che aspetta un bambino. Possiamo immaginare la sua delusione: conosceva questa ragazza e la
profondità della sua relazione con Dio, la sua bellezza interiore, la straordinaria purezza del suo
cuore; ha visto trasparire in tutta questa ragazza l’amore di Dio e l’amore della Sua parola, della Sua
verità e adesso si trova gravemente deluso. Che cosa fare? Ecco, la legge offre due possibilità, nelle
quali appaiono le due vie, quella pericolosa, fatale, e quella della promessa. Può fare causa davanti
al tribunale e così esporre Maria alla vergogna, distruggerla come persona. Può farlo in modo
privato con una lettera di separazione. E san Giuseppe, vero giusto, anche se molto sofferente,
arriva alla decisione di prendere questa strada, che è una strada di amore nella giustizia, della
giustizia nell’amore, e san Matteo ci dice che ha lottato con sé stesso, in sé con la parola. In questa
lotta, in questo cammino per capire la vera volontà di Dio, ha trovato l’unità tra amore e norma, tra
giustizia e amore, e così, in cammino verso Gesù, è aperto per l’apparizione dell’angelo, aperto per
il fatto che Dio gli dà la conoscenza che si tratta di un’opera dello Spirito Santo.
Sant’Ilario di Poitier, nel IV secolo, una volta, trattando del timore di Dio, ha detto alla fine: “Tutto
il nostro timore è collocato nell’amore”, è solo un aspetto, una sfumatura dell’amore. Così possiamo
dire qui per noi: tutta la legge è collocata nell’amore, è espressione dell’amore e va adempiuta
entrando nella logica dell’amore. E qui dobbiamo tener presente che, anche per noi cristiani, esiste
la stessa tentazione, lo stesso pericolo che esisteva nell’Antico Testamento: anche un cristiano può
arrivare a un atteggiamento nel quale la religione cristiana è considerata come un pacchetto di
norme, di divieti e di norme positive, di prescrizioni. Si può arrivare all’idea che si tratta solo di
eseguire prescrizioni impersonali e così perfezionarsi, ma così si svuota il fondo personale della
parola di Dio e si arriva ad una certa amarezza e durezza del cuore. Nella storia della Chiesa lo
vediamo nel giansenismo. Anche noi tutti conosciamo questo pericolo, anche personalmente
sappiamo che dobbiamo sempre nuovamente superare questo pericolo e trovare la Persona e,
nell’amore della Persona, la strada di vita e la gioia della fede. Essere giusti vuol dire trovare questa
strada e così anche noi in realtà siamo sempre di nuovo in cammino dall’Antico al Nuovo
Testamento nella ricerca della Persona, del volto di Dio in Cristo.
Proprio questo è l’Avvento: uscire dalla pura norma verso l’incontro dell’amore, uscire dall’Antico Testamento, che diventa Nuovo.
Questo quindi è il primo e fondamentale elemento della figura di san Giuseppe come appare nel
Vangelo di oggi.
Ora due brevissime parole sul secondo e sul terzo elemento.
Il secondo: egli vede nel sogno l’angelo e ne ascolta il messaggio. Questo suppone una sensibilità
interiore per Dio, una capacità di percepire la voce di Dio, un dono di discernimento, che sa
discernere tra sogni che sono sogni e un vero incontro con Dio. Solo perché san Giuseppe era già in
cammino verso la Persona della Parola, verso il Signore, verso il Salvatore, poteva discernere; Dio
poteva parlare con lui e ha capito: questo non è sogno, è verità, è l’apparizione del Suo angelo. E
così poteva discernere e decidere.
Anche per noi è importante questa sensibilità verso Dio, questa capacità di percepire che Dio parla
con me, e questa capacità di discernimento. Certo, Dio non parla normalmente con noi come ha
parlato attraverso l’angelo con Giuseppe, ma ha i suoi modi di parlare anche con noi. Sono gesti di
tenerezza di Dio, che dobbiamo percepire per trovare gioia e consolazione, sono parole di invito, di
amore, anche di richiesta nell’incontro con persone che soffrono, che hanno bisogno di una mia
parola o di un mio gesto concreto, un fatto. Qui occorre essere sensibili, conoscere la voce di Dio,
capire che adesso Dio mi parla e rispondere.
E così siamo arrivati al terzo punto: la risposta di san Giuseppe alla parola dell’angelo è fede e poi
obbedienza, fatto. Fede: ha capito che questa era realmente la voce di Dio, non era un sogno. La
fede diventa fondamento sul quale agire, sul quale vivere, è riconoscere che questa è la voce di Dio,
imperativo dell’amore, che mi guida sulla strada della vita, e poi fare la volontà di Dio. San
Giuseppe non era un sognatore, anche se il sogno era la porta con cui Dio era entrato nella sua vita.
Era un uomo pratico e sobrio, un uomo di decisione, capace di organizzare. Non era facile – penso –
trovare a Betlemme, perché non c’era posto nelle case, la stalla come luogo discreto e protetto e,
nonostante la povertà, degno per la nascita del Salvatore.
Organizzare la fuga in Egitto, trovare ogni giorno da dormire, da vivere per lungo tempo: questo esigeva un uomo pratico con senso di azione, con la capacità di rispondere alle sfide, di trovare le possibilità di sopravvivere. E poi al ritorno, la decisione di ritornare a Nazareth, di fissare qui la patria del Figlio di Dio, anche questo mostra che era un uomo pratico, che da falegname ha vissuto e reso possibile la vita di ogni giorno.
Così san Giuseppe ci invita da una parte a questo cammino interiore nella parola di Dio, per essere
sempre più vicini alla persona al Signore, ma nello stesso tempo ci invita ad una vita sobria, al
lavoro, al servizio di ogni giorno per fare il nostro dovere nel grande mosaico della storia.
Ringraziamo Dio per la bella figura di san Giuseppe. Preghiamo: “Signore aiutaci ad essere aperti
per Te, a trovare sempre più il tuo volto, ad amarTi, a trovare l’amore nella norma, essere radicati,
realizzati nell’amore. Aprici al dono del discernimento, alla capacità di ascoltare Te e alla sobrietà
di vivere secondo la tua volontà e nella nostra vocazione”. Amen!
© Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice Vaticana
