C’è un passaggio dell’enciclica Mystici Corporis Christi del Venerabile Pio XII, che oggi compie 80 anni, particolarmente attuale in un tempo in cui è in crisi la trasmissione della fede in famiglia e dall’interno anche della Chiesa … È quello che Papa Pacelli dedica alla descrizione della Chiesa come Corpo di Cristo. Il Pontefice invita a non credere che la struttura organica della Chiesa “sia costituita dai soli gradi della gerarchia e ad essi limitata, oppure, come ritiene un’opposta sentenza, consti unicamente di persone carismatiche (benché cristiani forniti di doni prodigiosi non mancheranno mai alla Chiesa)”. Non solo vescovi e clero da una parte, e persone con speciali carismi dall’altra. Il Papa aggiunge: “Che anzi, specialmente nelle presenti condizioni, i padri e le madri di famiglia, i padrini e le madrine di battesimo, e in particolare quei laici che collaborano con la gerarchia ecclesiastica alla dilatazione del regno del divin Redentore, occupano nella società cristiana un posto d’onore, per quanto spesso nascosto, e anche essi, ispirati ed aiutati da Dio, possono ascendere al vertice della più alta santità, la quale, secondo le promesse di Gesù Cristo, non mancherà mai nella Chiesa”.
“Nelle presenti condizioni”, cioè, nell’anno 1943 segnato dall’orrore catastrofico della Seconda Guerra Mondiale, il Successore di Pietro indica il “posto d’onore” che occupano (o dovrebbero occupare) “i padri e le madri di famiglia” fedeli, però, alle promesse del Battesimo e fedeli ai Sacramenti ricevuti, quel Popolo di Dio che lavora e vive l’ordinarietà della vita cristiana e dei suoi sacramenti. Non soltanto Pacelli ricorda la via della santità per loro, ma sottolinea il loro fondamentale contributo alla dilatazione del Regno, cioè alla missione.
Oggi come ottant’anni fa, forse oggi più che ottant’anni fa, è proprio alla testimonianza quotidiana e nascosta dei padri e delle madri di famiglia che è affidata la missione di testimoniare la vera fede…
Ma il Venerabile Pontefice, in questa enciclica, sottolinea anche altri aspetti ecclesiali importantissimi come, per esempio LA PREGHIERA… e affermava verso quanti pretendevano UN CULTO ESCLUSIVO AL PADRE (separando di fatto la SSma Trinità):
- Certuni infine dicono che le nostre preghiere non devono essere dirette alla stessa persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo corpo mistico, dov’essere considerato semplicemente “mediatore di Dio e degli uomini” (I Tim. 2, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine dei cristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto egli stesso asserì solennemente: “Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, io lo farò” (Io. 14, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore, giacché tutti i Cristiani devono conoscere e comprendere chiaramente che l’uomo Gesù Cristo è lo stesso Figlio di Dio e il medesimo Dio. Anzi, mentre la Chiesa militante adora e prega l’Agnello incontaminato e la sacra Ostia, sembra che in certo modo risponda alla voce della Chiesa trionfante che canta in eterno: “A colui che siede sul trono e all’Agnello, la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei secoli” (Apoc. 5, 13).
PIO PP. XII
LETTERA ENCICLICA MYSTICI CORPORIS CHRISTI
AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E ALTRI ORDINARI AVENTI PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA: DEL CORPO MISTICO DI GESÙ CRISTO
E DELLA NOSTRA UNIONE IN ESSO CON CRISTO
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Introduzione.
La dottrina sul corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa (cfr. Col. 1, 24), dottrina attinta originariamente al labbro stesso del Redentore e che pone nella vera luce il gran bene (mai abbastanza esaltato) della nostra strettissima unione con sì eccelso Capo, è tale senza dubbio che, per la sua eccellenza e dignità, invita tutti gli uomini mossi dal divino Spirito a studiarla e, illuminando la loro mente, fortemente li spinge a quelle opere salutari che corrispondono ai suoi precetti. Reputiamo perciò Nostro compito il trattenerCi con voi su questo argomento, svolgendone e sviluppandone specialmente quei punti che riguardano la Chiesa militante. Al che Ci muove non solo l’insigne grandezza di questa dottrina, ma anche lo stato presente dell’umanità.
Intendiamo infatti di parlare delle ricchezze riposte nel seno di quella Chiesa che fu acquistata da Cristo col proprio sangue (Act. 20, 28) e le cui membra si gloriano di un Capo redimito di spine. Circostanza, questa, che è prova evidente come le cose più gloriose ed esimie nascano soltanto dal dolore; quindi dobbiamo godere per la nostra partecipazione alla passione di Cristo, affinché possiamo poi rallegrarci ed esultare quando si manifesterà la sua gloria (cfr. I Petr. 4, 13).
Rileviamo intanto sin dall’inizio che, come il Redentore del genere umano ricevette persecuzioni, calunnie e tormenti da quei medesimi la cui salvezza aveva preso su di sé, così la società da lui costituita si assomiglia anche in questo al suo divin Fondatore. Non neghiamo, è vero, esservi anche in questa nostra età turbolenta non pochi i quali, benché separati dal gregge di Cristo, guardano alla Chiesa come all’unico porto di salvezza (e lo riconosciamo con gratitudine verso Dio); ma sappiamo pure essere la Chiesa di Dio dispregiata e con superba ostilità calunniata da coloro i quali, abbandonata la luce della cristiana sapienza, ritornano miseramente alle dottrine, ai costumi, alle istituzioni dell’antichità pagana; spesso anzi è ignorata, trascurata e tenuta in fastidio da molti cristiani, o allettati da errori di finta bellezza, o adescati dalle attrattive e depravazioni del mondo. Per dovere quindi di coscienza, o Venerabili Fratelli, e per assecondare il desiderio di molti, porremo sotto gli occhi di tutti ed esalteremo la bellezza, le lodi e la gloria della Madre Chiesa a cui, dopo Dio, tutto dobbiamo.
C’è da sperare che questi Nostri precetti ed esortazioni, nelle presenti circostanze, produrranno nei fedeli frutti molto abbondanti; ben sappiamo infatti come tante sventure e dolori del nostro procelloso tempo dai quali sono acerbamente tormentati innumerevoli uomini, se vengono accettati dalle mani di Dio con serena rassegnazione, convertono, per un certo impulso naturale, gli animi dalle cose terrene e instabili alle celesti ed eterne, suscitando in essi un’arcana sete e un intenso desiderio delle realtà spirituali: stimolati così dal divino Spirito, vengono eccitati e quasi sospinti a cercare con maggiore diligenza il Regno di Dio. Infatti, a misura che gli uomini si distolgono dalle vanità di questo mondo e dall’affetto disordinato delle cose presenti, si rendono più atti a percepire la luce dei misteri soprannaturali. E forse oggi più chiaramente che mai si vede la instabilità e inanità delle cose terrene, mentre i regni e le nazioni vanno in rovina, ingenti beni e ricchezze d’ogni genere vengono sommersi nelle profondità degli oceani, città, villaggi e fertili terre son coperte di rovine e insanguinate di stragi fraterne.
Confidiamo inoltre che neppure a quanti sono fuori del grembo della Chiesa cattolica, saranno ingrate né inutili le verità che siamo per esporre intorno al corpo mistico di Cristo. E ciò non solo perché la loro benevolenza verso la Chiesa sembra aumentare di giorno in giorno, ma anche perché essi stessi, mentre osservano le nazioni insorgere contro le nazioni e i regni contro i regni e crescere smisuratamente le discordie, le invidie e i motivi di odio, se pongono lo sguardo alla Chiesa e considerano la sua unità d’origine divina (in virtù della quale tutti gli uomini d’ogni stirpe vengono congiunti da fraterno vincolo con Cristo) certamente son costretti ad ammirare questa grande famiglia alimentata dall’amore; e con l’ispirazione e il soccorso della grazia divina saranno attirati a partecipare della stessa unità e carità.
Vi è anche una ragione particolare, tanto cara e dolce, per cui questo punto di dottrina si presenta con sommo diletto alla Nostra mente. Durante il passato venticinquesimo anno del Nostro Episcopato, con grandissimo compiacimento osservammo una cosa che fece luminosamente risplendere in tutte le parti della terra l’immagine del corpo mistico di Gesù Cristo: mentre cioè una micidiale e diuturna guerra aveva miseramente infranto la fraterna comunanza delle genti, dovunque Noi abbiamo dei figli in Cristo, li vedemmo con una sola volontà ed affetto, elevare il pensiero verso il Padre comune che governa in così avversa tempesta la nave della Chiesa Cattolica, portando nel cuore le sollecitudini e le ansietà di tutti. Ed in questa circostanza notammo non soltanto la mirabile unione della famiglia cristiana, ma anche un fatto innegabile: a quella guisa che Noi stringiamo al Nostro cuore paterno i popoli di qualsiasi nazione, così da ogni parte i cattolici, benché appartenenti a popoli fra loro belligeranti, guardano al Vicario di Cristo come all’amatissimo Padre di tutti, il quale, ispirato da assoluta imparzialità e da incorrotto giudizio per ambo le parti, ed elevandosi al di sopra delle procelle delle umane passioni, prende con tutte le forze la difesa della verità, della giustizia, della carità.
Né Ci ha apportato minore consolazione l’aver appreso essere stata raccolta spontaneamente e volonterosamente una somma per innalzare in Roma un sacro tempio dedicato al Nostro santissimo Predecessore e Patrono onomastico, il Papa Eugenio I. Pertanto, come questo tempio, da erigersi per volere ed elargizione di tutti i fedeli, farà perenne il ricordo del faustissimo evento, così desideriamo che la presente Lettera Enciclica renda testimonianza del Nostro animo grato; poiché in essa si tratta appunto di quelle vive pietre umane, le quali, edificate sulla pietra angolare che è Cristo, vengono a formare quel sacro tempio di gran lunga più eccelso d’ogni altro tempio costruito dalla mano degli uomini, l’abitazione cioè di Dio nello Spirito (cfr. Eph. 2, 21-22; I Petr. 2, 5).
La Nostra sollecitudine pastorale poi è il principale motivo per cui trattiamo con una certa ampiezza una così eccelsa dottrina. Molti punti sono stati messi in luce su questo argomento, né ignoriamo che molti si applicano oggi con grande attività al suo studio, dal quale viene anche rafforzata e nutrita la pietà cristiana. Ciò sembra debba attribuirsi specialmente al fatto che il rinato studio della sacra liturgia, l’uso invalso di accostarsi con maggior frequenza alla mensa eucaristica e il culto del Cuore sacratissimo di Gesù, che godiamo di veder tanto diffuso, hanno indotto gli animi di molti ad una più accurata indagine delle investigabili ricchezze di Cristo custodite dalla Chiesa. A porre poi questo argomento nella giusta luce, molto influirono gli insegnamenti che in questi ultimi tempi furono pubblicati intorno all’Azione Cattolica: essi resero più stretti i vincoli dei cristiani tra loro e con la gerarchia ecclesiastica, particolarmente con il Romano Pontefice. Tuttavia, se a buon diritto possiamo godere di quanto abbiamo accennato, pure non si deve negare come su questa dottrina non solo si spargono gravi errori da chi è separato dalla vera Chiesa, ma si diffondono anche tra i fedeli teorie o inesatte o addirittura false, che deviano le menti dal retto sentiero della verità.
Infatti, da una parte perdura il falso razionalismo, il quale ritiene completamente assurdo tutto ciò che trascende le forze dell’ingegno umano, mentre gli si associa un altro errore affine (il cosiddetto naturalismo volgare), il quale non vede né vuol riconoscere altro nella Chiesa di Cristo all’infuori dei vincoli puramente giuridici e sociali; dall’altra parte si va introducendo un falso misticismo il quale falsifica la Sacra Scrittura, sforzandosi di rimuovere gli invariabili confini fra le cose create e il Creatore.
Intanto questi falsi ritrovati, opposti tra loro, conducono ad un risultato, per cui alcuni, atterriti da certo infondato timore, considerano una così elevata dottrina come cosa pericolosa, e perciò indietreggiano davanti ad essa, come dal pomo del Paradiso, bello sì, ma proibito. Tutto ciò non deve essere: i misteri rivelati da Dio non possono essere nocivi agli uomini, nè devono restare infruttuosi come un tesoro nascosto nel campo; essi sono stati rivelati appunto pur il vantaggio spirituale di chi piamente li medita. Infatti, come insegna il Concilio Vaticano, “quando la ragione, illuminata dalla fede, indaga con pia e sobria diligenza, può raggiungere, concedendolo Iddio, sufficiente ed utilissima intelligenza dei misteri: sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso dei misteri stessi tra di loro e con il fine ultimo dell’uomo”; quantunque l’umana ragione, come lo stesso sacro Concilio ammonisce, “non si rende mai atta a penetrarli con la stessa chiarezza di quelle verità che costituiscono il suo naturale oggetto” (Sessio III, Const. de Fide Catholica, c. 4).
Avendo pertanto maturamente considerato queste cose al cospetto di Dio: perché la bellezza della Chiesa rifulga di nuova gloria; la conoscenza della singolare e soprannaturale nobiltà dei fedeli congiunti nel corpo di Cristo col proprio Capo, si diffonda, e inoltre affinché sia precluso l’adito ai molteplici errori su questo argomento, abbiamo creduto Nostro dovere pastorale di esporre a tutto il popolo cristiano, con questa Lettera Enciclica, la dottrina del corpo mistico di Cristo e dell’ unione dei fedeli col divino Redentore nello stesso corpo, ricavando al tempo stesso dalla medesima dottrina alcuni ammaestramenti, per cui una più alta investigazione di questo mistero produca frutti sempre più abbondanti di perfezione.
PARTE PRIMA
LA CHIESA È IL CORPO MISTICO DI CRISTO
(…)
Pertanto, a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che è la Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica Romana) (cfr. Conc. Vat., Const. de Fide cath., cap. I), nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino di quell’ espressione con la quale essa vien chiamata “il corpo mistico di Gesù Cristo”; espressione che scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri.
(…)
LA CHIESA È UN «CORPO»
unico, indiviso, visibile
Che la Chiesa sia un corpo, lo bandiscono spesso i Sacri Testi. “Cristo, dice l’Apostolo, è il Capo del corpo della Chiesa” (Col. I, 18). Orbene, se la Chiesa è un corpo, è necessario che esso sia uno e indiviso, conforme al detto di Paolo: “Molti siamo un solo corpo in Cristo” (Rom. XII, 5). Né dev’essere soltanto uno e indiviso, ma anche concreto e percepibile, come afferma il Nostro Antecessore Leone XIII di f. m. nella sua Lettera Enciclica “Satis cognitum“: “Per il fatto stesso che è corpo, la Chiesa si discerne con gli occhi” (cfr. A.S.S., XXVIII, pag. 170). Perciò si allontanano dalla verità divina coloro che si immaginano la Chiesa come se non si potesse né raggiungere ne vedere, quasi che fosse una cosa “pneumatica” (come dicono) per la quale molte comunità di cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede, tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile.
Ma il corpo richiede anche molteplicità di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E a quella guisa che nel nostro organismo mortale, quando un membro soffre, gli altri si risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi a scambievole collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il corpo.
composto «organicamente» e «gerarchicamente»
Inoltre, come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una qualsiasi congerie di membra, ma dev’essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una esatta disposizione e coerente unione di membri fra loro diversi. Né altrimenti l’Apostolo descrive la Chiesa, quando dice: “come in un sol corpo abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la stessa funzione, così noi molti siamo un corpo in Cristo, e membra gli uni degli altri” (Rom. 12, 4).
Non bisogna però credere che questa organica struttura della Chiesa sia costituita dai soli gradi della gerarchia e ad essi limitata, oppure, come ritiene un’opposta sentenza, consti unicamente di persone carismatiche (benché cristiani forniti di doni prodigiosi non mancheranno mai alla Chiesa). Si deve, sì, ritenere in ogni modo che quanti usufruiscono della sacra potestà, sono in un tal corpo membri primari e principali, poiché per loro mezzo, in virtù del mandato stesso del Redentore, i doni di dottore, di re, di sacerdote, diventano perenni. Ma giustamente i Padri della Chiesa, quando lodano i ministeri, i gradi, le professioni, gli stati, gli ordini, gli uffici di questo corpo, hanno presenti sia coloro che furono iniziati ai sacri ordini, sia quelli che, abbracciati i consigli evangelici, menano o una vita nascosta nel silenzio o una vita che l’una e l’altra congiunge secondo il proprio istituto; sia quelli che nel secolo si dedicano con volontà fattiva alle opere di misericordia per venire in aiuto alle anime e ai corpi; e infine coloro che son congiunti in casto matrimonio. Che anzi, specialmente nelle presenti condizioni, i padri e le madri di famiglia, i padrini e le madrine di battesimo, e in particolare quei laici che collaborano con la gerarchia ecclesiastica alla dilatazione del regno del divin Redentore, occupano nella società cristiana un posto d’onore, per quanto spesso nascosto, e anche essi, ispirati ed aiutati da Dio, possono ascendere al vertice della più alta santità, la quale, secondo le promesse di Gesù Cristo, non mancherà mai nella Chiesa.
ormato da membri determinati
In realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera fede, non si separarono da se stessi, disgraziatamente, dalla compagine di questo corpo, e non ne furono separati dalla legittima autorità per gravissime colpe commesse. “Poiché, dice l’Apostolo, in un solo spirito siamo stati battezzati tutti noi, per essere un solo corpo, o giudei o gentili, o servi, o liberi” (I Cor. 12, 13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un sol corpo, un solo Spirito, un solo Signore e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola fede (cfr. Eph. 4, 5): sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr. Matth. 18, 17). Pertanto quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unità di tale corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito.
senza esclusione dei peccatori
Neppure deve ritenersi che il corpo della Chiesa, appunto perché è fregiato del nome di Cristo, anche nel tempo del terreno pellegrinaggio sia composto soltanto di membri che si distinguono nella santità, o di coloro che sono predestinati da Dio alla felicità eterna. Infatti si deve attribuire all’infinita misericordia del nostro Salvatore il non negare ora un posto nel suo mistico corpo a coloro ai quali già non negò un posto nel convito (cfr. Matth. 9, 11; Marc. 11, 16; Luc. 15, 2). Poiché non ogni delitto commesso, per quanto grave, è tale che di sua natura (come lo scisma, l’eresia, l’apostasia) separi l’uomo dal corpo della Chiesa. Né si estingue ogni vita in quelli che, pur avendo perduto col peccato la carità e la grazia divina sì da non essere più capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza cristiana, e, illuminati da luce celeste, da interni consigli e impulsi dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un salutare timore e vengono eccitati a pregare e a pentirsi dei propri peccati.
Aborriscano quindi tutti il peccato, col quale vengono macchiate le mistiche membra del Redentore; ma chi, dopo aver miseramente mancato, non si rende con la propria ostinatezza indegno della comunione dei fedeli, sia ricevuto con sommo amore, e in lui si ravvisi con carità fattiva un membro infermo di Gesù Cristo. È infatti preferibile, come avverte il Vescovo d’Ippona, “essere risanati nella compagine della Chiesa, anziché esser tagliati dal suo corpo a guisa di membra inguaribili” (August. Epist., 157, 3, 22; Migne, PL 33 23, 686). “Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né essere curato né guarire” (August. Serm., 137, 1; Migne, PL 38 col. 754).
(………………)
PARTE SECONDA
L’UNIONE DEI FEDELI CON CRISTO
Ci piace ora, Venerabili Fratelli, trattare in modo particolarissimo dell’unione nostra con Cristo nel corpo della Chiesa il quale argomento (come giustamente osserva Agostino) (cfr. August. Contra Faust. 21, 8; Migne, PL, 42, 392) è cosa grande, arcana e divina, e perciò spesso avviene che da alcuni sia male compresa e male spiegata. Anzitutto è chiaro che essa è strettissima. Infatti, nella Sacra Scrittura, viene raffigurata nel vincolo d’un casto matrimonio e paragonata ora all’unità vitale dei tralci con la vite, ora alla stretta compagine del nostro corpo (cfr. Eph. 5, 22-23; Io. 15, 1-5; Eph. 4, 16). Si presenta inoltre nei libri ispirati così intima, che antichissimi documenti costantemente tramandati dai Padri e fondati sul detto dell’Apostolo: “Egli (Cristo) è il Capo della Chiesa” (Col. I, 18) insegnano che il divin Redentore costituisce col suo Corpo sociale una sola persona mistica, ossia, come dice Agostino: tutto Cristo (cfr. Enarr. in Ps., 17, 51 et 90, 11, 1: Migne, PL, 36, 154 e 37, 1159). Anzi lo stesso Salvatore nostro nella sua preghiera sacerdotale non dubitò di paragonare cotale unione con quella mirabile unità per la quale il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio (Io. 17, 21-23).
Vincoli giuridici e sociali
Questa nostra compagine in Cristo e con Cristo nasce anzitutto dal fatto che la società cristiana, per volontà del suo Fondatore, è un Corpo sociale perfetto, per cui in essa l’unione deve consistere nel concorso di tutte le membra allo stesso fine. Quanto più infatti è nobile il fine cui tende questa cooperazione, quanto più divina è la fonte dalla quale essa procede, tanto più sublime diventa senza dubbio l’unità. Orbene, il fine è altissimo: continuare cioè la santificazione delle membra dello stesso Corpo, per la gloria di Dio e dell’Agnello che è stato ucciso per noi (Apoc. 5, 12-1 3). La sorgente è divinissima: il beneplacito dell’Eterno Padre, l’amabile volontà del nostro Salvatore, e specialmente l’intera ispirazione ed impulso dello Spirito Santo negli animi nostri. Se infatti senza lo Spirito Santo non si può compiere neppure un minimo atto che conduca alla salvezza, come potrebbero innumerevoli moltitudini d’ogni popolo e di ogni stirpe aspirare con lo stesso intento alla gloria di Dio uno e trino, se non per virtù di Colui che procede dal Padre e dal Figlio in un solo eterno amore?
Poiché, come abbiamo detto, questo Corpo sociale di Cristo dev’essere visibile per volontà del suo Fondatore, quella cooperazione di tutte le membra deve anch’essa manifestarsi esternamente, sia nell’attuarsi di una identica fede, sia per la comunione dei medesimi Sacramenti, sia partecipando allo stesso sacrificio, sia per un’operosa osservanza delle identiche leggi. È poi assolutamente necessario che sia manifestato agli occhi di tutti il Capo supremo, cioè il Vicario di Cristo, dal quale venga con efficacia diretta la cooperazione dei membri al conseguimento del fine proposto. A quella guisa infatti con cui il divin Redentore inviò il Paraclito Spirito di verità che per suo mandato (cfr. Io. 14, 16 e 26) dirigesse invisibilmente la Chiesa, così ordinò a Pietro e ai suoi Successori che, rappresentando in terra la sua persona visibile, governassero la società cristiana.
Virtù teologiche
Ai vincoli giuridici, tali in se stessi da trascendere quelli di qualsiasi altra società umana anche suprema, è necessario aggiungere un’altra ragione di unità proveniente da quelle tre virtù con le quali noi ci uniamo a Dio nel modo più stretto, cioè: la fede, la speranza e la carità cristiane.
Certo, come osserva l’Apostolo, “uno solo è il Signore, una sola la fede” (Eph. 4, 5), quella fede cioè con la quale aderiamo a Dio e a Colui ch’egli mandò, Gesù Cristo (cfr. Io. 17, 8). Quanto noi intimamente restiamo congiunti a Dio con questa fede, lo insegnano le parole del discepolo prediletto: “Chiunque confesserà che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio” (I Io. 4, 15). Né, mediante questa fede cristiana, siamo meno congiunti tra di noi e col nostro Capo divino. Infatti, tutti noi credenti, “avendo il medesimo spirito di fede” (II Cor. 4, 13), siamo illuminati dalla medesima luce di Cristo, ci nutriamo al medesimo convito di Cristo, veniamo governati dalla medesima autorità e magistero di Cristo. Ché se fiorisce in tutti lo stesso spirito di fede, tutti anche “viviamo (la identica vita) nella fede del Figlio che ci amò e diede Se stesso per noi” (cfr. Gal. 2, 20). E Cristo nostro Capo, che per la viva fede abbiamo ricevuto in noi ed abita nei nostri cuori (cfr. Eph. 3, 17), come è autore della nostra fede, così sarà colui che la perfeziona (cfr. Hebr. 12 2).
Come per mezzo della fede qui in terra aderiamo a Dio, fonte di verità, così per mezzo della speranza cristiana lo desideriamo quale fonte di beatitudine, “attendendo quella beata speranza che è l’apparizione gloriosa del grande Dio” (Tit. 2, 13). Per quel comune desiderio poi del Regno celeste, per cui non vogliamo avere qui sulla terra una dimora stabile ma cerchiamo quella futura (cfr. Hebr. 13, 14) e aneliamo alla gloria superna, l’Apostolo delle Genti non dubitò di asserire: “Un colpo solo, un solo spirito, come siete stati chiamati in un’unica speranza” (Eph. 4, 4); anzi Cristo risiede in noi come la speranza della gloria (cfr. Col. I, 27).
Ma se i vincoli della fede e della speranza coi quali siamo congiunti al nostro divin Redentore nel suo Corpo mistico, sono di grandissima importanza, di non minore entità ed efficienza sono i vincoli della carità. Infatti, se anche in natura è cosa eccellentissima l’amore, da cui nasce la vera amicizia, che cosa deve dirsi di quell’amore soprannaturale che viene infuso nei nostri cuori dallo stesso Dio? “Dio è carità: e chi sta nella carità, sta in Dio e Dio in lui” (I Io. 4, 16). La quale carità, quasi per legge istituita da Dio, fa sì che egli, riamandoci, discenda in noi che lo amiamo, in conformità alle parole divine: “Se uno mi ama…. anche il Padre mio l’amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui” (Io. 14, 23). La carità dunque, più strettamente di qualsiasi altra virtù ci congiunge con Cristo, dal cui celeste ardore infiammati, tanti figli della Chiesa hanno gioito nel poter essere oltraggiati per lui e nell’affrontare sino all’estremo anelito i più ardui sacrifici, anche l’effusione del sangue. Perciò il nostro divin Salvatore ci esorta ardentemente con le seguenti parole: “Perseverate nel mio amore”. E poiché la carità è una cosa inutile e del tutto vuota, se non è attuata e manifestata con le buone opere, soggiunge: “Se osserverete i miei comandamenti, persevererete nel mio amore, come io stesso ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore” (Io. 15, 9-10).
Amore verso il prossimo
È necessario però che all’amore verso Dio e verso Cristo corrisponda l’amore verso il prossimo. Come possiamo infatti asserire di amare il divin Redentore, se odiamo coloro ch’egli redense col suo Sangue prezioso per farli membra del suo Corpo mistico? Perciò così ci ammonisce l’Apostolo prediletto: “Se uno dirà: io amo Dio e odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti, chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede? E questo comandamento abbiamo da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello” (I Io. IV, 20-21). Anzi, bisogna anche affermare che noi saremo sempre più uniti con Dio e con Cristo, a misura che saremo membra l’uno dell’altro (Rom. XII, 5) e vicendevolmente premurosi (I Cor. XII, 25); come d’altra parte, quanto più saremo stretti a Dio e al nostro Capo divino con un ardente amore, tanto maggiormente noi saremo uniti e fusi mediante la carità.
(…………….)
PARTE TERZA
ESORTAZIONE PASTORALE
ERRORI DELLA VISTA ASCETICA
Venerabili Fratelli, se i cristiani comprenderanno piamente e con rettitudine queste cose e con diligenza le riterranno, più facilmente potranno guardarsi anche da quegli errori che, con grande pericolo della fede cattolica e smarrimento degli animi, scaturiscono dalla investigazione, da alcuni arbitrariamente intrapresa, di questa difficile materia.
Falso «misticismo»
Infatti non mancano coloro i quali non considerando abbastanza che l’Apostolo Paolo circa questo argomento parlò metaforicamente e senza distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e propri di corpo fisico, di corpo morale, di corpo mistico, dànno di questa unione una spiegazione alterata. Giacchè fanno unire e fondere in una stessa persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo delle Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e il Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa (cfr. Eph. 5, 22-23).
Falso «quietismo»
Non meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di quelli che dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano quietismo, col quale tutta la vita spirituale dei cristiani e il loro progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino Spirito, escludendo cioè e lasciando da parte la nostra debita cooperazione. Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna. Infatti, come: dice il Salmista, “il Signore largisce grazie e gloria” (Ps. 83, 12). Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che progrediscano con alacrità nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma incitino secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto questo, lo Spirito celeste non vuol compiere, se gli stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa. “Infatti, come osserva Ambrogio, i benefici divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma a chi veglia” (Expos. Evang. sec. Luc., IV, 49; Migne, PL, 15, 1626). Poiché, se nel nostro corpo mortale le membra si corroborano e si sviluppano con ininterrotto esercizio, molto più ciò accade nel Corpo sociale di Gesù Cristo, nel quale le singole membra godono di una propria libertà, coscienza, azione. Perciò colui che disse: “Vivo, non più io, ma vive in me Cristo” (Gal. II, 20), non dubitò di asserire: “la grazia di lui, cioè di Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me” (I Cor. 15, 10). Quindi è chiarissimo che nelle accennate fallaci dottrine, il mistero di cui trattiamo non sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si volgerebbe miseramente alla loro rovina.
Errori circa la confessione sacramentale e l’orazione
Da tali false asserzioni proviene anche che alcuni affermino non doversi molto inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si adatta quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo coi suoi figli a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei Sacerdoti sul punto di ascendere all’altare di Dio. È vero che in molte e lodevoli maniere, come voi, o Venerabili Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, mercè la quale si accresce la retta conoscenza di se stesso, si sviluppa la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento. Quelli dunque che fra il giovane clero attenuano o estinguono la stima della confessione frequente, sappiano che intraprendono cosa aliena dallo Spirito di Cristo e funestissima al corpo mistico del nostro Salvatore.
Vi sono inoltre alcuni i quali o negano alle nostre preghiere ogni vera efficacia d’impetrazione, ovvero si sforzano d’insinuare nelle menti che le suppliche rivolte a Dio in privato bisogna ritenerle di poco valore, mentre piuttosto quelle pubbliche usate nel nome della Chiesa realmente valgono come quelle che partono dal corpo mistico di Gesù Cristo. Ciò è affatto erroneo: poiché il divin Redentore non ha a sé strettissimamente congiunta soltanto la sua Chiesa, quale amantissima Sposa, ma in essa, anche gli animi dei singoli fedeli, con i quali desidera ardentemente trattenersi in intimi colloqui, specialmente dopo che si sono accostati alla mensa eucaristica. E benché la preghiera collettiva, come procedente dalla Madre Chiesa, superi tutte le altre per la dignità della Sposa di Cristo, pure tutte le preghiere, dette anche in forma privatissima, non sono prive di dignità né di virtù e conferiscono moltissimo anche all’utilità di tutto il corpo mistico, in quanto che tutto ciò che si compie di bene e di retto dai singoli membri ridonda anche in profitto di tutti, grazie alla Comunione dei Santi. Né ai singoli uomini, appunto perché membra di questo corpo, si vieta di chiedere per se stessi grazie speciali anche per quanto riguarda la vita presente, serbando tuttavia la conformità alla volontà di Dio: essi infatti rimangono persone libere e soggette ai propri individuali bisogni (cfr. S. Thom. II-II, q. 83, a. 5 et 6). Quanto poi debbano tutti grandemente stimare la mediazione delle cose celesti, è comprovato non soltanto dai documenti della Chiesa ma anche dall’uso e dall’esempio di tutti i Santi.
Certuni infine dicono che le nostre preghiere non devono essere dirette alla stessa persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo corpo mistico, dov’essere considerato semplicemente “mediatore di Dio e degli uomini” (I Tim. 2, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine dei cristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto egli stesso asserì solennemente: “Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, io lo farò” (Io. 14, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore, giacché tutti i Cristiani devono conoscere e comprendere chiaramente che l’uomo Gesù Cristo è lo stesso Figlio di Dio e il medesimo Dio. Anzi, mentre la Chiesa militante adora e prega l’Agnello incontaminato e la sacra Ostia, sembra che in certo modo risponda alla voce della Chiesa trionfante che canta in eterno: “A colui che siede sul trono e all’Agnello, la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei secoli” (Apoc. 5, 13).
ESORTAZIONE PER AMARE LA CHIESA
Ora che, Venerabili Fratelli, nell’accurata spiegazione di questo mistero che riassume l’arcana unione di tutti noi con Cristo, nella nostra qualità di Maestro della Chiesa universale, abbiamo irradiate le menti con la luce della verità, riteniamo conforme al Nostro pastorale ufficio aggiungere anche uno sprone agli animi, affinché un tale corpo mistico venga amato con quell’ardore di carità che non si limita ai pensieri e alle parole, ma che prorompe in attività di opere. Poiché, se i seguaci dell’antica legge poterono così cantare della loro Città terrestre: “Se mi dovessi dimenticare di te, o Gerusalemme, cada in oblio la mia destra; resti attaccata al palato la mia lingua se non mi ricordo di te, se non colloco Gerusalemme al disopra di ogni mia gioia” (Psal. 136, 5-6), con quanta maggior gloria e più ampio gaudio, abbiamo noi il dovere di esultare appunto per questo che siamo cittadini di una Città costruita sul monte santo con vive e scelte pietre e della quale è “pietra angolare Gesù Cristo” (Eph. 2, 20; I Petr. 2, 4-5). Giacché niente si può immaginare di più glorioso, niente di più nobile, niente senza dubbio di più onorifico, che appartenere alla santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa, per la quale diventiamo membra di un unico e così venerando corpo, siamo guidati da un unico e così eccelso Capo, siamo ripieni di un unico e divino Spirito, siam nutriti in questo terrestre esilio da una sola dottrina e da uno stesso Pane angelico, finché ci ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine nei cieli.
Sia un amore solido
Ma, per non essere ingannati dall’angelo delle tenebre che suol trasfigurarsi in angelo di luce (cfr. 2 Cor. 11, 14), sia norma suprema del nostro amore l’amare la Sposa di Cristo quale Cristo stesso la volle, conquistandola con il sangue. Quindi non solo ci devono stare sommamente a cuore i Sacramenti con i quali la Madre nostra Chiesa amorosamente ci nutre; non solo devono esserci carissime le grandi feste che celebra a nostra consolazione e gioia, e i sacri cantici e i riti liturgici, con i quali innalza le nostre menti alle cose celesti; ma dobbiamo anche avere in gran conto quelli che si chiamano sacramentali, come pure tutte le pratiche di pietà con le quali la Chiesa stessa mira a pervadere soavemente dello Spirito di Cristo gli animi dei fedeli, per loro consolazione. Né soltanto è nostro dovere il ricambiare come conviene a figli la materna pietà della Chiesa verso di noi, ma dobbiamo anche professarle riverenza per l’autorità conferitale da Cristo, in modo tale da sottometterle pienamente il nostro giudizio, in ossequio a Cristo stesso (cfr. II Cor. 10, 5). Onde siamo tenuti ad obbedire alle sue leggi e ai suoi precetti in fatto di costumi, anche se talvolta ciò riesca abbastanza duro alla nostra natura, decaduta qual è dallo stato dell’innocenza originale. Così pure dobbiamo reprimere con volontarie penitenze la nostra carne ribelle, ci viene anzi inculcato di saper talvolta rinunziare a cose piacevoli, anche se non siano nocive. Né dobbiamo limitarci ad amare questo corpo mistico perché insigne per la divinità del suo Capo e per le sue doti celesti, ma dobbiamo amarlo con amore operoso anche quale si manifesta in questa nostra carne mortale, composta talvolta di membra che hanno tutte le debolezze dell’umana natura, anche se esse siano meno degne del posto che occupano in quel venerando corpo.
Col quale vediamo Cristo nella Chiesa
Ad ottenere poi che un tal pienissimo amore regni negli animi nostri e di giorno in giorno aumenti, è necessario assuefarsi a riconoscere nella Chiesa lo stesso Cristo. È infatti Cristo che nella sua Chiesa vive, che per mezzo di lei insegna, governa e comunica la santità; è Cristo che in molteplici forme si manifesta nelle varie membra della sua società. Se tutti i cristiani si daranno con impegno a vivere di un così vigoroso spirito di Fede, allora non solo essi tributeranno il debito ossequio d’onore alle più eccelse membra di questo mistico Corpo e specialmente a quelle che per mandato del divin Capo un giorno dovranno render conto delle anime nostre (cfr. Hebr. 13, 17); ma avranno a cuore anche quelle membra verso le quali il Salvator nostro dimostrò un amore di preferenza: i deboli, i feriti e i malati bisognosi o di medicina materiale o di rimedio soprannaturale, i fanciulli la cui innocenza si trova oggi esposta a tanti pericoli e la cui tenera anima è plasmabile come cera, i poveri infine, nei quali, mentre li soccorriamo, dobbiamo ravvisare la persona stessa di Gesù Cristo.
Ben a ragione l’Apostolo ci avverte: “le membra del corpo che paiono più deboli sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo di minor pregio, le circondiamo di onore maggiore” (I Cor. 12, 22-23). Tale gravissima sentenza Noi, consapevoli dell’altissima responsabilità che Ci è stata affidata, riteniamo doveroso ripetere al giorno d’oggi, mentre con profonda afflizione vediamo che ai deformi di corpo, ai deficienti ed agli affetti di malattie ereditarie vien talora tolta la vita, come se costituissero un molesto peso per la società. Peggio ancora, tale espediente da certuni si esalta come una trovata dell’umano progresso, quanto mai giovevole al comune benessere. Ma chi mai, se abbia senno, non vede che ciò ripugna non soltanto alla legge naturale e divina (cfr. Decr. S. Offic., 2 dec. 1940: A.A.S. 1940, p. 553), impressa nell’animo di ciascuno, ma è di violenta offesa contro i nobili sensi di umanità? Il sangue di tali sventurati, al nostro Redentore tanto più cari quanto più degni di commiserazione, “grida a Dio dalla terra” (cfr. Gen. 4, 10).
Imitiamo l’amore di Cristo verso la Chiesa
Affinché poi quella sincera carità, per la quale nella Chiesa e nelle sue membra dobbiamo riguardare il nostro Salvatore, non vada a poco a poco illanguidendosi, è di somma opportunità il tener di mira lo stesso Gesù, come insuperabile modello di amore verso la Chiesa.
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Per i membri della Chiesa
Ad esempio di Cristo, anche noi dobbiamo chiedere ogni giorno che il Signore voglia inviare operai alla sua messe (cfr. Matth. 9, 38; Luc.10,2); ogni giorno deve salire al cielo la comune preghiera per raccomandare tutte le membra del mistico corpo di Gesù Cristo. In primo luogo i sacri presuli, alla cui particolare sollecitudine è affidata la Diocesi di ciascuno; di poi i sacerdoti e infine i religiosi e le religiose che, seguendo la chiamata di Dio, sia in patria che in paesi infedeli, difendono, accrescono, promuovono il Regno del Redentore divino. Nessuno dei membri di questo venerando Corpo dev’essere dimenticato nella comune preghiera; ma specialmente si abbiano presenti quelli che o sono oppressi dalle sofferenze o dalle angosce di questa terra o, compiuto il corso mortale, vengono purificati nelle fiamme espiatrici. E neppure debbono essere trascurati coloro che si stanno istruendo nella dottrina cristiana, affinché possano al più presto mondarsi nel lavacro delle acque battesimali.
Bramiamo altresì vivamente che le comuni preghiere abbraccino nella stessa ardente carità sia coloro che, non ancora illuminati dalla verità evangelica, non sono ancora entrati nel sicuro ovile della Chiesa; sia coloro che, a causa di una miserevole scissione dell’unità della fede, si sono separati da Noi che, pur immeritevoli, rappresentiamo in terra la persona di Gesù Cristo. Per questo ripetiamo l’implorazione divina del nostro Salvatore al Padre celeste: “Che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te, così anch’essi siano in noi una cosa sola; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Io. 17, 21).
Per coloro che ancora non sono membri
Anche coloro che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, Noi affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che, sull’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. Summi Pontificatus: A.A.S. 1939 p.419). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi “del grande e glorioso Corpo di Cristo” (Iren. Adv. Hær., 4, 33, 7; Migne, PG, 7, 1076); con animo riboccante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi a quelle attuali condizioni, sulle quali non possono certo sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX Jam nos omnes, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., 7, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, si accostino con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. 14: Migne, PL, 59, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna.
Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte dell’intero Corpo mistico, affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo essere assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Io. Ev. tract., 26, 2: Migne, PL, 30, 1607). Onde, se alcuni, non credenti, vengono di fatto forzati ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad avvicinarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. 11, 6), deve esser il libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: Immortale Dei: A.A.S. XXVIII pp.174-175, Cod. Iur. Can. 1351), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è necessario che vengano attratti con efficacia alla verità del Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio.
Che ancora molti, purtroppo, errano lontani dalla cattolica verità e non piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi (cfr. August., ibidem), né i fedeli cristiani innalzano a Dio più ferventi preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti coloro che sentono amore per la Chiesa, di non desistere mai, seguendo l’esempio del divin Redentore, dall’elevare tali suppliche.
(………….)
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