Perché il sacerdote deve indossare l’abito talare

Proponiamo ai nostri lettori un articolo di due sacerdoti americani in cui vengono elencate alcuni ragioni per cui i sacerdoti dovrebbe sempre indossare la talare, o almeno il collare romano.

La talare è un segno di consacrazione sacerdotale al Signore. Come l’anello nuziale distingue marito e moglie e simboleggia l’unione di cui godono, così la talare identifica i vescovi e i sacerdoti (e spesso anche i diaconi e i seminaristi) e manifesta la loro vicinanza al Maestro divino in virtù del loro libero consenso al ministero ordinato a cui sono stati (o possono essere) chiamati.

Indossando gli abiti clericali e non possedendo abiti in eccesso, il sacerdote dimostra di aderire all’esempio di povertà materiale del Signore. Non è il sacerdote a scegliere i suoi abiti, ma la Chiesa, grazie alla sua saggezza accumulata negli ultimi due millenni. L’umile accettazione del desiderio della Chiesa che il sacerdote indossi la talare illustra una sana sottomissione all’autorità e la conformità alla volontà di Cristo espressa attraverso la sua Chiesa.

La talare previene i “messaggi confusi”; le altre persone riconosceranno le intenzioni del sacerdote quando si troverà in circostanze che potrebbero sembrare compromettenti. Supponiamo che a un sacerdote sia richiesto di fare visite pastorali in diversi condomini in una zona dove lo spaccio di droga o la prostituzione sono prevalenti. La talare trasmette a tutti il chiaro messaggio che il sacerdote è venuto a prestare servizio ai malati e ai bisognosi nel nome di Cristo. Le speculazioni potrebbero essere innescate da un sacerdote noto ai residenti del quartiere che si reca in vari condomini vestito da laico.

La talare ispira gli altri a evitare l’immodestia nel vestire, nelle parole e nelle azioni e ricorda loro la necessità del decoro pubblico. Un sacerdote allegro, ma diligente e serio può costringere gli altri a fare un bilancio del modo in cui si comportano. La talare è una sfida necessaria a un’epoca che annega nell’impurità, mostrata da abiti allusivi, discorsi blasfemi e azioni scandalose.

La talare è una protezione per la propria vocazione quando si ha a che fare con donne giovani e attraenti. Un sacerdote senza abito può apparire come un bersaglio attraente per l’affetto di una donna non sposata in cerca di marito o di una donna sposata tentata dall’infedeltà.

La talare offre una sorta di “salvaguardia” per se stessi. L’abito ricorda al sacerdote stesso la sua missione e la sua identità: testimoniare Gesù Cristo, il Grande Sommo Sacerdote, come uno dei suoi fratelli sacerdoti.

Un sacerdote con la sua talare è un’ispirazione per gli altri che pensano: “Ecco un discepolo di Gesù”. La talare dimostra della possibilità di prendere un impegno sincero e duraturo con Dio. Credenti di diverse età, nazionalità e temperamenti noteranno la vita virtuosa e centrata sull’altro dell’uomo che indossa volentieri e con orgoglio l’abito del sacerdote cattolico, e forse si renderanno conto che anche loro possono consacrarsi nuovamente, o per la prima volta, all’amorevole Buon Pastore.

La talare è una fonte di benefico intrigante per i non cattolici. La maggior parte dei non cattolici non ha esperienza di ministri che indossano abiti clericali. Pertanto, i sacerdoti cattolici, in virtù del loro abbigliamento, possono indurre i non cattolici a riflettere — anche se solo in modo sommario — sulla Chiesa e su ciò che essa comporta.

Un sacerdote vestito come la Chiesa vuole è un richiamo a Dio e al sacro. L’imperante morbo secolare non è benevolo nei confronti delle immagini che evocano l’Onnipotente, la Chiesa, ecc. Quando s’indossa la talare, i cuori e le menti degli altri si elevano in modo rinfrescante verso l’Essere superiore, che di solito è relegato a una piccola nota a piè di pagina nell’agenda della cultura contemporanea.

La talare è anche un promemoria per il sacerdote per ricordargli che è sempre sacerdote. Con la confusione che regna oggi, la talare può aiutare il sacerdote a evitare il dubbio interiore su chi lui sia. Due guardaroba possono facilmente portare — e spesso lo fanno — a due stili di vita, o addirittura a due personalità.

Un sacerdote con la talare è un messaggio vocazionale ambulante. La vista di un sacerdote allegro e felice che cammina fiducioso per strada può essere una calamita che attira i giovani a considerare la possibilità che Dio li chiami al sacerdozio. È Dio che chiama; il sacerdote è semplicemente un segno visibile che Dio userà per attirare gli uomini a sé.

La talare rende il sacerdote disponibile per i sacramenti, in particolare per la confessione e l’unzione degli infermi, e per le situazioni di crisi. Poiché l’abito dà un riconoscimento immediato, i sacerdoti che lo indossano sono più inclini ad essere avvicinati, soprattutto in caso di grave necessità. Gli autori di questo articolo possono testimoniare di essere stati interpellati per i Sacramenti e chiamati per l’assistenza in aeroporti, città affollate e villaggi isolati perché sono stati immediatamente riconosciuti come sacerdoti cattolici.

La talare è un segno visibile che ricorda al sacerdote che si deve sforzare di diventare santo, vivendo sempre la sua vocazione. È un sacrificio rendersi costantemente disponibili per le anime essendo pubblicamente identificabili come sacerdoti, ma un sacrificio gradito al nostro Divino Signore. Ci viene ricordato come la gente veniva da lui e come lui non la respingeva mai. Ci sono tante persone che trarranno beneficio dal nostro sacrificio di sforzarci di essere santi sacerdoti senza interruzioni.

La talare serve a ricordare ai cattolici che non vivono secondo le leggi del Signore della sua Chiesa di non dimenticare la loro situazione irregolare e le loro responsabilità nei confronti di Dio. Il sacerdote è un testimone — nel bene e nel male — di Cristo Signore e della sua Santa Chiesa. Quando un cattolico non in stato di grazia vede un sacerdote, è incoraggiato a ricordare che la Chiesa continua ad aspettarlo. Un sacerdote allegro fornisce un salutare promemoria della Chiesa.

Indossare gli abiti clericali è a volte un sacrificio, soprattutto nella stagione calda. Le migliori mortificazioni sono quelle che non cerchiamo. Sopportare i disagi del caldo e dell’umidità può essere una meravigliosa riparazione per i nostri peccati e un mezzo per ottenere grazie per i nostri parrocchiani.

La talare serve come “segno di contraddizione” per un mondo perso nel peccato e nella ribellione contro il Creatore. L’abito fa una dichiarazione forte: il sacerdote, in quanto alter Christus, ha accettato il mandato del Redentore di portare il Vangelo sulla pubblica piazza, a prescindere dal costo personale.

La talare aiuta i sacerdoti a evitare la mentalità del mezzo servizio del ministero sacerdotale. I numeri 24 e 7 dovrebbero essere i nostri numeri speciali: siamo sacerdoti 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. Siamo sacerdoti, non uomini che esercitano la “professione sacerdotale”. In servizio o meno, dobbiamo essere disponibili per chiunque Dio ci mandi. Le pecorelle smarrite non prendono appuntamenti.

Gli “ufficiali” dell’esercito di Cristo devono essere identificabili come tali. Tradizionalmente, abbiamo osservato che coloro che ricevono il sacramento della Confermazione diventano “soldati” di Cristo, cattolici maturi, pronti e disposti a difendere il suo Nome e la sua Chiesa. Anche coloro che vengono ordinati diaconi, sacerdoti e vescovi devono essere pronti — a prescindere dalla posta in gioco — a pascere il gregge del Signore. I sacerdoti che indossano la talare mostrano inequivocabilmente il loro ruolo di guida della Chiesa.

I santi non hanno mai approvato un approccio disinvolto alla vestizione sacerdotale. Ad esempio, Sant’Alfonso Liguori (1696-1787), patrono dei teologi morali e dei confessori, nel suo apprezzato trattato Dignità e doveri del sacerdote, esorta i sacerdoti religiosi e secolari ad indossare l’abito appropriato, affermando che la talare aiuta sia il sacerdote che i fedeli a ricordare il sublime splendore dello stato sacerdotale istituito del Dio-Uomo.

La maggior parte dei cattolici si aspetta che i loro sacerdoti si vestano di conseguenza. I sacerdoti hanno da sempre fornito un grande conforto e sicurezza al loro popolo. Da giovani, ai cattolici viene insegnato che il sacerdote è il rappresentante di Dio, qualcuno di cui fidarsi. Di conseguenza, il popolo di Dio vuole sapere chi sono questi rappresentanti e cosa rappresentano. La cara usanza di indossare abiti distinti è stata sancita per secoli dalla Chiesa; non si tratta di un’imposizione arbitraria. I cattolici si aspettano che i loro sacerdoti vestano da sacerdoti e si comportino in armonia con l’insegnamento e la pratica della Chiesa. Come abbiamo dolorosamente osservato negli ultimi anni, i fedeli sono particolarmente infastiditi e danneggiati quando i sacerdoti sfidano la legittima autorità della Chiesa e insegnano e agiscono in modi inappropriati e persino peccaminosi.

Caro confratello sacerdote, la tua vita non è tua, appartiene a Dio in modo speciale: sei stato chiamato da Lui a servirlo con la tua vita. Quando ci svegliamo ogni mattina, dovremmo rivolgere il nostro pensiero al nostro amorevole Signore, e chiedere la grazia di servirlo bene durante la giornata. Ricordiamo a noi stessi la nostra condizione di servitori scelti indossando l’abito che proclama a tutti che Dio opera ancora in questo mondo attraverso il ministero di uomini poveri e peccatori.

Msgr. Charles M. Mangan & Father Gerald E. Murray. “Why a priest should wear his Roman collar.”

Traduzione nostra



Abito ecclesiastico “normale” è soltanto la “talare”. Così aveva deciso la CEI nel marzo 1966.
Facciamo un punto storico recente:
A molti dà fastidio vedere i preti vestiti da preti ma il Codice di Diritto Canonico vigente (1983), quasi ricalcando quanto stabilito nel Codice del 1917, al canone 284 così recita:
“I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.”
In questo senso, la Conferenza Episcopale Italiana con delibera n° 12 del 23 dicembre 1983 ha stabilito che: “Salve le prescrizioni per le celebrazioni liturgiche, il clero in pubblico deve indossare l’abito talare o il cleryman. Per quanto riguarda i religiosi, lo stesso obbligo è stabilito dal canone 669.
1) I religiosi portino l’abito dell’istituto fatto a norma del diritto proprio, quale segno della loro consacrazione e testimonianza di povertà
2) I religiosi chierici di un istituto clericale a norma del canone 284”.
La Congregazione per il Clero, in data 31 gennaio 1994, ha emanato il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, il quale, al n° 66, così recita:
“In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero – uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri – sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico. Il presbitero dev’essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo, la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa.
Per questa ragione, il chierico deve portare “un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali”.
Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale.
Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità.
Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell’abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa”.
Il 22 ottobre del 1994, il Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, ha emanata una precisazione circa il valore vincolante del n° 66 che abbiamo riportato prima, nella quale, fra l’altro, si afferma che: “.
In ossequio al prescritto del can. 32, queste disposizioni dell’art. 66 del “Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri” obbligano tutti quelli che sono tenuti alla norma universale del can. 284, vale a dire i Vescovi e i presbiteri, non invece i diaconi permanenti (cfr. can. 288).
I Vescovi diocesani costituiscono , inoltre, l’autorità competente per sollecitare l’obbedienza alla predetta disciplina e per rimuovere le eventuali prassi contrarie all’uso dell’abito ecclesiastico (cfr. can. 392, 2).
Alle Conferenze episcopali corrisponde di facilitare ai singoli Vescovi diocesani l’adempimento di questo loro dovere (Vedi: Communicationes, 27 [1995] 192-194)”.
E’ molto triste vedere oggi tanti sacerdoti, religiosi e suore che non sono riconoscibili in pubblico ed è ancora più triste vedere come i vescovi ed i superiori degli ordini e delle congregazioni se ne stiano zitti di fronte ad tale comportamento secolarizzato ed assolutamente difforme dalle norme ecclesiastiche. Lanza Del Vasto riguardo a questo non portare l’abito ecclesiastico, notava acutamente: “ quando un esercito si sbraca, la guerra è già persa”.
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diceva il Card. Giuseppe Siri da “L’Abito Ecclesiastico”
Precisazione Disciplinare del 20 Agosto 1972
È semplicemente permesso l’uso del “clergyman” con forti restrizioni: no per l’esercizio del ministero, per la amministrazione dei Sacramenti e dei Sacramentali, per la celebrazione della santa Messa, per la predicazione e per la scuola di religione.
Qui non parliamo solo di “abito ecclesiastico”, ma di talare.
E guardiamo bene le cose in faccia, senza alcun timore di quel che si può dire.
Fino a questo momento la legge dice che “la talare è l’abito normale” dell’ecclesiastico.
Il che significa che il clergyman non è l’abito normale.
Alcuni, per boicottare l’uso della talare o per giustificarsi nell’aver ceduto alla moda corrente contraria all’abito talare, affermano: “Tanto la talare è un abito liturgico”, volendo così esaurire l’eventuale uso della talare alla sola liturgia.
Questo è apertamente falso e capziosamente ipocrita!
Le ragioni sono diverse: la più evidente è fornita dalla prassi secondo cui la talare non solo non è mai stata sufficiente per la celebrazione dei sacramenti e sacramentali, ma non è mai stata considerata nemmeno come abito corale.
Alla liturgia la talare è ordinata non solo per la immediata azione sacra, ma in quanto di tale azione sacra ne estende la forza, la dignità e la santità all’intera vita del sacerdote, caratterizzata dalla perenne preparazione e continuazione dei sacri misteri che celebra.
La legge mette tante limitazioni all’uso del clergyman che chi vuole osservarla e tenersi il suo clergyman deve girare tutto il giorno con sotto il braccio la talare stessa o il clergyman. So bene che c’è chi non pone alcun caso alla legge, ma debbo dirgli che Dio, futuro giudice, non è affatto di questo avviso.
Francamente è chiaro che il clergyman è una concessione fatta e tollerata per la fungibilità soltanto, che lo stesso clergyman non è la soluzione più desiderata. Chi non ama la sua talare resisterà ad amare il suo servizio a Dio?
Il prossimo non sostituisce Dio!

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RICAPITOLANDO
Codice di Diritto Canonico:
Il can. 284 stabilisce l’obbligo dell’abito ecclesiastico, demandando alle Conferenze Episcopali la definizione delle norme specifiche: “I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.” – ricordiamo che il clergyman NON E’ un “abito ecclesiastico”, chiaro??
Conferenza Episcopale Italiana:
Nel 1983, la CEI (con l’approvazione di Giovanni Paolo II) ha stabilito che i sacerdoti possono indossare la talare o il clergyman, ma non possono indossare abiti civili nelle loro funzioni ministeriali e di parrocchia.
Con il pontificato di Benedetto XVI il papa aveva ribadito l’importanza dell’uso della talare in ambienti e funzioni ecclesiali e di usare il clergyman solo nei viaggi o brevi spostamenti.


dal Cardinale Siri:

Ritengo di attirare la attenzione su un problema, che sta diventando della massima importanza: quello dell’abito ecclesiastico. […] Di fatto si sta assistendo alla più grande decadenza dell’abito ecclesiastico. […] L’abito condiziona fortemente e talvolta forgia addirittura la psicologia di chi lo porta . L’abbigliamento, infatti, impegna per la vestizione, per la sua conservazione, per la sostituzione. È la prima cosa che si vede, l’ultima che si depone. Esso ricorda impegni, appartenenze, decoro, colleganze, spirito di corpo, dignità! Questo fa in modo continuo. Crea pertanto dei limiti alla azione, richiama incessantemente tali limiti, fa scattare la barriera del pudore, del buon nome, del proprio dovere, della risonanza pubblica, delle conseguenze, delle malevoli interpretazioni. […] L’abito non fa il monaco al 100%, ma lo fa certamente in parte notevole; in parte maggiore, secondo che cresce la sua debolezza di temperamento. […] Per tale motivo la questione della divisa ingigantisce nel campo ecclesiastico e si impone alla attenzione di quanti vogliono salvare vocazioni, perseveranza negli accettati doveri, disciplina, pietà, santità! […] succede che in talune città d’Italia (non citiamo ovviamente i nomi, ma siamo ben sicuri di quello che diciamo) per l’assenza di ritegno imposto dalla sacra divisa si arriva ai divertimenti tuttavia proibiti dal Codice di Diritto Canonico, ai night clubs, alle case malfamate e peggio. Sappiamo di retate di seminaristi fatte in cinema malfamati ed in altri non più consigliabili locali. Tutto per colpa dell’abito tradito! […] Il bilancio che ne consegue . Eccolo:
– disistima;
– sfiducia;
– insinuazioni facili e talvolta gravi;
– preti che, cominciando dall’abito e dallo smantellamento della prima umile difesa, finiscono dove finiscono…
– crisi sacerdotali, del tutto colpevoli, perché cominciate col rifiuto delle necessarie cautele, richieste dal Diritto Canonico e dal consiglio dei Vescovi…, con risultati disgraziati e spostati…
– seminari che si svuotano e non resistono; mentre nel mondo, tanto in Europa che in America, rigurgitano i seminari, ordinati secondo la loro genuina origine, col rigoroso abito ecclesiastico, nella vera obbedienza al Decreto conciliare Optatam totius;
– anime che si trascinano innanzi senza più alcuna capacità decisionale, dopo la loro contaminazione col mondo.

[…] Credo difficile possa esistere nel nostro tempo, proprio per le sue caratteristiche, lo spirito ecclesiastico senza il desiderio e il rispetto dell’abito ecclesiastico. […] Qui non parliamo solo di «abito ecclesiastico», ma di talare. E guardiamo bene le cose in faccia, senza alcun timore di quel che si può dire. […] Alcuni, per boicottare l’uso della talare o per giustificarsi nell’aver ceduto alla moda corrente contraria all’abito talare, affermano: «Tanto la talare è un abito liturgico», volendo così esaurire l’eventuale uso della talare alla sola liturgia. Questo è apertamente falso e capziosamente ipocrita! […] Francamente è chiaro che il clergyman […] non è la soluzione più desiderata. Chi non ama la sua talare resisterà ad amare il suo servizio a Dio? Il prossimo non sostituisce Dio! Non è soldato chi non ama la sua divisa. […] L’indirizzo da darsi è:
– che anche se la legge ammette il clergyman, esso non rappresenta in mezzo al nostro popolo la soluzione ideale;
– che chi intende avere l’integro spirito ecclesiastico deve amare la sua talare;
[…]
– che la difesa della talare è la difesa della vocazione e delle vocazioni.

Il mio dovere di Pastore mi obbliga a guardare assai lontano. Ho dovuto constatare che la introduzione del clergyman oltre la legge e le depravazioni dell’abito ecclesiastico sono una causa, probabilmente la prima, del grave decadimento della disciplina ecclesiastica in Italia. Chi vuol bene al sacerdozio, non scherzi con la sua divisa!

[Testo tratto da: Card. Giuseppe Siri, A Te sacerdote, vol. II, Frigento: Casa Mariana, 1987, pp. 67-73].

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