Mons. Schneider ammonisce ai sedevacantisti: Francesco è il Papa

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog la lettera scritta da S.E. Athanasius Schneider, vescovo e pubblicato su Infovaticana. Ecco il testo nella traduzione automatica.

Negli ultimi giorni, e con l’imminenza di un sinodo che accenna a cambiamenti nella dottrina, alcune figure di alto profilo hanno ipotizzato che Francesco non sia il Papa. Il vescovo conservatore Athanasius Schneider ha contrastato la tendenza con una lettera, riportata di seguito, che confuta questa posizione.

  • Non esiste alcuna autorità che possa dichiarare o considerare invalido un Papa eletto e generalmente accettato come tale. La pratica costante della Chiesa rende evidente che anche nel caso di un’elezione non valida, questa viene di fatto perfezionata dall’accettazione generale del nuovo eletto da parte della stragrande maggioranza dei cardinali e dei vescovi.
  • Anche nel caso di un Papa eretico, egli non perde automaticamente la carica, né esiste alcun organo nella Chiesa che possa dichiararlo deposto per eresia. Tali azioni si avvicinerebbero a una versione dell’eresia conciliarista o episcopale. L’eresia del conciliarismo o dell’episcopalismo afferma fondamentalmente che esiste un organo all’interno della Chiesa (Concilio ecumenico, Sinodo, Collegio cardinalizio, Collegio episcopale) che può emettere un giudizio giuridicamente vincolante sul Papa.
  • La teoria della perdita automatica del papato a causa dell’eresia è ancora solo un’opinione, e anche San Roberto Bellarmino se ne rese conto e non la presentò come un insegnamento del Magistero stesso. Il Magistero papale perenne non ha mai insegnato una simile opinione. Nel 1917, quando entrò in vigore il Codice di Diritto Canonico (Codex Iuris Canonici), il Magistero della Chiesa eliminò dalla nuova legislazione l’osservazione del Decretum Gratiani nel vecchio Corpus Iuris Canonici, che affermava che un Papa che devia dalla retta dottrina può essere deposto. Mai nella storia il Magistero della Chiesa ha ammesso una procedura canonica per la deposizione di un papa eretico. La Chiesa non ha alcun potere sul papa né a livello formale né a livello giudiziario. La tradizione cattolica più sicura dice che, nel caso di un papa eretico, i membri della Chiesa possono evitarlo, resistergli, rifiutarsi di obbedirgli, il che può essere fatto senza richiedere una teoria o un’opinione secondo cui un papa eretico perde automaticamente il suo ufficio o può essere deposto di conseguenza.
  • Pertanto, dobbiamo seguire la via più sicura (via tutior) e astenerci dal difendere la mera opinione dei teologi (anche se sono santi come San Roberto Bellarmino), che dice che un papa eretico perde automaticamente il suo ufficio o può essere deposto dalla Chiesa.
  • Il Papa non può commettere eresia quando parla ex cathedra, questo è un dogma di fede. Tuttavia, nel suo insegnamento al di fuori delle dichiarazioni ex cathedra, può cadere in ambiguità dottrinali, errori e persino eresie. E poiché il Papa non è identico a tutta la Chiesa, la Chiesa è più forte di un singolo Papa erroneo o eretico. In tal caso, bisogna correggerlo con rispetto (evitando la rabbia puramente umana e il linguaggio irrispettoso), resistendo a lui come si resisterebbe a un cattivo genitore. Tuttavia, i membri di una famiglia non possono dichiarare il padre cattivo deposto dalla paternità. Possono correggerlo, rifiutarsi di obbedirgli, separarsi da lui, ma non possono dichiararlo deposto.
  • I buoni cattolici conoscono la verità e devono proclamarla, offrendo riparazione per gli errori di un Papa fuorviato. Poiché il caso di un Papa eretico è umanamente irrisolvibile, dobbiamo implorare con fede soprannaturale l’intervento divino, perché quel singolo Papa fuorviato non è eterno, ma temporale, e la Chiesa non è nelle nostre mani, ma nelle mani onnipotenti di Dio.
  • Dobbiamo avere abbastanza fede soprannaturale, fiducia, umiltà e spirito di Cruz per resistere a una prova così straordinaria. In situazioni così relativamente brevi (rispetto a 2000 anni) non dobbiamo cedere a una reazione troppo umana e a una soluzione facile (dichiarare invalido il suo pontificato), ma dobbiamo mantenere la sobrietà (mantenere il sangue freddo) e allo stesso tempo una vera visione soprannaturale e la fiducia nell’intervento divino e nell’indistruttibilità della Chiesa.
  • S.E. Athanasius Schneider, vescovo


CHIESA CATTOLICACORRISPONDENZA ROMANA

Onorio I: il caso controverso di un Papa eretico

Onorio-I

 30 Dicembre 2015 

di Roberto de Mattei

Il caso di papa Onorio è uno dei più controversi della storia della Chiesa. Come giustamente osserva lo storico della Chiesa Emile Amann, nella ampia voce che dedica alla Question d’Onorius nel Dictionnaire de Théologie Catholique (vol. VII, coll. 96-132), il problema deve essere trattato in maniera spassionata e con la serena imparzialità che la storia deve agli atti del passato (col. 96).

Al centro del pontificato di papa Onorio, che regnò dal 625 al 638, vi fu la questione del monotelismo, l’ultima delle grandi eresie cristologiche. Per compiacere l’imperatore bizantino Eraclio, desideroso di garantire la pace religiosa interna del suo regno, il patriarca di Costantinopoli Sergio cercò di trovare un compromesso tra l’ortodossia cattolica, secondo cui in Gesù Cristo vi sono due nature in una sola persona, e l’eresia monofisita, che attribuiva a Cristo una sola persona e una sola natura. Il risultato del compromesso fu una nuova eresia, il monotelismo, secondo cui la duplice natura del Cristo era mossa nella sua azione da una sola operazione e da una sola volontà. Si trattava di un semi-monofisismo, ma la verità o è integra o non è, e un’eresia moderata, rimane sempre un’eresia. Il patriarca di Gerusalemme Sofronio fu tra coloro che intervennero con maggior forza per denunciare la nuova dottrina, che vanificava l’umanità di Cristo e conduceva al monofisismo, condannato dal Concilio di Calcedonia (451).

Sergio scrisse a papa Onorio per chiedere che «in futuro a nessuno sia permesso di affermare due operazioni in Cristo nostro Dio» e ottenere il suo appoggio contro Sofronio. Onorio aderì malauguratamente alla richiesta. In una lettera a Sergio affermò che «la volontà del Signore nostro Gesù Cristo era soltanto una (unam voluntatem fatemur), per il fatto che la nostra natura umana è stata assunta dalla divinità» e invitò Sofronio al silenzio. La corrispondenza tra Sergio e Onorio è conservata negli atti del VI Concilio ecumenico (Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima Collectio, vol. XI, coll. 529-554) ed è stata ripubblicata in lingua latina, greca e francese da Arthur Loth (La cause d’Honorius. Documents originaux avec traduction, notes et conclusion, Victor Palmé, Paris 1870 e, in lingua greca e tedesca, da Georg Kreuzer, Die Honoriusfrage im Mittelalter und in der Neuzeit, Anton Hiersemann, Stuttgart 1975). 

Forte dell’appoggio del Papa, Eraclio pubblicò nel 638 un formulario dottrinale chiamato Echtesis (“Esposizione”) in cui imponeva la nuova teoria dell’unica volontà divina come religione ufficiale. Il monotelismo, durante quarant’anni, trionfò nell’Impero bizantino. In quest’epoca il più vigoroso difensore della fede fu il monaco Massimo, detto il Confessore, che partecipò ad un Sinodo, convocato in Laterano (649) da papa Martino I (649-655) per condannare il monotelismo. Sia il Papa che Massimo furono costretti all’esilio. A Massimo, per essersi rifiutato di sottoscrivere alle dottrine monotelite, furono tagliate la lingua e la mano destra. Sofronio, Massimo e Martino sono oggi venerati dalla Chiesa come santi per la loro indomita resistenza all’eresia monotelita.

La fede cattolica fu finalmente restaurata dal III Concilio di Costantinopoli, VI Concilio ecumenico della Chiesa, che si riunì il 7 novembre 680 alla presenza dell’Imperatore Costantino IV, e dei rappresentanti del nuovo Papa, Agatone (678-681). Il Concilio condannò il monotelismo e lanciò l’anatema contro tutti coloro che avevano promosso o favorito l’eresia, comprendendo il papa Onorio nella condanna.

Nella XIII sessione, tenutasi il 28 marzo 681, i Padri conciliari dopo aver proclamato di voler scomunicare Sergio, Ciro di Alessandria, Pirro, Paolo e Pietro, tutti patriarchi di Costantinopoli, e il vescovo Teodoro di Faran, affermano:

«Con essi riteniamo di bandire dalla santa Chiesa di Dio e di anatemizzare anche Onorio, già Papa dell’antica Roma, perché abbiamo trovato nella sua lettera a Sergio che egli ha seguito in tutto la sua opinione e che ha ratificato i suoi empi insegnamenti» (Mansi, XI, col. 556). 

Il 9 agosto 681, alla fine della XVI sessione, vennero rinnovati gli anatemi contro tutti gli eretici e i fautori dell’eresia, compreso Onorio: «Sergio haeretico anathemaCyro haeretico anathema, Honorio haeretico anathema, Pyrro, haeretico anathema» (Mansi, XI, col. 622). Nel decreto dogmatico della XVIII sessione, il 16 settembre, si dice che

«poiché non restò inattivo colui che fin dall’inizio fu l’inventore della malizia e che, servendosi del serpente, introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli strumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Faran; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell’antica Roma; (…); trovati, dunque, gli strumenti adatti, non cessò, attraverso questi, di suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell’errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio» (Mansi, XI, coll. 636-637).

Le copie autentiche degli atti del Concilio, sottoscritte da 174 Padri e dall’Imperatore, furono inviate alle cinque sedi patriarcali, con particolare riguardo per quella di Roma. Ma poiché sant’Agatone morì il 10 gennaio 681, gli atti del Concilio, dopo più di 19 mesi di sede vacante, furono ratificati dal suo successore San Leone II (682-683). Nella lettera inviata il 7 maggio 683 all’imperatore Costantino IV, il Papa scriveva:

«anatemizziamo gli inventori del nuovo errore, vale a dire Teodoro di Faran, Ciro d’Alessandria, Sergio, Pirro, Paolo e Pietro della Chiesa di Costantinopoli, e anche Onorio, che non si sforzò di mantenere pura questa Chiesa apostolica nella dottrina della tradizione apostolica, ma ha permesso con un esecrabile tradimento, che questa Chiesa intemerata fosse macchiata» (Mansi, XI, col. 733).

Nello stesso anno papa Leone ordinò che gli atti tradotti in latino, venissero sottoscritti da tutti i vescovi d’Occidente e le firme fossero conservate presso la tomba di san Pietro. Come sottolinea l’eminente storico gesuita Hartmann Grisar, «si voleva così l’universale accettazione del sesto concilio nell’Occidente, e questa, per quanto si conosce, ebbe luogo senza difficoltà» (Analecta romana, Desclée, Roma 1899, pp. 406-407).

La condanna di Onorio fu confermata dai successori di Leone II, come attesta il Liber diurnus romanorum pontificum e dal settimo (787) e ottavo (869-870) Concilio ecumenico della Chiesa (C. J. Hefele, Histoire des Conciles, Letouzey et Ané, Paris 1909, vol. III, pp. 520-521).

L’abbé Amann giudica storicamente indifendibile la posizione di chi, come il cardinale Baronio, ritiene che gli atti del VI Concilio sarebbero stati alterati. I legati romani, erano presenti al concilio: sarebbe difficile immaginare che essi possano essere stati raggirati o abbiano mal riferito su un punto così importante e delicato quale la condanna di eresia di un Pontefice romano. Riferendosi poi a quei teologi, come san Roberto Bellarmino, che, per salvare la memoria di Onorio, hanno negato la presenza di errori espliciti nella sue lettere, Amann sottolinea che essi sollevano un problema più grande di quello che pretendono risolvere, cioè quello dell’infallibilità degli atti di un Concilio presieduto da un Papa. Se infatti Onorio non cadde in errore, sbagliarono i Papi e il Concilio che lo condannarono. Gli atti del VI Concilio ecumenico, approvati dal Papa e   ricevuti dalla Chiesa universale, hanno una portata definitoria molto più forte delle lettere di Onorio a Sergio. Per salvare l’infallibilità è meglio ammettere la possibilità storica di un Papa eretico, piuttosto che infrangersi contro le definizioni dogmatiche e gli anatemi di un Concilio ratificato dal Romano Pontefice. E’ dottrina comune che la condanna degli scritti di un autore è infallibile, quando l’errore viene anatemizzato con la nota dell’eresia, mentre non è sempre e necessariamente infallibile il Magistero ordinario della Chiesa.

Durante il Concilio Vaticano I, la Deputazione della Fede affrontò il problema, esponendo una serie di regole di carattere generale, che si applicano non solo al caso di Onorio, ma a tutti i problemi, passati o futuri che possano presentarsi. Non basta che il Papa si pronunci in una questione di fede o di costumi riguardante la Chiesa universale, è necessario che il decreto del Romano Pontefice siaconcepito in maniera tale da apparire un giudizio solenne e definitivo, con l’intenzione di obbligare tutti i fedeli a credere (Mansi, LII, coll. 1204-1232). Esistono dunque, atti del Magistero ordinario pontificio non infallibili, perché privi del necessario carattere definitorio: quod ad formam seu modum attinet.

Le lettere di Papa Onorio sono prive di queste caratteristiche. Esse sono indubbiamente atti di Magistero, ma nel Magistero ordinario non infallibile vi possono essere errori e perfino, in casi eccezionali, formulazioni eretiche. Il Papa può cadere in eresia, però non potrà mai pronunciare un’eresia ex cathedra. Nel caso di Onorio, come osservava il patrologo benedettino Dom John Chapman OSB, non si può affermare che egli intendesse formulare una sentenza ex cathedra, definitiva e obbligante:

«Onorio era fallibile, era nell’errore, era un eretico, proprio perché non proclamò con autorità, come avrebbe dovuto fare, la tradizione petrina della Chiesa romana»

 (The Condemnation of Pope Honorius (1907), Reprint Forgotten Books, London 2013, p. 110). Le sue lettere a Sergio, anche se trattano di fede, non promulgano nessun anatema e non corrispondono alle condizioni richieste dal dogma dell’infallibilità. Promulgato dal Concilio Vaticano I, il principio dell’infallibilità è salvo, al contrario di quanto pensavano protestanti e gallicani. E se Onorio fu anatemizzato, spiegò papa Adriano II, nel Sinodo romano dell’869,

«la ragione è che Onorio era stato accusato di eresia, la sola causa per la quale è lecito agli inferiori di resistere ai loro superiori e di respingere i loro perversi sentimenti» (Mansi, XVI, col. 126).

Proprio basandosi su queste parole, dopo aver esaminato il caso di papa Onorio, il grande teologo domenicano Melchior Cano, riassume la dottrina più sicura in questi termini: «Non si deve negare che il Sommo pontefice possa essere eretico, cosa di cui si possono offrire uno o due esempi. Però che (un Papa) nel giudicare sulla fede abbia definito qualcosa contro la fede non lo si può dimostrare neanche in uno» (De Locis Theologicis, l. VI, tr. spagnola, BAC, Madrid 2006, p. 409).


XVII domenica dopo Pentecoste: è qui che accade il vero buio

La Lettura o Epistola per la Messa della XVII Domenica post Pentecoste [qui] nel Vetus Ordo è tratta da Efesini 4:1-6.

[Fratelli:] Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6 Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Questa domenica nell’antica Chiesa Romana cadeva nel periodo del digiuno del “settimo mese”, che è durante il “Settembre”. Si chiama ancora “7 mesi” anche se è stato ridimensionato dall’introduzione dei mesi che prendono il nome da Giulio e Augusto Cesare. Il digiuno stagionale potrebbe essere stato istituito nella Chiesa antica per contrastare le feste pagane del raccolto che potevano portare ad eccessi. Durante quest’ultima settimana abbiamo osservato i Giorni delle Tempora d’autunno [vedi].

L’introito della Messa proviene dal Sal 118, “ Beati immaculati in via ”, che potrebbe riferirsi alle processioni penitenziali che si svolgevano in questo periodo per le strade di Roma.

Della nostra lezione domenicale il beato Ildefonso Schuster osserva:

  • Il brano della Lettera agli Efesini (iv, 1-6) ci imprime con forza l’idea dell’unità della famiglia cristiana, unità fondata sull’identità dello Spirito che anima tutte le membra del corpo mistico di Gesù Cristo. Dio è uno, la fede è una; c’è un battesimo e un vescovo. Con queste parole anticamente i romani, facendo tumulto nel Circo, rispondevano all’imperatore eretico Costanzo, quando questi proponeva di permettere all’antipapa Felice II, da lui stesso nominato, di risiedere in pace accanto a Liberio, strenuo difensore della Fede nicena.

Di cosa sta parlando Schuster? Tumulto? Antipapa? Due Papi?

Lo spazio mi costringe a uno schizzo in miniatura del contesto storico di quell’osservazione. Il figlio di Costantino, Costanzo, era un eretico ariano. Perseguitò sant’Atanasio e minacciò i vescovi di allontanarsi da lui. Alcuni santi vescovi rifiutarono. Furono “cancellati” da Costanzo e mandati in esilio, compresi i SS. Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari e Ilario di Poitiers. Anche il vescovo di Roma Liberio non seppe stare al gioco e fu esiliato nel 354. Secondo la Collectio Avellana ( CSEL35, 1-4), il clero di Roma giurò allora che non avrebbero avuto altri che Liberio ancora vivo. Ma, volubili, sostennero un diacono di nome Felice e lo nominarono vescovo di Roma (alias Antipapa Felice II). Il popolo si rifiutò di prendere parte alle cerimonie, compresa la consueta processione del nuovo Pontefice. Un paio di anni dopo, quando Costanzo venne a Roma, tutto il popolo chiese a gran voce il ritorno di Liberio. Liberio tornò e Felice fu cacciato da Roma. Tuttavia, Felice ritornò e, con un po’ di clero, rilevò la Basilica Giulia in Trastevere, ora Santa Maria in Trastevere. I romani lo buttarono fuori di nuovo. Liberio rimase alcuni anni, dopo aver perdonato il clero ribelle.

Nel frattempo morì Liberio (+366) e morì anche Felice (+365). Alla morte di Liberio venne nominato vescovo il diacono Ursino. Tuttavia, a San Lorenzo in Lucina altro clero elesse un diacono Damaso (poi papa Damaso I +384) che era stato in esilio con Liberio. Damaso era sostenuto dagli ex sostenitori di Felice mentre Ursino era sostenuto dai diaconi. È qui che accade la vera oscurità. Resoconti non favorevoli a Damaso affermavano che Damaso organizzò e armò folle e portò gladiatori, aurighi e becchini. Secondo la Collectio, compirono massacri per tre giorni. Conquistò il Laterano, fu consacrato e usò la violenza per reprimere l’opposizione. Alla fine saccheggiò il Laterano e gli diede fuoco. In breve, Ursino perse e Damaso vinse. Lo storico antico Rufino e San Girolamo appoggiarono Damaso. Sant’Ambrogio dice (ep 4) che Ursino finì a Milano con gli Ariani. Nel 378 un sinodo condannò Ursino e dichiarò Damaso legittimo vescovo di Roma. La storia è più complicata, ma questa è la versione breve.
Cosa ne ricaviamo, alla luce della lettura dell’epistola di san Paolo agli Efesini?

Questa lettura della Messa riguarda principalmente l’unità della Chiesa. Gli episodi sopra riferiti manifestano esattamente il contrario. Alla fine le cose si sistemarono, perché la Chiesa non può cadere completamente nella dissoluzione. Allo stesso modo, grazie alle promesse di Cristo, sappiamo che, poiché il Ministero Petrino è parte integrante della vera Chiesa, i Successori di Pietro possono essere malvagi o incompetenti o disastrosi, ma non possono mai essere disastri totali, tanto che la Chiesa non possa continuare.

Paolo scrisse questa Lettera agli Efesini mentre era in prigione, probabilmente a Roma. Nelle epistole dal carcere (ad esempio Colossesi, Filippesi, Filemone) egli fa emergere la propria sofferenza quando affronta la questione dell’unità della comunità alla quale scrive. Paolo soffre, dice, per amore del Vangelo a causa della persecuzione esterna da parte delle autorità. Ma soffre anche a causa di un altro tipo di persecuzione, le divisioni all’interno della Chiesa.

Le divisioni all’interno della Chiesa sono più dolorose delle persecuzioni dall’esterno. Hanno il sentore del fratricidio, del tradimento alla Giuda, non importa chi sia contro chi. Coloro che sono membra del Corpo mistico di Cristo mediante il Battesimo sono figli adottivi e reali di Dio, fratelli su un piano ancora più elevato di quello del sangue.

Detto questo, sottolineo il sangue caldo della Chiesa antica. Sant’Agostino si lamentò con San Girolamo della sua nuova traduzione delle Scritture. Le persone erano confuse e sconvolte quando ascoltavano nuove versioni dei testi che erano loro familiari. Si sono persino ribellati. Durante la controversia ariana, che fa parte dello sfacelo della Roma del IV secolo, di cui sopra, le persone si ribellarono per una lettera, lo iota in o assente da homoousios (della stessa sostanza) o homoiousios (di sostanza simile). Prendevano sul serio la Fede. Gli imperatori dovevano intervenire con la forza militare nelle controversie teologiche perché disturbavano la pace civile e l’unità dell’Impero. Il problema con i donatisti nell’Africa settentrionale divenne così grave che l’esasperato Sant’Agostino chiese tanta forza per costringere gli eretici all’unità ( ep73).

L’unità è importante. Tanto che Paolo implora gli Efesini di abbracciare la mitezza, la pazienza e la tolleranza nell’amore fraterno (greco agape). L’unità è così importante che dobbiamo sacrificare il nostro ego. Poiché c’è un solo Dio e Padre, un solo Signore, una sola fede e un solo battesimo, un solo corpo e Spirito, in effetti una sola Chiesa, abbiamo una speranza che risulta dalla “chiamata” (klésis). Il greco klésis deriva dal verbo kaléo, “chiamare, invitare, dare un nome”. Tutti siamo chiamati. Il latino che leggiamo durante la Messa dice: “ sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestrae… così siete stati chiamati ad un’unica speranza quella della vostra vocazione”. Sicuramente fate il collegamento con la parola inglese “vocazione”. Può succedere che si associ la “vocazione” solo alla chiamata di Dio a essere religiosi professu o a essere sacerdoti, e questo sicuramente è un significato forte e prevalente di vocazione. Paolo, però, usa un significato ancora più fondamentale di vocazione, chiamata, klésis. È qualcosa che fluisce da tutti coloro, “quelli” di lassù, in particolare attraverso ciò che diventiamo nelle acque del battesimo: figli del Padre, uno nella fede, nella speranza e nell’amore, discepoli di un unico Signore secondo il cui bellissimo titolo siamo Unti” chiamati”, cristiani. Siamo chiamati nella Chiesa, nell’ecclesia … o meglio con la grafia greca ekklesía. Vedete che la radice stessa del termine Chiesa deriva da “chiamata”? La Chiesa primitiva prese in prestito questo antico termine greco per “assemblea convocata” dei cittadini delle città-stato, come Atene.

La nostra chiamata nella Chiesa scaturisce dal nostro battesimo e dall’unità con Cristo. Il legame di unità è così costitutivo e potente che deve – dobbiamo, in base alla nostra vocazione fondamentale, superare le tensioni che la diversità di espressione, di intuizione, di cultura farà emergere naturalmente tra coloro che sono feriti dagli effetti del Peccato Originale e che sono presi di mira dal Nemico dell’Anima, il seminatore primordiale della divisione. Infine, ho letto recentemente sulla rivista Communio un articolo di Sua Eminenza Robert Card. Sarah intitolato “L’inesauribile realtà: Joseph Ratzinger e la Sacra Liturgia” (vol. 49, inverno 2022). Nella prima parte, Sarah ripercorre come il pensiero di Joseph Ratzinger sulla riforma conciliare della liturgia sia passato nel tempo da abbastanza ottimista a molto meno una volta che i suoi frutti si sono manifestati. Sarah cita Ratzinger, 39 anni, del 1966, che utilizza un versetto della nostra Epistola (cfr. anche Col 3,12-15, anche sull’unità) sul “sopportarvi gli uni gli altri, sopportando” (dal greco anechō ) :

La riforma liturgica richiede una misura molto generosa di tolleranza all’interno della Chiesa, il che, nella situazione attuale, è solo un altro modo per dire che richiede una grande misura di carità cristiana. E il fatto che questa carità spesso sia così poco reperibile è forse la vera crisi del rinnovamento liturgico in mezzo a noi. Il “sopportarci gli uni gli altri” di cui parla san Paolo, la diffusione della carità di cui leggiamo in sant’Agostino. Soltanto questo può creare il contesto entro il quale il risveglio del culto cristiano può maturare e raggiungere la sua vera fioritura. Perché il vero culto divino del cristianesimo consiste nella carità.

Più avanti nel suo saggio, il card. Sarah osserva:

  • È profondamente deplorevole che il motu proprio Traditionis custodes (16 luglio 2021) e i relativi Responsa ad dubia (4 dicembre 2021) [vedi], percepiti da molti come atti di aggressione liturgica, sembrano aver danneggiato questa pace e potrebbero persino rappresentare una minaccia per l’unità della Chiesa. Se ci fosse una ripresa delle “guerre liturgiche” postconciliari, o se le persone semplicemente andassero altrove per trovare la liturgia più antica, queste misure si sarebbero ritorte contro. È troppo presto per fare una valutazione approfondita delle motivazioni che ne sono alla base, o del loro impatto finale, ma è tuttavia difficile concludere che Papa Benedetto XVI avesse torto nell’affermare che le forme liturgiche più antiche “non possono essere improvvisamente del tutto proibite”. o addirittura considerate dannose”, soprattutto quando la loro celebrazione senza restrizioni ha manifestamente prodotto buoni frutti.

Abbracciamo l’antico ma vero detto, spesso ma erroneamente attribuito a Sant’Agostino:

In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.

Conserviamo unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e carità in ogni cosa.
Fr. John Zuhlsdorf

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]


Il Papa legittimo e l’accettazione universale della Chiesa

di Luisella Scrosati

Nell’opera L’Église du Verbe Incarné, il grande teologo Charles Journet argomenta che la Chiesa universale non può errare nel sottomettersi ad un papa non legittimo. Similmente, LouisBillot spiega che questo fatto dogmatico discende dalla promessa di Cristo.

Il cardinale e teologo Charles Journet (1891-1975)

L’accettazione da parte della Chiesa del papa scelto dai cardinali non è un mero pro forma, ma l’atto fondamentale con cui la Chiesa universale riconosce il proprio capo, Vicario di Cristo, e vi si sottomette. Perché la sottomissione al papa legittimo, quando egli comanda all’interno dei limiti della propria potestà suprema, è indispensabile per appartenere alla Chiesa.

Riprendendo le considerazioni di Giovanni di San Tommaso (vedi qui), il cardinale Charles Journet (1891-1975), indiscusso teologo e autore della “summa” di ecclesiologia L’Église du Verbe Incarné, ricordava che l’accettazione pacifica universale «è un atto con cui la Chiesa impegna il suo destino. È quindi un atto di per sé infallibile e immediatamente conoscibile come tale»; la conseguenza di questa infallibilità è che questa accettazione manifesta e perciò riconoscibile assicura che «tutti i requisiti per la validità dell’elezione sono stati soddisfatti» (op. cit., I, 1955, p. 624). L’accettazione, secondo Journet, si verifica in due in due modi: negativamente, se l’elezione non viene contestata; positivamente, quando «l’elezione viene dapprima accettata da coloro che sono presenti e in seguito dagli altri».

Il punto centrale, nell’esposizione di Journet, è che la Chiesa ha il diritto di eleggersi un papa, perché Cristo stesso ha fondato la Chiesa su Pietro e sui suoi successori, che sono principio di unità, regola della fede, sede della giurisdizione suprema. Da questo diritto discendono due diritti conseguenti fondamentali: il primo è che la Chiesa ha il diritto di sapere con certezza chi sia concretamente il papa; è per questa ragione che il papa, la cui elezione non è contestata, una volta che egli acconsente e la sua elezione viene resa manifesta, è veramente papa. Il secondo è il diritto della Chiesa a giudicare il papa dubbio, come di fatto è accaduto nella storia. Di particolare interesse è la seguente affermazione del cardinal Journet: «Fin tanto che persiste il dubbio sull’elezione e che il consenso tacito della Chiesa universale non ha rimediato ai possibili vizi dell’elezione, non c’è il papa, papa dubius, papa nullus». Journet riporta la convinzione comune che la pacifica universalis ecclesiæ adhæsio è in grado di rimediare a qualunque vizio di elezione possa essersi verificato, precisamente per il fatto che la Chiesa universale non può errare nel sottomettersi ad un papa che in realtà non sarebbe tale.

Quest’ultima affermazione è fondata su un duplice aspetto dell’infallibilità della Chiesa: in una prima prospettiva, non è altro che l’estensione della fondamentale infallibilità della Chiesa in credendo: così come la Chiesa universale non può errare credendo una verità di fede, analogamente non può errare nel credere un fatto dogmatico, come la legittimità del papa riconosciuto universalmente. Su un secondo versante, possiamo dire che l’infallibilità dell’adesione pacifica e universale è legata all’infallibilità del Magistero ordinario disperso nel mondo; nel nostro caso, ciò significa che la Chiesa gerarchica dispersa nel mondo, ossia l’intero episcopato, non può sbagliarsi nell’insegnare che “Tizio è il papa” e nell’aderire a Tizio come al papa.

Il cardinale gesuita Louis Billot (1846-1931), anch’egli autore di una monumentale produzione teologica, riteneva «come elemento incrollabile e al di là di ogni dubbio» che l’adesione della Chiesa universale a tale papa «è sempre di per sé il segno infallibile della legittimità della persona del Pontefice, e quindi dell’esistenza di tutte le condizioni richieste per questa legittimità» (De Ecclesia Christi, II, 1909, p. 620). Di nuovo, la pacifica e universale adesione gode di un’infallibilità tale da chiudere ogni questione su eventuali dubbi circa le condizioni che renderebbero illegittima l’elezione del pontefice. Attenzione all’argomentazione: non è perché si siano previamente risolti tutti i dubbi circa le condizioni di un’elezione legittima che si considera l’accettazione universale come segno infallibile che tale papa sia papa, ma il contrario. È l’accettazione universale che assicura la legittimità del pontefice e dunque tronca alla radice ogni altro eventuale dubbio in merito ai requisiti della persona, alla legalità delle votazioni, alla legittimità del Conclave, etc.

Billot incalza, spiegando che questo fatto dogmatico discende dalla promessa di Cristo che le porte degli inferi non avrebbero prevalso (cf. Mt 16, 18): se infatti la Chiesa aderisse a un falso pontefice, aderirebbe «a una falsa regola di fede, poiché il Papa è la regola vivente che la Chiesa deve seguire nel credere, e di fatto segue sempre. Dio può talvolta permettere che una sede apostolica vacante si protragga a lungo. Può anche permettere che sorgano dubbi sulla legittimità di questa o quella elezione. Non può però permettere che tutta la Chiesa accetti come pontefice qualcuno che non lo è veramente e legittimamente». Se così fosse, le porte degli inferi avrebbero prevalso, portando tutta la Chiesa a seguire una regola della fede fasulla, il corpo ad unirsi ad una testa non sua, il popolo di Dio e la gerarchia ad obbedire ad un’autorità suprema e universale fittizia. Questa argomentazione è la chiave di volta della questione: la Chiesa universale non può errare nel riconoscere il papa legittimo; dunque, qualunque sia la ragione che fonderebbe il dubbio sulla legittimità del pontefice, essa decade di fronte all’accettazione pacifica e universale della Chiesa.

Ricordiamo ancora una volta che, quando si parla del papa come regola della fede viventelo si intende nell’esercizio della sua prerogativa di insegnare infallibilmente o in modo definitivo quanto appartiene alla fede e alla morale. Pertanto è pacifico che il papa possa errare quando si pronuncia su altro e/o allorché non stia definendo qualcosa, anche qualora utilizzasse strumenti ufficiali, come encicliche, esortazioni apostoliche, etc. Ed è ancora più pacifico che il papa possa essere… un pessimo papa.

Il punto è che Dio ha posto al male un limite invalicabile, tale per cui non è mai possibile, nemmeno nel tempo in cui i falsi profeti inganneranno molti (cf. Mt 24, 11), che la Chiesa venga ingannata nella sua universalità su un punto così sostanziale come il riconoscimento del papa legittimo. Per questo, conclude Billot, «la suddetta adesione della Chiesa cura alla radice ogni difetto dell’elezione e prova infallibilmente l’esistenza di tutte le condizioni richieste», per cui «non è più lecito dubitare dell’esistenza di alcun difetto nell’elezione o dell’assenza di alcuna condizione necessaria per la legittimità».


È possibile avere dubbi sul fatto che Francesco è Papa?

È possibile avere dubbi sul fatto che Francesco è Papa?

1. Lo status quaestionis.

Il Pontificato di Papa Francesco è divenuto oggetto di tante perplessità e rimostranze: alcune di queste obiezioni vengono espresse in modo lecito, mantenendo la fede cattolica e il dovuto ossequio al Pontefice.

È il caso, ad esempio, dei dubia presentati da alcuni Cardinali circa Amoris laetitia[1] e delle reazioni dell’Episcopato africano a Fiducia supplicans[2].

Altri generi di opposizione, invece non sono compatibili con la fede: ad esempio, le varie forme di sedevacantismo, secondo le quali Francesco non sarebbe Papa oppure sarebbe Papa solo materialmente[3].

Recentemente sono apparse tesi che, pur non negando che Francesco sia Papa, tuttavia mettono in dubbio che lo sia effettivamente: è il caso del prof. Massimo Viglione, il quale, nel suo libro Habemus Papam[4], sostiene che “«la possibilità che Francesco non sia Francesco ma solo Jorge Mario Bergoglio è concreta e tutt’altro che trascurabile» (p. 247) per molte ragioni, ma soprattutto «per il vizio di consenso dello stesso Bergoglio, che riteniamo sicuro anche in base ai fatti incontrovertibili di questi quasi undici anni di pontificato» e «perché anche qualora Bergoglio fosse veramente Francesco, le sue continue eresie pubbliche e pervicaci creano il serio problema del papa eretico. E questo è per noi l’elemento più determinante» (p. 248). «Per tutte queste ragioni riteniamo, come detto, fortemente probabile che la Sede papale sia oggi vacante. Ma la certezza assolutamente stringente, teologicamente e canonicamente, prove indiscutibili in mano, non possiamo dire di averla» (p. 248).  Noi, ribadisce Viglione, «siamo moralmente convinti dell’alta probabilità della vacanza della Sede, ma non ci sentiamo di presentarla come oggettiva certezza assoluta vincolante per altri (e neanche per noi stessi)» (p. 250)”[5].

In base a quanto sopra, di fronte alla questione se Francesco sia Papa o meno, ci troviamo di fronte a tre posizioni:

  1. Francesco è Papa
  2. Francesco non è Papa
  3. Non è certo che Franceso sia Papa

L’oggetto di questo studio riguarda la terza affermazione, e intende rispondere alla seguente domanda: è lecito dubitare del fatto che Francesco è Papa? E, se non è lecito, in quale peccato incorre colui che coltiva questo dubbio?

2. Che cos’è il dubbio di fede?

Il Card. Pietro Palazzini spiega il dubbio di fede nei seguenti termini:

Il dubbio è una forma particolare dell’infedeltà e dell’eresia: colui che dubita in materia di fede è eretico. Si tratta, però, del dubbio accolto volontariamente nella mente, nonostante la sufficiente proposizione della verità rivelata. In tal caso, colui che dubita, ha già rifiutata la sottomissione della sua mente e della sua volontà all’autorità di Dio rivelatore. Esso, perciò, non va confuso con la tentazione del dubbio, tanto meno con l’ossessione del dubbio o con le semplici difficoltà teoriche: l’ossessione è una forma morbosa, la quale se mai, analogamente a quanto avviene per le altre forme ossessive, indica un’eccessiva preoccupazione di credere; le difficoltà, poi, finché rimangono teoriche, non compromettono per nulla la volontà” [6]

A questa ottima sintetica descrizione, aggiungo una nota circa i dubia dei Cardinali: questi dubia non sono dubbi di fede, ma richieste di spiegazione a seguito di possibili equivoci interpretativi[7].

Ma perché il dubbio di fede è una forma (e quindi rientra nel genere) di eresia?

Perché, quando la Chiesa propone a credere in modo infallibile una certa verità, dichiara che la tal proposizione è sempre e certamente vera: l’eretico dice: “Non è vera”, colui che dubita afferma: “(Non sempre e non certamente) è vera”. In entrambi casi la verità di fede è contraddetta e quindi vale l’adagio che suona: “Il dubbioso in materia di fede è un infedele”[8].

A tal proposito, il Concilio Vaticano I ha dichiarato:

“coloro che hanno ricevuto la fede sotto il magistero della Chiesa non possono mai avere giustificato motivo di mutare o di dubitare della propria fede”[9].

In piena conformità con tutta la Tradizione della Chiesa, anche il Catechismo della Chiesa Cattolica pone il dubbio tra i peccati contro la fede:

CCC 2088: “Ci sono diversi modi di peccare contro la fede. Il dubbio volontario circa la fede trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che Dio ha rivelato, e la santa Chiesa ci propone a credere. […] Se viene deliberatamente coltivato, il dubbio può condurre all’accecamento dello spirito”

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3. Il dubbio di fede non riguarda solo i dogmi.

Su che cosa non possiamo dubitare? Senz’altro sui dogmi definiti, ma non solo: non si può dubitare su tutto ciò che la Chiesa propone a credere in modo infallibile, richiedendo l’assenso interno di fede. Così spiega Lumen gentium:

“…questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra». Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall’insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi”[10].

Questo insegnamento solenne ci mette al riparo da due errori: il primo è quello che ritiene obbligante solo il magistero «ex cathedra», cioè solo le definizioni dogmatiche, per cui nell’ultimo secolo si sarebbe obbligati a credere nell’Assunzione al cielo della Madonna e poco altro; in questo caso il Magistero ordinario diventerebbe oggetto di libera discussione, e ciò è inammissibile.

Il secondo errore è quello di ritenersi obbligati a credere ad ogni flatus vocis emesso dal Papa, senza distinguere tra un’enciclica e un’omelia pronunciata a braccio, intervista in aereo e simili. Del resto, anche Lumen gentium ammette, sempre al § 25, che il Papa possa parlare come “persona privata”; in questo caso, di per sé, non è richiesto nessun assenso.

4. Su quali affermazioni non si può dubitare?

La risposta a questa domanda ci viene fornita dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale ha pubblicato, nel 1989, i testi della Professione di Fede e del Giuramento di fedeltà nell’assumere un ufficio da esercitare a nome della Chiesa[11].

La Professione di Fede comprende il Simbolo degli Apostoli e l’aggiunta di tre commi:

“Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo”.

Le parole introduttive di ogni paragrafo (Credo pure con ferma fede…, Fermamente accolgo e ritengo…, Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto…) escludono chiaramente la liceità di ogni dubbio[12].

5. La legittimità dell’elezione del Papa che grado di assenso richiede?

La stessa Congregazione per la Dottrina della Fede ha emanato la «Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professione di Fede» (d’ora in poi indicata come Nota), resa pubblica e comparsa su L’Osservatore Romano del 30 giugno -1° luglio 1998, allo scopo di spiegare il significato e il valore dottrinale dei tre commi conclusivi, che si riferiscono alla qualificazione teologica delle dottrine e al tipo di assenso richiesto ai fedeli.

Mi limito, in questa sede, ad alcune osservazioni sul secondo comma, che è quello che contiene la risposta ala nostra domanda[13]. La Nota spiega, al § 6:

“L’oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale, che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene non siano state proposte dal magistero della Chiesa come formalmente rivelate[14]”.

Dopo un approfondimento del testo appena citato, la Nota prosegue, al § 7:

“Le verità relative a questo secondo comma possono essere di natura diversa e rivestono quindi un carattere differente per il loro rapportarsi alla rivelazione. Esistono, infatti, verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico; mentre altre verità evidenziano una connessione logica, la quale esprime una tappa nella maturazione della conoscenza, che la Chiesa è chiamata a compiere, della stessa rivelazione. Il fatto che queste dottrine non siano proposte come formalmente rivelate, in quanto aggiungono al dato di fede elementi non rivelati o non ancora riconosciuti espressamente come tali, nulla toglie al loro carattere definitivo, che è richiesto almeno dal legame intrinseco con la verità rivelata”.

In seguito, al § 11, la Nota propone alcuni esempi di queste verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico o di una connessione logica:

“Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici);la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicae Curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane”.

Come si vede, il magistero indica la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice come verità connessa con la Rivelazione, verità su cui non è possibile dubitare.

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6. Connessione logica tra la Rivelazione e l’impossibilità di dubitare su chi sia il Pontefice

Connessione logica tra la Rivelazione e le verità descritte nel secondo comma conclusione della Professio fidei significa che la negazione di una di queste verità comporterebbe una negazione necessaria di verità esplicitamente e direttamente definite.

1. La negazione o il dubbio di chi sia il Papa, un Papa moralmente accettato dalla totalità morale dei Cattolici, comporterebbe l’impossibilità dell’atto di fede e la negazione della indefettibilità della Chiesa.

Infatti, un miliardo e trecentomila cattolici non possono sbagliarsi su chi è il Papa. Il Pontefice è il primum movens della propositio ecclesiae: non esiste una fede che non sia proposta a credere dalla Chiesa e quindi dal Romano Pontefice: se un miliardo e trecentomila cattolici, che vogliono credere ciò che Dio ci ha rivelato e la Chiesa ci propone a credere, guardassero a un punto di riferimento che non è tale, non potrebbero, di fatto, credere: sarebbe impossibile l’atto di fede.

Compresi in questo miliardo e trecentomila cattolici ci sono santi, martiri, tanti buoni fedeli, il cui sensus fidei non può complessivamente ingannarsi.

Si può applicare, in senso spirituale, al Romano Pontefice, il versetto 15 del salmo 144 (Vg) “Oculi omnium in te sperant, Domine; et tu das escam illorum in tempore opportuno” (“Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno”): si tratta del nutrimento della fede, mediante un retto insegnamento.

2. Se ci fosse un errore sull’identità Papa, sarebbe impossibile Credere Deo (cf. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIª-IIae q. 2 a. 2)[15], cioè credere non perché scegliamo noi gli articoli a cui credere, ma perché ci sono proposti come un dono dall’alto (cf. Gc 1,17). E se lo strumento di detto dono è fallace, viene a essere minato lo stesso atto di fede.

Non è possibile credere incondizionatamente a chi non sappiamo se ha la facoltà o la potenzialità di proporre a credere.

3. Sarebbe pure impossibile Credere Deum[16], perché anche l’oggetto materiale della fede sarebbe imprecisato, e la Tradizione sarebbe ridotta a un libro, vuoi il Denzinger, vuoi il Catechismo della Chiesa Cattolica, da interpretare ciascuno come può. Verrebbe a cadere la possibilità del Magistero vivo, cioè di una propositio qui e ora, a cui si deve una risposta qui e ora, qual è l’assenso proprio dell’atto di fede.

7. In quale peccato incorre colui che coltiva il dubbio se un Papa, pur universalmente riconosciuto come tale, lo sia effettivamente?

7.1      Precisiamo i termini.

1. Coltivare il dubbio: non si tratta di chi, di fronte ad affermazioni sconcertanti, si chiede, mosso dalle passioni dell’irascibile: “Ma come può un Papa affermare ciò?”, ma poi rientra in se stesso e cerca di capire come stanno le cose.

Non si tratta neppure di chi studia se, in linea teorica, possa darsi il caso di un Papa dubbio.

Coltivare il dubbio significa affermare: “Non è possibile sapere con certezza se quello che tutti ritengono oggi Papa sia effettivamente tale”.

2. Papa universalmente riconosciuto come tale: Roberto de Mattei ha spiegato egregiamente questo concetto:

“Per quanto riguarda i dubbi sull’elezione del cardinale Bergoglio, al di là delle sottigliezze giuridiche, non c’è stato alcun cardinale, partecipante al Conclave del 2013, che abbia sollevato dubbi sulla validità di quell’elezione. Tutta la Chiesa ha accettato e riconosciuto Francesco come legittimo Papa e, secondo il diritto canonico, la pacifica “universalis ecclesiae adhaesio” (adesione della Chiesa universale) è segno ed effetto infallibile di un’elezione valida e di un papato legittimo. La professoressa Geraldina Boni in un approfondito studio dal titolo Sopra una rinuncia. La decisione di papa Benedetto XVI e il diritto [Geraldina Boni, Sopra una rinuncia. La decisione di papa Benedetto XVI e il diritto (Bononia University Press, Bologna 2015)], ricorda come le costituzioni canoniche in vigore, non considerano invalida un’elezione frutto di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere come la possibile pianificazione dell’elezione del cardinale Bergoglio.

Quanto scrive la prof.ssa Boni coincide con ciò che Robert Siscoe e John Salza osservano, sulla base dei più autorevoli teologi e canonisti: «… è dottrina comune della Chiesa che l’accettazione pacifica e universale di un Papa fornisce certezza infallibile della sua legittimità» [Robert Siscoe e JohnSalza, “Is Francis or Benedict the True Pope?” (two-part series), in “Catholic Family News”, Sept-Oct. 2016[17]]”[18].

7.2      Risposta a una possibile obiezione.

Obiezione: sia il testo della Nota, sia la spiegazione circa l’adesione della Chiesa universale parlano di impossibilità morale di dubitare circa l’elezione di un Pontefice, ma non del dubbio se un Pontefice validamente eletto lo sia di fatto, nel momento attuale in cui si dubita.

Risposta: se non è lecito dubitare della validità dell’elezione, a maggior ragione non si può dubitare se un Papa validamente eletto lo sia ancora in un certo momento: da un lato ci sono le ragioni esposte al § 6 di questo scritto, dall’altro bisognerebbe provare che un Papa è decaduto; e ciò è molto difficile, permanendo comunque l’adesione della Chiesa universale sul fatto che è Papa.

7.3      Risposta alla nostra domanda.

In quale peccato incorre colui che coltiva il dubbio se un Papa, pur universalmente riconosciuto come tale, lo sia effettivamente?

La Nota ci fornisce la risposta, offrendocene le motivazioni; abbiamo visto che l’accettazione della validità dell’elezione del Romano Pontefice è assimilabile alle verità indicate nel secondo comma:

8. Per quanto riguarda la natura dell’assenso dovuto alle verità proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate (1° comma) o da ritenersi in modo definitivo (2° comma), è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere pieno e irrevocabile dell’assenso, dovuto ai rispettivi insegnamenti. La differenza si riferisce alla virtù soprannaturale della fede: nel caso delle verità del 1° comma l’assenso è fondato direttamente sulla fede nell’autorità della Parola di Dio (dottrine de fide credenda);nel caso delle verità del 2° comma, esso è fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero (dottrine de fide tenendo).

Posto il “carattere pieno e irrevocabile dell’assenso” richiesto, “fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero”, è chiaro che il mancato assenso – sia negando, sia dubitando – costituisce un grave peccato contro la fede. La Nota spiega che colui che rifiuta il suddetto assenso “assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in piena comunione con la Chiesa cattolica” (§ 6).

8. Conclusione

In questo scritto mi sono limitato a trattare solo un tema ben delimitato, ovvero la liceità o meno del dubbio sul fatto che il Papa riconosciuto tale dalla totalità morale della Chiesa lo sia realmente di fatto.

Mi rendo conto che le problematiche sorte in questi ultimi tempi ci porterebbero a trattare temi più complessi, e ad affrontare le questioni circa la possibilità di un Papa eretico, che cosa si dovrebbe fare in questi casi, e le varie ipotesi sedevacantiste.

Rimando alla lettura di alcuni importanti saggi, tra cui Arnaldo Xavier da Silveira, Ipotesi teologica di un papa eretico, Chieti: Solfanelli 2016, e, sempre del medesimo autore, Se un Papa è eretico: che fare?, Roma: Ed. Fiducia, 2019.

Personalmente ritengo che non abbiamo una dottrina, certa e comune ai vari autori probati, circa la possibilità di un Papa eretico e, soprattutto, indicazioni sicure su cosa fare qualora il caso si verificasse (caso ammesso e non concesso).

Siamo, per alcuni aspetti, in una situazione di stallo e di buio, simile alla situazione descritta dal Profeta Geremia (14,18): “Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare”.

Rimangono tuttavia certezze non di poco conto: le Promesse del Salvatore (Non praevalebunt) e il Trionfo del Cuore Immacolato, promesso a Fatima dalla Madonna.

Da parte nostra non ci rimane altro che provare a fare gli eletti, nel senso di Mt 24, 21-24:

“… vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati. Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti”.

Icone di questi eletti potrebbero essere San Pio da Pietrelcina, figura del buon clero ingiustamente perseguitato, e i santi Pastorelli di Fatima, modello di tutte le anime riparatrici.

Imitiamoli e questi giorni saranno abbreviati.

Ritengo ogni ipotesi alternativa a questo obbligo (tutti i sedevacantismi, i dubbi su chi sia il Papa etc,) uno schiodarsi dalla Croce che è chiesto ai buoni cristiani di portare in questo tempo. Si tratta invece di accettare quello che P. Garrigou-Lagrange chiamava il chiaroscuro della fede[19], cioè gustare la luce che la fede comunque ci offre, anche in questa epoca, accettando pure l’oscurità del non ancora: riposare in fede oscura, come diceva San Paolo della Croce[20]:

La fede oscura
strada sicura
del santo amore.

Oh qual dolcezza
la sua certezza
mi reca al cuor!


[1] Cf. «I quattro cardinali spiegano i “dubia”», https://lanuovabq.it/it/i-quattro-cardinali-spiegano-i-dubia.

[2] Cf. «Vescovi africani, belgi e olandesi davanti alla Fiducia supplicans», https://tinyurl.com/vescovi-fiducia-s.

[3] Il sedevacantismo comprende attualmente diversi gruppi: a un primo gruppo si possono annoverare i sedevacantisti simpliciter, secondo i quali al momento non c’è Papa: tra essi la Congregazione di Maria Regina Immacolata il cui superiore è Mark Pivarunas, la Società San Pio V fondata da Clarence Kelly, la Chiesa ortodossa greco-cattolica ucraina. Un secondo gruppo comprende i “sedeprivazionisti”, detti anche tesisti, perché seguono la Tesi di Cassiciacum, elaborata dal P. Guérard des Lauriers O.P: secondo questa tesi, dal 1965 la cattedra di San Pietro è “occupata solo materialmente dagli eletti dei conclavi convocati (tutti validi fino a prova del contrario). Le persone elette dai conclavi sarebbero rimaste solo in potenza “papi”, in quanto soggetti umani meramente designati al papato, e quindi, propriamente e in senso stretto, non papi, Tali “papi” (impropriamente e in senso lato, in quanto solo canonicamente eletti), insegnando in veste di pastori della Chiesa dottrine già condannate come eretiche dal Magistero ecclesiastico, manifesterebbero pubblicamente di fatto di essere privi di quell’autorità di origine divina che preserva il papa dall’errore sia nel suo magistero straordinario che in quello ordinario e universale. Quella del papa è difatti un’autorità sovrannaturale che, previa un’elezione valida, solo Cristo, e non il conclave, attribuisce direttamente al suo vicario in terra, garantendone il carattere di infallibilità magisteriale e il primato giuridico. Se ne desume che al momento dell’accettazione dell’elezione al papato, gli eletti dal Conclave (almeno dal cardinale Giovanni Battista Montini sino all’attuale Jorge Mario Bergoglio) abbiano accettato solo verbalmente e esteriormente, ponendo in realtà interiormente un ostacolo (“obice”) all’accettazione, impedendo così la comunicazione da parte di Dio del carisma divino normalmente spettante. Tale ostacolo è individuato nella mancanza da parte dell’eletto dell’«intenzione oggettiva ed abituale di procurare e di realizzare il bene e il fine della Chiesa»“ (cit. da https://it.wikipedia.org/wiki/Tesi_di_Cassiciacum).

Non mancano altri gruppuscoli minoritari.

[4] Habemus Papam. Papa eretico, rinuncia, sede vacante. L’insegnamento del passato e il dibattito dopo l’11 febbraio 2013 (Maniero del Mirto, 2024).

[5] Cit. in Roberto de Mattei, «Francesco è Papa? Dubbi e contraddizioni», https://tinyurl.com/recensione-viglione.

[6] Pietro Palazzini, Vita e Virtù Cristiane, Roma: ed. Paoline, 1975, pp.27-28; il grassetto è mio.

[7] Cf. il mio «I dubia spiegati a chi avesse ancora dubia», https://lanuovabq.it/it/i-dubia-spiegati-a-chi-avesse-ancora-dubia.

[8] Spiega il famoso moralista Prümmer:”Cum fides catholica sit certissima, numquam adesse potest iusta causa eam in dubium vocandi (Conc. Vat., sess. 3, cap. 3 (Denz. n. 1794 [Denzinger-Hünnermann 40/3014; n.d.r.; vedi nota 2), ideoque omne dubium voluntarium de illa est graviter peccaminosum […] Catholicus, qui posilive dubitat de aliqua propositione, quam certo sciat esse ab Ecclesia ut articulum fidei propositam, est haereticus (Cf. Cod. iur. can. c. 1325, § 2). Patet; etenim tali dubio destruitur obiectum formale fidei, scil. infallibilitas Dei revelantis. Hinc illud adagium: “Dubius in fide infidelis est”…”; Dominicus Prümmer, Manuale Theologiae Moralis secundum principia S. Thomae Aquinatis, vol I, (Barcinonae – Friburgi Brisg. – Romae: Herder, 1958/13), p. 368, n. 520.

[9] Concilio Ecumenico Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei Filius sulla fede cattolica: “…illi enim, qui fidem sub Ecclesiæ magisterio susceperunt, nullam unquam habere possunt justam causam mutandi, aut in dubium fidem eamdem revocandi.” Denzinger-Hünnermann 40/3014.

[10] Lumen gentium, § 25.

[11] https://tinyurl.com/giuramento-di-fedelta-etc.

[12] Non mi è possibile in questa sede dilungarmi a spiegare il terzo comma, per cui, a chi legittimamente mi esigerebbe una certa distinzione sulle verità proposte con un atto non definitivo, risponderei: “Per la questione del dubbio preso qui in esame, bastano i primi due commi, che riguardano verità di cui non si può dubitare”.

[13] Chi volesse approfondire gli altri due commi, può trovare nella stessa Nota una esaudiente spiegazione: cf. https://tinyurl.com/giuramento-di-fedelta-etc.

[14] Il testo include la nota a piè di pagina n. 13, utile come esempio di documenti vincolati: “Cf. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae Vitae, n. 4: AAS 60 (1968) 483; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Veritatis Splendor, nn. 36-37: AAS 85 (1993) 1162-1163”.

[15] IIª-IIae q. 2 a. 2 co. (Se sia giusto distinguere nell’atto di fede il “credere a Dio” dal “credere Dio” e “credere in Dio”): “L’atto di qualsiasi abito come di qualsiasi potenza va considerato in base al rapporto dell’abito o della potenza col proprio oggetto. Ora, tre sono gli aspetti in cui possiamo considerare l’oggetto della fede. Infatti, esso si può considerare sia in rapporto all’intelletto, sia in rapporto alla volontà, poiché credere, come abbiamo detto sopra, spetta all’intelletto sotto la mozione della volontà che lo spinge ad assentire. Se si considera in rapporto all’intelletto, allora nell’oggetto della fede possiamo distinguere due cose, secondo le spiegazioni date. La prima è l’oggetto materiale della fede. E da questo lato si considera come atto di fede “credere Dio”: poiché, come sopra abbiamo detto, niente viene proposto alla nostra fede, se non in quanto appartiene a Dio. – La seconda è la ragione formale dell’oggetto, la quale costituisce come il motivo per cui si acconsente a una data verità di fede. E da questo lato si considera come atto di fede “credere a Dio”: poiché, come sopra abbiamo detto, oggetto formale della fede è la prima verità, alla quale l’uomo deve aderire, per accettare in forza di essa le cose da credere. – Se invece si considera l’oggetto di fede sotto un terzo aspetto, cioè in quanto dipende dall’intelletto dietro la mozione della volontà, allora si ha come atto di fede il “credere in Dio”: ché la verità prima considerata qual fine si riferisce alla volontà”.

[16] Vedi nota precedente.

[17] http://www.trueorfalsepope.com/p/is-francis-or-benedict-true-pope.html.

[18] Roberto de Mattei, «Roberto de Mattei risponde al libro di Antonio Socci», https://tinyurl.com/de-mattei-socci.

[19] Réginald Garrigou-Lagrange O.P., Il senso del mistero e il chiaroscuro intellettuale, Verona: Fede E Cultura, 2019.

[20] Lettere I,137.


Il sedevacantismo: soluzione o diversione?
Intervista a Dominicus
 1 marzo 2018

Dominicus, Le Sédévacantisme (opuscolo che raggruppa diversi studi sull’argomento: in particolare il Piccolo catechismo del sedevacantismo e la traduzione dell’importante studio di Giovanni di San Tommaso sulla questione del Papa eretico), Avrillé, éditions du Sel, 2015, pagine 80
http://www.seldelaterre.fr/A-197715-le-sedevacantisme.aspx


 


pubblicato sul sito Medias Catholique Info

 

Dominicus è l’autore di un «Piccolo catechismo del sedevacantismo» che ha provocato dei vivi dibattiti, sottolineando le debolezze di questa teoria. Attaccato nell’ultimo numero di un bollettino sedevacantista, egli risponde qui alle nostre domande.
(si veda l’opuscolo tradotto in italiano da noi nel dicembre 2012 – come pubblicato nel n° 79 de Le Sel de la terre, inverno 2011-2012)



Innanzi tutto, Reverendo Padre, io penso di non tradire un segreto rivelando che lei è un Padre domenicano di Avrillé. – Che cos’è il sedevacantismo?

E’ la teoria, o piuttosto un insieme di teorie (contraddittorie) che vogliono che la Chiesa oggi sia senza Papa. La sede del vescovo di Roma sarebbe vacante da una cinquantina d’anni, a causa degli errori insegnati o favoriti da Paolo VI e dai suoi successori.


E questo le sembra insostenibile?

Il Vaticano II ha aperto una crisi terribile in cui il nostro primo obiettivo dev’essere quello di conservare la Fede. Ora, il gran mezzo per conservare la fede in tempi di crisi è stato enunciato da San Vincenzo di Lerino nel IV secolo: aggrapparsi alla Tradizione. La dottrina, la morale e i sacramenti tradizionali non possono ingannarci. Di contro, quando si lascia questo terreno per elaborare delle teorie che cercano di spiegare la crisi, non si ha più la stessa sicurezza, poiché si entra nel dominio delle opinioni private. E’ questo il caso del sedevacantismo.


Si ha almeno il diritto di riflettere?

Si ha soprattutto il dovere di essere prudenti! La crisi attuale è inedita e quindi non può essere regolata con due o tre «copia-incolla». Ora, non ci si improvvisa teologi, né canonisti. Noi dobbiamo conservare la Fede – aggrappandoci alla Tradizione e allontanandoci dai novatori -, ma nessuno ci ha incaricato di istruire dei processi contro le autorità che difettano. La legittima difesa ci dà il diritto di proteggerci dai prelati pericolosi, ma non ci conferisce l’autorità per dichiararli esclusi dalla Chiesa e decaduti dal loro potere. E’ la parabola del farmacista raccontata da Mons. Lefebvre: se io constato che il mio farmacista mi fornisce un veleno, evidentemente devo rifiutarlo. E’ una certezza assoluta, perché non ho il diritto di avvelenarmi. Quanto alla esatta responsabilità del farmacista, non è cosa che mi competa. Era distratto? Miope? Incompetente? E’ stato ingannato da un altro? E’ un imbroglione che non ha effettivamente una laurea? E’ un assassino volontario? E’ improvvisamente impazzito? Io posso avere la mia opinione, ma questo rimane secondario, perché io non sono il suo giudice. Al mio livello, io devo rifiutare il veleno e mettere in guardia contro l’avvelenatore, ma non posso dichiarare, sulla base della mia autorità, che egli non appartiene più all’ordine dei farmacisti. Non è di mia competenza. Sfortunatamente, molti sedevacantisti invertono il problema. Essi vogliono ad ogni costo risolvere la questione che non dipende da loro e farne il primo dovere di ogni cattolico. Essi dichiarano sulla base della loro autorità che Paolo VI e Giovanni Paolo II non erano papi, e ne fanno un dogma, gettando l’ingiuria e l’anatema su tutti coloro che esistano a seguirli. Si tratta di un’imprudenza che non risolve alcunché, causando di contro molto disordine.


Tuttavia, i sedevacantisti, presentano delle prove?

Non hanno delle prove, ma alcuni argomenti di cui nessuno è decisivo. E’ quello che mostra il Piccolo catechismo del sedevacantismo.


Per la verità, l’ultimo numero del bollettino La Voix des Francs accusa il suo Piccolo catechismo di «sofismi» e di «divagazioni». Cosa risponde?

Bisogna davvero rispondere? Questo bollettino pretende di demolire «magistralmente» (è il termine usato) le nostre «divagazioni» (termine che è nel titolo). Ma chiunque può constatare che esso non affronta realmente le nostre obiezioni. Vi passa accanto facendo finta di non vederle! Invece di esporle così come sono e di provare a rispondere, li ignora. Si limita a riempire intere pagine di citazioni (generalmente fuori argomento), aggiungendo un po’ di ingiurie ed una serie di grida di vittoria, ma non affronta mai francamente la nostra confutazione (se non in alcuni dettagli secondari). Chi legge la Voix des Francs si farà un’idea molto deformata delle nostre posizioni. Non è un vero dibattito!


Guardiamo da più vicino. Il suo contraddittore pretende di provare il sedevacantismo con l’argomento del «magistero ordinario universale»?

Per «rispondere» alle poche righe che abbiamo dedicato a questo argomento, egli mette insieme più di venti pagine e tuttavia trova il modo per passare sotto silenzio l’essenziale della nostra obiezione!
Ricordiamo che il «magistero ordinario universale» è l’insegnamento proposto da tutti i vescovi del mondo. Quando essi sono unanimi su un punto del dogma o della morale, sono coperti dall’infallibilità, perché lo Spirito Santo non può permettere che tutta la Chiesa docente si sbagli su una verità di fede (se no, le porte dell’inferno avrebbero prevalso). Resterà sempre almeno un vescovo per difendere la fede. Questa infallibilità del «magistero ordinario universale» è necessaria alla sopravvivenza della Chiesa. Molto curiosamente, i sedevacantisti pretendono di servirsene per provare che non ci sarebbe più il Papa. In effetti, storicamente, il loro primo argomento era diverso. Essi si interessarono inizialmente non al magistero ordinario, ma al magistero straordinario. Essi volevano far rientrare l’insegnamento del Vaticano II nel magistero straordinario infallibile (come le definizioni solenni di un Concilio dogmatico). Di conseguenza – dicevano – si può negare l’infallibilità del Vaticano II solo negando l’autorità del Papa che l’ha approvato. Ma l’argomento non ha potuto resistere a lungo, perché lo stesso Paolo VI aveva dichiarato che il Vaticano II – concilio pastorale – non appartiene al magistero straordinario infallibile! Per poter dichiarare che non vi è più il Papa, bisognava dunque ricorrere a qualcos’altro. E allora, i sedevacantisti hanno ripiegato sul magistero ordinario universale. Essi dicono: gli insegnamenti del Vaticano II non godono forse dell’autorità di un Concilio infallibile, ma devono quanto meno diventare infallibili perché sono insegnati da tutti i vescovi del mondo. Quindi, per negare questa infallibilità bisogna di nuovo negare che vi sia un papa.


E lei che risponde?

Se l’argomento fosse valido, bisognerebbe concludere, non solo che non v’è più il Papa, ma che non v’è più la Chiesa docente! Questo è quello che dice il Piccolo catechismo:
«In realtà, se si accettasse questo argomento, bisognerebbe dire che a quel punto tutta la Chiesa cattolica è sparita e che le porte dell’inferno hanno prevalso contro di essa. Poiché l’insegnamento del magistero ordinario universale è quello di tutti i vescovi, di tutta la Chiesa docente» (p. 11).
L’argomento del magistero ordinario universale non può servire a provare il sedevacantismo, poiché esso vale solo se tutti i vescovi del mondo insegnano la stessa cosa. Ora, se tutti i vescovi del mondo insegnano un errore, non basta sopprimere il Papa per sopprimere il problema! Si è obbligati a concludere che tutta la Chiesa docente è nell’errore, il che è impossibile; o che non vi è più Chiesa docente, il che è parimenti impossibile. In questo modo, l’argomento del «magistero ordinario universale» è in ogni modo un vicolo cieco.


E cosa risponde il suo contraddittore?

Niente. Egli non dice una parola su questa obiezione e per venti pagine parla d’altro. Egli ci rimprovera di non aver sufficientemente specificato, nelle poche righe che abbiamo dedicato all’argomento, i diversi aspetti del magistero ordinario universale. E quindi specifica lui, alla sua maniera, tutto questo e ripete senza posa che manchiamo di onestà intellettuale, che prendiamo i nostri lettori «per ignoranti e imbecilli», che li prendiamo in giro, che occultiamo la natura delle cose, ecc. Ci sarebbe molto da dire su queste venti pagine, ma a che scopo, visto che l’autore non ha neanche sfiorato la nostra obiezione?


Tuttavia, egli avanza un secondo argomento: quello del Papa eretico.

In effetti, egli propone un secondo argomento. A sentire lui la cosa è molto semplice: il Papa che cade nell’eresia è immediatamente decaduto dalla sua autorità, senza alcun avviso, alcun processo, alcuna sentenza dichiaratoria. Il problema sta nel fatto che questa questione è dibattuta da diversi secoli nella Chiesa e che i più grandi teologi insegnano tutto il contrario! Tutti i rappresentanti della scuola tomista: Cajetano, Giovanni di San Tommaso, Bañez, Billuart, Garrigou-Lagrange, ecc., spiegano che non si può abbandonare l’autorità papale al libero esame individuale di qualcuno. Se dunque un papa cade nell’eresia, egli perderebbe realmente la sua autorità solo nel momento in cui questa eresia verrebbe denunciata pubblicamente da altri membri della Chiesa docente. Su questo argomento, noi abbiamo riempito 24 pagine di citazioni di eminenti teologi (pp. 54-78). Era difficile non vederle! Ma anche qui, il nostro contraddittore non ne tiene minimamente conto! Dopo aver annunciato a gran voce che avrebbe confutato le nostre «divagazioni», egli sviluppa la sua tesi come se fosse la sola esistente e conclude denunciando la nostra «ostinazione» e il nostro «scisma lefebvrista«. Tra l’altro, egli non si è nemmeno degnato di esporre la nostra opinione ai suoi lettori, e nemmeno di citare il nome di uno solo dei teologi di cui riprendiamo le spiegazioni! Una cosa del genere, può dirsi una «risposta»?


Tuttavia, egli si appoggia ad un eminente canonista (Naz), che afferma che un papa eretico è immediatamente decaduto dalla sua autorità – senza alcun giudizio, né dichiarazione – e che questa è la dottrina comune dei teologi.

Alcuni autori, fra cui Naz, difendono questa tesi, ma questo non costituisce «dottrina comune». Naz impiega questa espressione solo per precisare che «secondo la dottrina più comune» è «teologicamente possibile» che un papa cada nell’eresia. Su questo, infatti, la maggior parte dei teologi sono d’accordo. Le difficoltà e i dibattiti vengono dopo: come si può essere sicuri che il Papa è formalmente (e cioè colpevolmente) eretico? E quando esattamente perde la sua autorità? In altre parole: si può lasciare a chiunque di giudicare, secondo i suoi lumi personali, che il Pontefice è eretico e che così ha perduto automaticamente la sua autorità, senza la minima formalità giuridica? La maggior parte dei teologi dicono di no, perché questo equivarrebbe alla rovina di ogni autorità! Se una questione così grave come la vacanza della sede apostolica fosse lasciata al giudizio privato di ogni individuo, le conseguenze sarebbero disastrose:  nessun conflitto dottrinale potrebbe essere risolto per via d’autorità, perché i condannati potrebbero sempre pretendere che il Papa sia eretico e dunque decaduto nel momento in cui pronuncia la sua sentenza! L’infallibilità del Papa, che Gesù ha voluto dare come una garanzia assoluta alla Sua Chiesa, non servirebbe più a niente, poiché potrebbe sempre essere aggirata da questo argomento che il Papa sarebbe già automaticamente decaduto dal suo incarico per eresia. Non ci sarebbe più autorità incontestabile e si scadrebbe nel libero esame. Cosa che rifiutano, indubbiamente, Cajetano, Giovanni di San Tommaso, Bañez, ecc.


Tutti questi teologi sono domenicani, non è che lei sta cercando di imporre una tesi propria al vostro Ordine?

Quando i Carmelitani di Salamanca e Sant’Alfonso de’ Liguori si uniscono ai teologi domenicani sulla questione del Papa eretico, è evidente che non lo fanno perché questa tesi sarebbe domenicana, ma perché è ragionevole e fondata sulla Tradizione. E’ questo che bisogna tenere presente. La tesi di Cajetano e di Giovanni di San Tommaso, ecc., è stata pubblicamente insegnata nelle più grandi Università cattoliche, per dei secoli, dai più grandi teologi ed anche sotto gli occhi del Papa. Essa era allora presentata come la sentenza «comune» o «più comune». Quindi, essa, ancora oggi, può essere tenuta in tutta sicurezza e coscienza. Certo, essa può anche essere discussa, non si tratta di farne un dogma; ma nessuno può negarne la liceità e anatemizzare quelli che la difendono. E tuttavia, è questo che fanno i sedevacantisti, che vogliono ad ogni costo imporre la loro opinione come un dogma.


Ma in questo caso, anche la tesi sedevacantista potrebbe essere lecita.

Il sedevacantismo è spesso innanzitutto un sentimento. I papi conciliari fanno soffrire, la crisi della Chiesa è angosciante e l’emozione può turbare il giudizio. Certi reagiscono come quel figlio che scopre improvvisamente che suo padre ha commesso un crimine e che può superare lo choc solo gridando bruscamente: «No, è orribile, quest’uomo non è mio padre!». E’ un mezzo per attenuare il dolore, ma in definitiva questo non regola alcunché. Fintanto che il sedevacantismo rimane al livello del sentimento personale o dell’opinione privata, non ha niente di illecito, tenuto conto delle circostanze presenti. Ma esso non è provato. E’ solo un’ipotesi tra le tante e non la più probabile. E’ indebito farne un dogma e pericoloso farne una bandiera. Bisogna aspettare pacificamente che un giorno la Chiesa risolva queste questioni che ci superano. Piuttosto, mobilitiamo le nostre forze per conservare la Fede, la Speranza e la Carità.

 

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