Leone XIV Giubileo Sacerdoti: andare oltre le emozioni, le paure, le mode… tornare a Cristo

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE LEONE XIV  AI SACERDOTI IN OCCASIONE DELLA 
GIORNATA DELLA SANTIFICAZIONE SACERDOTALE

[27 giugno 2025 – Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù]

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Cari fratelli nel sacerdozio!

In questa Giornata della Santificazione Sacerdotale, che si celebra nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, mi rivolgo a ciascuno di voi con animo grato e colmo di fiducia.

Il Cuore di Cristo, trafitto per amore, è la carne viva e vivificante, che accoglie ciascuno di noi, trasformandoci a immagine del Buon Pastore. È lì che si comprende la vera identità del nostro ministero: ardenti della misericordia di Dio, siamo testimoni gioiosi del suo amore che guarisce, accompagna e redime.

La festa odierna rinnova dunque nei nostri cuori la chiamata al dono totale di noi stessi a servizio del popolo santo di Dio. Questa missione inizia con la preghiera e continua nell’unione con il Signore, che ravviva continuamente in noi il suo dono: la santa vocazione al sacerdozio.

Fare memoria di questa grazia, come afferma Sant’Agostino, significa entrare in un “santuario vasto, senza fondo” (cfr Confessioni, X, 8.15), che non custodisce semplicemente qualcosa del passato, ma rende sempre nuovo e attuale quel che vi è riposto. Solo facendo memoria viviamo e facciamo rivivere quanto il Signore ci ha consegnato, chiedendo di tramandarlo a nostra volta nel suo nome. La memoria unifica i nostri cuori nel Cuore di Cristo e la nostra vita nella vita di Cristo, sicché diventiamo capaci di portare al popolo santo di Dio la Parola e i Sacramenti della salvezza, per un mondo riconciliato nell’amore. Solo nel cuore di Gesù troviamo la nostra vera umanità di figli di Dio e di fratelli tra noi. Per queste ragioni, vorrei oggi rivolgervi un invito impellente: siate costruttori di unità e di pace!

In un mondo segnato da tensioni crescenti, anche all’interno delle famiglie e delle comunità ecclesiali, il sacerdote è chiamato a promuovere la riconciliazione e generare comunione. Essere costruttori di unità e di pace significa essere pastori capaci di discernimento, abili nell’arte di comporre i frammenti di vita che ci vengono affidati, per aiutare le persone a trovare la luce del Vangelo dentro i travagli dell’esistenza; significa essere saggi lettori della realtà, andando oltre le emozioni del momento, le paure e le mode; significa offrire proposte pastorali che generano e rigenerano alla fede costruendo relazioni buone, legami solidali, comunità in cui brilla lo stile della fraternità. Essere costruttori di unità e di pace significa non imporsi, ma servire. In particolare, la fraternità sacerdotale diventa segno credibile della presenza del Risorto tra di noi quando caratterizza il cammino comune dei nostri presbiteri.

Vi invito dunque a rinnovare oggi, dinanzi al Cuore di Cristo, il vostro “sì” a Dio e al suo Popolo santo. Lasciatevi plasmare dalla grazia, custodite il fuoco Spirito ricevuto nell’Ordinazione affinché, uniti a Lui, possiate essere sacramento dell’amore di Gesù nel mondo. Non abbiate timore della vostra fragilità: il Signore non cerca infatti sacerdoti perfetti, ma cuori umili, disponibili alla conversione e pronti ad amare come Lui stesso ci ha amato.

Carissimi fratelli sacerdotiPapa Francesco ci ha riproposto la devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore (cfr Lett. enc. Dilexit nos, 103), quindi come luogo dove portare e comporre i nostri conflitti interiori e quelli che dilaniano il mondo contemporaneo, perché «in Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno di amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» (ivi, 28).

Lungo quest’Anno Santo, che ci invita ad essere pellegrini di speranza, il nostro ministero sarà tanto più fecondo quanto più sarà radicato nella preghiera, nel perdono, nella vicinanza ai poveri, alle famiglie, ai giovani in cerca di verità. Non dimenticate: un sacerdote santo fa fiorire la santità attorno a sé.

Vi affido a Maria, Regina degli Apostoli e Madre dei sacerdoti, e tutti di cuore vi benedico.

Dal Vaticano, 27 giugno 2025

LEONE PP. XIV



DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AL CLERO DELLA DIOCESI DI ROMA 

Aula Paolo VI
Giovedì, 12 giugno 2025

[Multimedia]

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Io voglio chiedere un forte applauso per tutti voi che siete qui e per tutti i sacerdoti e i diaconi di Roma!

Carissimi Presbiteri e Diaconi che svolgete il vostro servizio nella Diocesi di Roma, carissimi seminaristi, vi saluto tutti con affetto e amicizia!

Ringrazio Sua Eminenza, il Cardinale Vicario, per le parole di saluto e per la presentazione che ha fatto, raccontando un po’ della vostra presenza in questa città.

Ho desiderato incontrarvi per conoscervi da vicino e per iniziare a camminare insieme a voi. Vi ringrazio per la vostra vita donata a servizio del Regno, per le vostre fatiche quotidiane, per tanta generosità nell’esercizio del ministero, per tutto ciò che vivete nel silenzio e che, a volte, è accompagnato da sofferenza o da incomprensione. Svolgete servizi diversi ma siete tutti preziosi agli occhi di Dio e nella realizzazione del suo progetto.

La Diocesi di Roma presiede nella carità e nella comunione, e può compiere questa missione grazie ad ognuno di voi, nel vincolo di grazia con il Vescovo e nella feconda corresponsabilità con tutto il popolo di Dio. La nostra è una Diocesi davvero particolare, perché tanti sacerdoti arrivano da diverse parti del mondo, specialmente per motivi di studio; e questo implica che anche la vita pastorale – penso soprattutto alle parrocchie – sia segnata da questa universalità e dalla reciproca accoglienza che essa comporta.

Proprio a partire da questo sguardo universale che Roma offre, vorrei condividere cordialmente con voi alcune riflessioni.

La prima nota, che mi sta particolarmente a cuore, è quella dell’unità e della comunione. Nella preghiera detta “sacerdotale”, come sappiamo, Gesù ha chiesto al Padre che i suoi siano una cosa sola (cfr Gv 17,20-23). Il Signore sa bene che solo uniti a Lui e uniti tra di noi possiamo portare frutto e dare al mondo una testimonianza credibile. La comunione presbiterale qui a Roma è favorita dal fatto che per antica tradizione si è soliti vivere insieme, nelle canoniche come nei collegi o in altre residenze. Il presbitero è chiamato ad essere l’uomo della comunione, perché lui per primo la vive e continuamente la alimenta. Sappiamo che questa comunione oggi è ostacolata da un clima culturale che favorisce l’isolamento o l’autoreferenzialità. Nessuno di noi è esente da queste insidie che minacciano la solidità della nostra vita spirituale e la forza del nostro ministero.

Ma dobbiamo vigilare perché, oltre al contesto culturale, la comunione e la fraternità tra di noi incontrano anche alcuni ostacoli per così dire “interni”, che riguardano la vita ecclesiale della Diocesi, le relazioni interpersonali, e anche ciò che abita nel cuore, specialmente quel sentimento di stanchezza che sopraggiunge perché abbiamo vissuto delle fatiche particolari, perché non ci siamo sentiti compresi e ascoltati, o per altri motivi. Io vorrei aiutarvi, camminare con voi, perché ciascuno riacquisti serenità nel proprio ministero; ma proprio per questo vi chiedo uno slancio nella fraternità presbiterale, che affonda le sue radici in una solida vita spirituale, nell’incontro con il Signore e nell’ascolto della sua Parola. Nutriti da questa linfa, riusciamo a vivere relazioni di amicizia, gareggiando nello stimarci a vicenda (cfr Rm 12,10); avvertiamo il bisogno dell’altro per crescere e per alimentare la stessa tensione ecclesiale.

La comunione va tradotta anche nell’impegno in questa Diocesi; con carismi diversi, con percorsi di formazione differenti e anche con servizi differenti, ma unico dev’essere lo sforzo per sostenerla. A tutti chiedo di porre attenzione al cammino pastorale di questa Chiesa che è locale ma, a motivo di chi la guida, è anche universale. Camminare insieme è sempre garanzia di fedeltà al Vangelo; insieme e in armonia, cercando di arricchire la Chiesa con il proprio carisma ma avendo a cuore l’essere l’unico corpo di cui Cristo è il Capo.

La seconda nota che desidero consegnarvi è quella dell’esemplarità. In occasione delle ordinazioni sacerdotali dello scorso 31 maggio, nell’omelia ho richiamato l’importanza della trasparenza della vita, sulla base delle parole di San Paolo che agli anziani di Efeso dice: «Voi sapete come mi sono comportato» (At 20,18). Ve lo chiedo con il cuore di padre e di pastore: impegniamoci tutti ad essere sacerdoti credibili ed esemplari! Siamo consapevoli dei limiti della nostra natura e il Signore ci conosce in profondità; ma abbiamo ricevuto una grazia straordinaria, ci è stato affidato un tesoro prezioso di cui siamo ministri, servitori. E al servo è chiesta la fedeltà. Nessuno di noi è esente dalle suggestioni del mondo e la città, con le sue mille proposte, potrebbe anche allontanarci dal desiderio di una vita santa, inducendo un livellamento verso il basso dove si perdono i valori profondi dell’essere presbiteri. Lasciatevi ancora attrarre dalla chiamata del Maestro, per sentire e vivere l’amore della prima ora, quello che vi ha spinto a fare scelte forti e rinunce coraggiose. Se insieme proveremo ad essere esemplari dentro una vita umile, allora potremo esprimere la forza rinnovatrice del Vangelo per ogni uomo e per ogni donna.

Un’ultima nota che desidero consegnarvi è quella dello sguardo alle sfide del nostro tempo in chiave profetica. Siamo preoccupati e addolorati per tutto quello che succede ogni giorno nel mondo: ci feriscono le violenze che generano morte, ci interpellano le disuguaglianze, le povertà, tante forme di emarginazione sociale, la sofferenza diffusa che assume i tratti di un disagio che ormai non risparmia più nessuno. E queste realtà non accadono solo altrove, lontano da noi, ma interessano anche la nostra città di Roma, segnata da molteplici forme di povertà e da gravi emergenze come quella abitativa. Una città in cui, come notava Papa Francesco, alla “grande bellezza” e al fascino dell’arte deve corrispondere anche «il semplice decoro e la normale funzionalità nei luoghi e nelle situazioni della vita ordinaria, feriale. Perché una città più vivibile per i suoi cittadini è anche più accogliente per tutti» (Omelia nei Vespri con Te Deum, 31 dicembre 2023).

Il Signore ha voluto proprio noi in questo tempo pieno di sfide che, a volte, ci appaiono più grandi delle nostre forze. Queste sfide siamo chiamati ad abbracciarle, a interpretarle evangelicamente, a viverle come occasioni di testimonianza. Non scappiamo di fronte ad esse! L’impegno pastorale, come quello dello studio, diventino per tutti una scuola per imparare a costruire il Regno di Dio nell’oggi di una storia complessa e stimolante. In tempi recenti abbiamo avuto l’esempio di santi sacerdoti che hanno saputo coniugare la passione per la storia con l’annuncio del Vangelo, come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, profeti di pace e di giustizia. E qui a Roma abbiamo avuto don Luigi Di Liegro che, di fronte a tante povertà, ha dato la vita per cercare vie di giustizia e di promozione umana. Attingiamo alla forza di questi esempi per continuare a gettare semi di santità nella nostra città.

Carissimi, vi assicuro la mia vicinanza, il mio affetto e la mia disponibilità a camminare con voi. Affidiamo al Signore la nostra vita sacerdotale e chiediamogli di crescere nell’unità, nell’esemplarità e nell’impegno profetico per servire il nostro tempo. Ci accompagni l’accorato appello di Sant’Agostino che disse: «Amate questa Chiesa, restate in questa Chiesa, siate questa Chiesa. Amate il buon Pastore, lo Sposo bellissimo, che non inganna nessuno e non vuole che alcuno perisca. Pregate anche per le pecore sbandate: che anch’esse vengano, anch’esse riconoscano, anch’esse amino, perché vi sia un solo ovile e un solo pastore» (Discorso 138, 10). Grazie!


 

L’INCONTRO CON I SACERDOTI
“Cominciamo con il Segno della Croce, perché siamo tutti qui perché Cristo che è morto e risuscitato, ci ha dato la vita e ci ha chiamati a servire. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace sia con voi!” (Leone XIV)
È BELLO ESSERE SACERDOTI. MA DAVVERO.
(di Don Mario Proietti che condividiamo: https://www.facebook.com/don.Mario.cpps )
Le parole del Papa all’Incontro Internazionale “Sacerdoti Felici”, promosso dal Dicastero per il Clero
Non è uno slogan. È una confessione di fede.
È il grido pacato di chi ha scoperto che la gioia non è un optional del ministero, ma la sua radice.
Papa Leone XIV, con la sua consueta sobrietà appassionata, ha detto qualcosa che, in tempi di disillusione e stanchezza vocazionale, va custodito come un piccolo vangelo per i giorni difficili: “Ogni chiamata del Signore è anzitutto una chiamata alla sua gioia… Quando uno crede, si vede: la felicità del ministro riflette il suo incontro con Cristo, sostenendolo nella missione e nel servizio.”
C’è, nel suo discorso, una nostalgia di autenticità che accende il cuore: amicizia con Cristo, fraternità tra sacerdoti, ambienti impregnati di Vangelo, slancio missionario.
Nessuna scorciatoia ideologica, nessun trucco motivazionale. Solo il ritorno all’essenziale: la relazione viva con il Signore, da cui tutto nasce e tutto si rigenera.
“Come potremmo essere costruttori di comunità, se prima non regna tra noi una effettiva e sincera fraternità?”
È una domanda che scava. E che forse ci mette in crisi. Ma la crisi non è una malattia: è un’opportunità di verità.
Il Papa ci invita a ripensare la formazione non come trasmissione di concetti, ma come accompagnamento del cuore.
Un cammino relazionale, non un addestramento. Intelligenza spirituale, non semplice competenza pastorale.
Il primato dell’interiorità
E proprio qui Papa Leone XIV introduce una parola forte e necessaria: interiorità.
“La formazione deve coinvolgere tutta la persona: cuore, intelligenza, libertà. E questo richiede ascolto profondo, meditazione e una ricca e ordinata vita interiore.”
È un invito a ritornare a ciò che ci rende trasparenti a Dio: la preghiera, il silenzio, la profondità spirituale.
Senza vita interiore, il ministero si svuota. Diventa mestiere, non missione.
La gioia del prete nasce da un cuore abitato, da un’intimità coltivata con amore, giorno dopo giorno.
Il Papa lo ricorda con chiarezza: la formazione deve essere scuola di interiorità, prima ancora che di linguaggi e tecniche.
Perché solo chi è in ginocchio davanti a Dio può stare in piedi davanti al popolo.
Solo chi ascolta la Parola nel silenzio, saprà poi pronunciarla con verità.
Dal Cuore di Cristo nasce la nostra vocazione
Non è un caso che questo incontro si sia svolto alla vigilia della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.
Il Papa lo ha detto con chiarezza: “È da questo roveto ardente che prende origine la nostra vocazione; è da questa fonte di grazia che vogliamo lasciarci trasformare.”
Non è un’immagine poetica, ma la radice reale della nostra identità sacerdotale.
Ogni vocazione nasce da un cuore che arde per l’umanità, da un amore che non si rassegna alla distanza.
Il prete non è un funzionario sacro, ma un uomo ferito dall’amore del Crocifisso, consacrato per portare nel mondo la compassione del Cuore di Dio.
E qui il Papa ci ha donato anche una chiave preziosa: l’Enciclica Dilexit nos di Papa Francesco, che ha voluto ricordare con gratitudine, è una luce potente per questo tempo.
“Ci chiede di custodire insieme la mistica e l’impegno sociale, la contemplazione e l’azione, il silenzio e l’annuncio.”
Il sacerdote è uomo di sintesi: non scappa dal mondo, ma nemmeno si dissolve in esso. Contempla, per agire. Si dona, perché si è prima lasciato amare.
Solo chi arde dentro, può accendere altri.
In un tempo di rumori e dispersione, la Chiesa ha bisogno di sacerdoti capaci di raccoglimento, capaci di lasciarsi ferire dalla Scrittura, di piangere e sorridere nella preghiera, di portare dentro le lacrime del popolo e deporle sull’altare con fede.
Da lì nasce tutto. E da lì, e solo da lì, si genera un ministero fecondo, gioioso, credibile.
Proposte forti e liberanti
E poi, quel passaggio netto, luminoso, che interpella il coraggio pastorale:
“Abbiate il coraggio di proposte forti e liberanti! Guardando ai giovani che in questo nostro tempo dicono il loro generoso “eccomi” al Signore, sentiamo tutti il bisogno di rinnovare il nostro “sì”, di riscoprire la bellezza di essere discepoli missionari alla sequela di Cristo, Buon Pastore.”
Non proposte accomodanti o annacquate. Non progettini per “giovani fragili”, ma ambienti dove la sete di infinito trovi acqua viva. Dove il Vangelo non sia solo spiegato, ma respirato.
Perché il problema delle vocazioni non è che Dio non chiami più.
È che manca il silenzio per ascoltarlo. E mancano testimoni che facciano venire voglia di seguirlo.
Lo ha detto con dolce fermezza: “Dio continua a chiamare. E resta fedele alle sue promesse.”
La gioia del ministro, segno credibile del Vangelo
La missione non è un fare ansioso, ma un lasciar trasparire la gioia dell’incontro con Cristo.
“Quando uno crede, si vede: la felicità del ministro riflette il suo incontro con Cristo.”
Oggi la gente non cerca supereroi della morale, né tecnici della spiritualità.
Cerca testimoni credibili, uomini semplici ma veri, che abbiano visto il Signore e non riescano a tenerselo per sé.
Ecco perché la felicità del sacerdote è evangelizzatrice.
Non è una fuga dalla croce, ma il segno che l’amore di Dio è più forte di ogni stanchezza.
Il Papa ci chiede di non nascondere questa gioia, ma di trasmetterla, di farla risplendere in mezzo al popolo, soprattutto là dove la vita è più difficile: nelle periferie, nei luoghi dimenticati, nella formazione, nei seminari, nei crocicchi dell’esistenza umana.
Vicinanza che genera gioia
Allora ritroviamo insieme lo slancio missionario. Non un volontarismo sterile, ma la gioia di essere mandati.
Non il peso di una “funzione ecclesiastica”, ma il dono di un’amicizia viva che ci trasfigura.
Se un sacerdote è felice, si vede. E questo è più eloquente di mille programmi pastorali.
Ma questa gioia è vera solo se condivisa.
Il Papa ha insistito: non si è preti felici senza una vicinanza reale, al Signore, al vescovo, ai confratelli, ai superiori.
Una fraternità sincera e concreta, vissuta nel presbiterio e nella vita quotidiana.
Se non siamo in comunione, non possiamo annunciare il Vangelo della comunione.
Se non ci sosteniamo tra noi, come potremo sostenere il popolo di Dio?
Se siamo felici solo da soli, non siamo credibili.
È bello essere sacerdoti, non perché lo siamo noi, ma perché Lui ci ha chiamati amici.
Non perfetti. Non impeccabili. Ma amici. Fratelli. Figli.
E in un tempo in cui il mondo è pieno di padroni, influencer e manager spirituali, c’è bisogno di amici di Cristo.
Di uomini dal cuore largo, che sappiano abbracciare anche con le ferite.
Che, nel cuore di ogni crisi, sussurrino solo: “Eccomi”.
Ed ecco allora le parole finali del Papa, che valgono come carezza e mandato: “Grazie per ciò che siete! Perché ricordate a tutti che è bello essere sacerdoti, e che ogni chiamata del Signore è anzitutto una chiamata alla sua gioia. Non siamo perfetti, ma siamo amici di Cristo, fratelli tra di noi e figli della sua tenera Madre Maria, e questo ci basta…”


DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO INTERNAZIONALE
SACERDOTI FELICI «VI HO CHIAMATO AMICI» (Gv 15,15)
PROMOSSO DAL DICASTERO PER IL CLERO

Auditorium Conciliazione, Roma 
Giovedì, 26 giugno 2025

[Multimedia]

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Cominciamo con il Segno della Croce, perché siamo tutti qui perché Cristo che è morto e risuscitato, ci ha dato la vita e ci ha chiamati a servire. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace sia con voi!

[Saluto del Cardinale Lazzaro You Heung-sik, Prefetto del Dicastero per il Clero]

Carissimi fratelli nel sacerdozio, queridos hermanosdear brothers priests,

Carissimi formatori, seminaristi, animatori vocazionali, amici nel Signore!

È per me una grande gioia trovarmi oggi qui con voi. Nel cuore dell’Anno Santo, insieme vogliamo testimoniare che è possibile essere sacerdoti felici, perché Cristo ci ha chiamati, Cristo ci ha fatti suoi amici (cfr Gv 15,15): è una grazia che vogliamo accogliere con gratitudine e responsabilità.

Desidero ringraziare il Cardinale Lazzaro e tutti i collaboratori del Dicastero per il Clero per il loro servizio generoso e competente: un lavoro vasto e prezioso, che si svolge spesso nel silenzio e nella discrezione e che produce frutti di comunione, di formazione e di rinnovamento.

Con questo momento di scambio fraterno, uno scambio internazionale, possiamo valorizzare il patrimonio di esperienze già maturate, incoraggiando creatività, corresponsabilità e comunione nella Chiesa, affinché ciò che è seminato con dedizione e generosità in tante comunità possa diventare luce e stimolo per tutti.

Le parole di Gesù «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15) non sono soltanto una dichiarazione affettuosa verso i discepoli, ma una vera e propria chiave di comprensione del ministero sacerdotale. Il sacerdote, infatti, è un amico del Signore, chiamato a vivere con Lui una relazione personale e confidente, nutrita dalla Parola, dalla celebrazione dei Sacramenti, dalla preghiera quotidiana. Questa amicizia con Cristo è il fondamento spirituale del ministero ordinato, il senso del nostro celibato e l’energia del servizio ecclesiale cui dedichiamo la vita. Essa ci sostiene nei momenti di prova e ci permette di rinnovare ogni giorno il “sì” pronunciato all’inizio della vocazione.

In particolare, carissimi, da questa Parola-chiave vorrei ricavare tre implicazioni per la formazione al ministero sacerdotale.

Anzitutto, la formazione è un cammino di relazione. Diventare amici di Cristo significa essere formati nella relazione, non solo nelle competenze. La formazione sacerdotale, pertanto, non può ridursi ad acquisizione di nozioni, ma è un cammino di familiarità con il Signore che coinvolge l’intera persona, cuore, intelligenza, libertà, e la plasma a immagine del Buon Pastore. Solo chi vive in amicizia con Cristo ed è permeato del suo Spirito può annunciare con autenticità, consolare con compassione e guidare con sapienza. Questo richiede ascolto profondo, meditazione, e una ricca e ordinata vita interiore.

In secondo luogo, la fraternità è uno stile essenziale di vita presbiterale. Diventare amici di Cristo comporta vivere da fratelli tra sacerdoti e tra vescovi, non come concorrenti o da individualisti. La formazione deve allora aiutare a costruire legami solidi nel presbiterio come espressione di una Chiesa sinodale, nella quale si cresce insieme condividendo fatiche e gioie del ministero. Come, infatti, noi ministri potremmo essere costruttori di comunità vive, se non regnasse prima di tutto fra noi una effettiva e sincera fraternità?

Inoltre, formare sacerdoti amici di Cristo significa formare uomini capaci di amare, ascoltare, pregare e servire insieme. Per questo bisogna mettere ogni cura nella preparazione dei formatori, perché l’efficacia della loro opera dipende anzitutto dall’esempio di vita e dalla comunione fra loro. L’istituzione stessa dei Seminari ci ricorda che la formazione dei futuri ministri ordinati non si può svolgere in maniera isolata, ma richiede il coinvolgimento di tutti gli amici e le amiche del Signore che vivono da discepoli missionari a servizio del Popolo di Dio.

In proposito, vorrei dire una parola anche sulle vocazioni. Nonostante i segnali di crisi che attraversano la vita e la missione dei presbiteri, Dio continua a chiamare e resta fedele alle sue promesse. Occorre che ci siano spazi adeguati per ascoltare la sua voce. Per questo sono importanti ambienti e forme di pastorale giovanile impregnati di Vangelo, dove possano manifestarsi e maturare le vocazioni al dono totale di sé. Abbiate il coraggio di proposte forti e liberanti! Guardando ai giovani che in questo nostro tempo dicono il loro generoso “eccomi” al Signore, sentiamo tutti il bisogno di rinnovare il nostro “sì”, di riscoprire la bellezza di essere discepoli missionari alla sequela di Cristo, il Buon Pastore.

Carissimi, celebriamo questo incontro alla vigilia della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù: è da questo “roveto ardente” che prende origine la nostra vocazione; è da questa fonte di grazia che vogliamo lasciarci trasformare.

L’Enciclica di Papa Francesco Dilexit nos, se è un dono prezioso per tutta la Chiesa, lo è in modo speciale per noi sacerdoti. Essa ci interpella fortemente: ci chiede di custodire insieme la mistica e l’impegno sociale, la contemplazione e l’azione, il silenzio e l’annuncio. Il nostro tempo ci provoca: molti sembrano essersi allontanati dalla fede, eppure nel profondo di molte persone, specialmente dei giovani, c’è sete di infinito e di salvezza. Tanti sperimentano come un’assenza di Dio, eppure ogni essere umano è fatto per Lui, e il disegno del Padre è fare di Cristo il cuore del mondo.

Per questo vogliamo ritrovare insieme lo slancio missionario. Una missione che propone con coraggio e con amore il Vangelo di Gesù. Mediante la nostra azione pastorale, è il Signore stesso che si prende cura del suo gregge, raduna chi è disperso, si china su chi è ferito, sostiene chi è scoraggiato. Imitando l’esempio del Maestro, cresciamo nella fede e diventiamo perciò testimoni credibili della vocazione che abbiamo ricevuto. Quando uno crede, si vede: la felicità del ministro riflette il suo incontro con Cristo, sostenendolo nella missione e nel servizio.

Cari fratelli nel sacerdozio, grazie a voi che siete venuti da lontano! Grazie a ciascuno per la dedizione quotidiana, specialmente nei luoghi di formazione, nelle periferie esistenziali e nei luoghi difficili, a volte pericolosi. Mentre ricordiamo i sacerdoti che hanno donato la vita, anche fino al sangue, rinnoviamo oggi la nostra disponibilità a vivere senza riserve un apostolato di compassione e di letizia.

Grazie per ciò che siete! Perché ricordate a tutti che è bello essere sacerdoti, e che ogni chiamata del Signore è anzitutto una chiamata alla sua gioia. Non siamo perfetti, ma siamo amici di Cristo, fratelli tra di noi e figli della sua tenera Madre Maria, e questo ci basta.

Rivolgiamoci al Signore Gesù, al suo Cuore misericordioso che arde d’amore per ogni persona. Chiediamogli la grazia di essere discepoli missionari e pastori secondo la sua volontà: cercando chi è smarrito, servendo chi è povero, guidando con umiltà chi ci è affidato. Sia il suo Cuore a ispirare i nostri piani, a trasformare i nostri cuori, e a rinnovarci nella missione. Vi benedico con affetto e prego per tutti voi.

[Un sacerdote chiede al Santo Padre se può abbracciarlo]

Se è uno per tutti! Perché dopo anche gli altri vogliono! Siete d’accordo? [i sacerdoti rispondono: Sì!] Uno per tutti! Allora, uno per tutti!

[in spagnolo] Alzi la mano chi viene dall’America Latina!

[in inglese] Quanti vengono dall’Africa?… Quanti dall’Asia?… Dall’Europa?… Dagli Stati Uniti?…

[arriva quel sacerdote, si presenta e abbraccia il Santo Padre]

In rappresentanza di tutti i presenti in questo momento.

[in spagnolo] Per concludere, proponiamo un momento di preghiera. 

[in italiano a braccio] Un momento molto breve, però quello che ho detto prima nelle parole, quanto è importante! Voglio sottolineare l’importanza della vita spirituale del sacerdote. Tante volte quando abbiamo bisogno di aiuto, cercate un buon “accompagnatore”, un direttore spirituale, un buon confessore. Nessuno qui è solo. E anche se stai lavorando nella missione più lontana, non sei mai solo! Cercate di vivere quello che Papa Francesco tante volte chiamava la “vicinanza”: vicinanza con il Signore, vicinanza con il vostro Vescovo, o Superiore religioso, e vicinanza anche fra di voi, perché voi davvero dovete essere amici, fratelli; vivere questa bellissima esperienza di camminare insieme sapendo che siamo chiamati ad essere discepoli del Signore. Abbiamo una grande missione e tutti insieme lo possiamo fare. Contiamo sempre sulla grazia di Dio, la vicinanza anche da parte mia, e insieme possiamo essere davvero questa voce nel mondo. Grazie!

Allora, preghiamo insieme: Padre nostro…

E a Maria nostra Madre, diciamo: Ave Maria…

[Benedizione]

Auguri a tutti voi! Dio vi benedica sempre!


SANTA MESSA E ORDINAZIONI SACERDOTALI 
NELLA SOLENNITÀ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

GIUBILEO DEI SACERDOTI

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Basilica Vaticana, Altare della Confessione
Venerdì, 27 giugno 2025

[Multimedia]

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Oggi, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, Giornata per la santificazione sacerdotale, celebriamo con gioia questa Eucaristia nel Giubileo dei Sacerdoti.

Mi rivolgo, perciò, prima di tutto a voi, cari fratelli presbiteri, venuti presso la tomba dell’apostolo Pietro a varcare la Porta santa, per tornare ad immergere nel Cuore del Salvatore le vostre vesti battesimali e sacerdotali. Per alcuni dei presenti, poi, tale gesto è compiuto in un giorno unico della loro vita: quello dell’Ordinazione.

Parlare del Cuore di Cristo in questa cornice è parlare dell’intero mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Signore, affidato in modo particolare a noi affinché lo rendiamo presente nel mondo. Per questo, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, riflettiamo insieme su come possiamo contribuire a quest’opera di salvezza.

Nella prima, il profeta Ezechiele ci parla di Dio come di un pastore che passa in rassegna il suo gregge, contando le sue pecore una per una: va in cerca di quelle perdute, cura quelle ferite, sostiene quelle deboli e malate (cfr Ez 34,11-16). Ci ricorda, così, in un tempo di grandi e terribili conflitti, che l’amore del Signore, da cui siamo chiamati a lasciarci abbracciare e plasmare, è universale, e che ai suoi occhi – e di conseguenza anche ai nostri – non c’è posto per divisioni e odi di alcun tipo.

Nella seconda Lettura (cfr Rm 5,5-11), poi, San Paolo, ricordandoci che Dio ci ha riconciliati «quando eravamo ancora deboli» (v. 6) e «peccatori» (v. 8), ci invita ad abbandonarci all’azione trasformante del suo Spirito che abita in noi, in un quotidiano cammino di conversione. La nostra speranza si fonda sulla consapevolezza che il Signore non ci abbandona: ci accompagna sempre. Noi però siamo chiamati a cooperare con Lui, prima di tutto mettendo al centro della nostra esistenza l’Eucaristia, «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11); poi «attraverso la fruttuosa recezione dei sacramenti, soprattutto con la confessione sacramentale frequente» (Id., Decr. Presbyterorum ordinis, 18); e infine con la preghiera, la meditazione della Parola e l’esercizio della carità, conformando sempre più il nostro cuore a quello «del Padre delle misericordie» (ibid.).

E questo ci porta al Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Lc 15,3-7), in cui si parla della gioia di Dio – e di ogni pastore che ami secondo il suo Cuore – per il ritorno all’ovile di una sola delle sue pecore. È un invito a vivere la carità pastorale con lo stesso animo grande del Padre, coltivando in noi il suo desiderio: che nessuno vada perduto (cfr Gv 6,39), ma che tutti, anche attraverso di noi, conoscano Cristo e abbiano in Lui la vita eterna (cfr Gv 6,40). È un invito a farci intimamente uniti a Gesù (cfr Presbyterorum ordinis, 14), seme di concordia in mezzo ai fratelli, caricandoci sulle spalle chi si è perduto, donando il perdono a chi ha sbagliato, andando a cercare chi si è allontanato o è rimasto escluso, curando chi soffre nel corpo e nello spirito, in un grande scambio d’amore che, nascendo dal fianco trafitto del Crocifisso, avvolge tutti gli uomini e riempie il mondo. Papa Francesco scriveva in proposito: «Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità» (Lett. Enc. Dilexit nos, 219).

Il ministero sacerdotale è un ministero di santificazione e di riconciliazione per l’unità del Corpo di Cristo (cfr Lumen gentium, 7). Per questo il Concilio Vaticano II chiede ai presbiteri di fare ogni sforzo per «condurre tutti all’unità nella carità» (Presbyterorum ordinis, 9), armonizzando le differenze perché «nessuno […] possa sentirsi estraneo» (ibid.). E raccomanda loro di essere uniti al vescovo e nel presbiterio (ivi, 7-8). Quanto più infatti ci sarà unità tra di noi, tanto più sapremo condurre anche gli altri all’ovile del Buon Pastore, per vivere come fratelli nell’unica casa del Padre.

Sant’Agostino, in proposito, in un sermone tenuto in occasione dell’anniversario della sua Ordinazione, parlava di un frutto gioioso di comunione che unisce fedeli, presbiteri e vescovi, e che ha la sua radice nel sentirsi tutti riscattati e salvati dalla stessa grazia e dalla stessa misericordia. Pronunciava, proprio in quel contesto, la famosa frase: «Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano» (Sermo 340, 1).

Nella Messa solenne d’inizio del mio pontificato, ho espresso davanti al Popolo di Dio un grande desiderio: «Una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato» (18 maggio 2025). Torno, oggi, a condividerlo con tutti voi: riconciliati, uniti e trasformati dall’amore che sgorga copioso dal Cuore di Cristo, camminiamo insieme sulle sue orme, umili e decisi, fermi nella fede e aperti a tutti nella carità, portiamo nel mondo la pace del Risorto, con quella libertà che viene dal saperci amati, scelti e inviati dal Padre.

Ed ora, prima di concludere, mi rivolgo a voi, carissimi Ordinandi, che tra poco, per l’imposizione delle mani del Vescovo e con una rinnovata effusione dello Spirito Santo, diventerete sacerdoti. Vi dico alcune cose semplici, ma che ritengo importanti per il vostro futuro e per quello delle anime che vi saranno affidate. Amate Dio e i fratelli, siate generosi, ferventi nella celebrazione dei Sacramenti, nella preghiera, specialmente nell’Adorazione, e nel ministero; siate vicini al vostro gregge, donate il vostro tempo e le vostre energie per tutti, senza risparmiarvi, senza fare differenze, come ci insegnano il fianco squarciato del Crocifisso e l’esempio dei santi. E a questo proposito, ricordate che la Chiesa, nella sua storia millenaria, ha avuto – e ha ancora oggi – figure meravigliose di santità sacerdotale: a partire dalle comunità delle origini, essa ha generato e conosciuto, tra i suoi preti, martiri, apostoli infaticabili, missionari e campioni della carità. Fate tesoro di tanta ricchezza: interessatevi alle loro storie, studiate le loro vite e le loro opere, imitate le loro virtù, lasciatevi accendere dal loro zelo, invocate spesso, con insistenza, la loro intercessione! Il nostro mondo propone troppo spesso modelli di successo e di prestigio discutibili e inconsistenti. Non lasciatevene affascinare! Guardate piuttosto al solido esempio e ai frutti dell’apostolato, molte volte nascosto e umile, di chi nella vita ha servito il Signore e i fratelli con fede e dedizione, e continuatene la memoria con la vostra fedeltà.

Affidiamoci infine tutti alla materna protezione della Beata Vergine Maria, Madre dei sacerdoti e Madre della speranza: sia Lei ad accompagnare e sostenere i nostri passi, perché ogni giorno possiamo configurare sempre più il nostro cuore a quello di Cristo, sommo ed eterno Pastore.

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