Purtroppo vi è una perdita del senso autentico del cristianesimo, essendo stato ridotto a una pratica sociale e morale svuotata dei suoi fondamenti dogmatici, del “dramma del peccato” e della necessità della salvezza attraverso i sacramenti. È dunque necessario un ritorno al Vangelo “ricevuto” e custodito nella sua integrità, come unica via per la vera vita cristiana e la salvezza.
Trascrizione dell’omelia di don Alberto Secci per la Santa Messa XI Domenica dopo Pentecoste in rito tradizionale, il 24 agosto 2025, a Vocogno in Val Vigezzo (VB).
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
È di moda, non c’è niente da fare, ormai siamo così. È di moda un predicare, un cristianesimo pratico che non si preoccupa dei dogmi, delle verità di fede; anzi, che non tocca le questioni dei dogmi. Un cristianesimo pratico, così, perché ci sia il consenso massimo e che non tocchi le questioni di morale legate ai dogmi, perché le verità di fede non sono così astratte, hanno subito delle conseguenze: comandamenti, precetti, eccetera. Un cristianesimo pratico che raccolga il consenso massimo affinché ci si unisca per servire a questo mondo nella ricerca della pace, della giustizia e della dignità umana. Amen.
È l’ultimo approdo di un protestantesimo che ha perso anche le sue gloriose origini – era un po’ più attento, pur essendo già eretico, ai dogmi – e che, accolto entusiasticamente dal modernismo teologico e pratico ormai imperante, è diventato l’humus nel quale cresce il fedele medio oggi, purtroppo anche in mezzo ai cattolici. Un cristianesimo pratico: frequentare la comunità cristiana, sentirsi fratelli nella fede – un po’ di compagnia ci vuole sempre, eh – e servire questo mondo possibilmente con molta calma, con molta dolcezza, non dando fastidio. Ma allora, perché Dio si è rivelato? Me lo dite voi? Perché Dio si è fatto conoscere? Perché tutto l’Antico Testamento? Che rivelazione! Perché il Pentateuco e tutti i libri della Bibbia dell’Antico Testamento? Perché i profeti? Perché nostro Signore Gesù Cristo? Perché Dio Padre manda il Figlio unigenito nel mondo per completare la rivelazione? Perché la predicazione degli apostoli? Perché è tutto il Nuovo Testamento?
San Paolo dice bene nell’epistola della messa di oggi: “Fratelli, vi ricordo il Vangelo che io vi ho annunciato”. Vi ricordo: voi sapete bene che quando dite “vi ricordo” è già una mezza sgridata che voi avete ricevuto, ricevuto, sottolinea pesante, eh. “Io vi ho annunciato, voi avete ricevuto. Tenete questi verbi in cui restate saldi, siete cattolici ormai importanti. Per mezzo di questo Vangelo siete salvati, se lo conservate, se lo conservate come ve l’ho annunciato, come ve l’ho annunciato. Altrimenti, invano voi avete creduto”. E in un’altra parte dice: “Se un angelo dal cielo o io stesso” – che è più pesante, eh, dice San Paolo – “vi ha predicato un Vangelo come ve l’ha predicato, se io cambio, non seguitemi”, perché ve l’ho già detto com’è il Vangelo. Attenti che è peggio dell’angelo dal cielo, che San Paolo dica: “Se un angelo dal cielo o io stesso vi predicassi un Vangelo diverso da quello che già si trova, anatema!” Si, si scomunica! Nello stesso apostolo non c’è evoluzione del messaggio, non c’è evoluzione interpretativa. “Ve l’ho predicato, sta così. Se io cambio, buttatemi via. Anatema sit!” Ed è tutto qui.
Per salvarsi bisogna aver ricevuto, ricevuto il Vangelo, cioè la fede, l’annuncio della fede, la vita di fede, e restare, custodirlo, conservarlo come c’è stato annunciato. Ma che cos’è questo Vangelo allora? San Paolo si mette a fare uno schema, come si può fare in una lettera veloce, non c’è tempo da perdere: “Vi ho trasmesso infatti in primo luogo quello che io stesso ho ricevuto”. “Voi l’avete ricevuto”, dice San Paolo, “io l’ho ricevuto”. Allora fratelli, non è che si è ricevuto una volta per tutto e dopo è tuo il Vangelo, il cristianesimo, la fede. La ricevi sempre, sempre, sempre; ti è trasmessa, per questo sempre la devi tenere, conservare come ti è stata trasmessa. Perché se si parla in generale siamo tutti d’accordo che il Vangelo l’abbiamo ricevuto, che il cristianesimo ci è stato comunicato, ma dopo, ahimè, diventa nostro e perdiamo tempo. Come perdiamo tempo nell’interpretarlo? Quanta perdita di tempo continuamente interpretare, interpretare, interpretare! “Lo avete ricevuto, conservatelo come lo avete ricevuto”.
Invece noi amiamo ricerca, discernimento applicato alle verità. È grave questo. Il discernimento nella Chiesa è applicato alle condizioni morali. Ad esempio, in confessionale si fa il discernimento. Ci sono le verità di fede, ci sono i che comprendono i comandamenti, i precetti della Chiesa. Il sacerdote fa un discernimento su quello che confessi e ti aiuta a fare discernimento e dire: “Questo posso fare, posso cambiare su questo?”. E quindi cambio, perché è pratica. La confessione è pratica, non è sovrassolvere. Ma sulle verità di fede non si fa discernimento, perché le hai ricevute. Allora dice innanzitutto, eh, innanzitutto, “in primo luogo dice che Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture”. Punto e virgola. “Cristo è morto per i nostri peccati”. Pensate cos’è l’inizio della della sintesi del Vangelo di San Paolo a Corinzi.
È questa: “Cristo è morto per i nostri peccati”. Poi dice tutto il resto, eh: “Fu sepolto, veramente morto, risuscitato il terzo giorno, apparve a Pietro, in seguito agli 11, poi in una sola volta più di 500 fratelli, molti dei quali sono ancora in vita, altri no, e poi apparve anche a me”. Ma guardate l’inizio: “Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture”. Eh, permettetemi solo un’applicazione. Com’è facile non conservare il Vangelo come lo si è ricevuto! Se noi svuotiamo di contenuto: “è morto per i nostri peccati”, che diventa una frasetta così retorica, non è “secondo le Scritture”. Pensate tutto l’Antico Testamento, pensate dal peccato originale, Genesi. Pensate tutto l’Antico Testamento al dramma del peccato nel popolo di Israele, al tradimento, ai castighi di Dio, alla misericordia del Signore attraverso i patriarchi e i profeti. Una lotta, un dramma. E poi nella vita di nostro Signore il compimento di questo dramma per i nostri peccati. Accetta il supplizio supremo, lui che è Dio. È un attimo svuotare questo che dice San Paolo: “per i nostri peccati”.
Poi c’è un altro modo per svuotarlo: quello di non sentire più il dramma del peccato. Questo è la quintessenza della modernità clericale che comprende anche i laici: che tu sei, tu sei costituito peccatore, e quindi diventa retorica “è morto per i nostri peccati” perché “io sarò sempre peccatore”. La natura umana non comprende il peccato nell’ordine di Dio, e tu devi uscire dal peccato. 2000 anni di predicazione, di apostolato, 2000 anni per insegnare ad uscire dal peccato concretamente, vanificati dalla retorica che rende umano il peccato. Il peccato è la distruzione dell’umano. Per questo Cristo viene per i nostri peccati. Perdonatemi ma devo insistere, perché neanche noi abbiamo il senso di questo. Guardate che tutta la nuova teologia gioca su questa ambiguità. Poi ci si lamenta dei risultati disastrosi in campo morale, ma è per forza! Perché abbiamo giocato con il peccato. E il clima che abbiamo vissuto… Se non c’è dramma! Ai tempi di San Pio V, permettetemi di ricordare, abbiamo l’altare della Madonna del Rosario. Fare il giubileo a Roma era drammatico. C’erano le porpore, ma c’era il sangue delle ginocchia perché supplicavano il perdono di Dio. E ancora così, certamente in moltissime anime, ma ciò che si vede esternamente…
È la grande festa! È tutto festa, tutto festa! Una volta, per le feste patronali, almeno al venerdì facevi penitenza e ti confessavi. Adesso, adesso devi preparare che la grigliata ci vuole più giorni. Non c’è il dramma del peccato. Allora il Vangelo ci sembra di averlo custodito, ma non l’abbiamo custodito come l’abbiamo ricevuto. Cristo, innanzitutto, Cristo è morto per i nostri peccati. Allora, custodire il Vangelo vuol dire – quando senti, per esempio, e mi fermo qui perché non può essere troppo lunga la predica della domenica – “Cristo è morto per i nostri peccati”, vuol dire rendersi conto della gravità del peccato. Secondo, che è necessario che Cristo ci liberi dal peccato. Allora cosa è necessario? Il tuo dolore, che glielo chiedi, è il sacramento, tutto il Vangelo. È chiaro che è una prefigurazione dei sacramenti. Quando fa il dice: prese in disparte il sordomuto, mise le dita nei suoi orecchi e gli toccò la lingua con la saliva e, alzando gli occhi al cielo, emise un gemito e disse: “Effetà”, che vuol dire “Apriti”? Questo Cristo continua a farlo e ripeterlo nei sette sacramenti. Ma questo vuol dire che non c’è vita cristiana senza vita di grazia. Ecco perché nella prassi, nel catechismo, quando vi ricordate quando lo avete fatto, confessarsi e comunicarsi almeno una volta all’anno a Pasqua, vuol dire che chi da decenni non sta facendo questo non è più della Chiesa cattolica. C’è poco da fare! E qua, qua la gente tranquillamente si mette in condizioni stabili di peccato e non può ricevere più i sacramenti. “Tanto Cristo è morto per i nostri peccati!” Ma l’esatto contrario! Siccome è morto, io ho bisogno di di questa sua morte applicata e di questa sua risurrezione applicata. Cioè, il sacramento. Ma è tutto qui, eh.
I preti impazzivano quando avevano uno in parrocchia che non poteva più ricevere i sacramenti. Adesso neanche il padre e la madre si preoccupano. Devono fare i matti per impedire certe situazioni. Perché Cristo, perché il Vangelo come l’abbiamo ricevuto: Cristo è morto per i nostri peccati, non per lasciarci nel peccato, per tirarci fuori dal peccato, perché sennò la vita eterna vuol dire dannazione. La Chiesa non trasmette un’interpretazione del Vangelo che si modifica ogni epoca. San Paolo non avrebbe detto: “Come l’avete ricevuto quel giorno là, l’avete ricevuto così. È così per sempre”. Chi vuole un cristianesimo trasmesso dalla Chiesa interpretabile ha un forte senso del potere, perché allora chi interpreta ufficialmente ti tiene schiavo. Dice: “Adesso stai a quello che ti dico io”. Non è così. La Chiesa, che è gerarchica, perdonatemi il termine, è estremamente democratica. Tutti devono obbedire al Vangelo così come già si trova: Papa, cardinali, vescovi, preti, laici, tutti. E il più piccolo tra di noi, un bambino può alzarsi e dire la verità che difende il Vangelo come l’abbiamo ricevuto. Nella regola di San Benedetto, anche l’ultimo dei monaci – dove c’è molta gerarchia nel monastero, eh, sono i profili – l’ultimo può alzarsi, deve essere ascoltato se difende il Vangelo così come ci si trova.
Mi sembra che il momento sia molto delicato, perché tutto sembra salvato e tutto va a perdersi se non conserviamo il Vangelo come l’abbiamo ricevuto. E insisto, anche se faccio irritare qualcuno o molti: se togli il dramma non è il Vangelo, se togli il dramma della salvezza non è più il Vangelo. Volete, ad esempio, fate una processione senza dramma? Vi annoierà mostruosamente la seconda volta che la fate. Fate un pellegrinaggio senza dramma? Beh, andate a fare le vacanze nelle isole dei Caraibi, che è meglio. Avete più il senso del peccato. Venite in chiesa a pregare senza dramma? Non ci verrete più fra un attimo. Il dramma è vita. Togli il dramma è noia, è morte. Questo sta succedendo. Il Signore è morto per i nostri peccati secondo le Scritture.
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
