DILEXI TE – Il testo si apre con le parole dell’Apocalisse: “Ti ho amato” (Ap 3,9).
- 47. In una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura. Oggi la fedeltà agli insegnamenti di Agostino esige non solo lo studio delle sue opere, ma la prontezza a vivere radicalmente il suo invito alla conversione, che include necessariamente il servizio della carità. (Leone XIV – Dilexi Te)
- “San Domenico di Guzmán, contemporaneo di Francesco, fondò l’Ordine dei Predicatori, con un altro carisma, ma con la stessa radicalità. Voleva proclamare il Vangelo con l’autorevolezza che deriva da una vita povera, convinto che la Verità abbia bisogno di testimoni coerenti. L’esempio della povertà di vita accompagnava la Parola predicata. Liberi dal peso dei beni terreni, i frati domenicani potevano dedicarsi meglio all’opera principale, cioè la predicazione. Si recavano nelle città, soprattutto quelle universitarie, per insegnare la verità di Dio.[54] Nella dipendenza dagli altri, dimostravano che la fede non si impone, ma si offre. E, vivendo tra i poveri, imparavano la verità del Vangelo “dal basso”, come discepoli del Cristo umiliato”. (Cf. Dilexi te, 66)
Una Premessa:
“Dilexi te” in un certo senso riprende anche la “Dilexit nos”, l’enciclica di Papa Francesco dedicata al Cuore di Gesù Cristo e all’amore. Gesù ha amato l’uomo e il cuore rappresenta il simbolo dell’amore ma non di un amore qualsiasi. Si chiude con il pontificato precedente, ora si continua questo viaggio, con Papa Leone XIV.
L’amore donato da Dio deve essere donato a nostra volta a chi ne ha più bisogno. Ai poveri, ai migranti, ai malati, ai prigionieri, citando il brano di Mt.25 quale bussola d’orientamento… una fede senza le opere è morta, ribadisce il Papa… così come, le opere senza questo amor divino, non conducono a buoni frutti..
Dice infatti il Papa:
46. Questa prospettiva cristocentrica e profondamente ecclesiale porta a sostenere che le offerte, quando nascono dall’amore, non solo alleviano i bisogni del fratello, ma purificano anche il cuore di chi dona, se disposto a cambiare: «L’elemosina infatti serve a cancellare i peccati della vita passata se uno muta vita». È, per così dire, la via ordinaria alla conversione per chi vuole seguire Cristo con cuore indiviso.
47. In una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura. Oggi la fedeltà agli insegnamenti di Agostino esige non solo lo studio delle sue opere, ma la prontezza a vivere radicalmente il suo invito alla conversione, che include necessariamente il servizio della carità.
67. Gli Ordini mendicanti furono quindi una risposta viva all’esclusione e all’indifferenza. Non proposero espressamente riforme sociali, ma una conversione personale e comunitaria alla logica del Regno. Per loro la povertà non era una conseguenza della scarsità di beni, ma una libera scelta: farsi piccoli per accogliere i piccoli.
69… La Salle vedeva nell’aula uno spazio di promozione umana, ma anche di conversione. Nei suoi collegi si univano preghiera, metodo, disciplina e condivisione. Ogni bambino era considerato un dono unico di Dio e l’atto dell’insegnamento un servizio al Regno di Dio.
98… Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili, la conversione spirituale, l’intensità dell’amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un’efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell’oppresso…
Offriamo a seguire cinque riflessioni di Don Mario Proietti cpps, sulla prima Esortazione di Papa Leone XIV. Prima proponiamo però una riflessione del professor de Mattei.
– COLLEGAMENTO AL TESTO UFFICIALE
Dilexi te: la prima esortazione di Leone XIV
di Roberto de Mattei QUI CON L’AUDIO
La prima esortazione apostolica di Leone XIV, Dilexi te (“Ti ho amato”), firmata il 4 ottobre 2025 e resa pubblica il 9 ottobre, merita la nostra attenzione più di alcune interviste del Papa, alle quali talvolta viene data un’eccessiva rilevanza mediatica. Ci troviamo di fronte non a poche parole, ma ad un ampio documento che conta 121 paragrafi e si sviluppa in cinque capitoli più un’introduzione. Come è stato notato, non è un’enciclica sociale, ma un’esortazione apostolica. L’enciclica è un documento dottrinale, l’esortazione apostolica è un documento pastorale, che non definisce dei principi, ma ci esorta a un comportamento.
Papa Leone chiarisce che Dilexi te nasce da un progetto già avviato da Papa Francesco, che egli ha fatto suo, aggiungendo riflessioni personali. Tuttavia, se il tema della povertà è “bergogliano”, l’approccio non è il medesimo. Papa Francesco, sembrava spingere verso un impegno politico e sociale attivo, mentre Leone XIV, si richiama ad un impegno morale e caritativo. Francesco attribuiva un ruolo predominante ai movimenti, come artefici di giustizia sociale, Leone accenna ai movimenti in maniera generica e subordinata e tra i due poli della giustizia e della carità, attorno a cui si è svolto il dibattito sulla questione sociale dell’ultimo secolo, sembra attribuire un ruolo primario alla carità.
Il riferimento a sant’ Agostino nel n. 47, quando dice che “in una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura”, rivela l’intenzione del Papa di ricondurre la carità al suo fondamento teologico e spirituale.
L’espressione “opzione preferenziale da parte di Dio per i poveri”, precisa il Papa “non indica mai un esclusivismo o una discriminazione verso altri gruppi, che in Dio sarebbero impossibili” (n. 16). La povertà non è per lui una categoria sociale e tanto meno rivoluzionaria, ma piuttosto la condizione umana di chi, nella società, è debole, fragile, talvolta emarginato o perseguitato.
“Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo. Allo stesso tempo, dovremmo parlare forse più correttamente dei numerosi volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno variegato; infatti, esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà” (n. 9).
I numerosi esempi che cita il Papa rivelano l’ampiezza della categoria dei poveri a cui si riferisce, che include, non solo malati, sofferenti, perseguitati, ma anche coloro che sono bisognosi di parole di istruzione e di verità. “Tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, quando molti cristiani erano catturati nel Mediterraneo o ridotti in schiavitù nelle guerre, sorsero due Ordini religiosi: l’Ordine della Santissima Trinità per la Redenzione degli Schiavi (Trinitari), fondato da San Giovanni de Matha e San Felice di Valois, e l’Ordine della Beata Vergine Maria della Mercede (Mercedari), fondato da San Pietro Nolasco con l’appoggio di San Raimondo di Peñafort, domenicano. Queste comunità di consacrati sono nate con il carisma specifico di liberare i cristiani fatti schiavi, mettendo a loro disposizione i propri beni e, spesso, offrendo in cambio la propria vita” (n. 60).
“Nel XVI secolo san Giovanni di Dio fondando l’Ordine Ospedaliero che porta il suo nome, creò ospedali-modello che accoglievano tutti, indipendentemente dalla condizione sociale o economica. La sua celebre espressione “Fate del bene, fratelli miei!” divenne un motto per la carità attiva verso i malati. Contemporaneamente, san Camillo de Lellis fondò l’Ordine dei Ministri degli Infermi – i Camilliani – facendo sua la missione di servire i malati con totale dedizione” (n. 50).
Il Papa ricorda ancora le Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli, le Suore Ospedaliere, le Piccole Suore della Divina Provvidenza e molte altre congregazioni femminili, che “sono diventate una presenza materna e discreta negli ospedali, nelle case di cura e nelle case di riposo” (n. 51).
Nel XIX secolo, san Marcellino Champagnat fondò l’Istituto dei Fratelli Maristi delle Scuole, “sensibile ai bisogni spirituali ed educativi del suo tempo, soprattutto all’ignoranza religiosa e alle situazioni di abbandono vissute in particolare dai giovani”. “Con lo stesso spirito, in Italia san Giovanni Bosco iniziò la grande opera Salesiana, basata sui tre principi del ‘metodo preventivo’ – ragione, religione e amorevolezza” (n. 70). “Nel XIX secolo, quando milioni di Europei emigravano in cerca di migliori condizioni di vita, due grandi santi si distinsero nella cura pastorale dei migranti: San Giovanni Battista Scalabrini e santa Francesca Cabrini” (n. 74).
Papa Leone raccomanda infine le “opere di misericordia” (n. 27) e soprattutto un precetto cristiano dimenticato, l’elemosina, perché, afferma, “L’amore e le convinzioni più profonde vanno alimentate, e lo si fa con gesti”; “In ogni caso, l’elemosina, anche se piccola, infonde pietas in una vita sociale in cui tutti si preoccupano del proprio interesse personale. Dice il Libro dei Proverbi: «Chi è generoso sarà benedetto, perché egli dona del suo pane al povero» (Pr 22,9)” (n. 116).
L’esortazione Dilexi te di Leone XIV ribadisce dunque l’insegnamento della Chiesa sulla carità verso il nostro prossimo. “La cura dei poveri – dice il Papa – fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo” (n. 103). “Quella carità cristiana – potremmo concludere con le parole del suo grande predecessore Leone XIII – che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo” (Rerum Novarum, n. 45).
DILEXI TE: LA CONTINUITÀ CHE CORREGGE. LEONE XIV E LA LIBERAZIONE TEOLOGICA DEL POVERO DAL SOCIOLOGISMO ECCLESIALE – di Don Mario Proietti
L’esortazione apostolica Dilexi te di Papa Leone XIV, pubblicata oggi, rappresenta il primo atto magisteriale del nuovo Pontefice e segna un momento di svolta nella direzione teologica del suo pontificato. Il testo, nato da un progetto già avviato da Papa Francesco e pensato come naturale prosecuzione dell’enciclica Dilexit nos, ha suscitato molte interpretazioni e un vivace interesse. Alcuni osservatori, ancor prima di leggerlo, hanno ipotizzato una continuità vincolante e una “contaminazione” linguistica che avrebbe potuto legare Leone XIV all’impianto teologico e pastorale del predecessore. La lettura del documento mostra invece una linea limpida e coerente: Dilexi te è una continuità che illumina, una restituzione teologica dell’amore per i poveri al suo senso originario e cristologico.
Fin dall’introduzione, il Papa dichiara di aver ricevuto come in eredità il progetto di Francesco, aggiungendovi proprie riflessioni e proponendolo come primo atto del pontificato. L’espressione “averlo fatto proprio” indica un discernimento autentico. Il testo si apre con le parole dell’Apocalisse: “Ti ho amato” (Ap 3,9). In questa frase si condensa l’intero programma del documento: riportare la povertà, la debolezza e la sofferenza dentro la prospettiva dell’amore divino, che è mistero di redenzione e non semplice compassione sociologica.
Nel passaggio da Dilexit nos a Dilexi te si percepisce un cambiamento di linguaggio e di respiro. I termini tecnici e pastorali lasciano spazio a un lessico teologico e contemplativo. Il cuore dell’esortazione si concentra sul “mistero del Cuore di Cristo”. L’amore per i poveri diventa il luogo in cui Dio si manifesta, segno della sua presenza nel mondo e via di santificazione per la Chiesa. Leone XIV afferma con chiarezza: “Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione”. In queste parole si riflette la vera correzione spirituale: la povertà è mistero da accogliere, luogo dove il Signore parla e si dona.
L’esortazione invita a riscoprire la teologia della povertà come partecipazione al cammino del Cristo. L’opzione preferenziale per i poveri viene accolta e ripensata in chiave teologica. Il Papa afferma che essa “non indica mai un esclusivismo o una discriminazione verso altri gruppi, che in Dio sarebbero impossibili”, restituendole la limpidezza del suo significato originario. È la scelta del Cuore di Dio che si muove verso la fragilità dell’uomo e ne rivela la dignità. La povertà, da concetto sociologico, diventa linguaggio teologico. Il povero è il luogo in cui Dio si manifesta e il volto attraverso il quale la Chiesa contempla Cristo crocifisso.
La visione di Dilexi te si fonda sull’invito a riconoscere nel volto del povero la presenza di Gesù che salva. Il testo propone un cammino di santità: “Nel richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo”. La povertà è via di comunione, sorgente di trasfigurazione, rivelazione della misericordia del Padre. La Chiesa che cammina con i poveri diventa Chiesa delle Beatitudini, testimone dell’amore che redime.
Leone XIV, attingendo alla Scrittura e alla tradizione dei santi, ridà voce a una verità antica: la Chiesa è povera non per scelta ideologica, ma perché partecipa alla povertà del suo Signore. Il Papa afferma che “la Chiesa, se vuole essere di Cristo, dev’essere Chiesa delle Beatitudini, Chiesa che fa spazio ai piccoli e cammina povera con i poveri”. È la visione di una Chiesa libera dal potere e dalla retorica, che riconosce nei poveri i suoi maestri e nei deboli i custodi del Vangelo. La povertà evangelica diventa principio vitale e forma della carità.
Con Dilexi te, Leone XIV compie un atto di fedeltà al Vangelo e di continuità nella verità. Assume un testo nato in contesto pastorale e lo eleva a meditazione teologica sull’amore del Cristo povero. Riporta la povertà dal linguaggio delle ideologie a quello della grazia. È un ritorno alle origini, un rinnovamento spirituale che restituisce alla parola “povero” il suo senso cristiano più puro: il fratello nel quale Cristo rinnova il mistero del suo amore redentore. Da qui prende avvio una stagione nuova del pontificato, segnata da una restaurazione interiore che restituisce al Vangelo il suo respiro divino e alla Chiesa la sua forma di carità.
L’uscita dell’esortazione apostolica Dilexit te di Papa Leone XIV ha suscitato letture immediate e opposte. Alcuni ambienti, in particolare quelli più critici verso il pontificato di Francesco, hanno sostenuto che il nuovo documento sarebbe “totalmente bergogliano”, quasi una prosecuzione imposta, con poche correzioni marginali. È una lettura affrettata e ingiusta, che scambia la continuità del linguaggio con la continuità della prospettiva, e ignora la trasformazione teologica che attraversa il testo.
Papa Leone XIV non ha scritto un seguito di Dilexit nos, ha compiuto un atto di purificazione dottrinale e spirituale. Ha accolto un testo nato nel solco del pontificato precedente, ma lo ha trasfigurato, spostandone il baricentro dal piano sociologico a quello cristologico. In Dilexit te la povertà non è un tema economico né una categoria sociale: è una dimensione della rivelazione, un linguaggio di Dio.
Chi legge l’esortazione senza pregiudizio nota subito il cambio di tono. Le espressioni tipiche di Papa Francesco, “una Chiesa povera per i poveri”, “la misericordia come stile di Dio”, vengono integrate in un contesto di alta teologia spirituale. Il Papa scrive: «Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione». In questa sola frase è racchiusa la chiave interpretativa di tutto il documento. La povertà diventa il luogo in cui Dio si manifesta, non l’occasione per una riforma sociale.
Alcuni commentatori hanno ipotizzato che l’esortazione fosse stata redatta da altri e solo “revisionata” da Leone XIV. È una tesi smentita dalla struttura del testo. Dalla metà in poi, l’impronta del Pontefice è evidente: il linguaggio assume una profondità mistica che nessun redattore esterno avrebbe potuto conferire. Le immagini del Cuore di Cristo, della Chiesa delle Beatitudini, del povero come sacramento della presenza divina appartengono alla spiritualità personale di Leone XIV e segnano una svolta netta rispetto all’impostazione pastorale precedente.
Non c’è alcun “assist alla teologia della liberazione”, come pure è stato detto. Anzi, Dilexit te è la risposta teologica a quella deriva, poiché sottrae la povertà alla dialettica delle ideologie e la restituisce al mistero della redenzione. La povertà non è un problema da risolvere, è una rivelazione da contemplare. L’uomo povero non è un oggetto di intervento, è un segno della presenza di Dio.
Anche il riferimento ad Agostino nel n.47, «In una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura», svela l’intenzione più profonda del Papa: riportare la carità al suo fondamento teologico, cioè alla conversione del cuore. L’esortazione non parla di riforme, parla, invece, di trasformazioni interiori. La vera Chiesa dei poveri è la Chiesa che si converte, si spoglia e serve.
Leone XIV, con questo documento, non rinnega il cammino di Francesco, ma lo porta a compimento. Se Francesco aveva messo l’accento sulla prossimità, Leone ne mostra il fondamento: la partecipazione al Cuore di Cristo. È la stessa direzione, ma elevata al livello della teologia mistica.
Chi legge l’Esortazione con la lente del sospetto politico non troverà che ombre; chi la legge nella luce del Vangelo scoprirà invece una continuità che redime. Papa Leone XIV non cancella, compie. E proprio per questo, la sua prima esortazione è già un manifesto del suo pontificato: una Chiesa che non parla di sociologia, strategie e programmi, piuttosto si sofferma sulla salvezza, sulla grazia e, cosa importante, su Cristo che ama e salva.
– https://www.facebook.com/don.Mario.cpps
– COLLEGAMENTO AL TESTO UFFICIALE
BREVE PRESENTAZIONE DEL TESTO:
Intervento dell’Em.mo Card. Michael Czerny S.J
1. Il volto dei poveri come epifania del Regno di Dio (8-12)
Nella guarigione delle ferite, siano esse fisiche, sociali o spirituali, la Chiesa proclama che il Regno di Dio abbracci i vulnerabili. In ogni atto di cura, come la visita ai malati (Mt 25,36), la comunità cristiana sperimenta la salvezza come relazione concreta con coloro che portano i segni della Croce nella loro carne. La povertà, un enorme problema sociale, è anche un tema teologico: attraverso i poveri, Dio parla alla Chiesa («Dilexi te, ti ho amato»[1]) la fede diventa reale nella misericordia e nel servizio che abbattono le barriere ed il popolo di Dio sperimenta la beatitudine dei «poveri in spirito»[2]
2. Dalle strutture del peccato alla conversione delle strutture sociali (90-98)
Il recente insegnamento della Chiesa comprende chela povertà deriva dalle strutture del peccato. L’egoismo e l’indifferenza si consolidano nei sistemi economici e culturali. L’“economia che uccide”[3]misura il valore umano in termini di produttività, consumo e profitto. Questa «mentalità dominante» rende accettabile lo scarto dei deboli e degli improduttivi, e merita quindi l’etichetta di «peccato sociale». Al di là delle donazioni e di altre forme di assistenza, la risposta della Chiesa denuncia la falsa imparzialità del mercato, propone modelli di sviluppo, promuove la giustizia, mira alla conversione delle strutture. Ciò favorisce una forma di pentimento sociale che restituisce dignità agli invisibili e li aiuta a svilupparsi più pienamente.
3. La povertà come soggettività attiva e principio di evangelizzazione (99-102)
San Giovanni Paolo II esortava i poveri a diventare protagonisti della trasformazione ecclesiale e sociale. I movimenti popolari (80-81)con la loro «energia morale»[4]dimostrano che la giustizia nasce dall’inclusione degli esclusi. Oltre a soffrire privazioni, i poveri possono essere «portatori di speranza» e «costruttori di un destino comune»[5]. La Chiesa li assista, si lasci evangelizzare da loro, riconosca lo Spirito all’opera in loro e proclami insieme il Vangelo.
4. Educazione, Eucaristia e servizio: promuovere lo sviluppo integrale (68-72, 108-114)
La promozione dello sviluppo umano integrale, secondo la dottrina sociale della Chiesa, intreccia educazione, Eucaristia e servizio.
·L’educazione è il primo atto di giustizia, perché libera le persone dalla povertà spirituale e le prepara alla responsabilità sociale.
·L’Eucaristia riunisce persone diverse, nutre la comunità e la orienta alla carità e alla solidarietà.
·Il servizio è amore sociale in forma concreta: cura dei poveri e della nostra casa comune.
Così, la Chiesa offre misericordia al mondo, promuovendo una civiltà in cui ogni persona è riconosciuta come immagine di Dio.
5. La carità genera pace e fraternità universale (108-114)
In Dilexi te, Papa Leone si unisce a Papa Francesco nel dichiarare: non ci sarà pace finché i poveri ed il pianeta saranno trascurati e maltrattati. La pace cristiana è giustizia riconciliatrice e riconciliata. I poveri, diceva Madre Teresa, «non hanno bisogno della nostra pietà, ma del nostro amore rispettoso»[6]. Trattarli con dignità è il primo atto di pace. Solo una società che pone al centro gli emarginati può essere veramente pacifica, e solo un mondo composto da società di questo tipo può essere in pace.
_______________________
[1]Rivolto a Filadelfia, una comunità cristiana povera e impotente, insignificante ma fedele, trattata invece con violenza e disprezzo: «Hai poca forza… e loro si renderanno conto che ti ho amato» (Apocalisse 3,8-9).
[2]Matteo 5,3.
[3]Evangelii Gaudium, 92-93.
[4]Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari, 28 ottobre 2014.
[5]Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari, 28 ottobre 2014.
[6] Dilexi te, 77.
Prendere seriamente l’amore di Cristo … a partire dagli ultimi
Il punto di partenza di Dilexit te è l’amore di Dio per una comunità debole, “esposta alla violenza e al disprezzo” (1). Il Santo Padre ricorda che al di là delle definizioni di povertà, “i poveri non sono lì per caso né per un destino cieco e amaro” (14). Sono le “strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme” (90-98). La nostra attenzione deve andare a queste persone “più deboli, più miserabili e più sofferenti” (2) e, in particolare, alle donne, che a volte sono “doppiamente povere” (12). Non si tratta solo di combattere le cause strutturali della povertà, ma anche di raggiungere concretamente coloro che sono spesso lontani dalla nostra attenzione, per vivere “con loro e come loro” (101).
Dobbiamo essere realisti: “Ci sentiamo più a nostro agio senza i poveri” (114). Essi sconvolgono le nostre abitudini, ci mettono di fronte a dei limiti umani che preferiamo ignorare. Il Papa ci invita a cambiare prospettiva. I poveri non sono soltanto un problema. Essi “sono una ‘questione di famiglia’, sono ‘dei nostri’ ” (104), “fratelli e sorelle da accogliere” (56) perché Dio stesso li sceglie per primo. “È a loro anzitutto che si rivolge la parola di speranza e di liberazione del Signore” (21). Questa scelta privilegiata di Dio può metterci a disagio. Preferiremmo un Dio imparziale. Certo, la salvezza è per tutti ma non ci giunge al di fuori di relazioni concrete (52). Laddove la nostra logica mondana si costruisce a partire dai forti e rifiuta chi non può parteciparvi, la logica di Dio parte dagli esclusi, dalla “pietra scartata” (Sal 117,22) per realizzare il suo Regno.
L’impegno per i poveri non è dunque solo una conseguenza della nostra fede. È un’epifania, “un atto quasi liturgico” (61) poiché “non si può separare il culto di Dio dall’attenzione ai poveri” (40). “In questo appello a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti, si rivela il cuore stesso di Cristo” (3). “L’amore per i poveri (…) è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio” (103) e una comunità che pretendesse di “restare in silenzio senza preoccuparsi in maniera creativa” dei poveri è destinata a perdere il proprio vigore evangelico (113).
Dilexi te ricorda la necessità di impegnarsi per i poveri, di donare ai poveri, soprattutto attraverso l’elemosina (115-119). Ma insiste affinché impariamo ad agire con loro. L’accelerazione dei problemi contemporanei “non è stata solo subita, ma anche affrontata e pensata dai poveri” (82). Dobbiamo insistere su questo termine: i poveri hanno un pensiero. Vale a dire, possono essere attori e non solo “oggetti della nostra compassione” (79) o delle nostre politiche, possono aiutarci ad analizzare i problemi e soprattutto sono portatori di soluzioni reali. Muoverci per comprenderli a partire da loro è quindi una necessità perché “la realtà si vede meglio dai margini e i poveri sono dotati di un’intelligenza particolare, indispensabile alla Chiesa e all’umanità” (82). Imparare da questa intelligenza ci permette di percepire meglio la logica mondana che opera nella società e nella Chiesa. È a partire da questa intelligenza che Dilexi te denuncia una politica o un’economia dominate da una “minoranza felice” (92) che monopolizza la ricchezza e impone “sacrifici al popolo per raggiungere determinati obiettivi che riguardano i potenti” (93).
In sintesi, Dilexi te articola una teologia della rivelazione che scaturisce dalla misericordia verso i più poveri, da un’ecclesiologia della diaconia come criterio di verità e da un’etica sociale che si unisce, con la mano tesa, alla lotta per la giustizia. Le ultime parole sono programmatiche di una Chiesa “che non pone limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere ma solo uomini e donne da amare” (120). Ogni persona indigente dovrebbe poter sentire queste parole per lei: “Io ti ho amato”. Questa è la promessa e la nostra bussola per seguire ed “imitare il Cristo povero, nudo e disprezzato” (64), per costruire una società e una Chiesa dove “nessuno si senta abbandonato” (21).
P. Frédéric-Marie Le Méhauté

AGGIORNAMENTO: molto interessante il commento di Andrea Gagliarducci dal suo Blog 😉
Dilexi Te: cinque punti di forza, cinque punti di debolezza nella prima esortazione di Leone XIV
Come era già successo per Papa Francesco, il primo documento di Leone XIV non è un documento completamente suo, ma piuttosto un documento che gli ha lasciato in eredità il suo predecessore. Eppure, a differenza della Lumen Fidei, l’enciclica impostata da Benedetto XVI cui Francesco aveva apposto qualche tocco di stile personale, nella Dilexi Te si possono già leggere alcune caratteristiche del pontificato attuale. Non tanto nello stile, che resta tipicamente quello di Papa Francesco, quanto piuttosto nelle citazioni e nei riferimenti.Ovviamente, è difficile dare un giudizio globale su Leone XIV da un documento che ha ereditato e che ha portato avanti nonostante tutto. È, in effetti, cosa solo degli ultimi pontificati. Sappiamo che Pio XI aveva cominciato dei documenti sul nazismo e sul fascismo, che però non furono portati a termine da Pio XII. Siamo abituati a considerare un pontificato chiuso nel momento della morte del predecessore. Ora, invece, con gli ultimi due Papi ci siamo trovati di fronte ad una sorta di pontificato permanente, che si mantiene oltre il predecessore.
Era facile succedesse nella transizione tra Benedetto XVI e Francesco, perché Benedetto XVI era presente e vivo, perché anche lo stesso Francesco aveva voluto che fosse parte della vita della Chiesa e non gli aveva mai negato la possibilità di parlare in pubblico, e perché il lavoro e gli scritti di Joseph Ratzinger andavano ben oltre il pontificato ed erano patrimonio di una riflessione universale.
Leone XIV, con una scelta che appare più di governo che di affezione personale, ha deciso di mantenere una linea di continuità con Papa Francesco. Non ha mancato di dare il proprio indirizzo alle questioni di gestione – mentre viene pubblica l’esortazione apostolica sui poveri, viene resa nota anche l’abrogazione di una norma di Papa Francesco che imponeva di fare tutti gli investimenti solo nello IOR – ma allo stesso tempo ha sempre accettato di buon grado i discorsi in cui Papa Francesco veniva citato e ricordato, e lo fa anche decidendo di andare avanti con questa esortazione, che sembra essere una sorta di spin off della Dilexit Nos, l’ultima enciclica di Papa Francesco che pure sembrava essere davvero una esortazione.
Cosa dunque dobbiamo comprendere dalla Dilexi Tu? Ecco cinque punti che secondo me sono interessanti, e sui quali varrebbe la pena di operare una riflessione più complessa di queste poche righe. E poi, cinque punti che mi sarebbe piaciuto vedere sviluppare, e che forse Leone XIV svilupperà nel prossimo futuro.
- L’attenzione per i padri della Chiesa e i santi. Gran parte dell’esortazione rappresenta una sorta di piccolo manuale di storia della Chiesa, e soprattutto di storia degli ordini religiosi. Degli ordini religiosi si individuano cause profonde, missione nella società, operato. Per Leone XIV, tutto serve a dimostrare che la Chiesa è sempre stata attenta ai poveri, e che anzi il magistero dei poveri è sempre stato al centro della storia della Chiesa e dell’operato delle società. È una attenzione alla storia necessaria, perché nella Chiesa tutto è continuità, tutto viene da una storia comune.
- La questione della Dottrina Sociale. Leone XIV fa riferimento al secolo della dottrina sociale, ed è un grande tema di cui si parla probabilmente sempre troppo poco. Recentemente, è stato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in un incontro con il Movimento Cristiano Lavoratori, a dire che la dottrina sociale aveva perso attrattiva e che la colpa era proprio delle associazioni cristiane. La questione della Dottrina Sociale va rimessa al centro della discussione della Chiesa. In questi ultimi anni, ci si è spesso concentrati sulle conseguenze e le cause, ma poco sulla riflessione alla radice di come affrontare quei problemi. La Dottrina Sociale è riflessione alla radice, e non riguarda solo l’accoglienza e la promozione delle categorie bibliche del “povero, l’orfano e la vedova”.
- La dialettica di Papa Francesco. È interessante notare come ci siano diverse espressioni che sono parte della particolare dialettica di Papa Francesco. Come quando l’esortazione punta il dito sull’educazione delle élite, che non può in alcun modo sostituire l’attenzione per i poveri, o come quando si prende dell’istruzione sulla Teologia della Liberazione, proprio quel passaggio in cui si notava che i “difensori dell’ortodossia” erano accusati di non prendersi cura dell’altro. In questi passaggi, e nel modo in cui vengono trattati, credo che l’esortazione perda un po’ della sua forza, perché contiene i limiti del pontificato precedente, che non vengono negati, né messi da parte.
- La dialettica di Benedetto XVI. Allo stesso tempo, nell’esortazione si trova uno straordinario riconoscimento del carisma di Benedetto XVI. Spesso si è scritto, detto, pensato che la teologia di Benedetto XVI fosse solo teologia disincarnata. Non è così, e lo certifica proprio la Dilexi Tu. Quando, ad esempio, nota che il modo in cui Benedetto XVI guarda alla questione sociale nell’enciclica Caritas in Veritate è prettamente politico, al punto da chiedere proprio una riforma dell’ordine mondiale. E come quando si prende, appunto, l’esempio dell’Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede sulla Teologia della Liberazione, perché fu il cardinale Joseph Ratzinger ad affrontare la questione, e a definire con precisione le problematiche, ma anche le sfide e le opportunità, sollevate dalla teologia della Liberazione.
- La ricerca di una sintesi. Leone XIV fa chiaramente riferimento alla sua esperienza di missionario in Perù, al documento di Aparecida licenziato dall’episcopato latino-americano nel 2007 che è stato tra l’altro una sorta di stella polare per Papa Francesco, alla lotta necessaria alle strutture di peccato, e anche al buon lavoro dei movimenti popolari. C’è, in questo, una ricerca di sintesi tra le situazioni vissute proprio in America Latina, che hanno portato la Chiesa a reagire in un certo modo, e a sviluppare una certa teologia, e il mondo occidentale, che nel tempo ha cercato una libertas ecclesiae fatta non sul coinvolgimento politico, ma sulla volontà di essere super partes. Con Francesco, c’era stato una sorta di impianto della problematica latino-americana su un mondo che era nato e sviluppato in occidente e che risentiva di una storia lunghissima. Era scontato ci fosse anche qualche crisi di rigetto. Oggi, sembra si cerchi di mantenere l’afflato latino-americano, ma anche di includerlo in una cornice più ampia.
Allo stesso tempo, credo ci sia qualcosa che manchi nell’esortazione, ed è probabilmente anche frutto del problema e della necessità di lavorare su un impianto già esistente, senza volerlo tradire fino in fondo.
- Il passaggio dalla storia minuta alla visione globale. Buona parte dell’esortazione passa in rassegna tutto il lavoro fatto dalla Chiesa per i poveri, in varissimi campi che non contano solo l’indigenza, ma anche la tratta di esseri umani, le schiavitù di ieri e di oggi, la cura dei malati. Eppure, sembra mancare la visione globale, la spiegazione del perché la Chiesa fa tutto questo. La Chiesa fa tutto questo perché, nel momento in cui Gesù si incarna, dimostra che abbiamo un padre comune, e che dunque la fraternità è un fatto concreto. Gesù si fa povero tra i poveri, e questo lo spiega bene l’esortazione, ma manca secondo me la visione globale, che punta non solo ai padri della Chiesa, ma proprio alle radici della cristianità.
- La liturgia dei poveri. Questo porta ad un’altra questione, ancora più radicata. La tradizione della Chiesa, anche in ambito liturgico, non è mera nostalgia. Se tutto parte dalla visione radicale di Gesù Cristo e della sua incarnazione, allora gesti, parole ed opere, proprio a partire dalla liturgia, vanno a cercare di replicare quelli che sono più vicini al tempo in cui Gesù e gli apostoli avevano operato. Questo si è riverberato anche nel più antico dei linguaggi pontifici, ovvero le liturgie papali. Per fare un esempio, Giovanni XXIII andò a recuperare il succintorio, l’antico paramento liturgico che mostrava il Papa come Padre dei poveri, e che si usava in alcune celebrazioni. Ma ci sono tantissimi esempi, a partire dal diacono Lorenzo e dalla strutturazione delle diaconie papali, che mancano in questa esortazione. Personalmente, ho esplorato questi linguaggi pontifici della carità del Papa con monsignor Stefano Sanchirico, nel libro chiamato appunto La Carità del Papa, secondo di una trilogia dedicato ai linguaggi pontifici.
- La storia della Chiesa. Nell’esortazione, si parla di come anche le città, le organizzazioni, le istituzioni debbano riflettere il bello, debbano essere fatte per le persone. Ed è verissimo. A me sarebbe piaciuto che si mostrasse anche il bene operato dalla Chiesa in questo senso. Guardate Bologna, Perugia, e tutte le città che si erano sviluppate nei territori degli Stati Pontifici. Osservatene l’organizzazione, godete la loro bellezza. Era un esempio di come la Chiesa non solo avesse cura dei poveri, ma di come attraverso il bello e il vero cercasse di dare a tutti una possibilità di sviluppo.
- Lo sviluppo umano integrale. Il tema dello sviluppo umano integrale riguarda particolarmente la questione della Dottrina Sociale della Chiesa. A me sarebbe piaciuto che questa esortazione mostrasse anche l’impegno della Chiesa in campo diplomatico sul tema dello sviluppo umano integrale. Si citano le Nazioni Unite, e l’obiettivo di sradicare la povertà, ma non si cita il grande lavoro della Santa Sede nell’inserire le questioni dello sviluppo umano integrale in tutti i documenti.
- La povertà intellettuale. C’è una povertà che non viene menzionata, e che forse è cruciale, che riguarda proprio la povertà intellettuale. Questa povertà è stata sempre combattuta dalla Chiesa, che infatti ha costruito scuole – e questo lavoro di educazione viene citato – oltre agli ospedali. Ma la povertà intellettuale riguarda anche l’incapacità di guardare alla storia con lucidità, di andare oltre le ideologie, di costruire una vera civiltà dell’amore. La povertà intellettuale è quella, in sostanza, che permette ai poteri del mondo di disporre dei popoli, di costruire narrazioni di conflitto e convincere alla guerra. E forse, guardando questo, un’esortazione sui poveri poteva anche diventare un’esortazione sulla pace.
Non credo che la Dilexi Te rappresenti fino in fondo Leone XIV. La vedo più come un’esortazione di transizione. È un Papa che sta cominciando ora a cercare il suo linguaggio da Papa. È un processo normale. Questi sono dieci punti di discussione da cui, secondo me, vale la pena di partire.
Tra l’altro, l’esortazione dà un’idea di sinodalità precisa, e quella sì che si rifà alla tradizione della Chiesa, perché la Chiesa, in fondo, è sempre stata sinodale, e lo dimostrano innumerevoli opere laiche che nascono dal basso e che vengono poi istituzionalizzate, come le Pontificie Opere Missionarie. In conclusione, vale la pena, allora, citare l’intero passaggio cui mi sto riferendo, perché sarà probabilmente quello centrale da cui partire.
- L’accelerazione delle trasformazioni tecnologiche e sociali degli ultimi due secoli, piena di tragiche contraddizioni, non è stata solo subita, ma anche affrontata e pensata dai poveri. I movimenti dei lavoratori, delle donne, dei giovani, così come la lotta contro le discriminazioni razziali hanno comportato una nuova coscienza della dignità di chi è ai margini. Anche il contributo della Dottrina Sociale della Chiesa ha in sé questa radice popolare da non dimenticare: sarebbe inimmaginabile la sua rilettura della Rivelazione cristiana entro le moderne circostanze sociali, lavorative, economiche e culturali senza i laici cristiani alle prese con le sfide del loro tempo. Al loro fianco operarono religiose e religiosi testimoni di una Chiesa in uscita dalle vie già percorse. Il cambiamento d’epoca che stiamo affrontando rende oggi ancora più necessaria la continua interazione tra battezzati e Magistero, tra cittadini ed esperti, tra popolo e istituzioni. In particolare, va nuovamente riconosciuto che la realtà si vede meglio dai margini e che i poveri sono soggetti di una specifica intelligenza, indispensabile alla Chiesa e all’umanità.
