Prima di invitarvi a leggere la Lettera Apostolica di Papa Leone XIV, suggeriamo e consigliamo la seguente riflessione dalla pagina di Don Mario Proietti che condividiamo… e che ci aiuterà a capire come leggerla.
DISEGNARE NUOVE MAPPE: LA SAPIENZA DI LEONE XIV E LE PAROLE CHE RISCHIANO DI CONFONDERE
Cari amici, ho finito di leggere la prima lettera apostolica di Papa Leone e vorrei condividere con voi alcune mie riflessioni. Innanzitutto ci troviamo per la prima volta dinanzi ad un testo puro, non sottoposto a influenza del predecessore. È un testo, dunque, dove emerge il vero pensiero del papa regnante. Che sia cambiato il tono di porsi, lo si evince subito, perché questa Lettera apostolica merita di essere letta senza pregiudizi e senza fretta. Non ci sono slogan che attirano l’attenzione, piuttosto ci potrebbero essere diverse reazioni in contrasto tra loro.
Frasi come “l’educazione è incontro con la verità che precede e fonda ogni libertà” non lasceranno indifferenti. I progressisti lo giudicheranno un ritorno al passato, i tradizionalisti lo leggeranno come una rivincita. Ma entrambi si sbagliano. Leone XIV non parla per vincere una parte, parla per ricomporre la Chiesa nella verità. Il suo linguaggio non è nostalgico né militante: è teologico. Rifiuta tanto il sentimentalismo quanto l’irrigidimento.
La Lettera nasce per celebrare il sessantesimo anniversario della dichiarazione conciliare Gravissimum educationis. Non è un gesto di routine, ma un atto di fedeltà. Il Papa non aggiorna il testo all’infinito, lo riporta alla sorgente: l’educazione come partecipazione alla verità di Cristo. In questo senso Disegnare nuove mappe non corregge il Concilio, lo compie. Non si tratta di “restaurazione”, ma di maturità. Dopo anni di interpretazioni sociologiche, Leone XIV restituisce al pensiero educativo la sua radice teologica, dove la fede illumina la ragione e la verità diventa via di comunione.
Tra i passaggi più forti c’è la denuncia del “pericolo illuminista di una fides che fa pendant esclusivamente con la ratio”. È la critica al pensiero che concede alla fede un posto decorativo ma non fondativo. Il Papa smaschera questa illusione: la fede non accompagna la ragione, la redime; la libera dalla presunzione di bastare a sé stessa. È una lezione tomista, nitida e coraggiosa: l’educazione cristiana non nasce dal compromesso, ma dalla verità che salva.
Resta, tuttavia, una parola fragile: inclusione. L’intenzione del Papa è del tutto ortodossa e cristocentrica. Quando Leone XIV parla di inclusione, intende la comunione che la verità genera, l’abbraccio della carità che non esclude nessuno dal cammino verso Dio. Nel linguaggio contemporaneo, però, la parola è diventata equivoca: significa spesso accogliere tutto, sospendere ogni giudizio, annullare le differenze. In questo senso, il termine rischia di tradire il contenuto, perché può essere letto in chiave sociologica o ideologica, e non teologica.
Qui si apre il vero nodo: l’intenzione è ortodossa, ma il linguaggio resta vulnerabile perché si serve di una parola ormai compromessa nel discorso pubblico. Il magistero di Leone XIV va letto alla luce della sua antropologia: la persona è chiamata alla verità, non alla dispersione. L’inclusione, allora, è partecipazione ordinata a un bene superiore, non accostamento casuale di differenze. L’educazione inclusiva, in senso proprio, è una educazione cattolica: universale perché ancorata al vero.
Per un approccio ermeneutico chiaro, conviene leggere i passi più esposti del testo con la loro chiave teologica implicita. Quando il Papa scrive: “La scuola cattolica è chiamata a essere luogo di incontro e di inclusione, dove ogni persona trova riconoscimento e spazio,” il significato corretto è: “La scuola cattolica è chiamata a essere luogo di comunione, dove ogni persona, riconosciuta nella sua dignità, è introdotta alla verità che unifica e illumina ogni diversità.” E dove leggiamo: “L’educazione inclusiva costruisce ponti tra le differenze,” la retta interpretazione è: “L’educazione costruisce ponti nella verità di Cristo, che accoglie le differenze riconducendole all’unità della carità.”
Solo così la parola inclusione ritrova il suo significato cristiano: non l’indistinzione delle coscienze, ma l’universalità della grazia; non la neutralità di un mondo senza verità, ma la cattolicità nel senso pieno del termine. Senza questa distinzione, molti lettori rischieranno di capire il contrario. La sfida è dunque ermeneutica: restituire alle parole del Papa la loro densità spirituale e la loro radice dogmatica, perché l’amore universale non si riduca a permissivismo e la comunione non si fermi alla semplice convivenza.
Dopo anni in cui la Chiesa ha privilegiato la dimensione esperienziale, Leone XIV riporta l’educazione nel campo della verità oggettiva, ma lo fa senza rigidità. Non chiude porte, le ordina. Non contrappone, ricompone. È il gesto di chi vuole restituire alla Chiesa un linguaggio di equilibrio, dove la fede pensa e la ragione crede. Il documento non sarà applaudito da tutti, proprio perché non si presta alle semplificazioni. Non ha frasi da manifesto, né concessioni alla retorica sentimentale. Richiede silenzio, studio, e una rinnovata capacità di pensare con la Chiesa. Ma è forse questo il segno più profetico di Leone XIV: credere ancora che si possa parlare di verità senza temere di escludere nessuno, e di inclusione senza smettere di dire la verità.
Cari amici, su queste pagine vedo spesso commenti accesi, pieni di zelo ma poveri di ascolto. Ricordiamoci che la verità non ha bisogno di gridare. Il Magistero non va usato come arma, ma accolto come luce. Se restiamo prigionieri delle nostre etichette, tradizionalisti o progressisti, non vedremo mai la profondità di un testo come questo. Disegnare nuove mappe non è una bandiera da sventolare, è un invito a ritrovare le coordinate del reale.
E forse questo è il messaggio più alto di Leone XIV: che solo la verità amata, creduta e insegnata è davvero universale. Tutto il resto è rumore.
LETTERA APOSTOLICA
DISEGNARE NUOVE MAPPE DI SPERANZA
DI PAPA LEONE XIV IN OCCASIONE DEL
LX ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE
GRAVISSIMUM EDUCATIONIS
1. Proemio
1.1. Disegnare nuove mappe di speranza. Il 28 ottobre 2025 ricorre il 60° anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis sull’estrema importanza e attualità dell’educazione nella vita della persona umana. Con quel testo, il Concilio Vaticano II ha ricordato alla Chiesa che l’educazione non è attività accessoria, ma forma la trama stessa dell’evangelizzazione: è il modo concreto con cui il Vangelo diventa gesto educativo, relazione, cultura. Oggi, davanti a mutamenti rapidi e ad incertezze che disorientano, quell’eredità mostra una tenuta sorprendente. Laddove le comunità educative si lasciano guidare dalla parola di Cristo, non si ritirano, ma si rilanciano; non alzano muri, ma costruiscono ponti. Reagiscono con creatività, aprendo possibilità nuove alla trasmissione della conoscenza e del senso nella scuola, nell’università, nella formazione professionale e civile, nella pastorale scolastica e giovanile, e nella ricerca, poiché il Vangelo non invecchia ma fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ogni generazione lo ascolta come novità che rigenera. Ogni generazione è responsabile del Vangelo e della scoperta del suo potere seminale e moltiplicatore.
1.2. Viviamo in un ambiente educativo complesso, frammentato, digitalizzato. Proprio per questo è saggio fermarsi e recuperare lo sguardo sulla “cosmologia della paideia cristiana”: una visione che, lungo i secoli, ha saputo rinnovare sé stessa e ispirare positivamente tutte le poliedriche sfaccettature dell’educazione. Fin dalle origini, il Vangelo ha generato “costellazioni educative”: esperienze umili e forti insieme, capaci di leggere i tempi, di custodire l’unità tra fede e ragione, tra pensiero e vita, tra conoscenza e giustizia. Esse sono state, in tempesta, àncora di salvezza; e in bonaccia, vela spiegata. Faro nella notte per guidare la navigazione.
1.3. La Dichiarazione Gravissimum educationis non ha perso mordente. Dalla sua ricezione è nato un firmamento di opere e carismi che ancora oggi orienta il cammino: scuole e università, movimenti e istituti, associazioni laicali, congregazioni religiose e reti nazionali e internazionali. Insieme, questi corpi vivi hanno consolidato un patrimonio spirituale e pedagogico capace di attraversare il XXI secolo, e rispondere alle sfide più pressanti. Questo patrimonio non è ingessato: è una bussola che continua a indicare la direzione e a parlare della bellezza del viaggio. Le aspettative, oggi, non sono minori delle tante con le quali la Chiesa ebbe a confrontarsi sessant’anni orsono. Anzi si sono ampliate e complessificate. Davanti ai tanti milioni di bambini nel mondo che non hanno ancora accesso alla scolarizzazione primaria, come possiamo non agire? Davanti alle drammatiche situazioni di emergenza educativa provocata dalle guerre, dalle migrazioni, dalle diseguaglianze e dalle diverse forme di povertà, come non sentire l’urgenza di rinnovare il nostro impegno? L’educazione – come ho ricordato nella mia Esortazione Apostolica Dilexi te – «è una delle espressioni più alte della carità cristiana» [1]. Il mondo ha bisogno di questa forma di speranza.
2. Una storia dinamica
2.1. La storia dell’educazione cattolica è storia dello Spirito all’opera. Chiesa «madre e maestra» [2] non per supremazia, ma per servizio: genera alla fede e accompagna nella crescita della libertà, assumendo la missione del Divin Maestro affinché tutti «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» ( Gv 10,10). Gli stili educativi che si sono succeduti mostrano una visione dell’uomo come immagine di Dio, chiamata alla verità e al bene, e un pluralismo di metodi al servizio di questa chiamata. I carismi educativi non sono formule rigide: sono risposte originali ai bisogni di ogni epoca.
2.2. Nei primi secoli, i Padri del deserto hanno insegnato la sapienza con parabole e apoftegmi; hanno riscoperto la via dell’essenziale, della disciplina della lingua e della custodia del cuore; hanno trasmesso una pedagogia dello sguardo che riconosce Dio ovunque. Sant’Agostino, innestando la sapienza biblica nella tradizione greco-romana, ha capito che il maestro autentico suscita il desiderio della verità, educa la libertà a leggere i segni e ad ascoltare la voce interiore. Il Monachesimo ha portato avanti questa tradizione nei luoghi più impervi, dove per decenni le opere classiche sono state studiate, commentate e insegnate tanto che, senza questo lavoro silenzioso al servizio della cultura, tanti capolavori non sarebbero giunti fino ai nostri giorni. «Dal cuore della Chiesa», poi, sono nate le prime università, le quali si sono rivelate fin dalle loro origini «un centro incomparabile di creatività e di irradiazione del sapere per il bene dell’umanità» [3]. Nelle loro aule il pensiero speculativo ha trovato nella mediazione degli Ordini Mendicanti la possibilità di strutturarsi solidamente e spingersi fino alle frontiere delle scienze. Non poche congregazioni religiose hanno mosso i primi passi in questi campi del sapere, arricchendo in modo pedagogicamente innovativo e socialmente visionario l’educazione.
2.3. Essa si è espressa in tanti modi. Nella Ratio Studiorum la ricchezza della tradizione scolastica si fonde con la spiritualità ignaziana, adattando un programma di studi tanto articolato quanto interdisciplinare e aperto alla sperimentazione. Nella Roma del Seicento, San Giuseppe Calasanzio aprì scuole gratuite per i poveri, intuendo che l’alfabetizzazione e il calcolo sono dignità prima ancora che competenza. In Francia, San Giovanni Battista de La Salle, «rendendosi conto dell’ingiustizia causata dall’esclusione dei figli degli operai e dei contadini dal sistema educativo» [4] fondò i Fratelli delle Scuole Cristiane. All’inizio dell’Ottocento, sempre in Francia, San Marcellino Champagnat si dedicò «con tutto il cuore, in un’epoca in cui l’accesso all’istruzione continuava ad essere privilegio di pochi, alla missione di educare ed evangelizzare i bambini e i giovani» [5]. Similmente, San Giovanni Bosco, col suo “metodo preventivo”, trasformò la disciplina in ragionevolezza e prossimità. Donne coraggiose, come Vicenza Maria López y Vicuña, Francesca Cabrini, Giuseppina Bakhita, Maria Montessori, Katharine Drexel o Elizabeth Ann Seton hanno aperto varchi per le ragazze, i migranti, gli ultimi. Ribadisco quanto ho affermato con chiarezza nella Dilexi te: «L’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere» [6]. Questa genealogia di concretezza testimonia che, nella Chiesa, la pedagogia non è mai teoria disincarnata, ma carne, passione e storia.
3. Una tradizione viva
3.1. L’educazione cristiana è opera corale: nessuno educa da solo. La comunità educante è un “noi” dove il docente, lo studente, la famiglia, il personale amministrativo e di servizio, i pastori e la società civile convergono per generare vita [7]. Questo “noi” impedisce che l’acqua ristagni nella palude del “si è sempre fatto così” e la costringe a scorrere, a nutrire, a irrigare. Il fondamento resta lo stesso: la persona, immagine di Dio ( Gen 1,26), capace di verità e relazione. Perciò la questione del rapporto tra fede e ragione non è un capitolo opzionale: «la verità religiosa non è solo una parte ma una condizione della conoscenza generale» [8]. Queste parole di San John Henry Newman – che nel contesto di questo Giubileo del Mondo Educativo ho la grande gioia di dichiarare co-patrono della missione educativa della Chiesa insieme a San Tommaso d’Aquino – sono un invito a rinnovare l’impegno per una conoscenza tanto intellettualmente responsabile e rigorosa quanto profondamente umana. E bisogna anche fare attenzione a non cadere nell’illuminismo di una fides che fa pendant esclusivamente con la ratio. Occorre uscire dalle secche col recuperare una visione empatica e aperta a capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. Per questo non si devono separare il desiderio e il cuore dalla conoscenza: significherebbe spezzare la persona. L’università e la scuola cattolica sono luoghi dove le domande non vengono tacitate, e il dubbio non è bandito ma accompagnato. Il cuore, lì, dialoga col cuore, e il metodo è quello dell’ascolto che riconosce l’altro come bene, non come minaccia. Cor ad cor loquitur è stato il motto Cardinalizio di San John Henry Newman colto da una lettera di San Francesco di Sales: «La sincerità del cuor e non l’abbondanza delle parole, tocca il cuore degli uomini».
3.2. Educare è un atto di speranza e una passione che si rinnova perché manifesta la promessa che vediamo nel futuro dell’umanità [9]. La specificità, la profondità e l’ampiezza dell’azione educativa è quell’opera – tanto misteriosa quanto reale – di «far fiorire l’essere […] è prendersi cura dell’anima» come si legge nell’ Apologia di Socrate di Platone (30a–b). È un “mestiere di promesse”: si promette tempo, fiducia, competenza; si promette giustizia e misericordia, si promette il coraggio della verità e il balsamo della consolazione. Educare è un compito d’amore che si tramanda di generazione in generazione, ricucendo il tessuto lacerato delle relazioni e restituendo alle parole il peso della promessa: «Ogni uomo è capace della verità, tuttavia, è molto sopportabile il cammino quando si va avanti con l’aiuto dell’altro» [10]. La verità si ricerca in comunità.
4. La bussola della Gravissimum educationis
4.1. La dichiarazione conciliare Gravissimum educationis riafferma il diritto di ciascuno all’educazione e indica la famiglia come prima scuola di umanità. La comunità ecclesiale è chiamata a sostenere ambienti che integrino fede e cultura, rispettino la dignità di tutti, dialoghino con la società. Il documento mette in guardia da ogni riduzione dell’educazione a addestramento funzionale o strumento economico: una persona non è un “profilo di competenze”, non si riduce a un algoritmo previsibile, ma un volto, una storia, una vocazione.
4.2. La formazione cristiana abbraccia l’intera persona: spirituale, intellettuale, affettiva, sociale, corporea. Non contrappone manuale e teorico, scienza e umanesimo, tecnica e coscienza; chiede invece che la professionalità sia abitata da un’etica, e che l’etica non sia parola astratta ma pratica quotidiana. L’educazione non misura il suo valore solo sull’asse dell’efficienza: lo misura sulla dignità, sulla giustizia, sulla capacità di servire il bene comune. Questa visione antropologica integrale deve rimanere l’asse portante della pedagogia cattolica. Essa – sulla scia del pensiero di San John Henry Newman – va contro un approccio prettamente mercantilistico che spesso oggi costringe l’educazione a essere misurata in termini di funzionalità e utilità pratica [11].
4.3. Questi principi non sono memorie del passato. Sono stelle fisse. Dicono che la verità si cerca insieme; che la libertà non è capriccio, ma risposta; che l’autorità non è dominio, ma servizio. Nel contesto educativo non si deve «alzare la bandiera del possesso della verità, né in merito all’analisi dei problemi, né nella loro risoluzione» [12]. Invece «è più importante saper avvicinarsi, che dare una risposta affrettata sul perché una cosa è successa o su come superarla. L’obiettivo è imparare ad affrontare i problemi, che sono sempre diversi, perché ogni generazione è nuova, con nuove sfide, nuovi sogni, nuove domande» [13]. L’educazione cattolica ha il compito di ricostruire fiducia in un mondo segnato da conflitti e paure, ricordando che siamo figli e non orfani: da questa coscienza nasce la fraternità.
5. La centralità della persona
5.1. Mettere al centro la persona significa educare allo sguardo lungo di Abramo ( Gen 15,5): far scoprire il senso della vita, la dignità inalienabile, la responsabilità verso gli altri. L’educazione non è solo trasmissione di contenuti, ma apprendistato di virtù. Si formano cittadini capaci di servire e credenti capaci di testimoniare, uomini e donne più liberi, non più soli. E la formazione non si improvvisa. Volentieri ricordo gli anni passati nella amata Diocesi di Chiclayo, visitando l’Università cattolica San Toribio de Mogrovejo, le opportunità che ho avuto di rivolgermi alla comunità accademica, dicendo: «Non si nasce professionisti; ogni percorso universitario si costruisce passo a passo, libro a libro, anno per anno, sacrificio dopo sacrificio» [14].
5.2. La scuola cattolica è un ambiente in cui fede, cultura e vita si intrecciano. Non è semplicemente un’istituzione, ma un ambiente vivo in cui la visione cristiana permea ogni disciplina e ogni interazione. Gli educatori sono chiamati a una responsabilità che va oltre il contratto di lavoro: la loro testimonianza vale quanto la loro lezione. Per questo, la formazione degli insegnanti — scientifica, pedagogica, culturale e spirituale — è decisiva. Nella condivisione della comune missione educativa è necessario anche un cammino di formazione comune, «iniziale e permanente, capace di cogliere le sfide educative del momento presente e di fornire strumenti più efficaci per poterle affrontare […]. Ciò implica negli educatori una disponibilità all’apprendimento e allo sviluppo delle conoscenze, al rinnovamento e all’aggiornamento delle metodologie, ma anche alla formazione spirituale, religiosa ed alla condivisione» [15]. E non bastano aggiornamenti tecnici: occorre custodire un cuore che ascolta, uno sguardo che incoraggia, una intelligenza che discerne.
5.3. La famiglia resta il primo luogo educativo. Le scuole cattoliche collaborano con i genitori, non li sostituiscono perché il «dovere dell’educazione, soprattutto religiosa, spetta loro prima che a chiunque altro» [16]. L’alleanza educativa richiede intenzionalità, ascolto e corresponsabilità. Si costruisce con processi, strumenti, verifiche condivise. È fatica e benedizione: quando funziona, suscita fiducia; quando manca, tutto si fa più fragile.
6. Identità e sussidiarietà
6.1. Già la Gravissimum educationis riconosceva grande importanza al principio di sussidiarietà e al fatto che le circostanze variano a seconda dei diversi contesti ecclesiali locali. Il Concilio Vaticano II ha tuttavia articolato il diritto all’istruzione e i suoi principi fondanti come universalmente validi. Ha evidenziato le responsabilità poste sia sui genitori stessi sia sullo Stato. Ha considerato un «diritto sacro» l’offerta di una formazione che consenta agli studenti di «valutare i valori morali con retta coscienza» [17] e ha chiesto alle autorità civili di rispettare tale diritto. Ha inoltre messo in guardia contro la subordinazione dell’istruzione al mercato del lavoro e alle logiche spesso ferree e disumane della finanza.
6.2. L’educazione cristiana si presenta come una coreografia. Rivolgendosi agli universitari nella Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, il mio compianto Predecessore Papa Francesco disse: «Siate protagonisti di una nuova coreografia che metta al centro la persona umana; siate coreografi della danza della vita» [18]. Formare la persona “tutta intera” significa evitare compartimenti stagni. La fede, quando è vera, non è “materia” aggiunta, ma respiro che ossigena ogni altra materia. Così, l’educazione cattolica diventa lievito nella comunità umana: genera reciprocità, supera riduzionismi, apre alla responsabilità sociale. Il compito oggi è osare un umanesimo integrale che abiti le domande del nostro tempo senza smarrire la sorgente.
7. La contemplazione del Creato
7.1. L’antropologia cristiana è alla base di uno stile educativo che promuove il rispetto, l’accompagnamento personalizzato, il discernimento e lo sviluppo di tutte le dimensioni umane. Tra esse non è secondario un afflato spirituale, che si realizza e si rafforza anche attraverso la contemplazione del Creato. Questo aspetto non è nuovo nella tradizione filosofica e teologica cristiana dove lo studio della natura aveva anche come proposito la dimostrazione delle tracce di Dio ( vestigia Dei) nel nostro mondo. Nelle Collationes in Hexaemeron, San Bonaventura da Bagnoregio scrive che «Il mondo intero è un’ombra, un sentiero, un’impronta. È il libro scritto dall’esterno ( Ez 2,9), perché in ogni creatura c’è un riflesso del modello divino, ma mescolato all’oscurità. Il mondo è, quindi, un sentiero simile all’opacità mescolata alla luce; in tal senso, è un sentiero. Proprio come vedi come un raggio di luce che penetra da una finestra si colora secondo i diversi colori delle diverse parti del vetro, il raggio divino si riflette in modo diverso in ogni creatura e assume proprietà diverse» [19]. Questo vale anche nella plasticità dell’insegnamento calibrato sui diversi caratteri che – ad ogni modo – convergono sulla bellezza del Creato e sulla sua salvaguardia. E richiede dei progetti educativi «l’inter- e la trans- disciplinarietà esercitate come sapienza e creatività». [20]
7.2. Dimenticare la nostra comune umanità ha generato fratture e violenze; e quando la terra soffre, i poveri soffrono di più. L’educazione cattolica non può tacere: deve unire giustizia sociale e giustizia ambientale, promuovere sobrietà e stili di vita sostenibili, formare coscienze capaci di scegliere non solo il conveniente ma il giusto. Ogni piccolo gesto — evitare sprechi, scegliere con responsabilità, difendere il bene comune — è alfabetizzazione culturale e morale.
7.3. La responsabilità ecologica non si esaurisce in dati tecnici. Essi sono necessari, ma non bastano. Occorre un’educazione che coinvolga la mente, il cuore e le mani; abitudini nuove, stili comunitari, pratiche virtuose. La pace non è assenza di conflitto: è forza mite che rifiuta la violenza. Un’educazione alla pace «disarmata e disarmante» [21] insegna a deporre le armi della parola aggressiva e dello sguardo che giudica, per imparare il linguaggio della misericordia e della giustizia riconciliata.
8. Una costellazione educativa
8.1. Parlo di “costellazione” perché il mondo educativo cattolico è una rete viva e plurale: scuole parrocchiali e collegi, università e istituti superiori, centri di formazione professionale, movimenti, piattaforme digitali, iniziative di service-learning e pastorali scolastiche, universitarie e culturali. Ogni “stella” ha una luminosità propria, ma tutte insieme disegnano una rotta. Dove in passato c’è stata rivalità, oggi chiediamo alle istituzioni di convergere: l’unità è la nostra forza più profetica.
8.2. Le differenze metodologiche e strutturali non sono zavorre, ma risorse. La pluralità dei carismi, se ben coordinata, compone un quadro coerente e fecondo. In un mondo interconnesso, il gioco si fa su due tavoli: locale e globale. Occorrono scambi di docenti e studenti, progetti comuni tra continenti, riconoscimento mutuo di buone pratiche, cooperazione missionaria e accademica. Il futuro ci impone di imparare a collaborare di più, a crescere insieme.
8.3. Le costellazioni riflettono le proprie luci in un universo infinito. Come in un caleidoscopio i loro colori si intrecciano creando ulteriori variazioni cromatiche. Così avviene nell’ambito delle istituzioni educative cattoliche che sono aperte all’incontro e all’ascolto con la società civile, con le autorità politiche e amministrative nonché le rappresentanze dei settori produttivi e delle categorie lavorative. Con esse sono chiamate a collaborare ancora più attivamente al fine di condividere e migliorare i percorsi educativi affinché la teoria sia sostenuta dall’esperienza e dalla pratica. La storia insegna, inoltre, che le nostre istituzioni accolgono studenti e famiglie non credenti o di altre religioni, ma desiderosi di un’educazione veramente umana. Per questa ragione – come in effetti già avviene – si continuino a promuovere comunità educative partecipative, in cui laici, religiosi, famiglie e studenti condividono la responsabilità della missione educativa insieme a istituzioni pubbliche e private.
9. Navigando nuovi spazi
9.1. Sessant’anni fa, la Gravissimum educationis ha aperto una stagione di fiducia: ha incoraggiato ad aggiornare metodi e linguaggi. Oggi questa fiducia si misura con l’ambiente digitale. Le tecnologie devono servire la persona, non sostituirla; devono arricchire il processo di apprendimento, non impoverire relazioni e comunità. Un’università e una scuola cattolica senza visione rischiano l’efficientismo senza anima, la standardizzazione del sapere, che diventa poi impoverimento spirituale.
9.2. Per abitare questi spazi occorre creatività pastorale: rafforzare la formazione dei docenti anche sul piano digitale; valorizzare la didattica attiva; promuovere service-learning e cittadinanza responsabile; evitare ogni tecnofobia. Il nostro atteggiamento nei confronti della tecnologia non può mai essere ostile, perché «il progresso tecnologico fa parte del piano di Dio per la creazione» [22]. Ma chiede discernimento sulla progettazione didattica, sulla valutazione, sulle piattaforme, sulla protezione dei dati, sull’accesso equo. In ogni caso, nessun algoritmo potrà sostituire ciò che rende umana l’educazione: poesia, ironia, amore, arte, immaginazione, la gioia della scoperta e perfino, l’educazione all’errore come occasione di crescita.
9.3. Il punto decisivo non è la tecnologia, ma l’uso che ne facciamo. L’intelligenza artificiale e gli ambienti digitali vanno orientati alla tutela della dignità, della giustizia e del lavoro; vanno governati con criteri di etica pubblica e partecipazione; vanno accompagnati da una riflessione teologica e filosofica all’altezza. Le università cattoliche hanno un compito decisivo: offrire “diaconia della cultura”, meno cattedre e più tavole dove sedersi insieme, senza gerarchie inutili, per toccare le ferite della storia e cercare, nello Spirito, sapienze che nascano dalla vita dei popoli.
10. La stella polare del Patto Educativo
10.1. Tra le stelle che orientano il cammino c’è il Patto Educativo Globale. Con gratitudine raccolgo questa eredità profetica affidataci da Papa Francesco. È un invito a fare alleanza e rete per educare alla fraternità universale. I suoi sette percorsi restano la nostra base: porre al centro la persona; ascoltare bambini e giovani; promuovere la dignità e la piena partecipazione delle donne; riconoscere la famiglia come prima educatrice; aprirsi all’accoglienza e all’inclusione; rinnovare l’economia e la politica al servizio dell’uomo; custodire la casa comune. Queste “stelle” hanno ispirato scuole, università e comunità educanti nel mondo, generando processi concreti di umanizzazione.
10.2. Sessant’anni dopo la Gravissimum educationis e cinque anni dal Patto, la storia ci interpella con urgenza nuova. I mutamenti rapidi e profondi espongono bambini, adolescenti e giovani a fragilità inedite. Non basta conservare: occorre rilanciare. Chiedo a tutte le realtà educative di inaugurare una stagione che parli al cuore delle nuove generazioni, ricomponendo conoscenza e senso, competenza e responsabilità, fede e vita. Il Patto è parte di una più ampia Costellazione Educativa Globale: carismi e istituzioni, pur diversi, formano un disegno unitario e luminoso che orienta i passi nell’oscurità del tempo presente.
10.3. Alle sette vie aggiungo tre priorità. La prima riguarda la vita interiore: i giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio, discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio. La seconda riguarda il digitale umano: formiamo all’uso sapiente delle tecnologie e dell’IA, mettendo la persona prima dell’algoritmo e armonizzando intelligenze tecnica, emotiva, sociale, spirituale ed ecologica. La terza riguarda la pace disarmata e disarmante: educhiamo a linguaggi non violenti, riconciliazione, ponti e non muri; «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9) diventi metodo e contenuto dell’apprendere.
10.4. Siamo consapevoli che la rete educativa cattolica possiede una capillarità unica. Si tratta di una costellazione che raggiunge ogni continente, con particolare presenza nelle aree a basso reddito: una promessa concreta di mobilità educativa e di giustizia sociale [23]. Questa costellazione esige qualità e coraggio: qualità nella progettazione pedagogica, nella formazione dei docenti, nella governance; coraggio nel garantire accesso ai più poveri, nel sostenere famiglie fragili, nel promuovere borse di studio e politiche inclusive. La gratuità evangelica non è retorica: è stile di relazione, metodo e obiettivo. Là dove l’accesso all’istruzione resta privilegio, la Chiesa deve spingere le porte e inventare strade, perché “perdere i poveri” equivale a perdere la scuola stessa. Questo vale pure per l’università: lo sguardo inclusivo e la cura del cuore salvano dalla standardizzazione; lo spirito di servizio rianima l’immaginazione e riaccende l’amore.
11. Nuove mappe di speranza
11.1. Nel sessantesimo anniversario della Gravissimum educationis, la Chiesa celebra una feconda storia educativa, ma si trova anche di fronte all’imperativo di aggiornare le sue proposte alla luce dei segni dei tempi. Le costellazioni educative cattoliche sono un’immagine ispiratrice di come tradizione e futuro possano intrecciarsi senza contraddizioni: una tradizione viva che si estende verso nuove forme di presenza e di servizio. Le costellazioni non si riducono a neutri e appiattiti concatenamenti delle diverse esperienze. Invece di catene, osiamo pensare alle costellazioni, al loro intreccio pieno di meraviglia e risvegli. In esse risiede quella capacità di navigare tra le sfide con speranza ma anche con una coraggiosa revisione, senza perdere la fedeltà al Vangelo. Siamo consapevoli delle fatiche: l’iper-digitalizzazione può frantumare l’attenzione; la crisi delle relazioni può ferire la psiche; l’insicurezza sociale e le disuguaglianze possono spegnere il desiderio. Eppure, proprio qui, l’educazione cattolica può essere faro: non rifugio nostalgico, ma laboratorio di discernimento, innovazione pedagogica e testimonianza profetica. Disegnare nuove mappe di speranza: è questa l’urgenza del mandato.
11.2. Chiedo alle comunità educative: disarmate le parole, alzate lo sguardo, custodite il cuore. Disarmate le parole, perché l’educazione non avanza con la polemica, ma con la mitezza che ascolta. Alzate lo sguardo. Come Dio disse ad Abramo, «Guarda il cielo e conta le stelle» ( Gen 15,5): sappiate domandarvi dove state andando e perché. Custodite il cuore: la relazione viene prima dell’opinione, la persona prima del programma. Non sprecate il tempo e le opportunità: «citando una espressione agostiniana: il nostro presente è una intuizione, un tempo che viviamo e del quale dobbiamo approfittare prima che ci sfugga dalle mani» [24]. In conclusione, carissimi fratelli e sorelle, faccio mia l’esortazione dell’Apostolo Paolo: «dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola della vita» ( Fil 2,15-16).
11.3. Affido questo cammino alla Vergine Maria, Sedes Sapientiae, e a tutti i santi educatori. Domando ai Pastori, ai consacrati, ai laici, ai responsabili delle istituzioni, agli insegnanti e agli studenti: siate servitori del mondo educativo, coreografi della speranza, ricercatori infaticabili della sapienza, artefici credibili di espressioni di bellezza. Meno etichette, più storie; meno sterili contrapposizioni, più sinfonia nello Spirito. Allora la nostra costellazione non solo brillerà, ma orienterà: verso la verità che rende liberi (cfr. Gv 8,32), verso la fraternità che consolida la giustizia (cfr. Mt 23,8), verso la speranza che non delude (cfr. Rm 5,5).
Basilica di San Pietro, 27 ottobre 2025
Vigilia del LX anniversario
LEONE PP. XIV
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[1] LEONE XIV, Esortazione Apostolica Dilexi te (4 ottobre 2025), n. 68.
[2] Cfr. GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Mater et Magistra (15 maggio 1961).
[3] GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae (15 agosto 1990), n. 1.
[4] LEONE XIV, Esortazione Apostolica Dilexi te (4 ottobre 2025), n. 69.
[5] LEONE XIV, Esortazione Apostolica Dilexi te (4 ottobre 2025), n. 70.
[6] LEONE XIV, Esortazione Apostolica Dilexi te (4 ottobre 2025), n. 72.
[7] CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Istruzione “L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo” (25 gennaio 2022), n. 32.
[8] JOHN HENRY NEWMAN, L’idea di Università (2005), p. 76.
[9] Cfr. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Instrumentum laboris Educare oggi e domani. Una passione che si rinnova (7 aprile 2014), Introduzione.
[10] S.E. Mons. ROBERT F. PREVOST, O.S.A., Omelia all’Università Cattolica Santo Toribio de Mogrovejo (2018).
[11] Cfr. JOHN HENRY NEWMAN, Scritti sull’Università (2001).
[12] LEONE XIV, Udienza ai Membri della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice (17 maggio 2025).
[14] S.E. Mons. ROBERT F. PREVOST, O.S.A., Omelia all’Università Cattolica Santo Toribio de Mogrovejo (2018).
[15] CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare Educare insieme nella scuola cattolica (8 settembre 2007), n. 20.
[16] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel Mondo Contemporaneo, Gaudium et spes (29 giugno 1966), n. 48.
[17] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Dichiarazione Gravissimum educationis (28 ottobre 1965), n. 1.
[18] PAPA FRANCESCO, Discorso ai giovani universitari in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù (3 agosto 2023).
[19] SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Collationes in Hexaemeron, XII, in Opera Omnia (a cura di Peltier), Vivès, Parigi, t. IX (1867), pp. 87-88.
[20] PAPA FRANCESCO, Costituzione Apostolica Veritatis gaudium (8 dicembre 2017), n. 4c.
[21] LEONE XIV, Saluto dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro dopo l’elezione (8 maggio 2025).
[22] DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E DICASTERO PER LA CULTURA E L’EDUCAZIONE, Nota Antiqua et nova (28 gennaio 2025), n. 117.
[23] Cfr. Annuario Statistico della Chiesa (aggiornato al 31 dicembre 2022).
[24] S.E. Mons. ROBERT F. PREVOST, O.S.A., Messaggio all’Università Cattolica Santo Toribio de Mogrovejo in occasione del XVIII anno di fondazione (2016).
