La vera via alla Gloria: dalla Tentazione alla Trasfigurazione e alla Croce

L’omelia esplora il significato teologico della seconda Domenica di Quaresima, focalizzandosi sul parallelismo tra la tentazione di Gesù e l’alleanza di Dio con Abramo. Satana imita l’offerta divina, ma Gesù, a differenza di Abramo che credette, rifiuta la scorciatoia mondana. La Trasfigurazione di Gesù prefigura la sua passione, morte e risurrezione, nuova alleanza sancita dal suo sacrificio. Il brano conclude esortando i fedeli a seguire la via della croce per raggiungere la gloria celeste, rifiutando un cristianesimo senza sofferenza.

Omelia di P. Nazzareno Maria

Siano lodati Gesù e Maria!

Vi ricordate della tentazione fatta da satana a Gesù? Lo «condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: “Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo”»? Satana scimmiotta Dio: volendo essere Dio, cerca sempre di imitarlo ma non nel bene bensì per fare il male. Ovviamente le sue imitazioni sono pessime.

Quale episodio scimmiottò nella suddetta tentazione? Quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi e che ora vi rileggo: «Dio condusse fuori Abram e gli disse: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: “Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra”».

Abramo chiese una garanzia, allora Dio gli comandò di prendere degli animali da usare come sacrificio: Abramo li preparò, «li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli». Tra le popolazioni di allora, per stipulare un’alleanza, offrivano un sacrificio e poi compivano il rito degli animali appena descritto. Questo rito prevedeva che i contraenti dell’alleanza passassero in mezzo agli animali uccisi imprecando su sé stessi di essere tagliati in due, se venivano meno all’alleanza.

Quando si fece buio Dio si manifestò apparendo sotto forma di “un braciere fumante e una fiaccola ardente” e passò “in mezzo agli animali divisi.” Dio aveva stipulato un’alleanza solenne con Abramo, maledicendo se stesso qualora non l’avesse rispettata. Tramite questa alleanza Dio diede ad Abramo una discendenza sterminata e proprio alla sua discendenza diede la Terra promessa che era figura e simbolo della vita eterna, del Paradiso. Ma nel dargliela, profetizzò che la sua discendenza avrebbe sofferto la schiavitù in Egitto. Ciò significava che, per giungere in Paradiso, bisogna prima soffrire e liberarsi dalla schiavitù di satana.

Il diavolo, dubitando se Gesù fosse o no il discendente di Abramo su cui posavano tutte le promesse messianiche, provò a fare con lui quanto Dio fece con Abramo, con la sola differenza che allargò la promessa a tutto il mondo poiché il diavolo sapeva che il Figlio di Dio, incarnandosi, doveva divenire il Signore di tutto il mondo. Ma a quale condizione gli promise ciò?

Abramo ottenne la promessa da Dio perché aveva creduto in Dio, lo aveva adorato e gli aveva obbedito, per questo il diavolo chiese a Gesù di adorarlo: se mi adori, gli disse, io ti darò potere e gloria. Con parziali menzogne, il diavolo offre a Gesù la via larga, comoda e facile per ottenere potere e successo mondano. Ovviamente Gesù rifiutò poiché quella offertagli dal diavolo era la via opposta a quella tracciatagli da Dio Padre, inoltre Gesù non era venuto al mondo per servire il diavolo ma per servire Dio e sconfiggere il diavolo, per riprendergli il bottino che aveva saccheggiato a Dio, ossia le anime degli uomini.

Gesù sale sul monte Tabor, si trasfigura e gli appaiono Mosè ed Elia. Di cosa parlò con loro? Della sua passione e morte: questa è la via che doveva percorrere, la via della croce. Gesù, non in mezzo ad animali morti e squarciati ma in mezzo a Mosè ed Elia[1], ossia al testimone della Legge antica e a quello dei Profeti dell’Antico Testamento, che erano come i due uccelli morti ma non squarciati a metà perché attendevano nel seno di Abramo la passione, morte e risurrezione di Cristo per volarsene in Cielo. Davanti a loro confermò l’alleanza che aveva stipulato con Dio Padre durante la sua incarnazione. Alleanza che esigeva che Gesù morisse in croce in riscatto dei peccati di tutta l’umanità.

In virtù di questa conferma, Dio Padre gli ribadì l’assicurazione di avergli donato in premio l’incalcolabile discendenza che aveva promesso ad Abramo, ossia le stelle luminose – che sono i santi, i salvati – che avrebbero riempito il cielo del Paradiso. Tramite questa alleanza Gesù si era maledetto qualora non l’avesse rispettata. Ma sapete propriamente in cosa consisteva l’osservanza di tale alleanza? Nel divenire in certo modo il maledetto da Dio, in quanto si doveva addossare tutti i nostri peccati per liberarci dalla nostra maledizione. Tutto ciò è meravigliosamente spiegato da san Paolo: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno (Dt 21,23), perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.” (Gal 3,13-14).

Gesù è la discendenza promessa ad Abramo e noi siamo discendenza di Cristo. Ciò significa che in Cristo, e per suo mezzo, riceviamo la benedizione che Dio diede e promise ad Abramo, riceviamo cioè l’eterna vita gloriosa del Cielo.

In questa alleanza Gesù non uccise un animale ma fu lui stesso la vittima che si lasciò uccidere in mezzo a due ladroni giustamente condannati a morte: proprio mentre portava a compimento la sua alleanza, la rinnovava con un’altra solenne promesse fatta non in mezzo ad animali morti ma a due uomini moribondi che avevano vissuto più da animali che da uomini. La vittima umano-divina fu consumata tramite il fuoco del suo amore divino-umano e da quello dell’ira e giustizia divina: questi due fuochi furono “un braciere fumante e una fiaccola ardente” che passarono in mezzo ai due “animali” condannati a morte ai quali furono spezzate le gambe e dunque in certo modo vennero divisi.

Cosa ci insegna tutto questo? Ci insegna che è tramite il sacrificio, la fedeltà e l’obbedienza a Dio che si giunge alla gloria del Paradiso. Gesù rifiutò sia le proposte seduttrici del diavolo, che la stolta proposta di Pietro di fare tre tende sul monte e di rimanere in quello stato glorioso senza dover affrontare l’umiliazione della passione e croce.

Gesù, invece, anche sul Tabor perseverò nel proseguire la sua missione, volle andare a Gerusalemme per essere tradito, rinnegato, umiliato, offeso, torturato, trucidato e infine venire crocifisso e morire. In tal modo egli portò a termine la stipulazione della Nuova ed eterna alleanza, sconfisse satana e gli sottrasse il bottino: Gesù, in quanto uomo, ottenne potere e gloria tramite la redenzione da lui operata, inoltre concretizzò quanto Dio Padre aveva fatto in figura stipulando l’alleanza con Abramo. Il diavolo scimmiotta Dio, mentre Gesù ne ricalca perfettamente le orme, portando a compimento l’opera intrapresa dal Padre.

Al riguardo di tutto ciò san Paolo scrive: “lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.” (Eb 2,9-10). E più avanti ritorna su questo tema: “in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio (Prov. 3,11-12) È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli!” (Eb 12,2-8).

Bastardi è da intendere non nell’accezione odierna assai offensiva ma come figli illegittimi e che dunque dai loro padri non ricevevano le stesse cure dei figli legittimi. La Vulgata usa il termine “adulteri”, per indicare che sono figli di adulterio e dunque illegittimi. Ecco come il padre Marco Sales spiega quest’ultima frase di san Paolo: «Se dunque Dio castiga coloro che riguarda come suoi figli, ne segue che se voi foste esenti da ogni tribolazione, si dovrebbe conchiudere che non siete figli di Dio, oppure siete di quei tali, che Dio non cura, come sono i figli spuri per riguardo al padre terreno. “Sentenza terribile per tutti coloro, i quali si immaginano che una vita di piacere, di mollezza e di bel tempo possa star col Vangelo e con la professione di cristiano” (Martini)». Io aggiungerei le ovvie conclusioni: chi ricerca o promuove un tal cristianesimo, è un bastardo, un figlio di adulterio, perché ha tradito Dio e si è dato alle lusinghe seduttrici del diavolo, suo patrigno e amante.

Miei cari! Fuggiamo tutti coloro che ci propongono la via larga che porta alla dannazione, ossia un cristianesimo senza croce, senza sofferenze e sacrifici, costoro, come il diavolo, sono venditori di felicità a costo zero ma, dopo il peccato originale, non c’è più una tale felicità: l’effimera e illusoria felicità da loro proposta altro non è che un’apostasia silenziosa o persino manifesta che conduce a soddisfare tutte le nostre passioni ignominiose.

Oggi anche tra noi cristiani serpeggia un tale inganno ma esso non è affatto cattolico[2], come ad esempio ci assicura anche il papa san Leone Magno: “il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo della sofferenza” (Leone Magno, Sermo 38 [51]). Solo vivendo in questo modo giungeremo alla gloria del Paradiso: per crucem ad lucem! Amen!


[1] Al riguardo vedi sant’Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, omelia 17 n. 4: «Ora, Mosè rappresenta la Legge, Elia i Profeti, il Signore il Vangelo. Per questo apparvero tutti e tre su quel monte, dove il Signore si mostrò ai discepoli sfolgorante nel volto e nella veste (cf. Mt 17, 1-3). Egli apparve in mezzo a Mosè ed Elia, quasi a significare che il Vangelo riceveva testimonianza dalla Legge e dai Profeti (cf Rom 3, 21).» La traduzione in italiano a fedele al testo in latino di sant’Agostino: «appáruit enim médius inter Móysen et Elíam». 

[2] Cf. ad esempio Giovanni Paolo II, Discorso del 4 ottobre 1997: «oggi si sta diffondendo nel mondo un falso messaggio di felicità, impossibile e inconsistente, che porta con sé solo desolazione e amarezza. La felicità non si ottiene percorrendo la via della libertà senza la verità, perché questa è la via dell’egoismo irresponsabile, che divide e disgrega la famiglia e la società.»

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