Meditazioni per il Giovedì Santo del 2025

Il Giovedì Santo si celebra il rito della benedizione degli olii santi durante la Messa del Crisma al mattino e nel pomeriggio si ricorda l’ultima Cena del Signore nella messa serale dando così inizio al Triduo Santo. È il giorno sacerdotale ed eucaristico per eccellenza, perché il Signore istituì il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue e quello dell’Ordine sacro o sacerdotale. Per meditare questi grandi misteri, proponiamo due omelie del vescovo di Tortona, mons. Guido Marini, e una del presbitero Don Alberto Secci.

Il buon profumo di Cristo

Omelia di S. E. Mons. Guido Marini, vescovo di Tortona, durante la Messa del Crisma

Noi tutti ben sappiamo che nel giorno in cui celebriamo la Messa del Crisma, durante il rito della benedizione degli oli, compiamo un gesto carico di simbolo e di significato: versiamo il profumo dentro l’olio crisma. Questo gesto è bello e ricco di significato perché quel profumo è un richiamo immediato al buon profumo di Cristo. Noi sacerdoti e diaconi viviamo questo momento con particolare intensità perché sappiamo che attraverso l’olio crisma siamo stati unti affinché in noi possa essere presente in modo permanente e unico il buon profumo di Cristo, pastore buono e bello in mezzo al suo popolo.

Con il salmo responsoriale abbiamo ripetuto: “Canteremo in eterno l’amore del Signore”. Pensando a quell’unzione che ci ha donato il buon profumo di Cristo in modo singolare, sentiamo l’esigenza di cantare a squarciagola e dal profondo del cuore che davvero in eterno sulle nostre labbra risuona la gratitudine, la meraviglia e lo stupore per l’amore con il quale il Signore ha guardato e guarda la nostra vita.

Oggi desideriamo soffermarci un attimo proprio sul buon profumo di Cristo. Forse tutti sappiamo che ogni profumo si caratterizza per delle note olfattive e nella misura in cui queste note sono tutte compresenti, la fragranza del profumo è piena e si espande in ogni ambiente. Dunque, oggi ci domandiamo quali sono le note olfattive che rendono possibile alla nostra vita essere in pienezza il buon profumo di Cristo pastore in mezzo al popolo di Dio al quale siamo inviati.

Probabilmente ripeteremo qualcosa, carissimi fratelli nel sacerdozio, che durante quest’anno nei nostri incontri di vicariato abbiamo avuto modo di ricordare. Ma, come dicevano gli antichi, repetita iuvant: ripetere cose importanti ci aiuta non soltanto a farne memoria, ma soprattutto ad assimilarle sempre di più.

Consideriamo allora queste note del buon profumo di Cristo:

Una prima nota: il sacerdote è l’uomo di Gesù, l’uomo del Signore. Abbiamo ricevuto questo dono immenso di una relazione particolarissima con il Signore Gesù, del quale siamo chiamati ad essere la presenza in mezzo alla sua gente. Questo significa che il sacerdote, proprio perché è l’uomo di Gesù, è l’uomo dell’amore per Gesù, l’uomo di una preghiera intensa, di una relazione personale viva e quotidiana che si esprime in un cuore a cuore, un tu a tu ogni giorno della vita e ogni giorno crescente. Tutto ciò che il sacerdote vive quotidianamente altro non è che l’espressione di questa relazione innamorata tra lui e il Signore, e come ogni relazione innamorata è chiamata a crescere giorno dopo giorno perché divenga sempre più bella, limpida, vera, profonda, intensa, buon profumo. Essere di Gesù in tutto e per tutto: il sacerdote è colui che è innamorato perché è stato raggiunto dall’amore del Signore e perché dunque la propria vita non può che essere una risposta innamorata a questo amore che ha toccato e stravolto il cuore e la vita.

C’è poi una seconda nota: il sacerdote è l’uomo della Chiesa. La Chiesa gli ha dato tutto, dalla Chiesa ha ricevuto ogni dono, per la Chiesa vive, alla Chiesa è fedele, alla Chiesa si dona. E se a volte capita che la dimensione umana della Chiesa possa generare qualche difficoltà, egli è capace di guardare con tenerezza quelle rughe, sapendo che anzitutto quelle rughe sono le sue. Non dimentica mai quello che diceva un grande pastore: quando si ama la Chiesa davvero, non la si ama solo perché si dà la vita per la Chiesa, non soltanto perché si è capaci di soffrire per la Chiesa, ma anche perché si accetta con amore e con dolcezza di soffrire dalla Chiesa, da quell’umanità e da quegli uomini che la compongono e che siamo tutti quanti noi. L’uomo della Chiesa guarda la Chiesa come alla propria madre, e a chi alla propria madre vuole bene, e guarda con tenerezza alla madre anche quando ne scorge qualche macchia, qualche ruga che l’umanità porta con sé.

Una terza nota: il sacerdote è l’uomo della comunione. Una comunione che è vissuta certo con il proprio vescovo, una comunione che è vissuta all’interno del presbiterio, una comunione che è vissuta con quella gente che gli è stata affidata. Tutto in lui è comunione, desiderio di comunione, impegno di comunione, gioia per la comunione. Ciò che dovesse essere nell’identità sacerdotale elemento di divisione, discordia, estraneità, indifferenza, non sarebbe la nota del buon profumo di Cristo.

Una quarta nota è che il sacerdote, come tante volte il Santo Padre ci ricorda, è capace di stare davanti, in mezzo, dietro al suo popolo. Perché per questo popolo dà tutto se stesso e sa bene che la propria vita non gli appartiene, ma appartiene a quel popolo al quale egli è stato mandato. Proprio rispetto a questo popolo sa stare davanti come una guida che orienta il cammino, ma sa stare anche in mezzo perché condivide le sorti di questo popolo e lo conosce fino in fondo nelle gioie, nei dolori, nelle fatiche, nelle speranze. E sa stare però anche dietro perché è pronto a raccogliere sempre tutti e chiunque, soprattutto coloro che con più fatica appartengono a questo popolo e sono tentati di staccarsene e non farne parte. Ecco la quarta nota: la capacità di donarsi incondizionatamente a quel popolo al quale egli è stato mandato e che è la ragione della sua vita, del suo ministero. Una capacità di donarsi incondizionata, senza difendersi, senza pensare a sé, ma avendo sempre nella testa, nel cuore, nei progetti, nelle speranze, nelle fatiche quel popolo che ama, quel popolo che ama appassionatamente.

Una quinta nota: il sacerdote è l’uomo che serve e che non spadroneggia. È l’uomo che si china per terra e non si innalza sulla predella. È l’uomo che sa di essere stato mandato dal Signore non per essere sopra, ma per servire sempre. Conosce bene il sacerdote quelle parole che il Maestro gli ha rivolto una volta per sempre attraverso gli apostoli: il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito, ma per servire; non per essere servito, ma per servire; servire e non spadroneggiare.

Una sesta nota: il sacerdote è l’uomo dell’amore casto e che vive il celibato non come una tassa da pagare al sacerdozio, ma come un dono inestimabile che il Signore gli ha fatto chiamandolo a sé. Non è un peso posto sulle sue spalle nel suo cuore, ma un regalo splendido che gli permette di volare nell’amore autentico, casto, capace di darsi caldo, capace di farsi sentire. Il sacerdote vive questa nota che mette in lui una capacità di accoglienza, tenerezza, dolcezza, amore autentico perché proveniente da un cuore casto che con gioia ha accolto il dono del celibato, che con gioia lo vive ogni giorno. Il dono del celibato è guardato come un regalo inestimabile che il Signore gli ha fatto e che gli permette quella vera libertà nell’amore a motivo della quale l’amore diventa qualcosa che affascina, che attrae, che segna, che tocca ogni cuore.

E infine, la settima nota: il sacerdote è un uomo da un’umanità vera. Un’umanità vera perché nei suoi occhi, sul suo volto, nei suoi gesti, nelle sue parole si vede, si ascolta, si sperimenta un padre che come tale con tutto se stesso porta sempre vita, dona sempre vita con la forza e la dolcezza di un padre a un’umanità bella. È sacerdote perché segnato da una paternità autentica che sa assumersi le proprie responsabilità, che è corredata da quelle virtù umane che rendono l’umanità davvero umana, che non si perde in cose da poco, che non si perde in chiacchiere inutili, che non si perde in pettegolezzi che uccidono, che non si perde in modi di fare, di pensare e di parlare che nulla hanno di un uomo vero.

Sono sette note, sette note che consentono al buon profumo di Cristo di essere presente pienamente nella vita di tutti quanti noi. Riascoltandole, queste sette note che ben conosciamo, di nuovo diciamo: “Canterò in eterno l’amore del Signore, perché che dono mi ha fatto il Signore! Ma com’è possibile che abbia pensato a me per darmi tutto questo? Ma com’è che un giorno mi ha chiamato per rendermi partecipe del suo buon profumo in mezzo al suo popolo?”. Davvero canterò per sempre l’amore del Signore.

Che oggi per tutti noi sia un giorno in cui, con meraviglia come nella sinagoga di Nazaret, fissiamo gli occhi su Gesù e rimaniamo di nuovo sorpresi, meravigliati, attoniti, stupiti, grati, gioiosi, senza parole perché il Signore è stato ed è così grande per noi nell’amore. E nel momento in cui entriamo dentro questa contemplazione che ci riempie il cuore, gli occhi, la vita, domandiamo sinceramente perdono per tutte le volte nelle quali non c’è stato il buon profumo di Gesù nella nostra vita, ma il cattivo odore del mondo. Tante volte non c’è stato il buon profumo di Gesù, ma il cattivo odore del mondo. Lo ammettiamo, ne siamo consapevoli perché siamo poveracci, ma glielo diciamo: “Non sono stato il tuo buon profumo, sono stato il cattivo odore del mondo. Abbi compassione di me, abbi pietà di me”. Godiamo della misericordia e del perdono che il Signore immediatamente ci offre ogni volta con il suo abbraccio che ci ridona vita.

E mentre ringraziamo e domandiamo perdono, chiediamo al Signore che ci aiuti ogni giorno della vita ad essere lui, ad essere il suo buon profumo con queste sette note che rendono la fragranza davvero piena e straordinaria. E voi, fratelli e sorelle carissimi, pregate per noi insieme a noi, per noi, perché questo possa essere sempre realtà nella vita di tutti noi e perché in mezzo a voi, in ogni luogo, in ogni tempo, ciascuno di noi sacerdoti e diaconi possa essere davvero il buon profumo di Cristo. Ricordiamolo mentre vedremo nell’olio crisma versare il balsamo profumato.


Eucaristia: Divino Amore infinito che si dona gratuitamente

Omelia di S. E. Mons. Guido Marini, vescovo di Tortona, durante la Messa in Coena Domini

Certamente molti di voi, perlomeno gli adulti, ricorderanno la figura di quel sacerdote che era parroco in Francia, in una piccolissima parrocchia chiamata Ars. Parlo di san Giovanni Maria Vianney, ricordato come il santo curato d’Ars. Non era un uomo colto, ma era un uomo di grandissima fede e amava il Signore con tutta la passione del cuore. Quando parlava, aveva una caratteristica: quella di usare molti punti esclamativi. E sapete perché? Perché mentre parlava si appassionava, e le cose che diceva le diceva con dei punti esclamativi perché metteva lì tutta la passione del cuore, perché lì esprimeva l’amore che aveva per il Signore, perché con quei punti esclamativi sottolineava la bellezza di Dio che lui aveva sperimentato e che trasmetteva così. Anch’io questa sera vorrei essere un po’, almeno un po’ come il santo curato d’Ars, per potervi parlare con tanti punti esclamativi. E sapete perché? Perché quando si parla dell’Eucaristia non si può parlarne che con tanti punti esclamativi. Ragazzi, ricordatevelo: quando si parla dell’Eucaristia, se ne parla con dei punti esclamativi perché è una realtà troppo bella, troppo entusiasmante, in cui il volto di Dio si fa presente a noi in un modo così esaltante che non si può far altro che esprimersi con dei punti esclamativi. Il Signore mi aiuterà, pensavo.

E questo, ragazzi, immagino che possa interessarvi: l’età dell’uomo sulla Terra. Sapete da quanti anni l’uomo è sulla Terra? 200.000 anni. Sono tanti, vero? Se li mettiamo in relazione con la nostra vita che dura 80, 90, qualche volta 100 anni. L’uomo sulla Terra è presente da 200.000 anni. Ma sapete da quanto tempo la Terra è apparsa nell’universo? 4 miliardi e mezzo di anni fa. E sapete qual è l’età dell’universo? 26 miliardi di anni luce. Ci stordiscono questi numeri, non è vero? Ci stordiscono. Ma ci sono altri numeri che ci stordiscono. Sapete quanto è grande l’universo? Sapete quanto è grande? 93 miliardi di anni luce, perlomeno quello che riusciamo ad osservare. E sapete la Terra in rapporto all’universo com’è grande? Le proporzioni tra la grandezza della Terra, il cui diametro è poco meno di 13.000 km, e l’universo è quello più o meno che esiste tra un granellino di sabbia, poco meno di 1 mm, e la Terra. E l’uomo nell’universo che cos’è? L’uomo nell’universo che cos’è?

Questi numeri ci stordiscono quando ci pensiamo. Pensiamo all’immensità della realtà in cui siamo inseriti e alla nostra piccolezza, piccolezza, piccolezza. Perché ho ricordato questo? I numeri dell’universo sono grandi, miliardi e miliardi di anni luce, ma Dio è l’infinito. Il tempo della vita dell’universo è grande, è grande 23 miliardi di anni, ma Dio è l’eterno. Allora, se l’universo è grande ed è antico, nulla è paragonabile con Dio che è eterno e infinito. Ed ecco ciò che ci lascia senza parole: questo Dio che è eterno, questo Dio che è infinito, che neppure riusciamo ad immaginare con la nostra intelligenza, si interessa di noi, si interessa di noi!. E non soltanto si interessa di noi, ci ama, ama te, ama te, ama te, ama me, ciascuno di noi! Com’è possibile? Com’è possibile?. Ma non solo ci ama a tal punto che lui che è eterno e infinito decide di entrare dentro il tempo, decide di farsi piccolo e di abitare la nostra Terra, decide di patire e morire per noi, per me, di risorgere per noi, per me, di dare la sua vita divina per noi, per me! Non bisogna mettere dei punti esclamativi? Dio ama me! L’infinito, l’eterno ama me! Dio si fa uomo, entra nel tempo nella storia per darmi la sua stessa vita, a noi, a me! Ma non gli basta, non gli basta. Perché per rimanere con me si fa pezzo di pane. Poi questa sera celebriamo questo straordinario mistero che è l’Eucaristia, in cui è contenuto tutto l’amore di Dio per me, in cui è contenuto l’Eterno e l’infinito. Ma questo non ci stordisce? Non ci stupisce? Non ci meraviglia? Non ci rende attoniti? Non ci fa usare dei punti esclamativi?. Era quello che esprimeva San Paolo con un punto esclamativo: “mi ha amato e ha dato se stesso per me”. Quasi incredulo di poter dire queste parole, e noi allo stesso modo dovremmo poterle pronunciare così: “mi ha amato, ha dato se stesso per me, si è fatto Eucaristia per me, per me!”. Questa sera dovremmo come rimanere su queste parole senza più riuscire ad andare avanti. La Chiesa nella sua preghiera, che è sempre sobria, questa sera ci ha fatto pregare tra l’altro con queste parole: ha chiamato l’Eucaristia il convito nuziale dell’amore di Dio per me!. Ma capiamo che cosa vuol dire? Infinito, eterno, stringe con me un rapporto nuziale di amore fino a questo punto, fino a questo punto! E tutto ciò è presente nell’Eucaristia.

Che è il segno di questo rapporto nuziale tra lui e me, di questa alleanza d’amore tra lui e me, di questo rapporto indissolubile tra lui e me. Non sono sufficienti i punti esclamativi che possiamo usare, non sono sufficienti, li esauriamo tutti di fronte alla bellezza di questa realtà e quindi alla bellezza di ciò che ora noi insieme stiamo vivendo. Abbiamo ascoltato il Vangelo di Giovanni: Gesù ad un certo punto si mette il grembiule e si fa vicino agli apostoli, si china per terra e comincia a lavare i piedi. E Pietro, visto quello che sta accadendo mentre Gesù è lì vicino a lui in ginocchio pronto a versare l’acqua sui suoi piedi, dice: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Pietro aveva capito: Signore, cioè Dio, tu lavi i piedi a me, cioè mi ami fino a questo punto, mi ami fino a questo punto!. E noi sappiamo che Giovanni nel Vangelo racconta l’episodio della lavanda dei piedi per rappresentare proprio ciò che è l’Eucaristia: l’amore sino alla fine del Signore per noi. E Pietro dice: “Ma com’è possibile che tu Dio mi ami fino a questo punto? Mi ami fino a questo punto? Com’è possibile?”. Ed è quello che vogliamo dire noi questa sera con Pietro: Signore, tu lavi i piedi a me? Ragazzi, tra alcuni di voi questa sera 12 rivivranno questo gesto: il vescovo si inginocchierà davanti a voi per lavarvi i piedi e ripeteremo ciò che ha fatto Gesù in quel momento. Pensate, non tanto al vescovo che vi lava i piedi, ma al fatto che nel vescovo è Gesù che vi lava i piedi e vi sta dicendo: “Io, il Signore Dio infinito ed eterno, vengo qui accanto a te, mi inginocchio accanto a te, lavo i piedi a te, ti guardo negli occhi e ti dico: ti amo!”. E mentre noi riviviamo quel gesto attraverso la presenza dei nostri ragazzi, siamo chiamati ciascuno a rivivere questo: è il Signore che viene accanto a ciascuno di noi, si inginocchia davanti a noi, mette il grembiule, prende la brocca con l’acqua, ci guarda negli occhi, mi guarda negli occhi e dice: “Ti amo!”. Lui, Dio infinito ed eterno! E tutto questo riaccade ogni qual volta io mi ritrovo davanti all’Eucaristia, perché ogni qual volta in cui mi ritrovo davanti all’Eucaristia io sono davanti al Signore Gesù che mi viene vicino, si inginocchia davanti a me, prende la brocca con l’acqua, cinge l’asciugatoio, mi guarda negli occhi, mi dice: “Ti amo!”.

Sì, amo proprio te! Signore, laverai i piedi a me? viene da dire a ciascuno di noi. È proprio vero che tu mi ami e che mi ami così? Sì, amo proprio te, do la mia vita per te, tu sei tutto per me!. E questo forse potrebbe risuonare attraverso tre piccole paroline che sono per, con e in. Perché nell’Eucaristia Gesù è per me, perché nell’Eucaristia Gesù è con me, perché nell’Eucaristia Gesù addirittura è in me! Ecco il motivo dei punti esclamativi di questa sera. Speriamo però che i punti esclamativi che affiorano sulle nostre labbra e fioriscono nel nostro cuore questa sera a motivo dell’amore appassionato del Signore per noi che si rende presente nell’Eucaristia ci accompagnino sempre. Così che davvero l’Eucaristia sia il centro delle nostre giornate, il cuore della nostra fede, la gioia della nostra vita, il motivo della meraviglia, della gratitudine e dell’esultanza con cui viviamo il nostro rapporto quotidiano con il Signore.

E concludo, ragazzi, dico a voi ma dico a tutti. Penso che alcuni di voi parteciperanno presto, il prossimo 27 aprile, al giubileo degli adolescenti e comunque lì in quella data a Roma il Papa proclamerà santo il beato Carlo Acutis, un adolescente come voi. Sapete come definiva Carlo Acutis l’Eucaristia, di cui era un appassionato perché aveva capito, aveva capito? Sapete come la definiva? L’autostrada per il cielo!. Dove autostrada per il cielo non significava soltanto autostrada per il paradiso, certo sicuramente, ma anche autostrada per una vita davvero piena, per una vita davvero bella, per una vita veramente riuscita e realizzata. Perché aveva capito che dove c’è l’Eucaristia e dove c’è l’incontro con questo amore appassionato e straordinario per noi da parte di Dio, l’infinito e l’Eterno, c’è la vera vita, quella che tutti noi in ogni modo davvero ricerchiamo. Nessuno dimentichi queste parole del giovane Carlo Acutis: l’Eucaristia è la strada per il cielo, l’Eucaristia è la strada per la vita eterna, l’Eucaristia è la strada per sperimentare già qui fin da ora la vita vera, perché l’Eucaristia è lui, Dio, il Signore Gesù che ci ama appassionatamente, alla follia, senza condizioni!

Signore, tu lavi i piedi a me? Sì, sì, Pietro, sì, Francesco, sì, Roberta, sì, Laura, sì, Matteo, io lavo i piedi a te perché ti amo e tu sei la passione del mio cuore! Divino esclamativo, no?


Siamo all’inizio ma c’è già tutto: L’Eucaristia

Omelia di Don Alberto Secci, durante la Messa in Coena Domini in rito tradizionale

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Siamo all’inizio del Triduo Pasquale, dei giorni più santi dell’anno, ma c’è già tutto. Il cristianesimo è così perché Cristo è così. Cristo è tutto, alfa e omega, principio e fine. Lo diremo nella notte di Pasqua quando sarà benedetto il sacro cero pasquale. E la Chiesa, quando compie quello che è il suo compito, dice tutto all’inizio e celebra tutto subito.

Cristo, via verità e vita, è la Chiesa. È una chiesa falsificata quella che fa mediazioni. È una chiesa sorta in mezzo alla Chiesa cattolica perché il popolo cristiano si è intossicato, per cui si continuano a fare mediazioni. Si dice tutto subito, si media, si aspetta, si dice che prima bisogna formare l’umano, far crescere la gente e poi si annuncia Gesù Cristo, ma il più delle volte non si arriva più neanche ad annunciarlo. Media, media, aspetta, aspetta. Invece la Chiesa, quando fa il suo mestiere, dice tutto subito, celebra tutto subito.

Guardate com’è fatto l’inizio del Triduo Pasquale. È così semplice, Dio, ed è così semplice il cristianesimo. Gesù Cristo ha detto tutto, ha detto tutto di sé stesso. Di fronte anche a coloro che stavano organizzando la sua morte, è arrivato fino a sfidarli pur di non tacere nemmeno una verità su di sé: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. “Prima che Abramo nascesse, Io ero”, l’affermazione della sua divinità. Cristo è tutto. È arrivato a dire, prima di vivere per la nostra salvezza la sua santa passione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue non vedrà la morte in eterno”. “Vivrà in eterno chi mangia la mia carne e beve il mio sangue”. “Io sono la via, la verità, la vita”. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, la vita che non finisce, la vita vera, la vita eterna”.

Carissimi, siamo all’inizio del Triduo e c’è già tutto. Vedete, io non ho lasciato tranquillo nessuno stasera entrando in chiesa. Sono 30 anni che faccio questo, forse di più, e continuavo a dire: “Non c’è il Signore nel tabernacolo, non c’è il Santissimo Sacramento nel Giovedì Santo, perché bisogna capire che tutto è inizio oggi”. Perché la Chiesa ha questa pratica liturgica? Perché chiede che sia consumato il Santissimo Sacramento e siano consacrate nella Messa in Coena Domini tutte le ostie consacrate che serviranno per la comunione stasera e domani nel giorno del Venerdì Santo? Perché bisogna capire che tutto ha inizio per il dono inestimabile che Cristo fa di sé stesso.

Noi diamo per scontato che ci sia il Santissimo Sacramento. Eh, ma se non c’è la Messa che è il sacrificio di Cristo, non ci sarà il Santissimo Sacramento. E se non ci sarà un prete che celebra la Messa, non ci sarà il Santissimo Sacramento. Vi supplico, guardate il tabernacolo aperto e vuoto e rendetevi conto del dono di Dio, del dono che Dio ci ha fatto, del dono che Dio vi ha fatto e vi fa. Vi supplico, non date per scontato il dono di Dio. Siamo all’inizio del Triduo, vi dicevo, c’è già tutto. C’è Cristo in stato di vittima nella Messa, nella consacrazione, il suo corpo e il suo sangue, Gesù in stato di vittima, il corpo e il sangue separati. Ricordatevelo questo. C’è la Santa Messa che è la cosa più grande che esista nell’universo. Permettetemi di citarvi un autore che ci è tanto caro, Columba Marmion, che dice: “Il dramma del Calvario si perpetua in seno alla Chiesa”. Cioè, è necessario che la morte di Cristo in croce, la morte salvifica redentrice, sia perpetuata perché noi abbiamo bisogno oggi della sua grazia e della sua salvezza. Allora il dramma del Calvario, così necessario per noi, si perpetua in seno alla Chiesa e sotto le specie eucaristiche alla consacrazione. Il grido del sangue di Gesù si fa intendere di nuovo poiché tutto l’amore, tutta l’ubbidienza e tutte le sofferenze della sua oblazione, del dono che Cristo fa di sé stesso al Padre sulla croce, vengono allora offerti al Padre nella Messa, in ogni Santa Messa.

Siamo all’inizio e c’è già tutto. C’è già il Calvario, c’è già la vittoria della resurrezione perché c’è tutto Cristo in stato di vittima offerto per noi perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza. E c’è Cristo sacerdote perché è Cristo sacerdote, Dio fatto uomo, Verbo fatto uomo, che unisce noi a Dio. È il pontefice, è il ponte tra l’uomo e Dio. C’è la Santissima Eucaristia, c’è tutto stasera. La Santissima Eucaristia che verrà consacrata fra qualche istante e che poi adoreremo per tutta la giornata di domani in attesa dell’adorazione della croce. Siamo all’inizio, ma c’è già tutto. La Santissima Eucaristia, lui, Cristo, principio e fine, nostro Redentore, sostanzialmente presente nelle specie eucaristiche, Cristo sacerdote, Cristo vittima, vittima.

Per questo nella tradizione liturgica della Chiesa latina l’Eucaristia consacrata, il Santissimo Sacramento, viene portato poi all’altare della riposizione che popolarmente chiamavano sepolcro. Perché consideriamo la presenza di Gesù Cristo nella Santissima Eucaristia, soprattutto in questa notte del Getsemani, come vittima, vittima per la nostra salvezza, Lui che si è caricato di tutti i nostri peccati e ha pagato il prezzo dei nostri peccati, vittima per unire il cielo e la terra, si immola sulla croce. C’è già tutto perché c’è la Messa. Tutto quello che ho detto è la Messa, la Messa cattolica che è la grande unità del mondo cristiano. Il Vangelo che ricorda la lavanda dei piedi, gesto che il sacerdote ripete in questa notte. Il Vangelo ricorda: “Vi ho dato l’esempio, lavatevi i piedi gli uni gli altri”. Tante volte la si intende in modo troppo semplicemente umano e sentimentale. Questa cosa è il richiamo all’unità, all’unità cattolica, al fatto che siamo costituiti popolo, Chiesa. Ma che cosa unisce tutta la Chiesa? Qual è la grande unità della Chiesa? La Santa Messa. I cattolici nel mondo sono sempre stati distinti dagli altri per la Messa, per la Messa cattolica. Che non è una preghiera della comunità, è l’oblazione di Cristo sulla croce rinnovata sull’altare. La Messa è tutto perché c’è Cristo sacerdote vittima, perché c’è Cristo vita eterna per noi.

Permettetemi in questa notte santa di, lo fate già, lo vivete, ma di rinnovarvi, di invitare ciascuno di voi a rinnovare il proposito di amare sopra ogni cosa la Messa. Tutto converge nella Messa. La Messa è tutto. Come dovremmo amare la Santa Messa? Scomparirà la Messa quotidiana? Grande domanda. Sapete, noi abbiamo la grazia in questa chiesa, finché il Signore ce la dà, di averla Messa tutti i giorni. Passate in rassegna il mondo e non troverete questo in molti posti. Fino ad anni fa era impensabile, impensabile. Mentre ringraziamo il Signore di questo dono inestimabile, come abbiamo la responsabilità di amare la Messa, non sia mai che scompaia la Messa quotidiana. Perché quando scomparirà la Messa quotidiana, scomparirà anche la Messa nel giorno del Signore, nel giorno della domenica, perché è la Messa quotidiana che tiene in piedi la Chiesa e il mondo, che fortifica i cuori, che li rende ferventi e che li rende forti amanti del Signore.

Dov’è, carissimi, il popolo che amava la Messa quotidiana? Avevamo generazioni di uomini e di donne che a un certo punto della vita, quando il lavoro glielo permetteva, ma appena, tra virgolette, andavano in pensione, perché un tempo non si andava poi in pensione, ma di fatto non c’era più il lavoro pressante della giovinezza, appena potevano non perdevano mai la Messa quotidiana. Carissimi, voi che avete avuto tante grazie, promettete questo. Appena potete, non lasciate l’altare, promettete fedeltà e avrete questo, ve lo dico con certezza, e avrete risolto gran parte dei vostri problemi o dei vostri pasticci. Perché noi nella vita, ahimè, pasticciamo tante volte. All’altare si risolve tutto, si semplifica tutto, perché l’animo è purificato e la vita viene unificata dalla Messa, perché la Messa è Cristo vivo e vero. E per questo domandiamo la grazia di nuove e forti vocazioni sacerdotali proprio perché tutto è concentrato sulla Messa, cioè sull’azione salvifica di Cristo sacerdote sommo e vittima. Per questo la Chiesa è sacerdotale. La Chiesa nasce dal sacramento dell’ordine. La Chiesa nasce dall’alto, nasce da Dio, nasce dall’uomo Dio Gesù Cristo.

E il Signore, proprio in vista di questo dono inestimabile della sua presenza, ha comunicato il suo sacerdozio perché l’unico sacerdote è Cristo, ma ha il potere di comunicare il suo potere a degli uomini. Disse nella notte del Giovedì Santo: “Fate questo in memoria di me”. Lo disse agli apostoli. E anche per gli apostoli la cosa principale da quel giorno in poi, dall’ascensione, fu la celebrazione della Messa. Questo non lo si ricorda a sufficienza nella Chiesa. La Madonna, sorretta da San Giovanni evangelista per volontà di Cristo, assisteva alla Messa di San Giovanni a Efeso dove andò ad abitare. Noi quando preghiamo alla Madonna non la colleghiamo con la Messa ed è un grande errore. È una protestantizzazione del Vangelo. Tutto si concentra nella Messa di Cristo. Alitò su di loro, sugli apostoli, e disse: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”. Comunica il suo sacerdozio. Non c’è Chiesa senza sacerdozio, non c’è Chiesa senza sacramento dell’ordine. Per questo nella notte del Giovedì Santo, domani quando andremo al sepolcro, all’altare della riposizione per adorare Gesù Eucaristico, domandiamo nuove forti vocazioni sacerdotali per la Messa quotidiana, per la vita delle anime, per la continuazione della Chiesa.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

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