Il Venerdì Santo è il giorno in cui si ricordano gli eventi della Passione e della Morte di Gesù Cristo, come narrati nei Vangeli. La Chiesa con la meditazione della passione dei Cristo e con l’adorazione della Croce commemora la sua origine dal fianco del Signore, che sulla croce intercede per la salvezza di tutto il mondo. In questo giorno non si celebra l’Eucaristia. Per la meditazione, proponiamo due omelie tenute durante la celebrazione della Passione del Signore: la prima è del vescovo di Tortona, mons. Guido Marini; la seconda del presbitero Don Alberto Secci. Aggiungiamo anche la meditazione di mons. Guido Marini durante la Via Crucis cittadina del Venerdì Santo.
Passione d’Amore: Tre parole sul Cuore di Dio
Omelia di S. E. Mons. Guido Marini, vescovo di Tortona, durante la celebrazione della Passione del Signore
Come ho avuto modo di dire in questa celebrazione della Passione del Signore, in questo Venerdì Santo, vorrei condividere alcune riflessioni scaturite dall’ascolto del racconto della Passione secondo San Giovanni. Gregorio Magno, un santo Papa, padre e dottore della Chiesa, ci invitava ad imparare a conoscere il cuore di Dio attraverso la sua parola, e credo fermamente nella saggezza di queste parole. Ascoltando la Sua parola, diventiamo familiari con il mistero del cuore del Signore.
Oggi, abbiamo avuto questa grande opportunità riascoltando il racconto della Passione, e sono convinto che l’ascolto attento ci abbia aiutato ancora una volta ad entrare nel mistero del cuore di Dio, a conoscerlo più profondamente, a toccarlo con mano e a rimanerne meravigliati per la profondità dell’amore che in quel cuore palpita per ognuno di noi. Per questo motivo, da questo testo così significativo, desidero soffermarmi su tre parole che ritengo fondamentali per accompagnarci in questo straordinario viaggio nel cuore di Dio, un cuore innamorato dell’uomo, un cuore che batte in amore per ciascuno di noi.
La prima parola è: “Crocifiggilo”. Non è casuale che questa parola risuoni ben tre volte nel racconto della Passione. Coloro che urlano così, per tre volte, lo fanno con odio, esprimendo una volontà di eliminare il Signore, una opposizione a Lui, un vero e proprio peccato. Potremmo chiederci se il Signore non avrebbe potuto evitarlo. La risposta è no, non poteva. L’amore di Dio per noi è così immenso che ha voluto ad ogni costo che fossimo liberi di dirgli di sì o di no; altrimenti, la nostra risposta non sarebbe potuta essere un autentico atto d’amore. Dove manca la libertà, non può esserci vero amore. Questa parola, così drammatica, ci rivela il cuore del Signore e il suo amore per noi. Ha permesso che gli dicessero “Crocifiggilo” per farci comprendere quanto ci ama e quanto desidera il nostro amore. È quasi incredibile che noi potessimo dire “Crocifiggilo”, ma ogni nostro peccato è un atto di crocifissione del Signore, ogni nostra colpa inchioda nuovamente Gesù alla croce, ogni nostra caduta lo riporta su quel legno. Ha permesso tutto questo perché desidera il nostro cuore, il nostro amore, dichiarandosi così innamorato di noi. Riascoltiamo questa parola: “Crocifiggilo”. Non è solo la parola di quel popolo antico, ma anche la nostra, forse tante volte al giorno. Eppure, pur nella sua drammaticità, ci commuove perché ci parla di questo Dio innamorato dell’uomo che mendica il suo amore, concedendogli la libertà di scegliere. Ecco come in questa parola impariamo a conoscere il cuore di Dio.
Una seconda parola è: “È compiuto”. È l’ultima espressione che Gesù pronuncia sulla croce prima di morire. Ma cosa significa realmente? Non si limita a indicare la fine della Sua vita terrena. Dice qualcosa di molto più profondo: “Tutto quello che potevo fare, l’ho fatto; tutto quello che potevo per farvi capire il mio amore, l’ho realizzato”. È come se, rivolgendosi a noi, dicesse: “Ma cosa posso fare di più per te, per farti capire quanto ti amo davvero, che sei al centro del mio cuore, quasi il motivo della mia eternità, che sei tutto per me?”. “È compiuto” significa: sono arrivato fino alla fine, fino alle estreme conseguenze, fino a darti tutto. Cosa devo fare di più perché tu finalmente conosca e ti convinca che ti amo, perché tu possa emozionarti e commuoverti per questo mio amore?. Anche in questa parola si rivela il cuore del Signore e il suo amore per noi.
Una terza parola è: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. È il commento dell’evangelista che riprende un’antica profezia e che ancora oggi ci parla dell’amore del Signore. Perché il peccato dell’uomo, l’aver mandato in croce il Figlio di Dio, per l’amore che il Signore ha per noi, diventa sorgente di salvezza. Neppure il peccato dell’uomo ferma l’amore di Dio per noi, perché questo amore è talmente grande che Egli si serve dello stesso peccato per rivelarci quanto ci ama attraverso il perdono che ci dona e la salvezza che da lì scaturisce. Ci rendiamo conto che non soltanto in quel “Crocifiggilo” contempliamo l’amore di Dio che si manifesta nella libertà che ci lascia e ci dona. Non soltanto in quel “È compiuto” contempliamo l’amore di Dio che arriva fino all’inimmaginabile per dimostrarci e convincerci del Suo amore. Ma addirittura, non ancora contento, si serve del nostro peccato, del nostro dirgli no, del nostro tradimento dell’amore per salvarci, per ridarci la vita, per riportarci a Sé.
Allora, non è forse vero che proprio nella parola di Dio impariamo a conoscere il Suo cuore? Non è forse vero che in queste tre parole entriamo nel mistero dell’amore di questo cuore divino? Non è forse vero che rimanendo in ascolto di queste parole, il nostro cuore rimane toccato finalmente dall’amore del Signore?. Vedete, il Venerdì Santo è l’appuntamento annuale in cui il Signore non desidera altro che parlarci di Sé, parlarci del Suo cuore innamorato, parlarci dell’amore infinito che ha per noi, parlarci di questa realtà che è l’unica che veramente conta nella vita: essere amati da Lui, ed essere amati così.
Qualche volta rimango un po’ perplesso e anche stupito del fatto che nel giorno del Venerdì Santo tutti assumiamo un po’ un’aria mesta. Certo, siamo compresi, raccolti, in preghiera, ma tutto ciò che stiamo vivendo in questo momento – la memoria viva del Signore che dà la vita per noi, il riascolto di queste parole “Crocifiggilo”, “È compiuto”, “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” – ci dice che questa giornata sta a fondamento della nostra gioia. Questa giornata è una giornata di vita per noi, è la giornata in cui si compie la nostra salvezza, è la giornata in cui Dio si è dato totalmente a noi, donandoci Se stesso. Ma allora, possiamo vivere questo giorno in mestizia, quasi in tristezza, come se fossimo orfani? No, certo, compresi, raccolti in preghiera, ma con uno stupore nel cuore, un’esultanza nel cuore, una gioia negli occhi che solo un amore di Dio incontrato così può darci.
Sant’Agostino, contemplando la passione e morte del Signore, dice: “Quando noi contempliamo questo, quando noi posiamo gli occhi sul crocifisso, quando noi guardiamo questo Dio che muore per noi, in noi non c’è timore, c’è gioia; non c’è rossore, c’è fierezza; non c’è vergogna, c’è fiducia sconfinata”. E conclude: “Quella croce, e Gesù crocifisso, è un vanto immenso”. Sant’Agostino ci aiuta ad entrare nella verità di questo giorno e a viverlo. Il Signore desidera per ciascuno di noi oggi non il timore, ma la gioia; non il rossore, ma la fierezza; non la vergogna, ma una fiducia sconfinata, e che possiamo dirgli: “Tu sei il mio vanto immenso, con la meraviglia nel cuore”.
Come ben aveva capito l’apostolo Paolo, quando scriveva: “Ma di che cosa devo vantarmi, di che cosa devo rallegrarmi, per quale motivo posso avere speranza? Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore Gesù Cristo”. Questa sera, quando avremo l’opportunità di sostare anche personalmente davanti al crocifisso, ricordiamoci quelle tre parole: “Crocifiggilo”, “È compiuto”, “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. E ripetiamo le parole di Paolo: “Quanto a me, non c’è altro vanto che la tua croce, Gesù. Quanto a me, la tua croce è la mia gioia. Quanto a me, la tua croce è la mia salvezza. Quanto a me, la tua croce è il segno dell’amore commovente che mi tocca al cuore oggi ancora una volta”.
Ricordo un episodio singolare vissuto la Domenica delle Palme scorsa. Mentre distribuivo la Comunione, una bambina piccola è corsa verso di me e mi ha abbracciato. Chissà perché, ma mi ha fatto pensare che anch’io dovrei correre così verso il Signore, per abbracciarlo con tutto il cuore. Ciascuno di noi, questa sera, nel suo sostare da solo davanti al crocifisso, faccia come quella bambina. Corriamo contenti, gioiosi, felici, commossi, meravigliati, e abbracciamolo il crocifisso, perché in Lui c’è l’amore di Dio per noi.
Le braccia aperte del Cristo crocifisso
Meditazione di S. E. Mons. Guido Marini, vescovo di Tortona, durante al Via Crucis
Percorrendo la via della croce, mi domandavo cosa mi sarebbe rimasto di quanto avevo vissuto questa sera. Allo stesso tempo, ampliavo la domanda a tutti noi: cosa rimarrà a tutti noi di questa sera? Il mio pensiero è andato subito al crocifisso, che oggi è il centro di ogni nostra celebrazione. Quel crocifisso con le mani e le braccia ben allargate sulla croce, quasi a dire: io sono per tutti, io sono per te, apro le mie braccia per accogliervi tutti, per accoglierti.
Queste braccia aperte sono il segno dell’amore che io ho per tutti, dell’amore che io ho per te. Certo, ognuno lascerà questa chiesa cattedrale con un dono particolare, perché il Signore parla a ciascuno per le proprie necessità. Ma penso che questo dono delle braccia aperte di Gesù possa davvero essere un dono che tutti porteremo con noi stasera e nelle nostre case.
Pensando alle braccia aperte di Gesù sulla croce, mi veniva in mente una parola che si è affermata in questi ultimi anni: inclusione. È una parola importante, bella, molto significativa, che sentiamo ripetere tante volte. Però, come tutte le parole belle e importanti, corre il rischio di diventare semplicemente uno slogan. E così avviene per la parola inclusione, con il rischio di essere usata a sproposito e come arma per escludere chi non la pensa come noi.
Una parola bella, dunque, ma che, come ogni parola umana, rischia sempre di perdere il suo vero significato e il suo vero valore. Dove questa parola ritrova il vero significato? Sulla croce. Perché l’unico veramente inclusivo è il Signore Gesù, con quelle sue braccia aperte per tutti, dichiarazione di amore per tutti, annuncio di salvezza per tutti. Quelle sue braccia aperte vogliono chiudersi attorno alla vita di tutti, nessuno escluso.
Quelle braccia aperte aggiungono qualcosa di importante alla parola inclusione, perché dicono il desiderio da parte di Dio che tutti abbiano la vita, la vita vera, la vita davvero felice, la vita davvero buona, la vita davvero pacificata, la vita davvero perdonata da ogni peccato, la pienezza della vita che è la vita eterna. Questa è la vera inclusione che viene da quelle braccia allargate sulla croce, piene di amore con cui Dio si rivolge a ciascuno di noi.
Perché sulle nostre labbra e nella nostra vita quella parola ritrovi la bellezza del suo significato e rimanga lontana dai pericoli di essere malusata, dobbiamo entrare in quell’abbraccio, l’abbraccio di Gesù sulla croce, l’abbraccio del suo amore per noi. È soltanto lì, alla scuola del Signore e lasciando che quel suo abbraccio diventi un dono per noi, divenendo anche il nostro abbraccio, che davvero siamo capaci di accogliere tutti nella vita e nella vita vera.
Questa sera, nel segreto della nostra vita personale, avviciniamoci a un crocifisso, guardiamo quelle braccia aperte, avvertiamo la bellezza di questo Signore che è per me e per tutti l’amore senza fine che salva, che è misericordia e che dà vita. Lasciamoci avvolgere da queste braccia d’amore. E che l’esperienza di questo abbraccio diventi in noi una capacità nuova di essere anche noi braccia aperte che abbracciano tutti per annunciare e consegnare la vita, per testimoniare la vita vera, quella che è da Dio.
Questo sia il dono particolare per tutti noi della via della croce che insieme abbiamo percorso in questa sera del Venerdì Santo. Ora chiederemo per intercessione della Madonna la benedizione del Signore.
Al termine, uscendo di chiesa, alcuni volontari saranno lì presenti per raccogliere eventuali offerte, perché il Venerdì Santo ogni anno è la giornata dedicata alle offerte per la Terra Santa, per i bisogni di questa terra tanto martoriata in cui i cristiani, nostri fratelli, vivono in tante sofferenze e difficoltà. Chi lo desidera e può, uscendo dalla cattedrale, potrà lasciare un’offerta secondo questa grande e bella intenzione che ci unisce alla terra di Gesù e a tanti fratelli e sorelle con i quali condividiamo la fede e che lì vivono, gioiscono e purtroppo tanto e troppo spesso soffrono.
Questa sera in chiesa ho visto diversi bambini. Che bello che ci siano stati anche dei bambini con noi a percorrere la via della croce di Gesù, perché nessuno come i bambini da quelle braccia di Gesù viene abbracciato con amore dolcissimo, delicatissimo, divino. Che la benedizione che ora invochiamo per intercessione di Maria sia il segno dell’abbraccio di Gesù per tutti noi, dell’abbraccio di Gesù per questi nostri bambini presenti tra noi, sia l’abbraccio per tutta la nostra città, sia l’abbraccio per tutti i bambini della nostra città.
“Quanto morir perché la vita nasca”
Omelia di Don Alberto Secci durante la celebrazione della Passione del Signore in rito tradizionale
Permettetemi di dirvi una cosa prima che vi avviciniate ad adorare il crocifisso, inginocchiandovi e baciando la piaga del suo costato, quel costato aperto che è per noi, ma per tutta l’umanità, la sorgente della vita, della vita che non ha fine. L’adorazione, lo svelamento, l’adorazione del crocifisso è preceduta nella liturgia del Venerdì Santo dalla grande preghiera universale, in quelle orazioni cantate. La Chiesa supplica Dio Padre onnipotente per la passione di nostro Signore Gesù Cristo e implora la grazia per il mondo intero, per tutti. È quella preghiera universale che deve dare il contenuto del nostro bacio. Baciando il crocifisso, chiediamo la salvezza per noi, ma domandiamo la salvezza per il mondo intero, per la Chiesa, per il Papa, per tutti gli ordini sacri a partire dai vescovi, per i catecumeni, cioè coloro che devono ancora essere battezzati e si stanno preparando, per gli eretici, per gli scismatici, per tutti i tribolati in tutti i pericoli della vita, per i pagani e per i nuovi pagani. Questi ultimi sono coloro che furono battezzati e lo sono per sempre, ma che hanno abbandonato Gesù Cristo. Preghiamo anche per i Giudei che, quando alla fine del mondo si convertiranno a Gesù Cristo, avremo il segno che il Signore sta tornando. È la Sacra Scrittura che lo dice. Qui la Chiesa prega per tutti, per i governanti, per tutti. E voi, venendo a baciare Gesù, non pregatelo solo per voi.
Ma permettetemi che aggiunga un’altra cosa. Sapete quando una frase improvvisamente emerge di nuovo dal cuore della mente, vi sarà capitato. A me in questi giorni, specialmente in questo Venerdì Santo, continua a venirmi in mente una frase di un grande sacerdote mistico che fu grande letterato e poeta, folgorato dalla grazia di Dio e convertito. Una frase di questo santo, Rosmignano, ripeto grande poeta Clemente Rebora che in una sua poesia, poesia e santità, dice: “quanto morir perché la vita nasca”. Quanto morir perché la vita nasca. È necessaria la morte perché la vita nasca. E quanto è necessario. E quanto occorre morire. Mi tornava in mente e ve la comunico questa parola profonda perché questo ci dia l’atteggiamento giusto nel venire ad adorare Gesù crocifisso.
Non basta commuoversi per Gesù. Non basta piangere per lui, non è questo. Occorre morire. Prima bisogna accorgersi che nel piano di Dio è la morte di Cristo in croce che ci salva. La sua oblazione libera per la gloria del Padre per la salvezza nostra: quanto morir perché la vita nasca. Ma quando ci accorgiamo che è necessaria la sua morte, non basta piangere le sue sofferenze alla sua morte. Sempre nella Via Crucis che celebriamo in tutti i venerdì di Quaresima, noi facciamo lo schema tradizionale di quello di Sant’Alfonso Maria dei Liguori. Mi colpisce tantissimo, sempre di più ogni anno di più, l’ottava stazione: Gesù incontra le pie donne. Quando Gesù dice: “Non piangete su di me ma su voi stessi e sui vostri figli”. “Non piangete su di me ma su voi stessi e sui vostri figli”. È quello che dice Gesù anche a noi questa sera. Non piangere su di me, piangi su di te e sui tuoi figli. E poi Sant’Alfonso dice: “Perché impariamo a piangere prima i nostri peccati poi i suoi patimenti?”. Qui c’è il segreto di tutto. Vi prego, non dimenticate mai questa cosa. Solo un grande santo poteva scrivere questo commento. Così che tu impari a piangere prima i tuoi peccati e poi i patimenti di Cristo.
Quanto morir perché la vita nasca. Occorre la morte di Cristo ma occorre la nostra morte. Ma la nostra morte accade quando piangiamo i nostri peccati. È questa commozione, è questo dolore, è questo morire che il Signore ci chiede, senò la salvezza di Cristo non passa in noi. La porta è questa: contrizione, il dolore dei peccati. La croce di Cristo, la sua passione, la sua morte sono potentissime, hanno un potere divino assoluto. Ma la porta attraverso la quale passa questa potenza di vita è la contrizione, è il dolore che tu hai dei tuoi peccati. Per questo in ogni messa dell’anno si inizia col Confiteor: Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ma questa è la porta per tutto: per ogni preghiera, la porta per ricevere degnamente il sacramento, la porta perché la vita di colui che è morto in croce per noi entri in noi baciando la croce. Ricordiamoci questo: è il dolore dei peccati che fa passare la potenza di Cristo in noi.
