In questa omelia il padre Serafino Maria Lanzetta — pronunciata in occasione dell’inizio del pontificato di Leone XIV e pubblicata su Radio Immaculata, — spiega la natura del papato, il ministero petrino nel contesto della fede e della tradizione della Chiesa Cattolica.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
oggi celebriamo una messa speciale per l’inaugurazione del ministero petrino del nuovo papa, Leone XIV. È la messa della sua incoronazione, come da tradizione, o della sua inaugurazione, come nella riforma liturgica. Siamo stati testimoni di un momento storico importante. Dopo la morte di Papa Francesco, c’è stata una grande fede nella Chiesa, un sensus fidei molto presente nelle persone che cercavano un nuovo pastore, un nuovo Vicario di Cristo. Abbiamo visto folle venire a Roma e in Piazza San Pietro per accogliere il nuovo Papa, e non da ultimo, la folla presente oggi alla messa di inaugurazione di Papa Leone XIV. Questo è un fatto importante. Ci dice che la Chiesa è viva, che la fede della Chiesa è forte. E questo ci dice anche che la Chiesa, con la sua fede, precede il Papa e accoglie il Papa.
Certo, la Chiesa è costruita sulla roccia che è Cristo, in primo luogo, e su Pietro, in quanto crede in Cristo. La frase “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” è fondamentale. È Cristo che edifica su sé stesso Pietro, in quanto crede in questo senso. Quindi, la Chiesa precede Pietro. Ogni singolo Papa si inserisce nella primazia di Pietro, il papato, che è più ampio del ministero petrino di ogni singolo Papa.
È bello che questo pontefice abbia scelto un grande nome, Leone XIV. È bello sapere che ci sono stati 13 Papi prima di lui con questo nome. Questo è Cattolico. La tradizione Cattolica non inizia con questo Papa o con Papa Francesco, ma con Pietro, il primo Papa, e con il grande Leone, Leone Magno, il primo Leone, e con molti altri che hanno seguito nel ministero petrino essendo successori del primo Papa, San Pietro. La Chiesa precede Pietro e accoglie il nuovo Papa.
La Chiesa è infallibile nel credere (in credendo) e, a determinate condizioni, può essere infallibile nell’insegnare (in docendo). È infallibile nel credere “in credential”, o meglio, nel credere. Per insegnare infallibilmente, il Papa deve credere con la fede della Chiesa, non con la sua fede personale. Non esiste la fede personale; c’è solo una fede, la fede della Chiesa. Il Papa deve condividere questa fede della Chiesa, che è infallibile in quanto professata, e quindi può insegnare infallibilmente.
La Chiesa è infallibile in credendo e in docendo, ma prima nel credere e poi nell’insegnare. Un altro motivo per capire che la fede della Chiesa precede il Papa è spiegato chiaramente nel Vangelo di oggi, quando Gesù stesso chiede ai discepoli, agli apostoli: “Chi dice la gente che io sia?”. E la gente dice molte cose. Le persone, i mass media, i giornalisti, gli atei e le persone che hanno un interesse nella Chiesa dicono molte cose. Ma la maggior parte delle volte dicono: “Sì, Gesù è grande, ma un uomo”. Forse un superuomo con poteri speciali, ma solo un uomo. Questo, ovviamente, non è sufficiente. Gesù non è un semplice uomo.
Dopo aver sentito le opinioni della gente, Gesù chiede di nuovo: “Ma voi, apostoli, chi dite che io sia?”. E ora interviene la fede di Pietro. Pietro parla a nome della Chiesa, ma non con la sua fede, bensì con la fede della Chiesa. E Pietro dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente“. Questo non è frutto della proprietà di Pietro, della sua intelligenza o capacità. È il Padre nei cieli che ha illuminato la sua mente, il suo cuore, gli ha dato la capacità di professare questa fede. La fede in Gesù Cristo, vero Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo.
Chi è il Papa, miei cari fratelli? Forse l’abbiamo dimenticato dopo un lungo pontificato in cui abbiamo visto Papa Francesco essere in qualche modo “contro il ministero petrino”, mettendosi “contro la Chiesa”, cercando di “minare”, anzi, minare il ministero di Pietro. Chi è il Papa? Questa è la domanda importante, che è ancora lì, in attesa di una risposta data con la fede della Chiesa. Possiamo fare riferimento al Vangelo di San Luca, dove troviamo la risposta, insieme al Vangelo di San Matteo che abbiamo proclamato in questa santa messa. Luca 22,32. Ricordate quel passaggio, è Nostro Signore che parla: “Ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli“.
Questo è molto illuminante. Gesù prega per Pietro affinché non fallisca. Cosa significa? Significa che Pietro può fallire. Pietro stesso ha fallito; ha tradito Nostro Signore. Pietro stesso non è un superuomo; è un pover’uomo come voi e me. Ma ha bisogno di essere fedele a questo dono interiore dello Spirito Santo per credere fedelmente con l’unica fede della Chiesa. Pietro, tu potresti fallire, ma io ho pregato per te. Quando una volta ti sarai convertito, avrai superato questo fallimento e ti sarai rivolto contro di esso, tornando a credere, “conferma i tuoi fratelli”.
Questo è il ministero di Pietro: confermare i fratelli. Cosa significa “confermare” in questo contesto? “Confermare” è reso nel suo originale con una parola che significa “stabilire la fede” dei tuoi fratelli. Quando c’è confusione, quando ci sono errori diffusi, tu, con la tua fede, devi confermare i tuoi fratelli. Il che significa anche “rendere interiormente fermi”. Un altro modo, un altro significato, un’altra sfumatura di questo verbo è “rendere interiormente fermi” in ciò che il popolo di Dio crede, e anche rafforzare la fede della Chiesa. Pietro crede e perciò conferma, stabilisce, rafforza la fede dei suoi fratelli, la fede della Chiesa. Quando fa ciò, è Pietro, la roccia. “Su questa roccia edificherò la mia Chiesa”.
Ma forse Pietro non ha compreso subito questo ministero. Luca 22 è il momento in cui Nostro Signore sta entrando nella sua dolorosa passione e morte. E Pietro era lui stesso confuso in quel tempo. Pietro se ne andò, Pietro tradì Nostro Signore, Pietro fuggì, Pietro non capì cosa doveva fare. Ma capirà più tardi, dopo la risurrezione di Gesù, nel Vangelo di San Giovanni, quando Gesù apparve agli apostoli e chiese a Pietro tre volte: “Pietro, mi ami tu più di costoro?”. Più degli altri apostoli.
Per tre volte Pietro, anche ora, non capisce la parola che Gesù sta dicendo, il significato della sua parola. Il verbo in greco è agapao, il verbo amare, che è agape, che è l’amore di Dio. “Mi ami tu con questo amore divino, Pietro? Mi ami tu con questo amore che è Dio stesso? Dio è amore, Dio è agape”. Pietro non capisce. Per tre volte risponde dicendo “Ti amo”, ma con un amore meno perfetto, fileo, l’amore di amicizia. Pietro capiva che Gesù era suo amico e che doveva amarlo e rispettarlo, ma questo non era sufficiente. “Pietro, mi ami tu con un amore divino?”. Pietro lo capirà.
E Nostro Signore sta ora profetizzando il suo martirio. “Pietro, ora ci sarà qualcun altro che stenderà le tue mani e ti condurrà dove tu non vuoi andare”. Giovanni ci dice che Nostro Signore gli stava già parlando della sua morte. Pietro capirà il significato di quell’amore quando darà la sua vita per Cristo, essendo crocifisso come Nostro Signore.
Il ministero di Pietro, come ha detto stamattina Papa Leone nella sua omelia, è un ministero d’amore. L’amore di Gesù, l’amore di Dio. Insegnare chiaramente la fede e condannare gli errori per rafforzare la fede della Chiesa è un ministero d’amore. Sì, certo, questo è amore. Vero amore. Amare Cristo e le sue pecore è dire la verità, insegnare la fede della Chiesa. Anche quando umanamente non è accettabile o è politicamente scorretto. La Chiesa non segue il mondo, il flusso, l’opinione dei mass media. La Chiesa segue Cristo.
Quindi, l’amore necessario per seguire Gesù e per confermare i fratelli, le pecore, gli agnelli – “Tre volte, Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli” – questo amore necessario è lo stesso amore con cui Gesù ci ha amato, dando la sua vita per noi. E il Papa ha evidenziato questo importante amore nella sua omelia di oggi. L’amore richiesto è amore sacrificale. L’amore di Cristo “fino alla fine”. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”. La parola “li amò” è agapa. Lo stesso verbo. L’amore che è Dio. L’amore che è sacrificale.
Solo amando con un amore sacrificale, con il dono della propria vita, come ha detto Gesù, amiamo le nostre pecore. Pietro ama i suoi fratelli e perciò li conferma nell’amore sacrificale della propria vita per Cristo. Pietro diventa come Cristo, un vero pastore per il suo gregge. E infatti, miei cari fratelli, il ministero petrino è “presiedere l’intera Chiesa nella carità”. Questa è una bella affermazione di Sant’Ignazio di Antiochia, uno dei primi Padri della Chiesa, che da Antiochia venne a Roma per morire, per essere divorato dalle bestie nel Colosseo. E scrisse che la Chiesa di Roma ha la primazia su tutte le altre chiese. Per quale ragione? Perché è più potente? Perché c’è qualcuno più intelligente? No. Ma perché presiede l’intera Chiesa nella carità.
E noi capiamo cos’è questa carità. Non è aiuto sociale, non è solo giustizia sociale. Questa carità è amore sacrificale. L’amore di Cristo fino alla fine. L’amore crocifisso del buon pastore. Quando il Papa stesso, imitando Pietro, è pronto ad essere crocifisso per amore di Cristo, egli diventa il pastore come Gesù, come Pietro. Questa carità è il cuore stesso del nostro messaggio. Questo è il cuore della Chiesa di Roma, la Chiesa di Pietro. Colui che, amando tutti i fratelli, garantisce l’unità, l’unità visibile dell’intera Chiesa nell’unica fede, nell’unico amore. Solo essendo sacrificale.
Questo amore è vero e diventa ministero, diventa insegnamento, diventa dottrina che viene trasmessa alla Chiesa, raggiungendo tutte le persone di buona volontà. Essere un Papa è amare, e amare è essere pronti ad essere crocifissi. Penso che Papa Leone lo capisca molto bene e abbia già fatto diversi riferimenti a questo amore sacrificale. Per essere un pastore, bisogna essere un agnello, un agnello sgozzato, l’agnello di Dio.
Un ultimo punto, miei cari fratelli. Pietro impara ad amare tutti i suoi fratelli che hanno bisogno di essere confermati nella loro fede, nella loro credenza, se ama Cristo sopra ogni altra cosa. E per amare Cristo, è necessario amare la Madre di Cristo, Colei che ci ha dato Nostro Signore, la Beata Vergine Maria. La Madre di Cristo insegna a Pietro ad essere sempre orientato a Cristo, come la Madre del Buon Consiglio che offre il suo consiglio a noi e al Papa presentandoci suo Figlio, Gesù Cristo, la via, la verità e la vita.
Qualcosa di molto incoraggiante è il fatto, la coincidenza, che questo Papa è stato eletto l’8 maggio, che è un grande giorno mariano per Nostra Signora del Santo Rosario di Pompei, la supplica. E un’altra ragione è Nostra Signora Mediatrice di tutte le grazie. E anche il fatto che questo Papa ha preso il nome di Leone, in onore del suo predecessore Leone XIII. E Papa Leone XIII era molto devoto al Santo Rosario. Scrisse 12 encicliche sul Santo Rosario. Quasi ogni anno del suo pontificato, scrisse una lettera enciclica sul rosario. E questo è anche un bellissimo legame con il Beato Bartolo Longo, il fondatore del Santuario Mariano di Pompei. Il Papa ha fatto riferimento a quell’occasione, a quella festa mariana.
Quindi, sembra che Nostra Signora sia ora al comando. E possiamo essere speranzosi, naturalmente, mantenendo l’unica fede e mantenendo questo amore verso la nostra Beata Madre, poiché amiamo Nostra Signora per amare perfettamente Gesù. Affidiamo alla Beata Signora il nuovo pontificato di Papa Leone XIV. Preghiamo per il Papa affinché possa diventare un pastore, il buon pastore per tutta la Chiesa, diventando un altro Cristo, imitando Gesù come ha fatto Pietro, offrendo la sua vita ogni giorno, pronto anche ad essere crocifisso, come lo sarà dai media, dalla gente, dai nemici della Chiesa. Ma egli deve essere forte, perché nel dare la sua vita per Cristo c’è salvezza, c’è redenzione, c’è unità.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Traduzione curata dal nostro Staff
I doveri del Papa nelle parole di Leone XII
Dalla bolla “Quo graviora” di Leone XII del 13 marzo 1825 proscrivente le sette segrete massoniche.
«Quanto più gravi sono le sciagure che sovrastano il gregge di Cristo Dio e Salvatore nostro, tanta maggiore sollecitudine devono usare, per rimuoverle, i Romani Pontefici, ai quali sono stati affidati il potere e l’impegno di pascere e di governare quel gregge in nome del Beato Pietro, principe degli Apostoli. Compete infatti ad essi, come a coloro che sono posti nel più alto osservatorio della Chiesa, lo scorgere più da lontano le insidie che i nemici del nome cristiano ordiscono per distruggere la Chiesa di Cristo, senza che mai possano conseguire tale scopo; ad essi compete non solo indicare e rivelare le stesse insidie ai fedeli, perché se ne guardino, ma anche, con la propria autorità, stornarle e rimuoverle. I Romani Pontefici Nostri Predecessori compresero quale gravoso incarico fosse loro affidato; perciò si imposero di vigilare sempre come buoni pastori. Con le esortazioni, gl’insegnamenti, i decreti e dedicando la stessa vita al loro gregge, ebbero cura di proibire e di distruggere totalmente le sette che minacciavano l’estrema rovina della Chiesa».
