Quando la guerra calpesta il Vangelo.
di don Mario Proietti (17 luglio 2025)
C’era un silenzio fragile e prezioso, questa mattina, nella parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza. Un silenzio custodito da giorni e notti di preghiera, rotto solo dal pianto dei bambini, dal fruscio delle tende tese sulle finestre distrutte, e dal respiro stanco dei rifugiati. Oltre cinquecento persone avevano trovato lì un tetto, una protezione, un nome da pronunciare senza paura. Non era una caserma, né un deposito, né un obiettivo strategico. Era una chiesa. E come tutte le chiese in tempo di guerra, era diventata un segno di speranza.
Poi, il boato. Le pareti che tremano. Vetri frantumati. Sangue sui gradini del presbiterio. Padre Gabriel Romanelli, il parroco, ferito a una gamba. E con lui altri. È accaduto tutto in pochi istanti. Ma in quegli istanti si è consumato un gesto che pesa sulla coscienza del mondo.
Colpire la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza non è solo un danno collaterale. È un atto simbolico. È come spezzare un’icona, come profanare un altare. È un affronto al cuore stesso di ciò che rimane umano. Quella parrocchia porta il nome della famiglia di Nazaret, che a sua volta fuggì la violenza cercando rifugio in Egitto. Chi la colpisce oggi, colpisce l’innocenza in fuga, il Dio che si fa piccolo e vulnerabile.
In un conflitto già disumano, questo episodio ha superato una soglia. Quando si bombardano gli ospedali si grida allo scandalo. Quando si distruggono le scuole si fa appello alla convenzione di Ginevra. Ma quando si colpiscono le chiese, chi si alza in piedi? Chi difende i luoghi in cui il silenzio della fede si fa riparo per chi non ha più voce?
Eppure, in questa tenebra, una luce si è accesa. La voce del Papa. Papa Leone XIV, attraverso un telegramma firmato dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, ha parlato come un padre ferito nei suoi figli. Non con urla o accuse, ma con la forza mite della compassione: “Profondamente rattristato” per l’attacco, esprime la sua vicinanza spirituale, affida i morti alla misericordia di Dio, e rinnova l’appello per un “immediato cessate il fuoco”.
Ma soprattutto, il Papa osa ciò che la diplomazia ha dimenticato: pronunciare le parole “dialogo, riconciliazione e pace durevole”. In un mondo che chiama ogni tregua “riorganizzazione militare” e ogni conferenza “trattativa tecnica”, il Pontefice ripropone il Vangelo come unica alternativa reale.
A questa tragedia, non ha tardato ad aggiungersi il pensiero coraggioso dell’arcivescovo di Manfredonia, Mons. Franco Moscone, che sulla pagina ufficiale della diocesi ha affidato un commento tanto breve quanto profondo: “Purtroppo siamo in una civiltà retta da criminali che si vantano di essere democratici, ma in realtà si tratta di kakistocrazia: il governo dei peggiori.
Preghiamo, vegliamo, denunciamo. Il silenzio è complicità.”
Con la libertà dei profeti, Mons. Moscone chiama le cose con il loro nome. Non si tratta solo di una reazione a caldo, ma di una diagnosi spirituale: quando i governi perdono l’anima e il diritto si piega alla forza, resta il compito della Chiesa di alzare la voce. Kakistocrazia, termine raro, ma purtroppo attuale, descrive con precisione il volto di un mondo dove i peggiori non solo comandano, ma si vantano di farlo nel nome della democrazia.
E così, la voce del Papa e quella del Vescovo si fanno due lamenti, due richiami, due veglie che si rispondono nel cuore della Chiesa: uno chiama alla misericordia, l’altro alla verità. Entrambi, alla giustizia.
C’è una verità da ricordare, ora più che mai: la presenza cristiana in Terra Santa è viva, anche a Gaza, anche sotto le bombe. Non è folclore né superstite archeologia. È una testimonianza silenziosa ma forte, fatta di volti, di storie, di martiri. I cristiani di Gaza sono Chiesa viva, e la loro sofferenza è la sofferenza del Corpo di Cristo.
Padre Romanelli non è solo un sacerdote ferito. È il simbolo di un ministero che resta in piedi tra le rovine, che non fugge, che celebra l’Eucaristia tra le macerie, che consola, benedice, accoglie. La sua gamba ferita è immagine di una Chiesa che zoppica ma non cade, perché fondata sulla Croce e sulla Risurrezione.
Ora spetta a noi. Chi ha coscienza, parli. Chi ha fede, preghi e agisca. Non possiamo restare in silenzio. Ogni attacco a un luogo sacro è un colpo alla nostra umanità. Ogni lacrima versata in una chiesa profanata è una preghiera che sale, una domanda che Dio non lascia cadere nel vuoto.
La guerra ha superato i limiti, ma il Vangelo non ha perso la sua forza. La Sacra Famiglia è stata colpita. Ma da quella casa ferita si alza ancora la speranza che salva il mondo.
(fonte)
