Per l’Augusto Genetliaco del Santo Padre Leone XIV (14.9.1955 – 2025), dedichiamo

Papa Leone XIV cita e si ispira frequentemente a Sant’Agostino, l’Ordine al quale appartiene e ne è stato Priore Generale per due mandati, sottolineando l’importanza di donare i talenti ricevuti da Dio, di tornare al cuore come luogo di incontro con Dio, e il motto agostiniano ‘In Illo Uno Unum’ per promuovere l’unità e la carità.
Il Pontefice richiama anche la distinzione agostiniana tra l’amor sui (amore egoistico) e l’amor Dei (amore generoso) e invita a imitare Agostino nel suo impegno per la Verità, l’Unità e la Carità.
Nella sua omelia agli agostiniani, Leone ricorda le parole di Sant’Agostino in un sermone – il 269 – nel quale viene sottolineato che dalla Pentecoste “l’insieme dei credenti parla in tutte le lingue. Perciò anche ora tutte le lingue sono nostre, poiché siamo membra del corpo che parla… (…) Nessuno pensi di avere da sé tutte le risposte. Ciascuno condivida con apertura ciò che ha. Tutti accolgano con fede e carità ciò che il Signore ispira, nella Verità e nell’Unità”.

Per l’Augusto Genetliaco del Santo Padre Leone XIV, 70 anni (14.9.1955 – 2025), ricordiamo e dedichiamo: 10 citazioni che il Papa Leone ha fatto in riferimento al pensiero di Sant’Agostino da quando è stato eletto 267° Pontefice della Santa Chiesa: una, santa, cattolica, apostolica e romana. Ovviamente i riferimenti sono molti di più, ma questa breve raccolta ci aiuta a comprendere il pensiero di Papa Leone XIV e il come voglia farci accogliere il suo Magistero.

1. Noi siamo i tempi “Viviamo bene e i tempi saranno buoni”.(Udienza 12 maggio ai Giornalisti), Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: “Viviamo bene e i tempi saranno buoni” (cfr Discorso 311). Noi siamo i tempi»… disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività. 

2. Fratelli e sorelle, saluto tutti voi, con il cuore colmo di gratitudine, all’inizio del ministero che mi è stato affidato. Scriveva Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1, 1.1). “Come afferma Sant’Agostino: «La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo» (Discorso 359, 9). – Omelia18 maggio 2025.
Papa Leone ha qui sottolineato il suo grande desiderio di una Chiesa unita, che diventi “lievito per un mondo riconciliato”, portando l’insegnamento di di Sant’Agostino.

3. Unità: “Nell’Unico, che è Cristo, noi siamo uno”. “In effetti, l’unità è sempre stata una mia costante preoccupazione, come dimostra il motto che ho scelto per il mio ministero episcopale: “In Illo uno unum”. Questa espressione di Sant’Agostino d’Ippona ci ricorda come anche noi, pur essendo molti, “Nell’Uno, che è Cristo, siamo uno””. (Esposizioni sui Salmi, 127, 3). – Discorso ai rappresentanti di altre chiese e comunità ecclesiali e di altre religioni, 19 maggio 2025.
Papa Leone ha incontrato i leader di altre chiese, comunità ecclesiali e altre religioni per mettere in chiaro da dove parte la vera fraternità spirituale e il desiderio dell’unità nella verità per un autentico dialogo.

4. “La preghiera del Figlio di Dio, che ci infonde speranza lungo il cammino, ci ricorda anche che un giorno saremo tutti uno unum (cfr S. Agostino, Sermo super Ps. 127): una cosa sola nell’unico Salvatore, abbracciati dall’amore eterno di Dio”. – Giubileo delle famiglie, dei bambini, dei nonni e degli anziani, 1° giugno 2025.
Papa Leone ha concluso la sua omelia per il Giubileo delle famiglie, dei bambini, dei nonni e degli anziani con questa citazione di Sant’Agostino, sottolineando l’amore e l’unità della famiglia in Cristo, sia oggi – se ci manteniamo fedeli – che tra coloro che ci hanno preceduto.

L’accorato appello di Sant’Agostino.
5. Carissimi, vi assicuro la mia vicinanza, il mio affetto e la mia disponibilità a camminare con voi. Affidiamo al Signore la nostra vita sacerdotale e chiediamogli di crescere nell’unità, nell’esemplarità e nell’impegno profetico per servire il nostro tempo. Ci accompagni l’accorato appello di Sant’Agostino che disse: «Amate questa Chiesa, restate in questa Chiesa, siate questa Chiesa. Amate il buon Pastore, lo Sposo bellissimo, che non inganna nessuno e non vuole che alcuno perisca. Pregate anche per le pecore sbandate: che anch’esse vengano, anch’esse riconoscano, anch’esse amino, perché vi sia un solo ovile e un solo pastore» (Discorso 138, 10). Grazie!
Discorso al clero della Diocesi di Roma 12 giugno 2025.

6. La fede in Dio, con i valori positivi che ne derivano: … Credere in Dio, con i valori positivi che ne derivano, è nella vita dei singoli e delle comunità una fonte immensa di bene e di verità. Sant’Agostino, in proposito, parlava di un passaggio dell’uomo dall’amor sui – l’amore egoistico per sé stesso, chiuso e distruttivo – all’amor Dei – l’amore gratuito, che ha la sua radice in Dio e che porta al dono di sé –, come elemento fondamentale nella costruzione della civitas Dei, cioè di una società in cui la legge fondamentale è la carità (cfr De civitate Dei, XIV, 28).
Per avere allora un punto di riferimento unitario nell’azione politica, piuttosto che escludere a priori, nei processi decisionali, la considerazione del trascendente, gioverà cercare, in esso, ciò che accomuna tutti. A tale scopo, un riferimento imprescindibile è quello alla legge naturale, non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo, che trova nella stessa natura la sua forma più plausibile e convincente.
Discorso al Giubileo dei Governanti 21 giugno 2025.

Viaggio nella Patria celeste
7. I migranti e i rifugiati ricordano alla Chiesa la sua dimensione pellegrina, perennemente protesa verso il raggiungimento della patria definitiva, sostenuta da una speranza che è virtù teologale. Ogni volta che la Chiesa cede alla tentazione di “sedentarizzazione” e smette di essere civitas peregrina – popolo di Dio pellegrinante verso la patria celeste (Cfr. Agostino, De civitate Dei, Libro XIV-XVI), essa smette di essere “nel mondo” e diventa “del mondo” (cfr. Gv 15,19). Si tratta di una tentazione presente già nelle prime comunità cristiane, tanto che l’apostolo Paolo deve ricordare alla Chiesa di Filippi che «la nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,20-21).
Messaggio per la Giornata mondiale dei migranti e dei rifugiati (del 4-5 ottobre) 25 luglio 2025

8. Intorno a Gesù c’era tanta folla, e dunque tante persone lo toccavano, eppure a loro non succede niente. Quando invece questa donna tocca Gesù, viene guarita. Dove sta la differenza? Commentando questo punto del testo, Sant’Agostino dice – a nome di Gesù –: «La folla mi si accalca intorno, ma la fede mi tocca» (Discorso 243, 2, 2). È così: ogni volta che facciamo un atto di fede indirizzato a Gesù, si stabilisce un contatto con Lui e immediatamente esce da Lui la sua grazia. A volte noi non ce ne accorgiamo, ma in modo segreto e reale la grazia ci raggiunge e da dentro pian piano trasforma la vita.
Udienza generale 25 giugno 2025.

Le università cattoliche sono chiamate a diventare “percorsi della mente verso Dio”
9. … affinché divenga realtà in noi l’opportuna esortazione di sant’Agostino: «Vedete, fratelli, che cosa accade nell’anima umana. Essa da sé stessa non ha luce; da sé stessa non ha forza. Tutto quanto di bello c’è nell’anima è la virtù e la sapienza; ma essa, da sé stessa, non sa come da sé stessa nemmeno può. Non è luce di per sé […]. Esiste, però, una origine e una fonte della virtù, una radice della sapienza; esiste una regione, per così dire e se così si può dire, della verità immutabile. Allontanandosi da questa regione, l’anima si ottenebra; avvicinandosi ad essa Si illumina» (Esposizioni sui Salmi, 58, I, 1). – Messaggio ai partecipanti alla 28ª Assemblea Generale della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche, 21 luglio 2025.
Il messaggio di Papa Leone alle istituzioni cattoliche di istruzione superiore sottolinea il loro ruolo nella formazione delle coscienze alla ricerca della verità e il pericolo dei “canti di sirena” nuovi, popolari o persistenti, che distraggono dalla loro missione.

La città di Dio
10. Per trovare il nostro equilibrio nelle circostanze attuali — specialmente voi come legislatori e leader politici cattolici — suggerisco di dare uno sguardo al passato, alla eminente figura di sant’Agostino d’Ippona. Voce importante della Chiesa in tarda epoca romana, fu testimone di immensi sconvolgimenti e disgregazione sociale. In risposta scrisse La città di Dio, un’opera che propone una visione di speranza, una visione di significato che ci parla ancora oggi.
Questo Padre della Chiesa ha insegnato che nella storia umana s’intrecciano due “città”: la città dell’uomo e la città di Dio. Esse simboleggiano realtà spirituali — due orientamenti del cuore umano e, pertanto, della civiltà umana.
La città dell’uomo, costruita sull’orgoglio e sull’amore di sé, è caratterizzata dalla ricerca di potere, prestigio e piacere; la città di Dio, costruita sull’amore di Dio fino all’altruismo, è caratterizzata dalla giustizia, dalla carità e dall’umiltà. In questi termini, Agostino ha incoraggiato i cristiani a impregnare la società terrena dei valori del Regno di Dio, orientando in tal modo la storia verso il suo compimento ultimo in Dio, consentendo però anche la prosperità umana autentica in questa vita.
Tale visione teologica può offrirci un punto di riferimento dinanzi alle mutevoli correnti attuali: l’emergere di nuovi centri di gravità, l’instabilità di antiche alleanze e l’influenza senza precedenti di multinazionali e tecnologie, per non parlare dei tanti conflitti violenti. La domanda cruciale per noi credenti è pertanto la seguente: come possiamo portare a termine questo compito?
Discorso alla Rete internazionale dei legislatori cattolici, 23 agosto 2025.
Papa Leone raccomanda il libro di Agostino a un gruppo internazionale di legislatori cattolici, sottolineando il paragone del santo tra la “Città dell’uomo” e la “Città di Dio”, e ciò che la mentalità di ciascuno significa per la fioritura della società, l’autentica prosperità umana che non può fare a meno di Dio.


I primi 100 giorni di Leone XIV

del professor Roberto de Mattei

Lo scorso 17 agosto, Leone XIV è definitivamente ritornato in Vaticano, dopo il riposo estivo a Castelgandolfo. In questa data sono anche trascorsi i primi 100 giorni del suo pontificato, iniziato l8 maggio 2025. 

E sufficiente questo periodo, in cui il Papa non ha fatto nomine decisive, viaggi internazionali, o grandi discorsi, per prevedere le prossime linee del suo pontificato? Assolutamente no. I tempi della Chiesa non sono quelli della politica e tre mesi sono un periodo insufficiente per una seria analisi sul futuro.

Il pontificato di papa Francesco è stato oggettivamente devastatore, non tanto per le vittorie del progressismo, che non ha raggiunto nessuna delle sue mete più radicali, quanto per la confusione che ha generato in tutto il mondo cattolico, comprese le divisioni che ha provocato nel mondo tradizionalista, spingendo una parte di esso verso posizioni di rifiuto del Primato petrino. Il processo di autodemolizione della Chiesa è dunque avanzato, ed è giusto chiedersi se Leone XIV lo arresterà, anche se è troppo presto per dare una risposta definitiva a questa domanda.    

Le prime impressioni sono importanti e Leone XIV al momento della sua elezione, ha dato quella di un Pastore consapevole che la sua missione non abbia altro fondamento che in Cristo. Lespressione In Illo uno unum, “Nel Cristo unico siamo uno”, che riprende le parole di santAgostino sul Salmo 127, è il motto del nuovo Papa, convinto, come sembra, che non sarà giudicato per le sue innovazioni e il suo successo mondano, ma per la sua fedeltà allinsegnamento del Vangelo. Altrettanto chiara, è apparsa fin dal momento della visita al Santuario di Genazzano, due giorni dopo lelezione, la sua devozione mariana.

Il richiamo a Cristo, e dunque alla natura soprannaturale della Chiesa, appare una costante dei primi tre mesi di pontificato. Del resto, al di fuori di questa pietra angolare, non cè possibilità di realizzare il programma di Leone XIV, che è quello, più volte da lui ribadito, di riportare unità e pace nella Chiesa e nel mondo, proprio dove è fallito il pontificato di papa Francesco.

I critici conservatori e tradizionalisti di Leone XIV sottolineano il fatto che nei suoi primi 100 giorni il nuovo Papa ha citato più di settanta volte papa Francesco, presentandolo come un punto di riferimento. Sottolineano ancora che egli non ha rimosso, in tutto o in parte, documenti infausti, come Amoris Laetitia e Traditionis custodes, che le sue dichiarazioni lasciano supporre chegli abbia intenzione di proseguire il cammino sinodale, che egli si è espresso, in alcuni discorsi con un linguaggio ambiguo, tipico del progressismo e che, infine, ha confermato al proprio posto tutti i responsabili degli uffici e dei dicasteri, a cominciare dal cardinale Parolin. Il giudizio definitivo è impietoso: Leone XIV appare come un “Bergoglio dal volto umano”.

E’ anche vero però che in nessun campo il Pontefice ha oltrepassato la linea del suo predecessore. Ci sono stati, al contrario, segni di una inversione di rotta:«Il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna», ha detto il 31 maggio 2025, correggendo Amoris laetitia;nel discorso ai governanti del 21 giugno, Leone, sulla linea di Benedetto XVI,  ha difeso con fermezza la legge naturale, «non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo»; il 9 luglio, in un’omelia a Castelgandolfo, è sembrato correggere l’ideologia green tanto apprezzata da Francesco;  nell’udienza del 13 agosto, ha affermato che Giuda Iscariota ha scelto di escludersi dalla salvezza con il suo tradimento, in  contrasto con  Papa Bergoglio, il quale aveva detto di non sapere se Giuda fosse andato all’inferno. In una lettera indirizzata il 17 agosto alla conferenza dei vescovi dell’Amazzonia ha condannato l’adorazione della natura, ponendo Cristo e l’Eucarestia al centro dell’evangelizzazione.

Inoltre, le conferme dei collaboratori di Francesco sono fatte «donec aliter provideatur», cioè fino a quando egli non deciderà diversamente, ma intanto il Papa ha nominato il cardinale Robert Sarah suo inviato speciale per le solenni celebrazioni che si sono svolte il 25 e 26 luglio presso il Santuario di Sainte-Anne-d’Auray, nel quadricentenario delle apparizioni, eil cardinale Dominik Daka, che ha sottoscritto i dubia su Amoris Laetitiae, suo inviato specialealle celebrazioni del centenario dell’erezione dell’arcidiocesi di Gdańsk (Polonia), che si terranno il 14 ottobre 2025. Il22 agosto, poi, Leone XIV ha ricevuto in udienza privata il cardinale Raymond Leo Burke, considerato da Francesco uno dei suoi peggiori nemici. In una lettera inviata il 17 giugno allo stesso cardinale Burke, in occasione del suo Giubileo, il Papa lo aveva ringraziato per «il pronto servizio da lui svolto con zelo» nei confronti della Sede Apostolica, predicando sempre «i precetti del Vangelo secondo il Cuore di Cristo».  

A sua volta, in un’intervista al quotidiano” La Stampa” del 18 agosto, il cardinale Burke ha dichiarato: «Il pontificato di Leone XIV si contraddistingue per il cristocentrismo, parla sempre del Signore e della sua Chiesa. È importante che la Chiesa non sia ridotta a una ong. Leone prende tempo per nominare persone in grado di aiutarlo nelle responsabilità principali. L’ufficio di Papa è impossibile per chi non ha i giusti collaboratori. Già la scelta del nome che si richiama a Leone Magno e Leone XIII chiarisce la sua volontà di essere un autentico “padre dei padri”, vero pastore della Chiesa universale. Dobbiamo pregare per lui e aiutarlo ciascuno nel nostro ruolo».

Certamente si tratta di indizi, non di prove di un reale cambiamento, ma non esiste nemmeno la prova del contrario e su fragili indizi si basano le previsioni critiche sul pontificato leonino. Il campo resta dunque ancora aperto, con problemi sul tappeto che riguardano, oltre a quello decisivo delle nomine, questioni cruciali quali la Sinodalità e i rapporti del Vaticano con la Cina.

E’ facile suggerire al Papa che cosa dovrebbe fare, o addirittura pretendere che lo faccia in tempi brevi, senza essere al suo posto e avere la responsabilità di farlo. Ma dobbiamo ricordare che san Pio X attese quattro anni, prima di condannare il modernismo, nonostante avesse al suo fianco un segretario di Stato a lui vicino quale il cardinale Rafael Merry del Val. Qual è oggi il gruppo di collaboratori anti-modernisti che potrebbe coadiuvare nelle sue decisioni Leone XIV, che non è certamente un Pio X, come dimostra la sua formazione culturale e la sua esperienza pastorale? 

Tra i grandi Pontefici degli ultimi due secoli annoveriamo anche Pio IX, un Papa che divenne antiliberale solo tre anni dopo la sua elezione, in seguito a un brusco risveglio dovuto alla persecuzione rivoluzionaria e alla fuga da Roma. Pio XII, che era un Papa mite e amante dei negoziati, fu travolto dalla Seconda guerra mondiale e dovette attendere alcuni anni prima di promulgare le sue grandi encicliche Mystici Corporis (1943), Mediator Dei (1947), Humani generis (1950) e Ad Coeli Reginam (1954).

La virtù della prudenza, naturale e soprannaturale, può imporre tempi non brevi per realizzare un progetto ed accadimenti esterni, come quelli bellici che oggi si profilano all’orizzonte, possono sconvolgerlo. Non bisogna dunque essere impazienti, ma vigilanti, riponendo ogni speranza solo in Dio e pregando per il Papa e per la Chiesa in un’ora tenebrosa della storia.

 


Sandro Magister: Leone governa, ma non da solo. Breve analisi sulla politica di questo neo-Pontificato

C’è una curiosa novità nel metodo di governo di papa Leone. È il suo frequente invio di telegrammi scritti “a nome del Santo Padre”, ma firmati dal segretario di Stato cardinale Pietro Parolin.

Sono resi pubblici interamente in maiuscolo, proprio come i classici telegrammi, ma con la punteggiatura e gli a capo come negli scritti normali. E sono insolitamente lunghi, all’opposto della tipica brevità telegrafica.

Il primo telegramma di questo tipo che abbia fatto notizia è stato quello del 18 agosto ai vescovi dell’Amazzonia. Che non era affatto di routine, ma sollecitava sia a non anteporre le battaglie politiche all’annuncio di fede, perché è “laddove si predica in nome di Cristo” che “l’ingiustizia arretra in modo proporzionale”, sia a prendersi cura dei beni naturali “che parlano della bontà e della bellezza del Creatore” senza sottomettersi ad essi “come uno schiavo o adoratore”: con un evidente riferimento correttivo alle due pietre d’inciampo del sinodo sull’Amazzonia tenuto a Roma nel 2019.

Era poi seguito, il 20 agosto, un telegramma a un congresso di teologia morale in corso a Bogotà, nel quale il papa esortava a prendere sant’Alfonso Maria de’ Liguori come esempio di equilibrio “tra le esigenze della legge di Dio e le dinamiche della coscienza e della libertà dell’uomo”.

E poi ancora un telegramma sull’arrivo in India nel XVII secolo di un grande missionario, il gesuita lituano Andrius Rudamina, che seppe coniugare l’annuncio di Gesù col dialogo culturale e interreligioso.

Insomma, in questi e altri telegrammi inviati a nome del papa dal cardinale Parolin c’è l’evidente volontà di Leone di restituire valore al ruolo del segretario di Stato non solo come responsabile della diplomazia, ma soprattutto con “il compito di aiutare da vicino il Sommo Pontefice nella cura della Chiesa universale”, come scritto nella grande riforma della curia compiuta da Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II, con la costituzione apostolica del 1967 “Regimini ecclesiae universae”.

E che Leone stimi Parolin è confermato anche dall’affiliazione all’Ordine di Sant’Agostino – di cui il papa è stato priore generale – che è stata assegnata al cardinale il 27 agosto, festa di santa Monica, la madre del santo, nella basilica romana intitolata al figlio, per le “benemerenze acquisite verso l’Ordine”.

Con i telegrammi papali firmati da Parolin, ma non solo con questi, Leone vuole trasmettere l’immagine di un governo della Chiesa non monocratico, con il papa come solitario monarca assoluto, ma più “sinodale” – per chi ama questo vocabolo – o comunque fondato in partenza sul consenso di chi ha il ruolo di primo assistente del papa.

Ma c’è di più. La coralità del metodo di governo di papa Leone ha trovato conferma nei giorni scorsi proprio sul terreno dove nel precedente pontificato era più vistoso e dannoso il disordine ai vertici della Chiesa : quello delle guerre.

Per capire questa novità basta attenersi alla sequenza dei fatti.

il 22 agosto Leone ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per tutti coloro che soffrono a causa delle guerre e lo stesso giorno è stato reso pubblico il messaggio inviato dal papa a firma di Parolin al Meeting per l’amicizia tra i popoli, organizzato a Rimini da Comunione e liberazione.

Nel messaggio il papa apprezzava la testimonianza dei martiri di Algeria, uccisi negli anni Novanta per non essersi piegati all’ingiunzione di abbandonare quella terra. E il giorno dopo, 23 agosto, nel ricevere in Vaticano un gruppo di rifugiati delle isole Chagos nell’Oceano Indiano, costretti tempo fa all’esilio per fare spazio alla base militare angloamericana di Diego Garcia ma restituiti alle loro isole da un accordo a Londra dello scorso 22 maggio, coglieva l’occasione per dire che “tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre ; e nessuno può costringerli a un esilio forzato”.

Tutti vedono in questo monito di Leone un riferimento anche alla popolazione di Gaza, sotto pressione per lasciare la sua terra. Ed è certamente questo il pensiero dei cristiani che vivono in quel territorio, come prova la dichiarazione congiunta pubblicata il 26 agosto dai patriarchi cattolico e ortodosso di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa e Teofilo III (nella foto AFP), che citano testualmente proprio le parole di tre giorni prima di Leone ai rifugiati delle isole Chagos, per dire anch’essi che “non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o la vendetta”.

A Gaza City, da cui il governo d’Israele vuole cacciare tutti gli abitanti per occuparla militarmente, vivono le due piccole comunità cristiane della Striscia, la cattolica e l’ortodossa, che danno rifugio a centinaia di civili anche musulmani, molti dei quali indeboliti e malnutriti. “Lasciare Gaza City e cercare di fuggire verso sud equivarrebbe a una condanna a morte”, scrivono i due patriarchi. E “per questo motivo, i sacerdoti e le suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che si troveranno nei due complessi”.

È la stessa risposta che i martiri d’Algeria avevano dato a chi voleva forzarli all’esilio. Ed è ciò che papa Leone ripete mercoledì 27 agosto al termine dell’udienza generale, associandosi esplicitamente alla dichiarazione dei patriarchi di Gerusalemme : “Supplico che siano liberati tutti gli ostaggi, si raggiunga un cessate-il-fuoco permanente, si faciliti l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari e venga integralmente rispettato il diritto umanitario, in particolare l’obbligo di tutelare i civili e i divieti di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”.

E lo stesso 27 agosto, poche ore dopo, anche il cardinale Parolin, interpellato dai giornalisti, si associa a quanto detto dal papa e dai due patriarchi riguardo alla cacciata della popolazione di Gaza City.

È difficile ascoltare un messaggio più corale e concorde di quello espresso da queste voci. E su una materia tanto scottante. Ma per Leone – è ormai evidente – è così che deve essere e apparire l’autorità di governo della Chiesa.

Si può aggiungere che, restituendo peso e autorità alla segreteria di Stato, papa Leone ha di fatto messo ai margini il ruolo che la Comunità di Sant’Egidio esercitava sul terreno dei rapporti internazionali, durante il pontificato di Francesco.

La rivalità di Sant’Egidio con la segreteria di Stato era evidente in particolare sulla guerra in Ucraina, su cui i rispettivi giudizi erano molto discordi, con Francesco che parteggiava decisamente per l’orientamento filorusso della Comunità.

Una prova dell’inversione di rotta operata silenziosamente da Leone è stato lo scarso rilievo dato il 26 luglio alla visita in Vaticano del metropolita Antonij di Volokolamsk, numero due del patriarcato di Mosca e presidente del dipartimento per le relazioni internazionali.

Nell’estate del 2023, in occasione di una precedente visita a Roma del metropolita Antonij e poi dell’invio a Mosca come delegato di Francesco del cardinale Matteo Zuppi, storico membro di Sant’Egidio, il rumore era stato molto maggiore, con una particolare enfasi data ai rapporti amichevoli tra Antonij e i capi della Comunità, il fondatore Andrea Riccardi e il vicepresidente Adriano Roccucci, responsabile dei rapporti con la Russia.

Oggi la voce della Santa Sede sulla guerra in Ucraina è di nuovo una sola. Ed è quella europeista e atlantica espressa nitidamente e concordemente da Leone e dalla segreteria di Stato, finalmente apprezzata anche dall’eroica Chiesa greco-cattolica ucraina e dal suo arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, che ora non devono più subire, oltre alla spietata aggressione russa, anche i danni collaterali del “pacifismo” di Sant’Egidio e delle incoerenze di papa Francesco.

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Sandro Magister è stato firma storica del settimanale L’Espresso.
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Intervista. Il cardinale Sarah e i suoi 80 anni: «Guardo con fiducia a Leone XIV»

Racconta di aver avuto «il privilegio di conoscere e collaborare con alcuni santi: penso a Madre Teresa di Calcutta o a Giovanni Paolo II. Poi con gli ultimi Papi: Benedetto XVI e Francesco. E oggi guardo con grande fiducia a Leone XIV».

Il cardinale Robert Sarah ha lo stesso nome del nuovo Pontefice. Dieci anni la differenza d’età fra i due: il primo Papa d’origine statunitense festeggia domenica 70 anni; il prefetto emerito del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ne ha compiuti 80 a metà giugno. In tempo per entrare nel Conclave che ha eletto Prevost al soglio di Pietro.

«Leone XIV – spiega ad Avvenire il porporato nato in Guinea, commentando i primi quattro mesi di pontificato – sta facendo riemergere l’irrinunciabile centralità di Cristo, l’evangelica consapevolezza che “senza di Lui non possiamo fare nulla”: né costruire la pace, né edificare la Chiesa, né salvare la nostra anima. Inoltre mi sembra abbia un’intelligente attenzione al mondo, in spirito di ascolto e di dialogo, sempre con un’avveduta considerazione della Tradizione». E subito aggiunge: «La Tradizione è come un motore della storia: sia della storia in generale, sia di quella della Chiesa. Senza Tradizione vivente che permette la trasmissione della Divina Rivelazione, non potrebbe esistere la Chiesa stessa. Tutto ciò è in perfetta continuità con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II». Guai, perciò, a leggere l’impostazione di papa Leone partendo, ad esempio, dalla mozzetta che il nuovo Pontefice ha indossato fin da subito e che è stata al centro di commenti dentro e fuori i confini ecclesiali. «Non comprendo il clamore suscitato da questa scelta – taglia corto il cardinale -. La mozzetta è un segno che indica la giurisdizione del Papa, ma anche dei vescovi. Forse il clamore è stato dettato dal fatto che papa Francesco non l’aveva indossata il giorno dell’elezione. Ma non mi sembra un valido motivo per una tale meraviglia».

È una berretta che unisce il Nord e il Sud del mondo quella di Sarah. Le radici del porporato sono in Africa dove diventa prete e dove viene nominato arcivescovo; poi l’approdo nella Curia Romana: Giovanni Paolo II lo vuole segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli; Benedetto XVI lo designa presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” e lo crea cardinale; Francesco lo nomina prefetto della Congregazione per il culto divino. Incarico che ricopre fino al 2021. Dopo l’elezione di Leone XIV, ha avuto una vasta eco la decisione del Papa di nominarlo suo inviato al Santuario di Sainte-Anne-d’Auray, in Francia, per le celebrazioni dei 400 anni delle apparizioni di sant’Anna che si sono tenute alla fine di luglio. «Credo che ogni giorno non manchino notizie a cui è necessario e giusto dare risalto. E tra queste non c’è certamente quella che mi riguarda», sottolinea Sarah.

Eminenza, Leone XIV fa spesso riferimento all’unità della Chiesa. È un’urgenza?

C’è bisogno di superare un approccio ideologico che ha promosso due visioni della Chiesa che si alimentano l’una contro l’altra. Da una parte, c’è chi vorrebbe cancellare e rinnegare la Tradizione in nome di un’apertura-assimilazione incondizionata al mondo e ai suoi criteri di giudizio. Dall’altra, c’è chi considera la Tradizione come qualcosa di cristallizzato e mummificato che si sottrae a ogni processo fecondo della storia. La missione della Chiesa è unica e come tale occorre che sia adempiuta in pieno spirito di comunione. Diversi sono i carismi, ma la missione è una sola e presuppone la comunione.

Il Papa chiede di annunciare «Cristo con chiarezza e immensa carità». C’è un annuncio “debole” oggi?

L’annuncio è sempre lo stesso e non può essere altrimenti. L’uomo abbandona la Chiesa, o la fede quando si dimentica di se stesso, quando censura le proprie domande fondamentali. La Chiesa non ha mai abbandonato e mai abbandonerà l’uomo. Alcuni cristiani, a ogni grado della gerarchia, possono aver abbandonato gli uomini ogni volta che non sono stati se stessi, cioè ogni volta che si sono vergognati di Cristo, tacendo la ragione del proprio essere cristiani e riducendo la pastorale a promozione sociale.

Il suo ultimo libro si intitola Dio esiste? (Cantagalli, pagine 312, euro 25). L’Occidente ha smarrito il senso del trascendente?

In Occidente è ormai prevalsa l’idea che si possa fare a meno di Dio. Questa è l’epoca in cui l’uomo stesso, che ha detronizzato Dio, si siede al suo posto creando un nuovo ordine delle cose, il quale evidentemente nega quello creato da Dio che può essere riconosciuto anche da chi non crede in Dio. Etsi Deus daretur (“vivere come se Dio esistesse”): questo è l’invito che Benedetto XVI, all’inizio del suo pontificato, rivolgeva a tutti, credenti e non credenti. L’Occidente ignora, o finge di ignorare, la presenza di Dio nel mondo, il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.

Perché ha scelto di scrivere un volume rispondendo alle domande su Dio che le ha posto Cantagalli?

Dio è diventato un estraneo nella nostra vita e il suo posto è stato occupato da idoli di ogni genere. L’uomo contemporaneo sembra addirittura aver rinunciato a cercare un senso alla propria esistenza: alla vita, alla morte, alla gioia, alla sofferenza. Tutto pare iniziare per caso; vivere, durare e finire per caso. I nuovi idoli sono essi stessi figli del caso: il successo, la ricchezza, il potere, il possesso delle cose e, perfino, delle persone. Ma Dio non è un’idea, non è una convinzione personale vagamente razionale o emotiva. Dio è una certezza: la certezza che il Figlio dell’uomo è realmente esistito e abita ancora in mezzo a noi. La verità esiste. L’Incarnazione è avvenuta. Come 2025 anni fa alcuni l’hanno incontrato e riconosciuto, ancora oggi è possibile incontrarlo, riconoscerlo e seguirlo e morire per Lui.

Papa Francesco ha voluto una profonda riforma della Curia Romana. Leone XIV ha detto che la Curia resta, mentre i Papi passano. Come legge queste parole?

La Chiesa è un’istituzione molto articolata e ogni articolazione è fondamentale per portare a compimento la sua missione. In ultima istanza la Chiesa appartiene a Cristo Risorto e il Papa è solo un suo umile servitore. Nello specifico, è stato anche un modo per incoraggiare la Curia a ricucire qualche oggettivo strappo del passato.

La sinodalità è stata al centro del pontificato di Francesco. Ed è stata oggetto di uno dei Dubia. Che cosa si aspetta?

Ritengo che la dimensione sinodale vada approfondita e chiarita. Forse andrebbe teologicamente sostanziata con la nozione di comunione, molto più antica e ricca, anche per evitare derive ideologiche che contrappongano due ecclesiologie: quella sinodale e quella comunionale. La comunione è un fine; la sinodalità un mezzo, da verificare. La comunione è gerarchica, perché così Gesù ha voluto la sua Chiesa; la sinodalità, come ricordato da papa Leone, è più uno stile.

Papa Francesco è intervenuto più volte sulla Messa in rito antico, o meglio sull’uso del Messale del 1962. Serve riavvicinarsi a chi è legato a questa modalità celebrativa?

Nella Chiesa tutti i battezzati hanno cittadinanza, se ne condividono il Credo e la morale conseguente. Nei secoli la diversità di riti celebrativi dell’unico sacrificio eucaristico non ha mai creato problema all’autorità, perché era chiara l’unità della fede. Anzi, ritengo sia una grande ricchezza la varietà dei riti nel mondo cattolico. Un rito, poi, non si compone alla scrivania, ma è il frutto di stratificazione e sedimentazione teologico-cultuale. Mi chiedo se si possa “vietare” un rito ultramillenario. Infine, se la liturgia è una fonte anche per la teologia, come vietare l’accesso alle “fonti antiche”? Sarebbe come vietare lo studio di sant’Agostino a chi volesse riflettere correttamente sulla grazia o sulla Trinità.

Vari episcopati hanno espresso perplessità su Fiducia supplicans, la dichiarazione sulla benedizione delle coppie “irregolari”, fra cui quelle dello stesso sesso. Che cosa lei si aspetta adesso?

Mi auguro che si possa chiarire meglio e forse riformulare quanto contenuto in Fiducia supplicans. La dichiarazione è teologicamente debole e quindi ingiustificata. Mette in pericolo l’unità della Chiesa. È un documento da dimenticare.

I suoi ottanta anni dicono che lei è “ponte” fra i continenti.

Non so se sono un “ponte”. Cerco di essere un testimone: un richiamo al Nord “sazio e disperato” e una voce di speranza per il Sud che non ha perso le ragioni del vivere e del morire, del lottare e dell’amare, ma è frenato da problemi anche risolvibili, ma che pare nessuno voglia davvero risolvere per inconfessabili interessi.

Quali momenti ricorda con particolare affetto?

Per un immeritato dono della Provvidenza Divina, la mia via è ricca di molte esperienze che sono andate ben al di là della più fervida immaginazione. Se proprio devo dirle uno dei momenti più belli, certamente la grazia di essere nato in una famiglia cristiana. E poi il dono della vocazione e quello dell’ordinazione sacerdotale. Lì tutto è cambiato. È iniziata una definitiva storia d’amore che non finirà mai e, insieme, un tremendo ma affascinantissimo compito: essere alter Christus ipse Christus. Con le parole “Questo è il mio Corpo” e “Questo è il mio sangue”, il sacerdote vive un’enorme responsabilità e una grazia sempre da rinnovare.

Che cosa l’Africa può portare alla Chiesa universale?

Le Chiese africane possono offrire quella freschezza di fede, quella genuinità e quell’entusiasmo che talvolta non emergono in Occidente. Non dimentichiamo mai l’altissimo prezzo che stanno pagando in termini di martirio violento: esso sarà certamente fecondo, seme di nuovi cristiani.

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