Discorso di Leone XIV al Quirinale: “Non disprezziamo ciò che i nostri padri hanno vissuto e ciò che ci hanno trasmesso”

  • “…c’è una certa tendenza, in questi tempi, a non apprezzare abbastanza, a vari livelli, modelli e valori maturati nei secoli che segnano la nostra identità culturale, addirittura a volte pretendendo di cancellarne la rilevanza storica e umana. Non disprezziamo ciò che i nostri padri hanno vissuto e ciò che ci hanno trasmesso, anche a costo di grandi sacrifici. Non lasciamoci affascinare da modelli massificanti e fluidi, che promuovono solo una parvenza di libertà, per rendere poi invece le persone dipendenti da forme di controllo come le mode del momento, le strategie di commercio o altro (cfr Card. Joseph Ratzinger, Omelia nella Messa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005). Avere a cuore la memoria di chi ci ha preceduto, far tesoro delle tradizioni che ci hanno portato ad essere ciò che siamo è importante per guardare al presente e al futuro con consapevolezza, serenità, responsabilità e senso di prospettiva…”

Cari Amici, il 14 ottobre c’è stata una visita storica, quella del santo Padre Leone XIV al Quirinale e, attenzione, non perchè altri Papi non vi sono andati, ma storica per un “ritorno” alla comprensione di simboli, segni, PAROLE… Facendo nostre le parole di un caro Sacerdote:
“Papa Leone XIV non ha “cambiato stile”, ha restituito senso al simbolo, dignità ai segni. Ci sta ricordando che l’autorità nella Chiesa non nasce da un’opinione, ma è un servizio fondato su Cristo. Gli abiti, i titoli e i riti non sono ornamenti. Sono linguaggi teologici che rendono visibile una realtà invisibile: la grazia che regge e santifica la Chiesa.”
E Papa Leone sta dando a tutto questo un senso compiendo gesti importanti.
“Può sembrare paradossale, eppure la lotta contro la mondanità passa anche attraverso i segni esteriori appropriati. Averli storicizzati o lasciati cadere in disuso è stato, in realtà, un segno di mondanità, perché ha indebolito la capacità della Chiesa di comunicare se stessa nella verità del simbolo.
Il rischio di un papato troppo personalizzato è questo: che l’Istituzione resti senza forma e che ogni successore debba ricostruire ciò che era stato interpretato solo in chiave umana.
Leone XIV sta compiendo l’atto opposto: riportare il papato nella sua forma divina, dove il simbolo non divide ma educa, non seduce ma illumina.”
Leggendo il discorso di Papa Leone XIV, si evince subito che ci ha donato una visione piena dell’uomo e della società, capace di far intravedere una vera rinascita della civiltà cristiana.
Ogni parola ha avuto la forza di un magistero spirituale che orienta l’Italia e il mondo verso la verità dell’uomo redento.
Si coglie un passaggio deciso: dal cristianesimo sociologico al cristianesimo teologico, dalla pastorale dell’urgenza alla contemplazione della verità.
La Chiesa ritrova così la pienezza della propria voce e la ricchezza del suo orizzonte spirituale.
Con il titolo di “Primate d’Italia”, Leone XIV ha restituito al papato la sua forma originaria: una paternità che unisce e custodisce.
Roma diventa il cuore da cui la Chiesa irradia comunione e luce.
La sua autorità si manifesta come servizio e la sua missione spirituale si radica nella fedeltà al Vangelo.
Nel parlare dell’ecologia, il Pontefice ha richiamato San Francesco, indicando che la custodia del creato è un atto di lode al Creatore.
– La terra è madre e sorella perché dono di Dio, e l’uomo ne è custode in quanto parte di un ordine più grande.
Nel tema della famiglia, il Papa ha espresso con chiarezza la verità più profonda: “padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna” sono parole che custodiscono la grammatica della vita.
La famiglia è santuario dell’amore e fondamento della speranza di un popolo.
Riguardo alla vita, il suo insegnamento è limpido e forte: dal concepimento alla morte naturale ogni esistenza è sacra.
Aborto, eutanasia e suicidio assistito feriscono la dignità dell’uomo.
La vita è un dono, e chi la riceve partecipa all’opera creatrice di Dio.
Nel trattare il tema dei migranti e dell’integrazione, Leone XIV ha unito verità e carità.
L’accoglienza raggiunge la sua pienezza quando è reciproca e si fonda sul rispetto dei valori della società che accoglie. In questa visione l’integrazione diventa incontro, comunione e crescita condivisa.
Nel riferimento ai modelli fluidi e massificanti, il Papa ha rievocato la diagnosi di Benedetto XVI nella Missa pro eligendo Romano Pontifice del 2005, quando fu denunciata la “dittatura del relativismo”.
Il suo monito è di grande attualità: chi smarrisce la verità dell’uomo perde anche la libertà.
Leone XIV ha intrecciato i grandi temi della tradizione papale: la vita, la famiglia, l’identità umana, la custodia del creato e il valore della memoria.
Ogni tema è collocato in un disegno armonico che restituisce alla fede la sua pienezza e alla Chiesa la sua coerenza interiore.
Questo orientamento rappresenta un mutamento di orizzonte. Il Pontefice non interpreta il papato come tribuna di messaggi globali, ma come centro di irradiazione spirituale.

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VISITA UFFICIALE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, ON. SERGIO MATTARELLA

DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Palazzo del Quirinale – Martedì, 14 ottobre 2025

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Signor Presidente,

La ringrazio per le gentili parole che mi ha indirizzato e per l’invito a venire qui, al Quirinale, Palazzo a cui tanto sono legate la storia della Chiesa Cattolica e la memoria di numerosi Pontefici.

Come Vescovo di Roma e Primate d’Italia, per me è significativo rinnovare, con questa visita, il forte legame che unisce la Sede di Pietro al Popolo italiano, che Lei rappresenta, nel quadro dei cordiali rapporti bilaterali che intercorrono tra l’Italia e la Santa Sede, stabilmente improntati a sincera amicizia e fattiva mutua collaborazione.

Si tratta, del resto, di un felice connubio che ha le sue radici nella storia di questa Penisola e nella lunga tradizione religiosa e culturale di questo Paese. Ne scorgiamo i segni ad esempio nelle innumerevoli chiese e nei campanili che ne costellano il territorio, spesso veri e propri scrigni d’arte e di devozione, in cui la creatività innata di questo Popolo, unita alla sua fede genuina e solida, ci ha consegnato la testimonianza di tanta bellezza: artistica, certamente, ma soprattutto morale e umana.

Colgo l’occasione del nostro incontro per esprimere la viva gratitudine della Santa Sede per quanto le Autorità italiane hanno fatto e continuano a fare in occasione di vari e impegnativi eventi ecclesiali con baricentro a Roma e risonanza universale.

Mi preme in particolare manifestare riconoscenza per lo sforzo profuso a vari livelli nella circostanza della morte del mio venerato Predecessore, Papa Francesco. Proprio qui, al Quirinale, egli aveva detto: «Le mie radici sono in questo Paese» (Discorso nella Visita Ufficiale al Presidente della Repubblica Italiana, 10 giugno 2017), e certamente il suo amore per la terra e il Popolo italiani ha trovato in quei giorni una risposta toccante e calorosa, che si è manifestata anche nel grande e accorto impegno compiuto durante il successivo Conclave per l’elezione del nuovo Pontefice.

Ancora voglio dire un sentito “grazie” a Lei, Signor Presidente, e al Paese intero per la bella testimonianza di accoglienza, nonché di efficiente organizzazione, che l’Italia da mesi sta offrendo, durante lo svolgersi dell’Anno Giubilare, sotto diversi aspetti – logistica, sicurezza, predisposizione e gestione di infrastrutture e di servizi, e molto altro –, aprendo le sue braccia e mostrando il suo volto ospitale a tanti pellegrini che affluiscono qui da ogni parte del mondo. La Chiesa universale sta celebrando il Giubileo della speranza. Papa Francesco, nella Bolla Spes non confundit, con cui lo indiceva nel maggio 2024, sottolineava l’importanza di «porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza» (n. 7). Penso che la bella sinergia e collaborazione, che stiamo vivendo in questi giorni, costituisca già da sé un segno di speranza per tutti coloro che con fede vengono a varcare la Porta Santa e a pregare sulle tombe di Pietro e degli Apostoli.

Tra pochi anni celebreremo il centenario dei Patti Lateranensi. A maggior ragione mi sembra giusto ribadire, in proposito, quanto sia importante la reciproca distinzione degli ambiti, a partire dalla quale, in un clima di cordiale rispetto, la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano collaborano per il bene comune, a servizio della persona umana, la cui dignità inviolabile deve sempre stare al primo posto nei processi decisionali e nell’agire, a tutti i livelli, per lo sviluppo sociale, specialmente per la tutela dei più fragili e bisognosi. A tale scopo lodo e incoraggio il reciproco impegno a improntare ogni collaborazione alla luce e nel pieno rispetto del Concordato del 1984.

Come purtroppo appare evidente, viviamo tempi in cui, assieme a tanti segni di speranza, molte sono le situazioni di grave sofferenza che feriscono l’umanità a livello mondiale e richiedono risposte urgenti e al tempo stesso lungimiranti.

Il primo impegno che, in proposito, desidero richiamare, è quello per la pace. Sono numerose le guerre che devastano il nostro pianeta, e guardando le immagini, leggendo le notizie, ascoltando le voci, incontrando le persone che ne sono dolorosamente colpite riecheggiano forti e profetiche le parole dei miei Predecessori. Come non ricordare il monito inoppugnabile quanto ignorato di Benedetto XV, durante il primo conflitto mondiale (cfr Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti, 1° Agosto 1917)? E, alla vigilia del secondo, quello del Venerabile Pio XII (cfr Radiomessaggio ai Governanti e ai Popoli nell’imminente pericolo della guerra, 24 agosto 1939)? Guardiamo i volti di quanti sono travolti dalla ferocia irrazionale di chi senza pietà pianifica morte e distruzione. Ascoltiamo il loro grido e ricordiamo, con il santo Papa Giovanni XXIII, che «ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili» (Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 5). Rinnovo pertanto l’appello accorato affinché si continui a lavorare per ristabilire la pace in ogni parte del mondo e perché sempre più si coltivino e si promuovano i principi di giustizia, di equità e di cooperazione tra i popoli che ne sono irrinunciabilmente alla base (cfr S. Paolo VI, Messaggio per la celebrazione della I Giornata della Pace, 1° gennaio 1968).

In merito, esprimo il mio apprezzamento per l’impegno del Governo italiano in favore di tante situazioni di disagio legate alla guerra e alla miseria, in particolare nei confronti dei bambini di Gaza, anche in collaborazione con l’Ospedale Bambino Gesù. Si tratta di contributi forti ed efficaci per la costruzione di una convivenza dignitosa, pacifica e prospera per tutti i membri della famiglia umana.

A tale finalità, poi, giova certamente il comune impegno che lo Stato Italiano e la Santa Sede hanno sempre profuso e continuano a porre in favore del multilateralismo. Si tratta di un valore importantissimo. Le sfide complesse del nostro tempo, infatti, rendono quanto mai necessario che si ricerchino e si adottino soluzioni condivise. Perciò è indispensabile implementarne dinamiche e processi, richiamandone gli obiettivi originari, volti principalmente a risolvere i conflitti e a favorire lo sviluppo (cfr Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, 172), promuovendo linguaggi trasparenti ed evitando ambiguità che possono provocare divisioni (cfr Id., Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico, 9 gennaio 2025).

Ci prepariamo a celebrare, nell’anno a venire, un importante anniversario: l’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, il 3 ottobre 1226. Questo ci offre l’occasione per porre un accento sull’urgente questione della cura della “casa comune”. San Francesco ci ha insegnato a lodare il Creatore nel rispetto di tutte le creature, lanciando il suo messaggio dal “cuore geografico” della Penisola e facendolo giungere, per la bellezza dei suoi scritti e la testimonianza sua e dei suoi frati, attraverso le generazioni fino a noi. Per questo, ritengo che l’Italia abbia ricevuto in modo speciale la missione di trasmettere ai popoli la cultura che riconosce la terra «come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (Francesco, Lett. enc. Laudato si’, 1).

Negli ultimi decenni assistiamo in Europa, come sappiamo, al fenomeno di un notevole calo della natalità. Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti. “Padre”, “madre”, “figlio”, “figlia”, “nonno”, “nonna”, sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano naturalmente sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l’importanza di garantire a tutte le famiglie il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità. Facciamo tutto il possibile per dare fiducia alle famiglie, soprattutto alle giovani famiglie, perché possano guardare serenamente al futuro e crescere in armonia.

In questo quadro si inscrive la fondamentale importanza, ad ogni livello, del rispetto e della tutela della vita, in tutte le sue fasi, dal concepimento all’età avanzata, fino al momento della morte (cfr FrancescoDiscorso all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, 27 settembre 2021). Auspico che continui a crescere questa sensibilità, anche per ciò che riguarda l’accessibilità delle cure mediche e dei medicinali, secondo le necessità di ciascuno.

Esprimo gratitudine per l’assistenza che questo Paese offre con grande generosità ai migranti, che sempre più bussano alle sue porte, come pure il suo impegno nella lotta contro il traffico di esseri umani. Si tratta di sfide complesse dei nostri tempi, di fronte alle quali l’Italia non si è mai tirata indietro. Incoraggio a mantenere sempre vivo l’atteggiamento di apertura e solidarietà. Al tempo stesso vorrei richiamare l’importanza di una costruttiva integrazione di chi arriva nei valori e nelle tradizioni della società italiana, perché il dono reciproco che si realizza in questo incontro di popoli sia veramente per l’arricchimento e il bene di tutti. In proposito, sottolineo quanto sia prezioso, per ciascuno, amare e comunicare la propria storia e cultura, con i suoi segni e le sue espressioni: più si riconosce e si ama serenamente ciò che si è, più è facile incontrare e integrare l’altro senza paura e a cuore aperto.

In proposito, c’è una certa tendenza, in questi tempi, a non apprezzare abbastanza, a vari livelli, modelli e valori maturati nei secoli che segnano la nostra identità culturale, addirittura a volte pretendendo di cancellarne la rilevanza storica e umana. Non disprezziamo ciò che i nostri padri hanno vissuto e ciò che ci hanno trasmesso, anche a costo di grandi sacrifici. Non lasciamoci affascinare da modelli massificanti e fluidi, che promuovono solo una parvenza di libertà, per rendere poi invece le persone dipendenti da forme di controllo come le mode del momento, le strategie di commercio o altro (cfr Card. Joseph Ratzinger, Omelia nella Messa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005). Avere a cuore la memoria di chi ci ha preceduto, far tesoro delle tradizioni che ci hanno portato ad essere ciò che siamo è importante per guardare al presente e al futuro con consapevolezza, serenità, responsabilità e senso di prospettiva.

Signor Presidente, a Lei e, in Lei, a tutto il Popolo italiano voglio esprimere, in conclusione, il mio più vivo augurio di ogni bene. L’Italia è un Paese di una ricchezza immensa, spesso umile e nascosta, e che perciò talvolta ha bisogno di essere scoperta e riscoperta. È questa la bella avventura in cui incoraggio tutti gli italiani a lanciarsi, per attingervi speranza e affrontare con fiducia le sfide presenti e future. Grazie.


lo stolone indossato dal Papa era stato regalato a san Giovanni Paolo II sembra dai polacchi 😉 in basso al terzo ovale è lo stemma di GPII con la croce con la M di Maria e totus tuus sopra 😉 BXVI la usò solo due volte, senza alcuna modifica… è fatta con la LANA delle pecore che si benedicono per SANT’AGNESE e per il pallio ecco perchè la figura al secondo ovale sarebbe sant’Agnese

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