Savonarola e papa Alessandro VI

Tutta, o quasi, la verità sul caso Savonarola-papa Borgia. Chi era Savonarola?

” Io sempre mi sottoposi al castigo, e quante volte occorra, son qua per sottopormi ora e sempre. Chè io pure son peccatore, il quale grido con quanta ho di voce di far penitenza dei peccati, di emendare i costumi e di tornare alla Fede del nostro Signore Gesù Cristo, mentre mi adopero per riaccendere nel cuore degli uomini la Fede cristiana; e penso di stampare fra poco, che così piace a Dio, l’opera del “Trionfo di Cristo”, per corroborare la fede. Da quel libro apparirà manifestamente se io sia seminatore d’eresie (che mi tolga Iddio!) o non piuttosto fedelissimo alla santa Madre Chiesa della Fede cattolica…” (1)

“Il Trionfo della Croce” è un’opera del Savonarola in quattro libri (della quale raccomandiamo la lettura e meditazione). Nel Libro quarto, Savonarola a spada tratta difende il primato di Pietro nonostante l’epoca difficile a causa della corruzione. Emerge in questo testo tutta la sua passione per la Chiesa e le accuse che rivolge non al Pontefice in quanto tale, ma all’uomo Borgia, e scrive:
” Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa; e le porte degli inferi non prevarranno contro di lei. (..) Nessuno può dire che questa autorità sia stata data solo a Pietro e non ad altri uomini dopo di lui, avendo Cristo promesso che la sua Chiesa sarebbe durata fino alla fine dei tempi… Essendo dunque i vescovi di Roma successori di Pietro, è cosa manifesta che la Chiesa Romana è guida e maestra di tutte le altre e che tutti i fedeli cristiani si devono raccogliere intorno al Pontefice Romano. Non vi è dubbio alcuno, dunque, che chi si allontana dalla unità e dalla dottrina della Romana Chiesa, si allontana da Cristo stesso “(2)

Il papa Alessandro VI non avrebbe mai potuto ricevere una così profonda professione di fede, una sottomissione così assoluta che infatti, qualche tempo dopo il libro del “Trionfo della Croce”, sarà scelto come manuale dell’insegnamento della fede Cattolica dalla Congregazione di Propaganda Fide.
Del resto il Libro Secondo, in sedici capitoli Savonarola ripercorre con meticolosità tutta la storia della Chiesa dalle sue origini, per dimostrare l’autenticità della successione apostolica nella Chiesa Cattolica e per dimostrare le verità di fede del suo insegnamento.
Ma Savonarola nasconde un altra passione dalla quale forse gli giunge la potenza della sua predicazione: IL CROCEFISSO!

E’ affezionato ai “crocefissi” dipinti dal Beato Angelico (altro domenicano), per il Savonarola la contemplazione del Crocefisso insanguinato è indispensabile per l’apprendimento dei Vangeli della Passione durante la contemplazione e la meditazione.
Per il Savonarola, solo la contemplazione verso un Crocefisso creato con amore, può infondere altrettanta passione, istruire la mente e addolcire il cuore del cristiano e, soprattutto, la contemplazione del Crocefisso non può che indurre il cristiano sulla retta via.
Ciò che domina la mente del Savonarola è la “verità del Dio crocifisso per noi!”, da qui parte tutta la sua missione.
Davanti al Crocefisso componeva le “Operette spirituali” per la Pasqua, il Venerdì Santo che si adora la Croce, scriveva:
” O Jesu, quando ti veggo così crocefisso, per me in tal modo percosso, il mio core da me si diparte…O FELIX CULPA…Consolati dunque umana generazione e prendi gaudio con lacrime dolci, senza fine. Consolatevi, justi et santi, perchè oggi appropinquate alla palma e al dolce gran trionfo….”
Per il Savonarola inizia qui una lotta contro i crocifissi d’oro… ma badate bene, non nel senso che vietasse l’oro quale materiale da usarsi per comporre un Crocefisso, ma in quanto non indispensabile per quel tipo di “adorazione del Crocefisso” che egli intendeva predicare. Per il Savonarola la lotta aperta era verso coloro che ostentavano i crocefissi d’oro, ma che non sapevano contemplare sul vero Crocefisso e sulle sue piaghe, verso coloro che portando con ostentazione una croce dorata e di brillanti, non avevano mai davvero meditato sul Corpo piagato del Signore.

video catechesi del testo

 

(per il “caso” di Giordano Bruno, si clicchi qui)

Il Crocifisso che artisticamente “insegnava” Savonarola era di due specie:

il primo era quello artistico che doveva riprodurre fedelmente IL SANGUE della Passione e dei chiodi, un crocifisso che doveva svelare a chi lo contemplava le parole descritte dai Vangeli, via dunque i crocifissi d’oro e di pietre preziose per questa contemplazione poiché i materiali preziosi non danno quell’immediata visione della Passione;
il secondo doveva partire da questo ed entrare dentro l’anima per trasformare chi lo avesse contemplato, cioè la conversione: per il Savonarola la vera contemplazione del Crocefisso che non può che portare ad una sola risoluzione: conversione del cuore e pentimento dei propri peccati e il cambiare vita.

Rimprovera così la Città di Firenze per lo sfarzo del crocefisso d’oro e dice:
” Non ti ricordi più che io ti feci dipingere crocifissi sanguinosi? “(3)
Per il Savonarola è incomprensibile capire la Risurrezione e la stessa Misericordia di Dio se non s’impara a contemplare un Crocifisso, il Crocifisso INSAGUINATO!
La centralità della Persona del Cristo, nell’opera del Savonarola, è punto centrale di tutta la sua personalità: “l’anima e il Crocefisso sono indissolubili, o lo si rifiuta o lo si accoglie e la felicità può solo giungere da un buon vivere, ma senza il Crocifisso nessuna anima può giungere alla perfezione!”(4)

Nelle prediche del Savonarola emerge un punto chiave e fermo: per mezzo della Chiesa noi giungiamo al vero ed unico Cristo.
Da questa verità che il frate domenicano sente dentro le midolla, consapevole di esserne un membro fra le tante membra sparse nel mondo, scatta in Savonarola la difesa stessa della Chiesa “ferita a causa della corruzione perpetrata da persone corrotte, facenti parte di quelle membra che più di altre non possono permettersi il lusso di continuare a vivere peccaminosamente… “
da qui egli non risparmia nè preti, nè frati, nè vescovi, nè papi e neppure se stesso!

Inoltre egli ha due passioni: Roma e Firenze.
Roma quale Città che ospita la Sede della Chiesa, Firenze quale città con prospettive aperte verso il futuro. Savonarola fu di fatto il primo cattolico veramente illuminista nel senso puro del termine.
Il “compito della Chiesa” è di invitare tutti gli uomini sul carro trionfale che realizza la Salvezza; tutti coloro che s’incontrano con il Cristo, che ne fanno una diretta esperienza devono in qualche modo salire su questo carro del Trionfo perchè insieme, dice il Savonarola, costituiscono quella Chiesa testimone in ogni tempo di santi, martiri, Confessori e Dottori.
Da qui parte, per il frate, la responsabilità della testimonianza di santità che i suoi figli chiamati a quel ruolo di guida, devono assolutamente manifestare, da qui inizia la dura battaglia contro ogni corruzione.
Inutile dire che i primi a farne le spese non potevano essere coloro che posti alla guida della Chiesa dal Cristo, avevano invece in qualche modo tradito tale chiamata e vivevano ora in dissolutezza usando, appunto, il buon nome della Chiesa Cattolica.
Da buon frate domenicano che era, viveva come l’Ordine insegnava: la povertà e il mendicare. Scatta così in lui la denuncia alle esose ricchezze unite agli sperperi di alti prelati coperti da una parte di clero compiacente e denuncia:
” Ma ora, poichè la Chiesa ha preso lo impero terreno (potere temporale), non mancano li oratori e li poeti li quali descrivano le laudi dè principi e dè prelati assai volte con molte bugie. Appar dunque per queste ragioni, che è da non meravigliarsi se li autori dè Gentili hanno finito con il non scrivere più le laudi di Cristo…”(5)

Facciamo notare che anche santa Caterina da Siena rimprovera al potere temporale un impedimento alla Pace vera e scrivendo questo a Papa Gregorio, lo invita ad abbandonare tale potere se questo fosse stato di impedimento alla Pace nella Chiesa… Da notare che essi parlano di unità e di pace “dentro la Chiesa”, giacché è fuori che si deve combattere la Buona Battaglia con le armi della giustizia, della Fede e della Carità e con l’evangelizzazione della sana Dottrina.
Iniziano così le parole dure rivolte alla corruzione imperante fra il clero e molti prelati.

Per il Savonarola la realtà della centralità della Chiesa è questa:

– CRISTO
– LA CHIESA (il Papa e i vescovi con il clero)
– I CRISTIANI (il popolo in cammino che forma l’unità della chiesa visibile)
Per il Savonarola il compito della Chiesa è “Fundamento della fede e regola della nostra salute con dispenza di Sacramenti”, in questo non può esserci corruzione alcuna essendo tale compito che Cristo stesso compie per mezzo della Chiesa anche “di mezzo fra dè i suoi corrotti!” (la famosa convivenza con la gramigna, la zizzania), Essa rappresenta un punto di riferimento per la ragionevolezza dell’uomo in ogni tempo, per quanto gli è proposto di credere. Non è tanto ciò che l’uomo deve credere e gli è proposto, quanto la ragionevolezza di ciò che gli è proposto “affinché egli possa credere”! 

Non dimentichiamo l’animo focoso del Savonarola che il 7 Febbraio 1497 fece: il famoso Falò delle Vanità. In seguito alla cacciata dei Medici, i seguaci di frate Girolamo Savonarola sequestrarono e bruciarono pubblicamente migliaia di oggetti considerati peccaminosi o che incoraggiavano la vanità durante la festa di martedì grasso a Firenze. Specchi, cosmetici, abiti lussuosi, strumenti musicali, libri “immorali”, manoscritti con canzoni “secolari” e dipinti sono stati tra gli oggetti distrutti in questa furiosa campagna.

“Noi confessiamo che Dio ha costituito (la Veritas) nella sua Chiesa e per mezzo del Successore con tutti i suoi vescovi, nella quale Egli ha speziale cura e amministrazione delle dottrine e di ogni sacramento a vantaggio di ogni cristiano..”(6)
” Ma la dottrina della Romana Chiesa e delli suoi dottori, in quel che v’appartiene alla fede e al ben vivere del cristiano, e’ tutta uniforme, non v’è errore alcuno se non dè fatti escono dalla dottrina e diventano di ordine morale a causa dell’immoralità testè testimoniata…..”(7)

Non è possibile ora non fare un accenno storico alla questione Borgia.
Non poche volte leggiamo titoli che dicono: Savonarola, un santo al rogo…
Leggendo dentro la storia della Chiesa, alla fine dei giochi partitici e ideologici, Savonarola sarebbe santo esclusivamente perchè subì il rogo dopo aver accusato la cattiva condotta morale di papa Alessandro VI (Borgia) e perchè denunciava una certa classe corrotta del clero. Non è un caso che in fin dei conti, partendo dalla Diocesi Toscana, Savonarola è stato riabilitato già sul finire dell’800.
Come abbiamo dimostrato, la fede del Savonarola era ancorata a quella cattolicità fatta di dottrine, riti sacri, Sacramenti e devozioni (era un domenicano, non dimentichiamolo) realtà di vita, stile di vita che egli stesso testimoniava in prima persona, difendeva, predicava e insegnava personalmente e comunitariamente (con lui furono condannati anche due frati confratelli). Il vero problema del Savonarola fu un certo fondamentalismo, oggi diremo “rigorismo”, che tentò di imporre agli altri e soprattutto al Papa; questo atteggiamento fu il suo vero nemico, non il Papa.

Il punto cruciale della questione sta nel fatto di saper riconoscere la santità di questo frate domenicano senza tuttavia condannare il Papa il quale non fece altro che applicare le leggi allora vigenti.
In definitiva, che cosa portò il Savonarola ad essere condannato e giustiziato?
Il card. Borgia, grande figura di statista del tempo, noto per la sua abilità diplomatica, forza di carattere e capacità governativa, era succeduto sul trono di Pietro a Innocenzo VIII (l’11 agosto 1492), il genovese Gian Battista Cibo. L’elezione a papa del card. Borgia venne accolta con molto giubilo e speranza, a Roma come fuori della Città eterna. La sera del 12 agosto ben 800 nobili cittadini organizzarono, in suo onore, una cavalcata verso il Vaticano agitando fiaccole, mentre l’intera città si inondava di luci.

Il 26 agosto egli venne incoronato con sfarzo rinascimentale e salutato come colui che avrebbe portato all’umanità una nuova età . Frattanto Cristoforo Colombo, ch’era salpato da Palos per le Americhe il 3 agosto del medesimo anno, il 12 ottobre del 1492 raggiungeva terra a Guanahani, l’attuale San Salvador. L’anno seguente, il 4 marzo del 1493, Alessandro VI conseguì un grande successo diplomatico in merito alla scoperta del nuovo mondo. Egli mise infatti pace tra la Spagna e il Portogallo con il trattato di Tordesillas.

In esso si tirò sul globo terrestre quella linea immaginaria che andava dall’uno all’atro polo, assegnando le nuove terre, per metà a Ferdinando il cattolico (ad Occidente) e per metà al Portogallo (quelle ad Oriente). Della sua famiglia colpirono i contemporanei soprattutto i suoi due figli, Lucrezia e Cesare. Di Lucrezia, andata sposa in terze nozze ad Alfonso d’Este duca di Ferrara, scrisse Niccolò Cagnolo di Parma: “Essa è di media statura e di figura gentile, ha il viso alquanto lungo, il naso ben profilato, i capelli biondi, gli occhi d’un colore indefinito, la bocca alquanto larga, i denti candidissimi, il collo bianco e svelto, considerevole, ma tuttavia ben proporzionato.

Dall’intera persona traspira sempre un giocondo sorriso”. Del fratello Cesare, divenuto duca di Valentinois, scrisse invece un inviato ferrarese: “Cesare è uomo di ingegno grande e insigne e di natura eccellente: ha tutto il fare di un principe…Non ebbe mai inclinazione per lo stato ecclesiastico, però il suo beneficio gli frutta più di 16.000 ducati”. La politica di Alessandro VI, fedele alla Spagna e al re di Napoli, si scontrò con il re di Francia Carlo VIII che, nell’intento di conquistare alla Francia il regno di Napoli, il 31 dicembre del 1494 occupò Roma e prese in ostaggio il figlio del papa, Cesare Borgia.

I militari francesi diffusero a Roma e in Italia quelle malattie veneree che i medici del tempo chiamarono “morbo celtico o gallico”. Il 14 giugno del 1497 venne ucciso suo figlio Giovanni Borgia, duca di Candia, al quale era tanto legato. Michelangelo Buonarroti, per lenire in qualche modo quel dolore del pontefice, scolpì la sua famosa Pietà che si trova in San Pietro in Vaticano. Alessandro VI, oltre alle vicende politiche e a quelle della sua famiglia, dovette affrontare una fatica ancora più dura con il priore di San Marco di Firenze, il domenicano Girolamo Savonarola. Questi poneva ogni suo sforzo per prevenire Firenze dal cadere nel paganesimo umanista.

Sotto tale visione accusava nelle sue prediche, molto ascoltate dalla Firenze del tempo,un pò tutti, in particolare i principi di Firenze e i principi della Chiesa, non escluso il papa, per la sua condotta poco “ortodossa”. La città di Firenze era allora divisa da una lotta quotidiana tra i partiti dei Piagnoni (quello del Savonarola), dei Palleschi (il partito dei Medici) e degli Arrabbiati o dei Gaudenti. Alessandro VI, il 21 luglio del 1495, impose al Savonarola di recarsi a Roma per rendere ragione della sua predicazione. Il priore di San Marco addusse motivi di salute per non recarvisi, ma il papa impose all’allora superiore provinciale dei domenicani il suo trasferimento da Firenze. Un’ordinanza che non venne eseguita. Gli si ingiunse allora il divieto di predicare.

La Signoria di Firenze gli commissionò tuttavia la predicazione del quaresimale del 1496. Savonarola lo iniziò il 17 febbraio apostrofando direttamente la Chiesa romana: “Fatti in qua, ribalda Chiesa, fatti in qua ed ascolta quello che il Signore ti dice: Io ti avevo dato le belle vestimenta, e tu ne hai fatto idolo. I vasi desti alla superbia; i sacramenti alla simonia; nella lussuria sei fatta meretrice sfacciata; tu sei peggio che bestia; tu sei un mostro abominevole. Una volta ti vergognavi dei tuoi peccati, ma ora non più”.

Il 13 maggio del 1497 il papa comminò al Savonarola la scomunica per rifiuto di obbedienza. Il frate la ritenne invalida perché fondata su false accuse e il 19 giugno rispose con la “Lettera a tutti i cristiani e figli diletti di Dio, contro la scomunica surrettizia”. Nel Natale del 1497 Savonarola celebrò le tre Messe di rito, e l’11 febbraio del 1498 ricominciò a predicare contro Alessandro VI: “Il papa -egli tuonava- è ferro rotto (=non più strumento nella mano del Signore) e non si è tenuti ad obbedirgli, anatèma a chi comanda contro la carità…Ogni cosa fanno contro la carità, si elegga al più presto il suo Successore che la barca di Pietro non può attendere”.

A sostegno della verità di quanto diceva il Savonarola s’invocò, da parte del francescano Francesco di Puglia, la prova del fuoco: “Se il Savonarola non arde con me, credetelo un vero profeta”, gridò il frate francescano dal pulpito della Chiesa di Santa Croce. La Signoria di Firenze, che ormai voleva disfarsi del frate, acconsentì, ma il papa Alessandro VI disapprovò quella prova e inoltre il Savonarola la rifiutò e il frate Francescano ci rimase male avvertendolo come un rifiuto alla Provvidenza, la sola che avrebbe aiutato a stabilire la verità. A motivo di un tumulto che era scoppiato il frate domenicano venne condotto in prigione.

Incriminato, venne condannato a morte con altri due domenicani come “scismatici e denigratori della Santa Sede”. Il 23 maggio del 1498, alle ore dieci del mattino, vennero bruciati sulla piazza della Signoria – non bruciati vivi perchè vennero prima impiccati e poi messi al rogo. Il Savonarola aveva 45 anni. Nonostante la sua vicenda con il Savonarola, Alessandro VI preparò con grande cura il Giubileo del 1500.

Già il giovedi santo del 12 aprile 1498 con la Bolla “Consueverunt romani pontifices” confermò la sospensione di tutte le indulgenze plenarie durante il Giubileo. L’anno dopo il 28 marzo del 1499 (giovedì santo) lo indisse solennemente con la Bolla “Inter multiplices”, che venne letta dal protonotario apostolico Vito Gambara, il 20 dicembre fissò le modalità per l’acquisto dell’indulgenza (Bolla “inter curas multiplices”).

Ai penitenzieri di San Pietro concesse inoltre in due bolle (“Pastoris aeterni” del 20\12\1499 e “Cum in princicipio” del 4\3\1500) speciali facoltà. In tali bolle vennero fissate, per l’acquisto dell’indulgenza giubilare, le visite alle quattro basiliche in numero di trenta per i cittadini romani e quindici per i forestieri. Per il Giubileo del 1500 Alessandro VI fece riordinare la strada di accesso a San Pietro. Il “Borgo Vecchio” infatti, sostituito dalla nuova “via recta” (quella che da Castel S.Angelo porta alla Basilica Vaticana), venne denominato “Borgo Nuovo”.

Egli fece redigere un cerimoniale contenente riti e preghiere che, nelle sue grandi linee, viene ancora osservato: la contemporanea apertura della Porta Santa in tutte e quattro le basiliche patriarcali (San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore). Il papa riservò a sé quella di San Pietro in Vaticano deputando a tre cardinali legati l’apertura delle altre tre Basiliche. L’apertura della Porta Santa costituì la novità dell’anno giubilare del 1500, un gesto che verrà ripetuto in tutti i seguenti anni giubilari.

Il cerimoniere pontificio di allora era il tedesco Giovanni Burckard che scrisse un “Diario della Curia romana” o “Liber notarum” (1483-1506). Esso costituisce la principale fonte documentaria del pontificato di Alessandro VI e quindi anche del Giubileo del 1500. L’opera curata dal Celani corriponde al tomo 32, parte I, voll.1-2, di “Rerum Italicarum scriptores”.

La preghiera del rito di apertura di tale cerimonia è rimasta la medesima: “Aperite mihi portas iustitiae. Introibo in domum tuam, Domine. Aperite mihi portas, quoniam vobiscum Deus” (Apritemi le porte della giustizia. Entrerò, Signore, nella tua casa. Apritemi le porte, perché Dio è con voi”).

Alessandro VI, come ogni nobile rinascimentale, amò le arti. Ne fanno fede le splendide sale dipinte da Raffaello dell’appartamento Borgia in Vaticano. La sua politica antifrancese, le vicende della sua famiglia e lo scontro con Girolamo Savonarola gli procurarono tuttavia cattiva fama presso i posteri, in particolare l’insinuazione diffusasi tra la gente che lui avesse comprato dai cardinali anche il seggio di Pietro.

Del Giubileo del 1500, da lui indetto e portato a compimento, non si può tuttavia che dirne bene. Alessandro VI morì di febbre il 18 agosto del 1503. (8)

Per concludere riportiamo l’attualità:
“Savonarola: enfatizzato dagli amici, frainteso dai nemici. Ma per don Gianfranco Rolfi, presidente della commissione storica incaricata di studiare il caso in vista del processo di beatificazione, la sua profonda spiritualità è ancora attualissima.
Per l’apertura formale del processo canonico di beatificazione si attende ancora il nihil obstat dei competenti organismi vaticani.
Ma il riavvio nel 1997 della causa di Girolamo Savonarola da parte della diocesi di Firenze ha consentito che nuovi studi offrissero una comprensione migliore degli eventi che caratterizzarono la vita, e soprattutto la morte, del frate domenicano.
L’allora arcivescovo fiorentino, cardinale Silvano Piovanelli, commemorandolo nel cinquecentenario della morte, giunse a definirlo «un uomo e un religioso eccezionale, un profeta e un martire». E l’ex Maestro dei Frati predicatori Timothy Radcliffe ne sintetizzò la figura in tre caratteristiche ben precise: «Un personaggio di intensa umanità, un grande predicatore domenicano, un uomo dotato di grande sensibilità sociale e politica per i problemi del suo tempo»…” (9)

NOTE

1) P.Procter, il Domenicano Savonarola e la Riforma, Milano 1896, pag.57
2) Libro Quarto de “Il Trionfo di Cristo”, cap.6, pag, 526
3) 21 giugno 1495 “Sopra i Salmi” EN, II, pag.82
4) Libro Terzo, cap.7
5) Libro Primo, cap.4
6) Libro Terzo, cap. 9
7) Libro Quarto, cap.6
8) Storia del Giubileo 1500 Anno Santo e Rinascimento a cura di Mario Sensi
9) Intervista a don G. Rolfi, curatore ufficiale della causa di riabilitazione del Savonarola, su FC n. 32 del 10 agosto 2003

P.S.
Ricordiamo inoltre che spesso si associano i due roghi, quello del Savonarola e quello di Giordano Bruno, strumentalizzandoli contro la Chiesa Cattolica ma fateci caso: sulla vicenda del Savonarola la Massoneria non ebbe nulla da ridire (grazie a Dio) e a parte qualche strumentalizzazione per attaccare il pontificato in sè ineccepibile di Papa Borgia, entrambi ne escono che compirono i propri doveri.


si legga anche:

Alessandro VI Borgia: l’uomo e il Papa. Una silloge.

Ricorrendo il 530esimo anniversario dell’elezione di Alessandro VI al supremo fastigio del Romano Pontificato, ci piace comporre una silloge degli articoli che Radio Spada ha dedicato alla gigantesca figura del Borgia, associandovi alcune dotti giudizi sulla stessa. Riceva il lettore queste righe con spirito tranquillo, scevro da un certo qual gretto moralismo che non si smuove punto da quella, pur dottrinalmente fondata, germanica sentenza “Il suo pontificato fu una disgrazia per la Chiesa, al cui prestigio apportò le più profonde ferite.

Scrisse di lui Gaetano Moroni:

Quantunque Alessandro abbia dissacrato la sua dignità con molti vizii, tuttavia mantenne mai sempre nelle sue bolle la purità della dottrina e le massime della morale evangelica. Egli infatti proibì sotto pena di scomunica agli stampatori di produrre alla luce alcun libro primaché i vescovi rispettivi non avessero dichiarato non contenersi in esso cosa veruna contraria alla Fede Cattolica né empia o scandalosa. Volle che fossero severamente puniti coloro i quali abusavano del tesoro delle Indulgenze. Stabilì che non si dovesse accordare il privilegio della immunità ecclesiastica a chiunque si macchiava di delitti. Decretò che fosse rimessa la ecclesiastica e religiosa disciplina nelle Fiandre. Difese la castità del chiericato e la raccomandò caldamente. Confermò la regola di s. Francesco di Paola che già avea ottenuto l’approvazione di Sisto IV ed Innocenzo VIII ed approvò quella dei Terziarii dell’ordine medesimo. Sanzionò la legge del non doversi ribattezzare coloro ai quali era stato conferito questo sacramento dai ruteni scismatici secondo il rito greco. Rispose al clero di Vilna che sì il vescovo come gli altri sacerdoti poteano prendere le armi a rintuzzare l’orgoglio dei tartari dai quali erano molestati e che così operando non sarebbero incorsi in veruna irregolarità, poiché si trattava di una causa sostenuta a vantaggio della fede e dell’ecclesiastica libertà. Si oppose con forza alla magia in quel secolo propagatasi principalmente nella Germania e nella Boemia. Questi ed altri decreti ch’egli emanò potrebbero esser parto di qualsivoglia di quei più gloriosi Pontefici che colla santità della loro vita hanno decorata la cattedra di s. Pietro

(Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, I, 242)

E chiosa Julien Green, dandoci un prezioso insegnamento:

Vi sono dei religiosi dissoluti, dei preti senza dottrina, dei papi ridicoli. Ciò vi sembra ignobile, ma per me, viceversa, tutto ciò è meraviglioso e adorabile. Alessandro VI mi edifica più che san Gregorio Magno, perché il fatto d’una Chiesa governata da dei santi, che si perpetua, è normale e umano, ma una Chiesa che può essere governata da scellerati o da asini e che, tuttavia, si perpetua, ciò non è normale né umano

🔴 Alcune fondamentali precisazioni sugli “errori” dei Papi del passato

🔴 La geopolitica di Alessandro VI

🔴 Alessandro VI Borgia tra apologetica e storia

🔴 L’Affaire Borgia: storia e attualità di un Papa

🔴 Alessandro VI nell’opera di Lorenzo Pingiotti

🔴 Itinerari corviniani: “Cronache di casa Borgia” di Frederick Rolfe

🔴 La spiritualità di Lucrezia Borgia, bella e calunniata

🔴 ‘Qualcuno li vuol giudicare?’ Baron Corvo racconta i Borgia


Tra le pagine delle “Cronache di casa Borgia” (1901), Frederick Rolfe, in arte Baron Corvo, traccia con abile maestria ed erudizione la triste storia di fra Girolamo Savonarola. Nell’affrontare la parabola umana e politica del celebre domenicano che osò ribellarsi al Papa, lo scrittore inglese accantona il freddo dato storico per lasciare spazio a una descrizione vivace e frizzante, mossa principalmente dall’amore per la verità cattolica.

Lievi e non sostanziali modifiche sono state apportate al testo originale con la scopo di cucire in un articolo omogeneo diversi brani che, nella più recente edizione italiana delle “Cronache”, risultano sparsi su diverse pagine (cfr. Castelvecchi, 2014, pp.117-142).

Nel 1493 Firenze, capitale di Toscana e di vecchia data amica della Francia, era in una situazione critica. Lorenzo de’ Medici era morto da poco e gli era successo il figlio Piero. Il grande Lorenzo era stato indotto dal suo genio a mascherare il proprio potere, ma quando lo scettro cadde nelle sue giovani mani inesperte, Piero dimenticò il consiglio paterno.

Quando il re di Francia cominciò a interferire nella politica italiana, Piero de’ Medici e Firenze, legati al Regno, declinarono l’offerta di un’alleanza francese. Il Re cristianissimo replicò bandendo i mercanti fiorentini dalla Francia e ciò diede occasione ai nemici di imprecare sui mali della tirannide e sui vantaggi della repubblica.

Girolamo Savonarola, frate della Religione di San Domenico, diventò un personaggio eminente in questo frangente. Ecclesiasticamente soggetto alla Congregazione domenicana di Lombardia, egli si indusse a desiderare l’indipendenza e una base a Firenze. Il 22 maggio la bolla di separazione fu emessa da Alessandro VI. Fra Girolamo Savonarola passò così alla nuova congregazione toscana, fu eletto priore di San Marco e vicario generale e divenne signore assoluto dei domenicani di Firenze, soggetto soltanto al generale dell’ordine e al pontefice, a Roma.

Era un uomo sinceramente pio, di dura tempra ascetica e molto autoritario. Rifiutava qualsiasi compromesso; voleva che si servisse interamente Dio, e non tollerava patteggiamenti con Mammona. Sputava sul mondo e lo sfidava. Bruciava ogni leggiadro oggetto mondano.

Nel frattempo Firenze era turbata dall’attesa dell’invasione francese, che, diceva fra Girolamo – nel frattempo diventato un noto predicatore – era il Flagello di Dio per la purificazione della Chiesa. Aveva delle visioni e le esprimeva in parabole. Il successo, il potere crescente, producevano in lui un effetto come di ebbrezza. Tornò sul pulpito di San Marco e tuonò come un profeta, come un veggente; non più parole sue, adesso, ma “Così diceva il Signore”. Vantava l’afflato divino, l’Ispirazione. Umanamente parlando, era uscito di senno.

L’eccitazione di Firenze diventò frenesia. «Ecco» declamava tremendo fra Girolamo, «ecco io porto le acque del diluvio sulla terra!». E nel 1494 l’esercito francese entrò in Italia.

A seguito della vergognosa resa di Piero a Carlo VIII, Firenze tumultuò costringendo i Medici alla fuga. I fiorentini si diedero allora a spogliare Palazzo Medici, saccheggiando la sua inestimabile biblioteca di manoscritti.

Questa rivolta era opera di fra Girolamo Savonarola. Il frate domenicano aveva risvegliato in Firenze quelle aspirazioni morali che i Medici avevano sopito e atrofizzato; e gli spregevoli errori di Piero avevano portato l’esasperazione all’estremo. La neocostituita Repubblica collocò la statua della Giuditta di Donatello, con la testa di Oloferne, su un piedistallo davanti a Palazzo Vecchio, con la seguente iscrizione a monito dei despoti: EXEMPLUM SALUTIS PUBLICAE CIVES POSUERE MCCCCXCV.

Mentre Carlo VIII, qualche tempo dopo, veniva costretto a una fuga precipitosa dalla lega antifrancese appoggiata dal Papa, raggiungendo la Francia con le sue forze avvilite e in disordine, a Firenze fra Girolamo non cessava di adoperarsi a favore del Re cristianissimo. Dal pulpito del pastore egli era passato al podio del politico.

Alessandro VI lo convocò con un breve benevolo e paterno a Roma; dicendo che voleva ascoltarlo personalmente, e conferire con lui sui metodi da lui propugnati. Se la condotta successiva di Rodrigo Borgia merita di essere detta male avvisata, non è a lui che bisogna farne colpa, ma a fra Girolamo Savonarola, che con incongrui pretesti eluse la convocazione e persistette nelle sue proditorie macchinazioni contro la pace del suo Paese, in sfida alla legge e in spregio ai poteri costituiti.

Da Roma partì un ordine che gli vietava di predicare in pubblico e sottoponeva nuovamente il convento di San Marco al governo della congregazione lombarda. Allora fra Girolamo professò pronta obbedienza al Papa; ma pregò che fosse mantenuta l’indipendenza del suo convento. Man mano il frate tessé intrighi con Ferrara, e guadagnò dalla sua e coltivò molti fiorentini influenti; finché la Signoria fece propria la sua causa e si appellò formalmente a Roma perché fosse annullato il divieto di predicazione.

Nonostante questo, quel frate incontinente predicò un quaresimale difendendosi, denunciando violentemente Roma, attribuendole come suoi particolari vizi diffusi ovunque. Era in aperta rivolta, non contro la fede cattolica, ma contro le leggi del suo Paese e contro la Regola della Religione di San Domenico a cui volontariamente aveva giurato fedeltà. Per facilitargli le cose, Sua Santità propose di istituire una nuova Congregazione domenicana a cui egli poteva essere disposto a obbedire, sotto il Cardinale Carafa che già aveva dato prove di simpatia per il frate. Ma Girolamo rifiutò, intrattabile, di ascoltare; e bisogna dire che il tono minaccioso e violento con cui egli attaccava i superiori fu un amaro contrasto con la pazienza e la moderazione mostrategli da Alessandro VI, e questo – si noti – nonostante la vergognosa stravaganza e infedeltà del domenicano.

Nel 1497, dopo oltre quattro anni di tolleranza, mentre i partigiani di Savonarola disonoravano la Toscana Città del giglio, il frate venne scomunicato.

Il contegno di Savonarola verso la sentenza di scomunica lanciata contro di lui si dimostrò incorreggibile. Nel giorno di Natale egli cantò tre messe solenni a San Marco e annunciò la ripresa dei suoi frenetici discorsi. La chiave della mala condotta di questo pazzoide sta nella sua fisionomia, di stampo fra umano e animalesco. Il posto adatto per lui non era il convento di san Marco a Firenze, ma l’ospedale di Santo Spirito a Roma, dove erano ricoverati i schizofrenici.

Il 1498 fu inaugurato da una fiera predicazione del frate in difesa della propria disobbedienza al divieto e alla sentenza di scomunica; e assalendo freneticamente il clero romano, contrapposto al toscano.

Da diversi anni fra Savonarola predicava il dovere e l’obbedienza, e non voleva praticarla. Era affatto insensibile alla molta benignità dimostratagli; e aveva risposto elusivo o insolente a tutte le offerte di pace. Egli era dopotutto un uomo soggetto a un’autorità, un’autorità a cui aveva volontariamente votato, e poi rifiutato, sottomissione, pur ammettendo il diritto di tale autorità di pretenderla: una posizione anomala, illogica, scandalosa; la posizione di un pazzo.

Papa Alessandro VI diresse un breve ingiungente di cessare ogni appoggio al frate scomunicato; minacciando Firenze d’interdetto, ma offrendo allo stesso tempo di assolvere il figlio ribelle di San Domenico. Qui fra Girolamo commise il suo peccato finale. Intonò il vieto appello alle potenze europee per la convocazione di un Concilio generale; e raddoppiò i suoi intrighi proditori col cristianissimo Re Carlo VIII, portando al culmine l’esasperazione di Papa Alessandro VI.

Le cose precipitarono. Sfidando i comandi del suo superiore riconosciuto, il pontefice, e così pure le ingiunzioni della Signoria, il frate cadde in discredito e la sua influenza su Firenze andò svanendo. Il frate, ora circondato da accusatori, replicò domandando la prova del fuoco: offrendosi di camminare in una fornace ardente con uno dei tanti che lo avversavano. Quello dei due che uscisse indenne dalla prova sarebbe stato ritenuto innocente, e sotto la speciale protezione di Dio. Fra Francesco di Puglia, minorita, accettò la sfida. Disse di sapere che entrambi sarebbero morti bruciati; ma era meglio questi anziché permettere che un eresiarca fosse libero di persistere nei suoi tradimenti verso la Chiesa. Girolamo cercò una scappatoia e rifiutò.

La misura era ormai colma: il popolo si sollevò e catturò il frate che nel frattempo aveva cercato rifugio tra le mura di San Marco. Dopo che furono giunti i commissari da Roma, Savonarola fu sottoposto a processo e condannato all’impiccagione, con bruciamento del corpo dopo la morte. All’ultimo momento, per comando espresso del Papa, fu offerta al condannato l’indulgenza plenaria in articulo mortis, con liberazione di tutte le censure canoniche e scomuniche. Fu accettata con gratitudine; e il prigioniero subì la punizione per i suoi delitti.

a cura di Luca Fumagalli – da RS

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