Come veste il Papa? Una curiosità che affascina non solo i cattolici.
Attingendo dal libro Vestire il Pontefice [1], cercheremo di spiegare e approfondire il significato dei segni – perché tali sono le vesti pontificie – dell’autorità petrina, anziché all’esteriorità. Solo attingendo alla Tradizione e alla Sacra Scrittura – le fonti della Divina Rivelazione – è possibile comprendere appiano il significato del vestiario pontificio.
L’Unto dal Signore non veste in modo, diciamo, eccentrico per vanità o per moda, ma per mettere in risalto il ruolo che il Signore gli ha dato, diventando figura centrale e d’attrazione, del rito religioso, del culto a Dio e di sua appartenenza. Perché è vero che l’abito non fa il monaco, ma sicuramente ne identifica la dignità.
Ce ne da prova un bellissimo passo del Siracide al cap. 50, 5-11:
Come era stupendo quando si aggirava fra il popolo, quando usciva dal santuario dietro il velo. / Come un astro mattutino fra le nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, / come il sole sfolgorante sul tempio dell’Altissimo, come l’arcobaleno splendente fra nubi di gloria, / come il fiore delle rose nella stagione di primavera, come un giglio lungo un corso d’acqua, / come un germoglio d’albero d’incenso nella stagione estiva come fuoco e incenso su un braciere, / come un vaso d’oro massiccio, ornato con ogni specie di pietre preziose, / come un ulivo verdeggiante pieno di frutti, e come un cipresso svettante tra le nuvole. / Quando indossava i paramenti solenni, quando si rivestiva con gli ornamenti più belli, / salendo i gradini del santo altare dei sacrifici, riempiva di gloria l’intero santuario.
«Lei vuole fare il ritratto di un essere che non esiste: Montini è scomparso, è stato sostituito da Pietro. Non è possibile fare il ritratto del Papa: egli è impersonale per essenza, o, almeno, deve diventarlo» (Paolo VI segreto, di Jean Guitton).
Non è dunque possibile fare un ritratto del romano pontefice, così come, per certi versi, non è possibile fare un ritratto dello stesso Cristo, del quale il papa è il Vicario in terra. Deve diventare – il Papa – “impersonale”. Non perdendo la propria identità, ma acquisendo pubblicamente quel munus petrino che altro non è che un’investitura dall’Alto.
Per capire correttamente il significato dell’abito del sacerdote, è necessario fare un ripasso storico per conoscere, in particolare, la cultura del tempo in cui la Sacra Scrittura “dettava” non solo la struttura dell’Arca dell’Alleanza, le caratteristiche del vestiario sacerdotale.
Sarebbe interessante capire in quale modo la Chiesa si è “calata” nella cultura di ogni tempo, per cercare di farsi comprendere meglio, ma non abbiamo lo spazio per approfondire questo, perciò cercheremo allora di esaminare l’essenziale.
L’Arca dell’Alleanza (in ebraico ארון הברית, ʾĀrôn habbərît, pronuncia moderna /aˌʀon habˈʀit/), secondo la Bibbia, era una cassa di legno rivestita d’oro e riccamente decorata, la cui costruzione fu ordinata da Dio a Mosè, e che costituiva il segno visibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, è descritta dettagliatamente nel libro dell’Esodo (25, 10-27; 37, 1-9). Non parleremo dell’Arca naturalmente, era solo per segnalare come Dio stesso sia stato compiaciuto da coloro che fecero quanto veniva loro chiesto.
La Nuova Alleanza che Gesù verrà ad inaugurare, ovviamente, ha poco a che vedere con l’esteriorità, tuttavia, nei Vangeli, riscontriamo l’accenno alla Tunica (Gv 19,23-24) che Egli portava, preziosa, a significare la purezza, la fortezza associate indissolubilmente al significato di quella unità che stava – e sta – tanto a cuore a Gesù stesso.
Fin dal 1200, da papa Gregorio X (1271-1276) in poi, la sacralità del Pontefice – non come persona ma in quanto ruolo assunto dal Vicario di Cristo – è simbolizzata in due colori in particolare: il bianco e il rosso.
È da osservare che nell’Antico Testamento non troviamo indicazioni specifiche, a parte l’oro, per i colori delle vesti sacerdotali e il bianco era sempre in riferimento alla lucentezza sfolgorante degli Esseri Celesti, gli Angeli. Anche nel Nuovo Testamento, specialmente nell’Apocalisse, il bianco, continua ad essere riferito agli Angeli, ma con una novità che troviamo nel racconto della Trasfigurazione (Mc 9,2-8) nella quale il bianco della veste di Cristo stesso, rifulge, abbaglia e diventa così sinonimo di purezza, eccellenza, innocenza, potenza stessa della Rivelazione divina. Bianco e rosso sono così, nel finale delle Scritture, il riferimento alla purezza ed al martirio.
Tale Gugliemo Durando nel suo Rationale del 1286, specifica: «Il Sommo Pontefice appare sempre vestito di un manto rosso all’esterno; ma all’interno è rivestito di veste candida: perché il biancore significa innocenza e carità; il rosso esterno simbolizza la compassione […] il Papa infatti rappresenta la Persona di Colui che per noi rese rosso il suo indumento».
Papa Urbano V (1362-1370), proprio dell’epoca di Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa che del Sangue del Cristo fece una vera e profonda teologia angelica, ribadisce questi concetti affermando come il candore delle vesti del Papa simboleggi l’intima cristica purezza necessaria al Pontefice per svolgere il suo compito, insistendo sull’uso di indossare quotidianamente il rocchetto bianco (quel camice corto ornato da merletti e figure simboliche tratte dalla liturgia), e un’altra veste bianca (la cosiddetta “sottana”, la veste che oggi viene chiamata talare) perché «rappresenta nella Chiesa universale la Persona divina di Cristo; cosicché il candore estrinseco del rocchetto simbolizza nel Pontefice l’intrinseca naturale purezza».
Anche per il Cerimoniale Papale di Agostino Patrizi Piccolomini (1484-1492), la veste bianca e rossa del Pontefice nella sua quotidianità è irrinunciabile.
“Irrinunciabile” non significa l’obbligo ferreo che ogni papa regnante debba indossare l’abito con entrambi i colori, ma che quella simbologia è vincolante per ogni successore di Pietro. Un papa può modificare l’indumento da indossare quotidianamente, ma se decidesse di cambiarne la simbologia rischierebbe di offuscare la dignità – e la Tradizione – che l’accompagna.
Ma è bene ora fare un accenno a questi abiti.
«L’abito talare (o veste talare, o più semplicemente, la talare) è la tipica veste ecclesiastica del clero cattolico romano e ambrosiano. A seconda della circostanza in cui viene indossata, ad essa si possono aggiungere altri accessori che completano l’abito cosiddetto piano fortemente voluto da papa Pio IX che sostituì, per quasi un secolo, l’abito corto (in curtis) che veniva abitualmente usato fuori delle cerimonie liturgiche e nelle occasioni di circostanza. La parola talare deriva dalla parola latina talus, tallone. La talare, infatti, prende origine dalla veste dei sacerdoti ebraici che giungeva fino al tallone. Tale veste divenne, poi, tipica anche dei primi sacerdoti cristiani.
Si abbina in genere ad una cintura portata alla vita, del colore corrispondente alla dignità ecclesiastica. Il Papa, i cardinali e i vescovi sovrappongono poi una mantellina, detta pellegrina, molto simile alla mozzetta, da cui si distingue per essere aperta sul davanti anziché chiusa da bottoni. La veste talare viene anche chiamata con termini impropri, ma in ogni caso non preferibili all’altro, “tonaca” e “sottana”» [2].
Il rosso usato dai papi ha un duplice significato:
- simboleggia il Sangue del Cristo versato e che sarà pronto, il Suo Vicario, a versare il suo per amore del Cristo e per la Sposa, la Chiesa, e quindi simboleggia il martirio;
- simboleggia anche il “potere temporale”.
Ora non ci dilungheremo in uno studio storico sul “potere temporale” ma è bene tracciare un paio di solchi da lasciare poi a voi lettori per l’approfondimento.
Sotto la guida di alcuni grandi Pontefici, infatti, il cristianesimo si era diffuso anche tra le popolazioni di origine germanica, un tempo pagane o ariane. Tra di essi va senza dubbio ricordato San Gregorio Magno, che fu papa dal 590 al 604. Egli munì la Chiesa – che possedeva già allora una solida solidità spirituale ed economica – di una salda organizzazione morale, amministrativa e disciplinare, allo scopo di rafforzarne il prestigio e di accrescerne l’autorità.
San Gregorio Magno, dunque, può ben essere considerato il fondatore del potere temporale della Chiesa. Il consolidamento di tale potere venne favorito dagli stessi Longobardi che, dopo essersi convertiti al cristianesimo Romano e aver adottato la cultura latina, si adoperarono per restituire all’Italia l’unità politica e territoriale che aveva nell’antichità.
Nel descrivere le raffigurazioni dei Papi del passato, dice infatti il Moroni: «Si vedono vestiti con sola toga, col pallio o manto o mantello di forma antica, cioè talare, di colore rosso per segno di dignità, onde vi è fondamento di credere, essere stata usata la porpora dal Pontefice per distintivo del suo ordine superiore a tutti gli altri, principalmente se si considerino i Papi vissuti dopo il secolo terzo, quando cominciò a rispondere la maestà delle dignità ecclesiastiche e lo splendore del Pontefice Romano». [3]
Questo è quanto di essenziale c’è da comprendere sulle “Vesti Papali”. Veniamo ora alle singole vesti.
1) La sottana bianca, nota oggi, dicevamo, come talare, non è una “tonaca”, ma la veste che il neoeletto romano pontefice indossa nella cosiddetta “Stanza del pianto” (la sacrestia della Cappella Sistina), prima di affacciarsi dalla Loggia centrale della Basilica per la sua prima benedizione Urbi et Orbi.
Questa “sottana” è variata poco nei secoli: una lunga veste bianca citata già in documento sotto il pontificato di Papa Urbano VIII (1623-1644), con «asole denanzi da alto a basso fatta al solito».
Già tra Clemente VIII (1592-1605) e Paolo V (1605-1621) si affermava che il bianco è un colore che purifica la carne e la mente: «sia in casa che in pubblico, tutte le vesti sottane del Papa non devono essere che bianche; anche la veste di lino che si chiama rocchetto, deve essere sempre candidissima».
2) La mozzetta è una mantellina corta che deriva dalla cappa magna, cioè corta-mozzata, da qui il termine “mozzetta”, che copre il busto e le braccia ed è chiusa sul davanti con una serie di bottoncini. Può essere rossa o bianca a secondo del tempo liturgico.
È di raso rosso senza bordo di ermellino per la prima benedizione da pontefice neoeletto, da Pentecoste all’8 dicembre; di velluto rosso con bordo di ermellino dall’8 dicembre fino a Pasqua, e di damasco bianco con bordo di ermellino da Pasqua a Pentecoste.
La mozzetta del Papa è l’unica ad essere dotata di un piccolo cappuccio detto “cocullo”, un retaggio di ciò che era in passato un vero cappuccio non più in uso da secoli. Il venerabile Pio XII, per esempio, che soffriva molto il freddo, usava una mozzetta rossa di lana per l’inverno e bianca per il periodo estivo.
La mozzetta veniva indossata – inizialmente – per ripararsi dal freddo, soprattutto nel periodo avignonese. Una volta ritornati al mite clima romano, i papi la indossavano per la prima apparizione in pubblico e per la presa di possesso della Cattedra di San Giovanni in Laterano.
Simile alla mozzetta troviamo la pellegrina con la differenza che è aperta sul davanti; una corta mantella che arriva sino al gomito di colore nero con bordi e fodera di colore rubino per i vescovi e con bordi e fodera ponsò per i cardinali. Quella del Papa invece è completamente bianca. È anche l’indumento distintivo dei pellegrini (si pensi a quella usata dai pellegrini del Santuario di Santiago di San Giacomo di Compostela), da cui deriva il nome.
3) La stola pontificale e la stola ad uso comune di tutti i sacerdoti. Secondo Simone di Tessalonica, Arcivescovo del 1425, la stola allude alla grazia dello Spirito Santo in relazione alla preghiera recitata dal sacerdote mentre la indossa: Benedictus Deus qui effedit gratias super sacerdotes suos. La stola è presente nel vestiario del sacerdote fin dall’antichità, è un segno distintivo del sacerdote nelle sue facenti funzioni ministeriali-liturgiche e sacramentali, ad essa si sono attribuiti molti valori simbolici fra i quali “il giogo soave” della legge di Cristo (Mt 11,29-30). In passato era detta anche “orario”. Il nome di orarium proviene dal latino os, “bocca”, “volto”.
Sebbene il paramento sia lo stesso, viene diversamente portata:
- dai diaconi sulla spalla sinistra, a tracolla e annodata sotto il braccio destro;
- dai presbiteri e dai vescovi pendente dal collo.
La stola detta pontificale è diversa, più grossa perché elemento distintivo della sua suprema dignità universale. Alcune sono anche molto lunghe fino alle ginocchia, oggi sono fatte più semplici ma sempre con una distinzione specifica.
I colori cambiano a seconda del momento liturgico.
Oggi si sta cercando di semplificare l’uso delle stole pontificie dall’infinità di varianti relative al suo uso previsto dal cerimoniale pontificio: quando doveva indossarle, di che colore, di quale fattura o spessore, modello, se celebrava, se assisteva, se era a passeggio o se viaggiava per affari spirituali o se per un periodo di vacanza.
4) La falda è una specie di grande ed ampio “grembiule” annodato in vita e che i Papi usavano solitamente nelle celebrazioni liturgiche o per le visite importanti come anche per fare dei ritratti ufficiali, e quando venivano portati sulla Sedia Gestatoria. L’ultimo ad usarla pare fu proprio Paolo VI per l’incoronazione come sommo pontefice.
La falda e la sottana permettevano ai vescovi di Roma di vestire sotto come meglio credevano e spesso restavano vestiti alla moda del loro tempo. Queste vesti servivano appunto per “coprire” le vesti mondane ed essere riconoscibili anche da lontano, sul ruolo che si ricopriva, anche per questo con il tempo le vesti cambiavano a seconda della Gerarchia interna alla Chiesa.
Non si conosce l’origine storica della falda ad uso del Pontefice, ma è sempre stata associata al “servizio” del ruolo del Pontefice nella Chiesa; qualcuno l’ha associata al “grembiule” descritto nei Vangeli usato da Gesù per la lavanda dei piedi (Gv 13,4-10).
5) Il mantello e il manto-piviale. Troviamo il suo uso ben descritto nella Bibbia (Dt 24,13): il mantello designa la dignità, l’identità e i diritti del proprietario.
Nel Nuovo Testamento il ruolo del mantello ricopre anche una tragica ironia nel racconto della Passione di Gesù (Lc 23,8-12) quando Erode, dopo averlo canzonato e vilipeso, lo rimanda da Pilato con uno splendido mantello simbolo del potere. Pilato a sua volta, lavandosi le mani, presenta Gesù alla folla “con il manto di porpora” dicendo: Ecce Homo (Gv 19,4-5).
Il mantello del Pontefice, insieme alla Tiara, sono fin dal XI secolo le insegne più caratteristiche della dignità pontificia del Vicario di Cristo in terra. Poteri che a volte si contraddicono ma che anche si sostengono vicendevolmente per governare i popoli a lui affidati dal Cristo (cfr. Gv 21,16). È il mantello del Pastore.
Il manto invece è più grande, più ampio, anche questo fu usato per l’ultima volta da Paolo VI, mentre resta in uso il piviale, il mantello e più accorciato, per le celebrazioni liturgiche che lo prevedono quali: i Vespri solenni, le Adorazioni Eucaristiche, l’apertura della Porta Santa.
FINE PRIMA PARTE in collaborazione con Vesti Papali di Facebook. QUI LA SECONDA PARTE.
Note
1) “Vestire il Pontefice” di Marzia Castaldi Gallo – Sagep Editori – dal quale abbiamo tratte le molte citazioni.
3) “Vestire il Pontefice” di Marzia Castaldi Gallo – Sagep Editori – pag.23
DUE PAROLE SULLA “FERULA” il bastone, pastorale del Papa
Dall’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice
Il pastorale come insegna liturgica dei vescovi e degli abati risale al settimo secolo in alcune fonti spagnole, anche se il suo uso poteva essere forse più antico. Pare che il pastorale come simbolo dell’autorità episcopale sia passato dalla penisola iberica all’Inghilterra, alla Gallia e alla Germania. Comunque, dalle descrizioni della solenne messa papale negli Ordines Romani non emerge il suo uso. Anche le raffigurazioni dei papi confermano che il pastorale vescovile non faceva parte delle insegne del papa, perché non lo si vede in nessun monumento iconografico eseguito a Roma. Perciò, Innocenzo III († 1216) scrive nel suo De sacro altaris mysterio (I,62): “Romanus Pontifex pastorali virga non utitur”.
La ragione di questo costume risiede forse nel fatto che il pastorale era un simbolo di investitura del neo-eletto vescovo da parte del metropolita o di un altro vescovo (cerimonia che dal periodo carolingio fino all’epoca della lotta per le investiture era fatto proprio sempre di più dai regnanti secolari). Il papa invece non riceveva l’investitura da un altro vescovo, come accennò Bernardo Botono da Parma (†1263) nella Glossa ordinaria dei Decretali di Gregorio IX (I,15): Il papa riceve il suo potere da Dio solo. San Tommaso d’Aquino fa un ulteriore ragionamento, quando commenta che “Romanus pontifex non utitur baculo … etiam in signum quod non habet coarctatam potestatem, quod curvatio baculi significat” (Super Sent., lib. 4 d. 24 q. 3 a. 3 ad 8), riferendosialla forma ormai comune del bastone storto alla cima, come un segno della cura pastorale e della giurisdizione.
Dall’alto medioevo, se non prima, i papi si servirono della ferula pontificalis come insegna indicante la loro potestà temporale. La forma della ferula non è ben conosciuta. Probabilmente era un bastone che portava al suo vertice una croce. Nel medioevo al papa, quando dopo la sua elezione prendeva di possesso della Basilica Lateranense, era presentata la ferula dal priore di S. Lorenzo al Laterano (cioè dal Sancta Sanctorum) come “signum regiminis et correctionis”, cioè come simbolo di governo che include la punizione e la penitenza. La presentazione della ferula fu un atto importante, ma non avevo lo stesso significato dell’imposizione del pallio nella coronazione del papa. Infatti, non era più osservata almeno dall’inizio del cinquecento.

L’uso della ferula non ha mai fatto parte della liturgia papale, tranne in alcune occasioni come l’apertura della porta santa e le consacrazioni delle chiese, nelle quali il papa prendeva la ferula per bussare per tre volte alla porta e per disegnare l’alfabeto latino e greco sul pavimento della chiesa. Nel tardo medioevo, i papi usavano come ferula anche un bastone con la triplice croce.
Dopo la sua elezione nel 1963 Papa Paolo VI ha commissionato allo scultore napoletano Lello Scorzelli un bastone pastorale per le solenni celebrazioni liturgiche. Questo pastorale argenteo riprese dalla ferula tradizionale la forma di croce, accompagnato però dalla figura del Crocifisso. Paolo VI ha utilizzato questo bastone per la prima volta nell’occasione della chiusura del Concilio Vaticano Secondo, l’8 dicembre 1965. In seguito, l’ha adoperato in modo analogo al pastorale del vescovo, spesso ma non sempre nelle celebrazioni liturgiche. Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno usato in certe occasioni anche la triplice croce come insegna.
Per la Domenica delle Palme 2008, Papa Benedetto XVI ha sostituito questo pastorale, usato anche da Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e da lui stesso, con un bastone sormontato da una croce dorata, che fu regalato al Beato Pio IX nel 1877, dal Circolo di San Pietro, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua consacrazione vescovile. Questo bastone è stato adoperato come ferula già dal Beato Giovanni XXIII per varie celebrazioni liturgiche durante il Vaticano Secondo.
Con la celebrazione dei Primi Vespri di Avvento del 2009, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato a usare un nuovo bastone, a lui donato dal Circolo San Pietro, simile nella forma a quello di Pio IX.
Il Santo Padre Francesco, per la celebrazione della Santa Messa in occasione dell’insediamento sulla Cathedra Romana (7.04.2013), ha usato la croce pastorale di Paolo VI, con l’intenzione di alternare nelle prossime celebrazioni l’uso di questa con quella di Benedetto XVI.
Le origini dell’uso della mozzetta e della stola papale
I Pontefici in bianco e rosso
di Stefano Sanchirico – Cerimoniere pontificio
L’utilizzo della mozzetta e della stola pontificia trae la sua origine in un universo simbolico e liturgico che si andò affermando a partire dall’epoca carolingia, fino a giungere a un uso codificato e con regole abbastanza precise verso la seconda metà del 1400, con l’apporto particolarmente significativo delle innovazioni introdotte nel cerimoniale papale durante il periodo avignonese.
Per comprendere correttamente l’utilizzo della mozzetta e della stola papale occorre brevemente fare riferimento all’uso dei colori rosso e bianco per gli abiti pontificali, in particolare, nelle cerimonie legate all’elezione e all’insediamento del nuovo Papa.
Non è oggetto di questo studio delineare le complesse vicende storiche che portarono il papato romano al progressivo e provvidenziale affrancamento dalla potenza bizantina e al rapporto con l’impero d’Occidente, prima franco e poi tedesco; giova solo ricordare che l’uso dei colori bianco e rosso, quali distintivi della dignità pontificia, lasciano tra l’altro scorgere quel processo di imitatio imperii del vescovo di Roma, di cui il Constitutum Constantini costituisce la giustificazione e la sanzione giuridica più evidente. Tale documento, che probabilmente è stato redatto tra la seconda metà dell’VIII secolo e la prima metà del successivo, stabilisce tra l’altro il passaggio delle insegne imperiali per la pars occidentis dell’impero dall’imperatore Costantino al Papa Silvestro.
Tra queste insegne troviamo il phrygium, la clamis purpurea, cioè il mantello di porpora, e gli imperialia scectra, che già a partire dal ix secolo cominciano a svolgere un ruolo nei riti d’insediamento del nuovo Pontefice.
La progressiva importanza che si darà al rito di intronizzazione e di coronazione, come pure il fatto che alcune elezioni avvenivano fuori Roma, introdussero, accanto all’atto formale di adozione di un nuovo nome da parte del Papa, l’uso di ammantare, subito dopo l’elezione, con la cappa rubea, o purpurea, il neo eletto Pontefice. Il primo esempio di immantatio si ebbe con Leone IX, eletto a Worms nel 1048. Fu con Gregorio vii che questo rito apparve con certezza a Roma, al momento della sua elezione nel 1073. Tale atto è documentato per Vittore III (1086-1087), Urbano ii (1088-1099) e Pasquale ii (1099-1118).
Guglielmo Durando riferirà nel suo Rationale divinorum officiorum, scritto verso il 1286, che oltre agli ornamenti tipici del vescovo, il Romano Pontefice poteva far uso della corona e del manto di porpora, in quanto l’imperatore Costantino consegnò al beato Silvestro tutte le insegne dell’impero romano: “Su concessione dell’imperatore Costantino, il Pontefice Romano, può portare la clamide purpurea e la tunica scarlatta e tutti gli indumenti imperiali: scettri, stendardi e ornamenti, la croce lo precede ovunque andrà per indicare che a Lui, più che ad ogni altro si confà il detto dell’Apostolo: non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, e perché sappia che deve imitare il crocifisso”.
Per tale ragione il Pontefice esibisce tutto questo apparato anche nelle grandi processioni, come un tempo usavano fare gli imperatori. Il rituale di intronizzazione del Romano Pontefice prevedeva, in una forma che si era ormai andata stabilizzandosi, che il priore dei diaconi ammantasse il neo eletto Pontefice con il manto rosso simbolo di potere di origine chiaramente imperiale.
Accanto all’uso del manto rosso, come distintivo dell’autorità pontificia, si affianca l’uso della veste bianca. Filippo Bonanni, nella sua opera Della Sacra Gerarchia spiegata nei suoi abiti civili ed ecclesiastici (Roma, 1720), riferirà di una tradizione, abbastanza diffusa ancora nel 1700, che attribuirebbe all’apparizione di una bianca colomba al momento del martirio di san Fabiano la ragione dell’adozione dell’abito bianco del Pontefice. Tradizioni o leggende a parte, l’uso del Pontefice di indossare una veste bianca è antichissimo. Bonanni porta l’esempio di Papa Vittore III, che, eletto nel 1086, fece resistenza a indossare la veste bianca prima della clamide purpurea.
Ancora una volta Guglielmo Durando offrirà quella che da molti è ritenuta l’interpretazione simbolica più completa dei colori bianco e rosso della veste papale: “Il Sommo Pontefice appare sempre vestito di un manto rosso all’esterno, ma all’interno è ricoperto di veste candida, perché il bianco significa innocenza e carità, il rosso esterno simbolizza invece il sangue di Cristo.(…) Il Papa rappresenta infatti la Persona (il Cristo) che per noi rese rosso il suo indumento”. La veste esterna, il manto rosso, diviene simbolo del sacrificio di Cristo, la veste bianca rinvia alla purezza dei costumi e alla santità della vita.
Durando afferma anche che la veste detta pluviale o cappa si pensa derivi dalla tunica descritta nell’Antico Testamento: come quella era adorna di sonagli, questo lo è di frange, che rappresentano le fatiche e le preoccupazioni di questo mondo. In tale descrizione si trova concorde con quella di Domenico Macri, che nel suo Hierolexicon (Venezia 1765) associa il manto papale e il piviale al mandýa greco.
Il primo cerimoniale papale che si sofferma in modo sistematico su tali vesti del Pontefice è quello redatto per Gregorio X (tra il 1272 e il 1273), mentre gli ordines precedenti ricordano chiaramente solo il colore del manto rosso con il quale il priore dei diaconi ammantava il neo eletto Pontefice. I colori bianco e rosso rendono così visibile ciò che il Papa rappresenta: la persona di Cristo e la Chiesa suo corpo mistico. Tali indumenti e colori, usati fin dal momento dell’elezione del Romano Pontefice, con la loro simbologia cristica e imperiale allo stesso tempo, verranno codificati dai cerimoniali del periodo avignonese (in particolare il cosiddetto cerimoniale Long), da quello dello Stefaneschi, che è stato scritto nella fase di rientro a Roma, e da quello del Patriarca Pietro.
Infine, troverà una codificazione precisa nel cerimoniale redatto da Agostino Patrizi-Piccolomini e da Giovanni Burcardo. Questo disporrà che il neo-eletto Pontefice, indossata la veste bianca – di lino o altra stoffa a seconda della stagione – venisse ammantato del manto rosso pontificio dal cardinale priore dei diaconi, conservando la stola indossata secondo il rispettivo ordine di appartenenza, o senza, qualora l’eletto non fosse insignito neanche dell’ordine diaconale, e con la mitra di lama sul capo. Così rivestito il nuovo Papa, posto in trono nel luogo dell’elezione, riceveva la prima obbedienza dei cardinali: rituale, questo, che pur con qualche differenziazione riguardo ai momenti è stato conservato sino a tempi recenti.
Tale veste diveniva così abituale per le occasioni pubbliche e solenni del Papa, non solo in quelle strettamente liturgiche, ma anche quando riceveva l’imperatore e i sovrani in solenne udienza e durante i concistori pubblici per la creazione di nuovi cardinali, per le solenni cavalcate per l’Urbe, in particolare per la presa di possesso di San Giovanni in Laterano, che seguiva la coronazione in San Pietro.
Circa la forma e la foggia del manto e della veste in epoca medioevale si sono fatte molte speculazione e un certo aiuto può venire dal patrimonio iconografico. Bonanni conviene nel definire tale manto rosso come contrassegno della dignità pontificia. Del resto, egli aggiunge che i vocaboli “di manto, cappa e peviale vogliono significare nelli rituali le vesti adoperate dalli Pontefici nelle funzioni sacre e non comunemente”, concludendo semplicemente: “se di tal forma o di tal colore si usasse dalli pontefice anticamente non l’ho potuto ricavare appresso alcuno autore, ne riconoscere in alcuna pittura antica posso solo dire che il Pontefice quando era eletto gli si poneva indosso la clamide rossa, altri dicono manto, altri veste pontificia o spesse volte il peviale, come oggi si fa”.
Il Papa usava anche una cappa rossa, sul modello di quella dei cardinali, ma aperta davanti e con ampio cappuccio, che durante il periodo avignonese fu foderata di ermellino. Tale cappa era indossata di rado: nel mattutino di Natale, in quelli della Settimana Santa ed in poche altre occasioni. Cadde presto in disuso e fu sostituita dal manto, che il Papa utilizzava ogni qualvolta assisteva alle cappelle papali, usandolo bianco, quando era prescritto tale colore liturgico, e rosso in tutte le altre circostanze. Nel caso di uso della cappa da parte del Papa, non era prevista l’assistenza dei cardinali diaconi.
Il periodo avignonese introdusse alcune novità, non solo nella liturgia papale, con l’introduzione del concetto di “cappella” – da cui nasce, tra l’altro, il tribunale della Rota Romana, formato dai cappellani auditores Domini Papae, a conferma dell’importante ruolo liturgico svolto dai prelati uditori di Rota fino alla riforma della cappella papale attuata nel 1968 in ossequio alla Pontificalis domus di Paolo VI – quale oggi, pur riformato, conosciamo; ma anche nel vestiario del Papa, non discostandosi però sul piano della simbologia dei colori bianco e rosso dal periodo precedente. Tale novità è l’utilizzo della mozzetta.
La mozzetta, veste ecclesiastica propria del Papa e di altre dignità, è aperta sul davanti e viene chiusa con una bottoniera, si porta sulle spalle e copre anche il petto e porzione delle braccia. Solo in quella papale sopravvive un piccolo cappuccio, avanzo di uno più ampio che si portava per coprirsi il capo. La mozzetta, nella foggia che conosciamo oggi, non è veste particolarmente antica in quanto, come sopra accennato, la veste pubblica del Papa era il manto e la veste bianca. Bonanni riferisce che la mozzetta “usasi dal Sommo Pontefice, sempre ed in pubblico sopra la veste talare il rocchetto, chiamato volgarmente camisa romana (di maniche strette sempre di lino bianco e di forma quasi talare), poi reso più corto”, e aggiunge che tale corta veste non fosse usata anticamente dai Sommi Pontefici i quali oltre la tonaca bianca ricevevano il manto.
Il cappuccio (mozzetta), il cui uso fu iniziato appunto in Francia, deve intendersi quale aggiunta alla veste abituale del Papa, simile a quella dei cardinali, come annotato in un diario riportato da Bonanni e da Gaetano Moroni nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica (Venezia, 1857): “erat autem per ea tempora mantellum hoc Pontificis simile omnino cardinalium vesti, quam vulgo dicimus mantellectum, longum tamen ad talos descendens, et rubeum sempre et caputium, quod imponebatur mantelletto, similiter rubrum tale erat, quod caput operiens humeros pectus, et brachia simul integre ambiebat, vestimenti genus ad aeris injurias repellendas per accommodatum, et ad fovedum aptissimum, namet in hyeme variis pellibus fulciebatur. Hoc igitur indumenti genere mantello scilicet et caputio inter proprios lares, est extra etiam in actionibus quibuscuinque non tamem sacris usi Pontifices fere usque ad Leonen x”.
Nel sopraccitato diario si aggiunge che se la stagione era calda si deponeva il mantelletto e si usava mantenere il cappuccio (mozzetta) sopra il rocchetto in quanto occorreva conservare al Sommo Pontefice il colore bianco e quello di porpora, per significare la sua somma dignità.
Così fu mantenuto, anche al rientro a Roma, l’uso del rocchetto e del cappuccio (ora mozzetta) con l’unito piccolo cappuccio, in ricordo dell’antico, che non si usava più per coprire il capo. Tale funzione era stata assunta dal berrettino ugualmente rosso, il camauro.
Domenico Giorgi, nel suo Gli abiti sagri del Sommo Pontefice Paonazzi, e Neri in alcune solenni funzioni della Chiesa, giustificati degli antichi rituali, e degli scrittori ecclesiastici (Roma, 1727), dopo aver affermato che la veste interiore fu sempre bianca, laddove l’esteriore, cioè la mozzetta detta cappa rubea, fu sempre rossa, osserva che i Pontefici non hanno mai avuto l’abitudine di intervenire alle sacre funzioni vestiti di abiti familiari; quindi conviene con Bonanni che il mantello e il cappuccio, abiti non sacri e ignoti agli antichi Pontefici, furono per la prima volta introdotti in Francia a motivo dell’intemperie dell’aria, per cui essi tralasciarono di usare l’antico manto pontificio. Inoltre del cappuccio (mozzetta) si servivano i Papi mentre erano ritirati nelle proprie abitazioni e di fuori ancora, in ogni funzione, ma non in quelle sacre e molto meno solenni con gli abiti familiari, ossia di camera.
Tale abito con la stola pontificia diventerà ben presto l’abito pubblico del Sommo Pontefice, ereditando in tale modo, nelle funzioni extra liturgiche, il valore simbolico del manto rosso e della veste bianca.
Le vesti che il Sommo Pontefice suole comunemente usare nelle funzioni non sacre pubbliche saranno descritte da monsignor Landucci, sacrista pontificio del XVII secolo: “Due paia di scarpe rosse, una di panno di lana e l’altro di velluto, con croce ricamata d’oro, con un paio bianche con simile croce, due vesti corte bianche, con l’aggiunta di altre due vesti larghe in coda, che chiamasi falda, la quale vien cinta nei lombi con cingoli di seta rossa e fiocchi oro, rocchetto, cappuccio (mozzetta), berrettino di velluto rosso, cappuccio e berrettino di panno, altro di damasco bianco, ugualmente con berrettino di eguale fattura (tutti questi circondate di pelli bianche di armellino), queste saranno senza pelli durante l’estate ed i periodi più caldi, a ciò si aggiungano due piccoli berrettini (zucchetti), l’uno di panno, l’altro di seta, da mettersi, secondo le occasioni, quando si indossi la mitria o il regno (triregno)”.
Dalla seconda metà del 1400 l’uso della stola e della mozzetta divenne sempre più frequente e riservato, insieme al rocchetto, al solo Pontefice, quale segno di giurisdizione. Tale abito andò, come detto, sostituendo il manto in alcuni atti solenni.
Tra questi atti, forse il più solenne, in cui si vide la sostituzione del manto con l’abito sopra descritto, fu la solenne cavalcata per la presa di possesso della Arcibasilica del Santissimo Salvatore. Infatti, dopo il possesso di Leone X nel 1513, i Papi terminarono di prendere possesso della basilica Lateranense in mitra, o regnum, e manto papale. Il primo Papa a recarsi in mozzetta e stola per la presa di possesso del Laterano fu Clemente VII, l’altro Papa Medici, nel 1525. Il suo successore Paolo III, fece lo stesso, mentre San Pio V indossò anche la falda minore e così anche i suoi successori.
Inoltre, la simbologia dei colori ritornava anche sui finimenti del cavallo utilizzato dai Pontefici, prima che fosse introdotto l’uso della carrozza, in occasione della prese di possesso e di viaggi. Essi, infatti, cavalcavano un cavallo bianco con una gualdrappa rossa. Già in epoca carolingia si introdusse, inoltre, un gesto carico di simboli: il nuovo imperatore nell’abito delle cerimonie di incoronazione imperiale, in segno di sottomissione e di umiltà, conduceva le briglie del cavallo del Papa, per un breve tratto di strada, lo spazio di un tiro d’arco, ripetendo quanto già fece Pipino il breve con Stefano ii.
Gaetano Moroni e Giuseppe Novaes, come pure altri autori, ricordano che anche quando il Papa si recava alle cappelle dell’Annunziata, di San Filippo e della Natività, a Santa Maria Maggiore, usciva in mozzetta stola e rocchetto. Moroni aggiunge, poi, che tutte le volte che il Papa assume la mozzetta la porta sempre sul rocchetto, la veste, che può essere di seta o di lana a seconda delle circostanze, la fascia con i fiocchi e la stola (tranne in alcuni casi specifici), con l’aggiunta della falda minore, in particolari circostanze.
Una parola più specifica va spesa infine sull’uso della stola del Sommo Pontefice.
Il Papa la utilizzava ogni qualvolta compariva in pubblico o per qualche funzione non strettamente liturgica. Tale stola era lunga sino ad un palmo sotto il ginocchio ed è alquanto unita al petto da un cordone formante un nastro, con due croci laterali. “È tutta ricamata con arabeschi, ossia frangi di foglie e fiori, pendendo dalle estremità lunghe frange.
Essa è sempre ricamata d’oro, di colore bianco o rosso, secondoché si usa la mozzetta bianca o rossa, come si prescrive nei rituali, alcune volte più, altre volte meno preziosa, usandola nelle solenni cavalcate ricamata di perle. Solo il Romano Pontefice la porta in segno di Suprema dignità e potestà”.
All’uso della stola sulla mozzetta si univa sempre quello della croce papale, che portata dal suddiacono apostolico – un uditore di Rota – e accompagnata dai maestri ostiari di virga rubea, precedeva sempre il Papa in ogni uscita che aveva carattere di ufficialità: l’una e l’altra si adoperavano per Roma, nelle chiese, nei monasteri, nelle visite ai sovrani, e via dicendo. Inoltre un tale abito era previsto quando il Papa si recava per l’Urbe senza andare a celebrare messa, oppure quando viaggiava da un città all’altra, approssimandosi ad entrarvi.
(L’Osservatore Romano 14 luglio 2010)
