Come veste il Papa? Una curiosità che affascina non solo i cattolici.
Attingendo dal libro “Vestire il Pontefice” [1], abbiamo trattato, approfondendo ulteriormente:
- brevi rudimenti di storia;
- la sottana-talare del Pontefice;
- mozzetta e pellegrina;
- mantello e manto – piviale in uso del Pontefice;
- falda;
- stola e stolone.
Abbiamo visto come per comprendere correttamente l’utilizzo della mozzetta e della stola papale occorre brevemente fare riferimento all’uso dei colori rosso e bianco per gli abiti pontificali, in particolare, nelle cerimonie legate all’elezione e all’insediamento del nuovo Papa. Quel che oggi si deve tornare a comprendere è che i paramenti liturgici, così come il vestiario specifico del Pontefice, non seguono le mode umane ma vogliono rendere gloria a Dio.
Senza dubbio che oggi o domani alcuni apparati potranno essere modificati ma lasciando inalterato il senso già acquisito.
C’è tutto un universo simbolico e liturgico che si andò affermando a partire dall’epoca carolingia, fino a giungere a un uso codificato e con regole abbastanza precise verso la seconda metà del 1400, con l’apporto particolarmente significativo delle innovazioni introdotte nel cerimoniale papale durante il periodo avignonese.
Se San Giovanni Paolo II rivestì in un’occasione il manto di Clemente XII (1652-1740), conservato in Vaticano, Pio XII con San Giovanni XXIII – altro esempio – portavano la ferula del Beato Pio IX; e Benedetto XVI ha cercato di ricomporre l’unità dei segni nelle vesti in uso ai Pontefici, questi sono esempi che dimostrano quanto importante sia il simbolismo legato agli indumenti e accessori, così come i due colori legati fra loro, come abbiamo spiegato, il bianco e il rosso.
I sacerdoti e i vescovi fino al Papa sono ministri cioè servi – il Papa è servus servorum Dei – quindi dinanzi alla Maestà divina devono tutti presentarsi col massimo della dignità. La ricchezza dei paramenti ne è il segno sebbene mai abbastanza adeguato, e vi deve corrispondere la purezza del cuore e la castità del corpo, come scrive san Francesco nella Lettera ai Fedeli. Inoltre i segni sono utili ai fedeli, una volta aver familiarizzato con questi, in quel sentire “un cuor solo e un’anima sola”.
Il sacro, in fin dei conti, seppur variabile nella foggia, nelle forme e nei tessuti, non va mai in museo.
In questa seconda parte cercheremo allora di approfondire altri vesti ed altri significati.
1) Apriamo subito con il famoso camauro che Papa Benedetto XVI “osò” indossare in una udienza durante un inverno gelido. Fa pensare come certa stampa si scagliò impietosa contro Benedetto XVI, dimenticando così presto San Giovanni XXIII.
Così lo racconta in un episodio il grande sarto dei Papi, Gammarelli:
«Un giorno, durante il pontificato di Giovanni XXIII, mio padre fu chiamato in Vaticano dal Papa, che disse: “Gammarelli, vorrei un camauro”. Mio padre cadde dalle nuvole, ma evidentemente non si dice di no ad un desiderio del Papa e disse: “Senz’altro, Santità, provvederemo immediatamente”. Mio Padre aveva una vaga idea di ciò che era un camauro e soprattutto non sapeva dove cominciare per confezionarlo e se a Roma c’erano artigiani in grado di soddisfare la curiosa richiesta. Dopo avere consultato enciclopedie di vario tipo, mio padre si accorse che il camauro era molto ben documentato dal punto di vista figurativo, ma rimaneva il problema di come farlo e chi lo potesse fare. Il problema fu presto risolto, avendo nel negozio il velluto del colore adatto ed una manodopera specializzata. Il tutto per la completa soddisfazione del Papa buono e l’orgoglio di avere esaudito un desiderio del Papa. In seguito è stato di nuovo confezionato per Sua Santità Benedetto XVI in velluto rosso, ma anche in damasco bianco, da indossare nel periodo pasquale».
Dunque, con mozzetta e stola solitamente il papa indossava il camauro, termine derivato dal latino medievale camaurum, un berretto in velluto, o raso, rosso filettato di pelliccia di ermellino (oggi sintetico) che è usato dai Papi in occasione delle uscite invernali, poiché, a differenza dello zucchetto, questo cappello protegge la testa e le orecchie dal freddo; nelle stagioni calde il camauro è in raso.
Il camauro non è solo un semplice copricapo invernale (bianco se è dopo Pasqua) che, a differenza dello zucchetto, protegge meglio il capo e le orecchie dal freddo, ma è anche un ricordo della “corona di spine”.
Senza dubbio il buon gusto era d’uso da parte dei cerimonieri pontifici, il camauro infatti, e le scarpe dovevano essere dello stesso colore e dello stesso tessuto della mozzetta. Il camauro è stato in uso fino al XVIII secolo ed è stato poi riutilizzato dal Papa San Giovanni XXIII e, per ultimo, da Benedetto XVI.
Sotto il camauro e nell’abbigliamento usuale i pontefici portano sul capo il berrettino o zucchetto — in passato definito anche calata, cucufae, subbireta — che ha forma rotonda ed è formato da otto spicchi della materia di cui si compone: raso di seta, amuer (cioè tessuto marezzato) od ormesino nell’estate, di panno o di terzanello foderato di seta nell’inverno, sempre bianco.
2) Vediamo così lo zucchetto (o papalina, o pileolo – in latino pileolus, o ancora solideo perché “soli Deo tollitur”, che lo si toglie in onore di Dio), come il Moroni ne descrive l’uso:
“sotto il Camauro i Romani Pontefici usano portare il berrettino, il quale costantemente da essi viene adoperato, né se lo levano che dal prefazio della Messa sino alla consumazione, innanzi Gesù Sacramentato esposto, ed alla SS. Croce, non che nel Venerdì Santo, quando vanno all’adorazione. In cappella Pontificia, e in altre funzioni, viene levato e rimesso al pontefice da monsignor primo maestro di cerimonie, e nella visita delle chiese ciò fa il prelato maestro di camera, al quale toccava in certi tempi levare, e mettere pure il Camauro, che i Papi portarono anche nelle solenni cavalcate e né concistori” .
Nasce come copricapo dei Rabbini per significare la mano di Dio sulla testa degli eletti e ricopre così un duplice significato: la protezione di Dio, ma anche segno di umiltà in chi lo indossa perché significando da una parte “l’eletto” (nel nostro caso un ecclesiastico, infatti lo indossano anche alcuni presbiteri e abati – nero – e i Vescovi, color paonazzo, e come i cardinali di color rosso-ponsà), dall’altra parte è anche segno del “servo”, colui che serve (alla causa di Dio) incardinato in un certo ruolo nella gerarchia, dunque autorità ed umiltà insieme.
3) Il saturno.
Il cappello rosso a larghe tese, definito saturno (galero quello dei cardinali), non è mai stato abbandonato dai Papi, che l’hanno usato abitualmente fin dal Medioevo.
Così lo descrive Moroni: “Questo è rotondo colle due ali laterali rivoltate, e sostenute da cordoncini d’oro, sempre di colore rosso porpora, orlato di fettuccia d’oro, con fiocco di fettuccia di seta rossa, con ricami d’oro, e prezioso fiocco pur d’oro. Esso è di tre specie, di velluto, di seta, e di feltro. Si usa questo e l’altro di velluto nell’inverno, e di seta nell’estate”. Il saturno era usato “Nelle solenni cavalcate per le cappelle della ss. Annunziata, di s. Filippo, della Natività della b. Vergine, e di s. Carlo, nonché nei solenni possessi al Laterano, i Papi vestiti di mozzetta, e di stola usavano il cappello Pontificale con ale piane, e cordone con fiocco d’oro, onde fermarlo con sicurezza” .
Dal Seicento è stato realizzato con velluto, o altro tessuto rosso, poi sostituito da feltro, è foderato all’interno con raso ripiegato opportunamente, ha la tesa larga e la calotta semisferica.
Attorno alla calotta corre un nastro rosso alto, ricamato con motivi vegetali in filo d’oro annodato a fiocco con tre piccole strisce che corrono dalla calotta alla tesa. Sui due lati due coppie di cordoncini dorati, terminanti con piccole ghiande dorate, ricordano l’antica usanza di “rivoltare” le ali laterali. Recentemente è stato portato da Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.
4) Il Pallio
Dal punto di vista simbolico la materia con cui è fatto il pallio, cioè la lana, e il fatto che lo si porti sulle spalle alludono all’umiltà del Signore, che portò sulle spalle la pecorella smarrita; le due bande figurano, secondo la lettura del Lesage, la vita attiva di Marta e quella contemplativa di Maria, mentre le quattro croci ricamate rappresentano le quattro virtù cardinali.
Il pallio della Chiesa cattolica è una derivazione dell’omoforio (omophórion) e ne è il suo corrispondente: una larga fascia di stoffa, molto più larga del pallio, indossata dai vescovi ortodossi orientali e dai vescovi cattolici orientali di rito bizantino. Ci piace parlarvi del Pallio con le parole usate da Benedetto XVI nella sua prima Omelia all’inizio del suo pontificato che così ha spiegato:
«Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita – questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica – magari in modo anche doloroso – e così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia. In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa. L’umanità – noi tutti – è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto…» (Omelia 24 aprile 2005).
Riguardo alle fonti storiche troviamo il Pallio fin dai primi secoli del Cristianesimo.
Posto fra le insegne liturgiche del sommo pontefice, una delle più evocative è il pallio fatto di lana bianca, simbolo del vescovo come buon pastore e, insieme, dell’Agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità. Secondo alcuni studiosi deriva dall’antica insegna imperiale chiamata lorum, concessa come privilegio dall’imperatore Costantino al Papa; secondo altri è una contrazione del pallium romano, che era una veste molto ampia . Le prime notizie storiche sul Pallio emergono comunque dall’antichità cristiana. Il Liber pontificalis nota che Papa San Marco (+ 336) conferì il Pallio al vescovo suburbicario di Ostia, uno dei consacratori del Romano Pontefice.
Il Pallio liturgico nelle rappresentazioni più antiche appare in forma di sciarpa aperta e disposta sopra le spalle. In tal modo lo vediamo nella figura dell’arcivescovo Massimiano (498-556) a San Vitale in Ravenna (prima metà del vi secolo). Un lembo del pallio segnato da una croce pende anteriormente sul lato sinistro della figura, mentre l’altro lembo sale sulla spalla sinistra, gira attorno al collo e, passando sulla spalla destra, scende assai basso dinanzi al petto, per tornare infine sulla spalla sinistra e ricadere dietro la schiena.
Questa maniera di portare il pallio si mantenne fino all’alto medioevo, quando, mediante le spille, si cominciò a far in modo che i due capi pendessero esattamente nel mezzo del petto e del dorso.
Sostituendo le spille con una cucitura fissa, si arriva alla forma circolare chiusa, che s’incontra comunemente dopo il IX secolo, come si vede nelle rappresentazioni in varie basiliche romane (Santa Maria Antiqua, Santa Maria in Trastevere, San Clemente).
I due capi del pallio però mantennero sempre una considerevole lunghezza, finché, dopo il XV secolo, furono progressivamente accorciati.
Gli ornamenti del pallio, che si trovano illustrati già nel mosaico di Ravenna, vennero in seguito sempre più arricchiti. Si ricamarono quattro, sei od otto croci rosse o nere; all’orlo furono talvolta attaccate delle frange. Nella forma sviluppata del pallio gli estremi lembi delle appendici terminano con piccole lastrine di piombo coperte di seta nera.
Le tre spille gemmate, dette acicula, che in origine servivano a tenere il pallio fermo al suo posto, erano diventate già nel XIII secolo un elemento semplicemente decorativo associato alla simbologia dei chiodi che inchiodarono il Buon Pastore alla Croce.
Si potrebbe affermare che il pallio lungo e incrociato sulla spalla sinistra non è stato più indossato dal Papa e dai vescovi in Occidente dopo l’epoca carolingia. Sembrerebbe che già nel medioevo si trovasse una consapevolezza di questo sviluppo storico: un’illustrazione di un manoscritto del secolo XI mostra san Gregorio Magno, che indossa il pallio nella forma contemporanea con i capi pendenti in mezzo, e l’Apostolo Pietro, che lo indossa nello stile antico sulla spalla sinistra (Montecassino, Biblioteca dell’Abbazia, 73 dd). Quindi, il noto dipinto presente nel Sacro Speco di Subiaco, risalente al 1219 circa e raffigurante Papa Innocenzo III con il tipo antico di pallio, pare un “arcaismo” cosciente.
Per una tradizione ancora oggi viva il Pallio è tessuto dalle monache di Tor de’ Specchi a Roma con la lana di due agnelli bianchi, benedetti nella Basilica di Sant’Agnese il 21 gennaio e poi dal Santo Padre in Vaticano; gli agnelli sono allevati dalle monache Benedettine di Santa Cecilia in Trastevere e poi tosati il Mercoledì delle Ceneri.
Con la lana si preparano i Pallii, che il Papa darà poi ai nuovi arcivescovi il 29 giugno per la Festa dei Santi Pietro e Paolo (quelli confezionati vengono conservati in una cassetta d’argento vicino alla tomba di San Pietro), a simboleggiare lo stretto legame gerarchico fra l’arcivescovo e il Sommo Pontefice che lo conferma e lo invia nella missione ecclesiale.
Così i metropoliti giurano: “Io (…nome…) arcivescovo di (…nome…) sarò sempre obbediente e fedele al beato Pietro apostolo, alla santa apostolica Chiesa di Roma, a te, Sommo Pontefice, e ai tuoi legittimi successori. Così mi aiuti Dio onnipotente..”
Infine, il Pallio odierno, la cui forma nei secoli ha subito – come abbiamo visto – varie modificazioni, è costituito da una banda in lana bianca, larga circa sei centimetri, che viene indossata sulle spalle, sopra i paramenti, con un lembo che pende sul petto e l’altro dietro le spalle; è ornato da quattro croci sui due lembi e da due sui lati (sulle spalle), che fino al XIII secolo erano rosse e poi sono state eseguite in nero, finché Benedetto XVI ha reintrodotto- giustamente – l’usanza di far ricamare le croci in rosso mentre, il suo successore, ha riportato l’uso del Pallio, per lui, uguale a quello in uso degli arcivescovi con le croci nere.
5) Il Fanone
Il fanone (dal latino fano, panno) consiste in una sorta di mozzetta di seta bianca, solcato da strisce perpendicolari dorate e rosse,ha la foggia di ampio collare che copre le spalle del Pontefice e scende fino al petto ove è posta una grande croce dorata. Le sue origine risalgono all’anagolajum, di cui parla l’Ordo Romanus I, e che era comune a tutti i chierici; col tempo, però, divenne di pertinenza esclusiva dei Papi fra il X e il XII sec.
“Invece il romano pontefice dopo l’alba e il cingolo indossa il fanone, che avvolge attorno alla testa e ripiega sulle spalle, seguendo il metodo del sommo sacerdote , il quale, dopo il manto e la cintura indossava l’efod, cioè il pettorale, al posto del quale c’è ora l’amitto” [“Romanus autem pontifex post albam et cingulum assumit orale, quod circa caput involvit, et replicat super humeros, legalis pontificis ordinem sequens, qui post lineam strictam et zonam induebatur ephod, id est superhumerale, cuius locum modo tenet amictus.”] (cfr. De Sacro Altaris Mysterio, libro I, cap. 53, in PL 217, 793 D).
Questo paramento che si indossa nelle occasioni più solenni, simile ad uno scudo, vuole rappresentare lo scudo della fede che protegge il Papa, le fasce verticali di colore oro e argento esprimono l’unità e l’indissolubilità della Chiesa latina e orientale, che poggiano sulle spalle del Successore di Pietro, si afferma anche che il fanone rappresenti quello scudo della fede che protegge la Chiesa cattolica (cfr. Efesini 6,16).
È molto significativo che sia stato riutilizzato proprio nell’apertura dell’Anno della Fede (2012-2013) indetto da Benedetto XVI. Da che se ne conosce l’uso, è stato indossato da tutti i Pontefici fino a Benedetto XVI.
6) Il Tabarro, rosso per i Papi.
Un mantello rosso, il cosiddetto “tabarro”, così nobile e pure così semplice, che dona al Pontefice una immagine tanto pubblica e al tempo stesso riservata al suo specifico ministero, immagine tanto austera e altrettanto delicata e paterna.
Il rosso e il bianco (della talare), tornano così in una immagine d’insiemi del ministero petrino, e in modo praticamente fisso, dalla fine del ‘700 al pontificato di Benedetto XVI (2005-2013).
7) Sandali, scarpe e calzette in uso al Pontefice
Secondo Moroni l’insieme di scarpe e calzari era definito “sandali” ed era riservato alle celebrazioni solenni; il guardaroba del Pontefice prevedeva altri diversi tipi di calzature, cioè scarpe di seta, velluto o panno per le cerimonie sacre che egli celebrava o alle quali assisteva, pantofole per uso domestico e scarpe di marocchino da “usare nei passeggi e né viaggi, massime in tempi umidi” . Anche in questo caso non stiamo parlando di “moda”, questi accessori avevano un significato preciso.
Il significato simbolico della calzatura viene ripreso da più antiche tradizioni da Urbano IV (1261-1264), che specifica come esse tutelino contro “il contagio della polvere terrena e della gloria umana”.
Pochi anni dopo l’Ordo XIII, 1272-1273, che porta il nome del papa Gregorio X, stabiliva che dopo l’assunzione al soglio petrino il neo-eletto “depositis communibus calceis, si habentur rubea calciamenta papalia calciantur eidem”; depositare così le scarpe con le quali si è camminato nel mondo, per indossare quelle più appropriate del Vicario di Cristo.
La croce cucita o ricamata su di esse, non è un ornamento vanitoso, si impone fin dal XII secolo come segno dell’idea che il Papa è il vero rappresentante di Cristo sulla terra.
Anche i lacci, che chiudono le scarpe, per lo più nastri in seta, sono stati interpretati come segno di modestia in riferimento alle parole del Battista: “viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali” (Lc. 1, 10-18).
Le calze pontificali venivano usate con i sandali nelle Messe pontificali, hanno lo stesso colore liturgico dei paramenti e si mettono sopra le calze ordinarie, assicurandole al ginocchio con nastri analoghi, generalmente di seta.
I liturgisti medievali hanno attribuito alle calze il significato simbolico di emblema della vita pura, che è la preparazione necessaria per una fruttuosa predicazione della parola di Dio.
Indossare le calze, come ricorda il Braun nel volume del 1914, era un prepararsi a calzare i sandali, che sono stati spesso considerati simbolo della predicazione.
Le vesti che il Sommo Pontefice suole comunemente usare nelle funzioni non sacre pubbliche saranno descritte da monsignor Landucci, sacrista pontificio del XVII secolo: “Due paia di scarpe rosse, una di panno di lana e l’altro di velluto, con croce ricamata d’oro, con un paio bianche con simile croce (in uso dalla Pasqua alla Pentecoste), due vesti corte bianche, con l’aggiunta di altre due vesti larghe in coda, che chiamasi falda, la quale vien cinta nei lombi con cingoli di seta rossa e fiocchi oro, rocchetto, cappuccio (mozzetta), berrettino di velluto rosso (camauro)… a ciò si aggiungano due piccoli berrettini (zucchetti), l’uno di panno, l’altro di seta, da mettersi, secondo le occasioni, quando si indossi la mitria o il regno (triregno-tiara)”.
8) la mitria e il triregno-tiara (vedi qui foto)
Non potevamo non concludere questo breve excursus senza parlare o accennare al triregno (tiara) e alla mitria in uso ai Vescovi ed oggi in sostituzione anche della tiara.
Questa è la famosa fotografia, storica, del giorno in cui Paolo VI depose la sua tiara, e non quella del Papato, alla quale rinunciò successivamente Giovanni Paolo I, per esprimere un gesto tangibile di quel cambiamento col quale si voleva portare verso una Chiesa materialmente povera e austera, in solidarietà coi tempi moderni. Fu un gesto che venne a completare una serie di abbandoni di usanze e vestigia della Corte Papale rinascimentale, considerate, a torto o a ragione, anacronistiche.
Ciò tuttavia non mutò minimamente le prerogative pontificie ma rimase solo una cerimonia simbolica. Ci ritorneremo sulla tiara con un articolo speciale, qui ci occuperemo solo di alcuni aspetti simbolici e storici.
Ma leggiamo un po’ di storia, come nasce la Tiara?
Ce lo facciamo dire da un libro del 1878 scritto dalla Casa editrice dei Salesiani proprio per il sacerdote don Bosco, e che riporta l’Incoronazione di Papa Leone XIII: “Triregno. È un ornamento del capo, rotondo, chiuso al di sopra, circondato da tre corone. È questa una magnifica e splendida insegna di onore, di maestà, di giurisdizione del Sommo Pontefice. La sua origine rimonta ai tempi di Costantino, che la diede a s. Silvestro in segno di onore. Era fatto a forma del Pileo dei Romani, berretto, che usavano solamente i liberi e non gli schiavi. Perciò vuoisi che Costantino l’ abbia data a s. Silvestro, appunto per indicare che la Chiesa cessava di essere schiava e tiranneggiata dai persecutori, e cominciava ad essere libera nei suoi spirituali esercizi”.
Quest’ornamento da prima portava una sola corona, ed era detto Regno. Fu chiamato poscia Triregno quando ebbe aggiunte due altre corone. La seconda corona fu aggiunta da Bonifacio VIII; la terza da Benedetto XII.
Sebbene una sola possa esprimere il sommo potere del Papa, tuttavia le tre corone esprimono meglio le tre potestà che egli ha in Cielo, in terra e nel Purgatorio, coelestium, terrestrium, et infernorum.
Le tre corone possono ancora significare che il Papa è Sommo Sacerdote, Signore temporale, e universale Legislatore.
Il Triregno è sormontato da un globo su cui sorge una croce.
Il globo e la croce posta sul Triregno indica il mondo assoggettato a Gesù Cristo in virtù della Croce, ed è sostenuto dal Papa, perché tutta la terra è alla sua cura affidata.
Tiara. – Quello, che ora dicesi Triregno, anticamente, cioè prima che vi fossero le tre corone, chiamavasi comunemente Regno, o Tiara. Ora però la parola tiara si prende per indicare il medesimo Triregno. (sempre dal medesimo testo, che parla dell’incoronazione di Papa Leone XIII, leggiamo la descrizione dell’evento)
Allora il Cardinale secondo Diacono, che stava a sinistra del trono, toglieva dal capo del Pontefice la mitra, ed il Cardinale primo Diacono, che stava alla destra, gli imponeva il Triregno, proferendo a voce alta e vibrata le famose parole: Accipe Tiaram tribus coronis ornatam,et scias Te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris N. J. C. cui est honor et gloria in saecula saeculorum. (Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvator Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli).
Il Triregno imposto al S. Padre Leone XIII fu già donato al Santo Padre Pio IX dalla Guardia Palatina d’ onore.
“L’atto e le parole suddette fecero correre come un fremito di commozione fra gli astanti, molti dei quali ne rimasero inteneriti fino alle lagrime. Era questo di fatto il punto più bello e più solenne della grandiosa cerimonia, e non poteva non produrre un effetto vivissimo nel cuore di tanti figli devoti ed affezionati alla nostra santissima religione”.
Che cosa è cambiato oggi lo affronteremo in un articolo a parte, qui è sufficiente sapere che con la elezione di Benedetto XVI – il 19 aprile 2005 – il cardinale Montezemolo impose (ossia presentò a sorpresa, a fatto compiuto) al neo eletto uno stemma papale senza più la tiara, fino allora mantenuto anche da Giovanni Paolo II.
Anche il successore di Benedetto XVI – Papa Francesco – ha assunto il nuovo stemma senza tiara, mantenendola tuttavia nelle insigne papali (documenti, bandiera dello Stato Pontificio, e così via).
La tiara, si sa, è pur sempre un copricapo, e come tutti gli accessori non è, va da sé, necessario né indispensabile. Ma è utile ricordare il suo significato teologico che essa ha sempre avuto sin dall’inizio (significato che va al di là della mera “grammatica araldica” e dei significati che le son stati assegnati nel corso dei secoli, se pur in stretta connessione del primo). Ma per farlo abbandoniamo ogni discorso o valutazione “estetica”. Fermiamoci al simbolo. Che già è importantissimo.
La “nuova” mitria papale, in sostituzione della tiara, manifesta ed esprime, comunque sia, i tre simboli – nelle tre strisce – dell’antico triregno: le tre potestà che il Sommo Pontefice ha in Cielo, in terra e nel Purgatorio, coelestium, terrestrium, et infernorum.
La mitra pontificia raffigurata nel suo stemma attuale, a ricordo delle simbologie della tiara, è di argento e porta tre fasce d’oro (i tre suddetti poteri di Ordine, Giurisdizione e Magistero), collegati verticalmente fra di loro al centro (formando una croce) per indicare la loro unità nella stessa persona.
Riepilogando e per le immagini vi rimandiamo qui:
- Tabarro papale;
- Abito corale;
- uso del saturno bianco;
- Abito piano;
- Abito corale in Albis (dalla Pasqua);
- Fanone;
- cliccare qui per gli album fotografici – papali – a tema.
Per il momento riteniamo completata la parte riguardante gli abiti in uso al Sommo Pontefice, trattati così a grandi linee, mentre cercheremo di approfondire più avanti anche l’uso, più specifico al Sacerdote, degli indumenti e strumenti-accessori in ambito liturgico della Messa.
Ringraziamo per la cortese attenzione e confidiamo nella vostra condivisione per una maggior conoscenza dell’argomento.
Sia lodato Gesù Cristo + sempre sia lodato.
Note
1) “Vestire il Pontefice” di Marzia Castaldi Gallo – Sagep Editori
APPROFONDIMENTO
“Prostrati al bacio della sacra pantofola”. Storia e significato delle scarpe del Papa.

- Da Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, 1853, Vol. LXII, pp. 102-110.
Testo raccolto da Giuliano Zoroddu.
Papi anteriori a s. Silvestro I nella frugalità e santità della vita avranno usato scarpe semplicissime senza squisitezza d’ornati e di colori, non avendo bisogno di distinzioni esterne e delle scarpe speciali per riscuotere venerazione dai devotissimi fedeli coi quali vivevano, persuasi dell’ossequio che era loro dovuto come successori del principe degli Apostoli e come viari di Gesù Cristo, conoscendo abbastanza le pecocorelle del loro ovile la preziosità de piedi di chi evangelizza e i beni spirituali indicati già da s. Paolo nella sua lettera ai Romani: quam speciosi pedes evangeļizantium pacem. Finite le persecuzioni e ridonata ai cristiani la pace, conveniva che il supremo Gerarca, uscendo dai nascondigli e dalle spelonche, assiso nella prima cattedra del cristianesimo, spiegasse con più decoro la maestà della sua divina rappresentanza ed allora pare che sia nelle scarpe come in tutto il resto si cominciasse a introdurre qualche variazione, la quale come essere doveva lontana da qualunque ombra di vanità, dovesse servire soltanto ad accrescerne la maestà e la venerazione specialmente dei divini misteri e delle ecclesiastiche funzioni.
[…] Conclude il p. Povyard che non è certo che l’uso della croce sulle scarpe o sandali dei sommi Pontefici sia egualmente o poco meno antico dell’uso di baciar loro i piedi, attestando i monumenti pontificii d’una maniera chiarissima essere il bacio dei piedi dei Papi di molti secoli anteriore all’ introduzione della croce sulle loro scarpe o sandali. In che pienamente conviene il cardinal Brancadoro nella citata sua Lettera dichiarando l uso del bacio del piede molto più antico dell’uso della croce sopra le scarpe o sandali Papali e più antico di secoli e secoli onde senza alcun dubbio si può e si deve asserire che da tutt’altro fuorché dalla croce avesse origine tale bacio.
I sommi Pontefici, come vicari di Gesù Cristo e come successori di s. Pietro, hanno in tutti i secoli riscossa la più alta venerazione da tutti i fedeli, anzi dal I secolo della Chiesa, ed introdotto per la somma venerazione e amore che i primi fedeli portavano al primo Gerarca di s. Chiesa. E siccome essi dopo rigenerati alla grazia col mezzo delle acque salutifere del battesimo piangevano ciò non ostante le colpe dell’uomo vecchio, così prostrati ai piedi di chi teneva qui in terra le veci di Gesù Cristo, l’esempio imitarono della penitente Maddalena che prostrata ai piedi del Salvatore, non contenta dell’intimo suo pentimento e dell’interno amore del cuore, esternava il primo colle copiose lagrime e il secondo col baciare i piedi di colui da cui soltanto sperar poteva il perdono.
Sul bacio de piedi del Papa abbiamo: di Ricci De’ giubilei, cap. 61, Bacio de’ piedi antico e moderno praticato da’ personaggi. Riporta l’uso dei popoli antichi che lo praticarono e di quello introdotto coi Papi, incominciando da s. Pietro […] Piazza, Emerologio di Roma, a’ 18 gennaio ci diè la digressione 7a: Dell’uso anntichissimo, e mistero di baciare i piedi al sommo Pontefice. Confuta gli eterodossi che calunniarono i Papi di superstizione e idolatria, nell’ammettere al bacio dei piedi i fedeli ancorché sovrani e primati della gerarchia ecclesiastica, laonde per umiltà, per attribuire e riferire tale ossequio a chi rappresentano, e per rintuzzare l’eretiche maldicenze posero la croce sulle loro scarpe e sandali, intitolandosi Servo dei servi di Dio.
Spiegò i misteri che comprende tale bacio, il colore rosso, la croce ricamata e l’intessuto d’oro di cui si forma, in significato della maestà e sublimità del suo grado sopra ogni altro della terra, come l’oro sormonta ogni preziosità di metalli. Onde il Papa portando nella cima del triregno e nella superficie dei sandali la croce, fa vedere al popolo cristiano ch’egli è tutto intieramente, da capo a piedi, professore della dottrina e della vita di Cristo. Anche Marangoni, Delle cose gentilesche e profane trasportate ad uso sagro, p. 157 nel riportare che i Pontefici e gl’imperatori dei gentili esigevano il bacio del piede […] dichiara che questo onore ai Papi non derivò dal gentilesimo, ma da Cristo medesimo che permise alla Maddalena che gli baciasse i suoi piedi, quindi fu che i primi fedeli tale dimostrazione di venerazione filiale trasferissero nella persona del suo vicario, l’apostolo s. Pietro, per cui siffatto ossequio è dovuto al Papa per la persona di Cristo che in sé rappresenta e perchè ad esso si riferisce col bacio del piede, lo porge a baciare ornato coll’immagine della croce […].

Pantofola di Leone XIII
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Le scarpe dei Papi tuttora quanto alla materia sono di velluto, di raso o altro drappo di seta, di panno, di cambellotto o ciambellotto o saia fina e di marrocchino; quanto ai colori sono il rosso scarlatto nel panno e nella saia, il rosso di vino se velluto o seta, ed il bianco. Deve notarsi che il velluto è un equivalente della seta, il panno e la saia della lana. Le scarpe di raso o seta di panno o di saia nella forma sono semplici e comuni, piuttosto di collo e di fiancate alte foderale di seta del corrispondente colore. Gli orli del colletto della tomara, quelli delle fiancate, comprese le orecchiozze, la cucitura del calcagno, o riunione delle due fiancate, sono ornati d’un galloncino d’oro a spina, a scacchi o in altri modi; altro simile galloncino cuopre il tacco alto quanto è largo il dito mignolo. Si allacciano con fettuccia di seta di egual colore, alle cui estremità sono fiocchetti d’oro. La croce ch’è nel mezzo della tomara d’ordinario è di forma greca con raggiera, tutto in ricamo d’oro con vario artifizio elegante. Le scarpe di pelle di marrocchino sono rossse della forma comune e con tacco rosso, orlate di fellttuccia di seta simile, come lo è quella dei lacci con fiocchetti d’oro.
La croce è intessuta d’oro e cucita sulla tomara; circa alla forma più o meno è come le precedenti e ordinariamente senza raggi. Queste scarpe come le pantofole, egualmente di marrocchino rosso, sono foderate di pelle bianca. Le pantofole sono della forma loro propria, orlate di fettuccia di seta uniforme, hanno semplici croci intessute d’oro e cucite. Le scarpe di seta o velluto di panno o saia s’indossano dal Papa nelle sagre funzioni cui celebra o assiste col regolamento che dirò, non che quando riceve a pubblica udienza e quando incede per la città. Le scarpe di marrocchino si sogliono usare nei passeggi e nei viaggi, massime in tempi umidi. Le pantofole di marrocchino si costuma adoperarle privatamente se piace usarle.
[…] Antichissima è la divozione dei fedeli per le scarpe usate dai Papi Vicari di Gesù Cristo, riunendo in loro la prerogativa che le croci che ne formano sagro ornamento furono baciate ossequiosamente da un gran numero di fedeli di tutti i gradi e anche sovrani. Le scarpe dei Papi sono tenute in pregio più di qualunque altro indumento pontificio e sempre se ne fecero premurose ricerche, molto più quelle di seta o di panno ch’essi indossano nelle sagre funzioni che celebrano o a cui assistono. La venerazione per le scarpe dei santi personaggi derivò dai prodigi operati per l intercessione dei santi che l’usarono. Alcune chiese di Roma si gloriano di avere fra le loro reliquie le scarpe di alcuni Papi santi: di quelle di s. Silvestro l e di s Martino l la loro chiesa n’è la custode; di quelle di s. Pio V ne sono nelle chiese di s. Lorenzo in Pane e Perna e di s Maria in Vallicella, oltre quella che possiede la nobile famiglia Bonelli parente di quel Papa. Riferisce Catena, Vita di Pio V, p. 238, che dopo la sua morte da molti personaggi furono domandate scarpe, berrettini e altre sue cose, che il nipote cardinal Bonelli concesse. In venerazione sono pure tenute le scarpe dei Papi benché la Chiesa non veneri per santi, ma per la sublime dignità di cui furono rivestiti e per le virtù che esercitarono.
