Le 30 messe gregoriane e il Dies Irae e: chi era san Gregorio Magno, Papa?

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Molti ci chiedono spesso se ci sono sacerdoti disposti a celebrare le sante Messe per un Defunto e, soprattutto, le 30 Messe dette gregoriane. Ebbene… la Provvidenza ci è venuta incontro. Abbiamo conosciuto Don Roberto De Oderico (a Roma) il quale, insieme ad un altro confratello, ci offrono questa opportunità. Sappiate che l’obolo della vedova è sempre preziosa agli occhi del Signore e, Don Roberto, si sta prendendo cura anche di un confratello operato di cancro perciò …sia ben chiaro che… *LE OFFERTE PER LE MESSE non pagano “la Messa” ma sostengono con carità le necessità di questi sacerdoti in difficoltà* … Quindi aiutiamo questi sacerdoti scrivendo a questa email: deodoricoroberto@gmail.com Don Roberto De Oderico, dite che vi abbiamo dato noi il contatto e fate celebrare Messe ai Cari Defunti aiutando anche con la vostra carità, dei sacerdoti in difficoltà e in malattia… e preghiamo per questi Sacerdoti. Grazie Per ulteriore chiarimento restiamo a vostra disposizione. Ave Maria🙏

Altra opportunità, per chiedere le Trenta SS. Messe gregoriane, in Suffragio per l’anima di un Defunto, contattate Sacerdoti che celebrano solitamente il rito antico, oppure qui: presso la Fraternità san Pio X, per esempio, o qui la Fraternità san Pietro.

In molti Paesi del mondo, i sacerdoti sono costretti a svolgere lavori secondari per mantenersi e sostenere le proprie comunità. Questo impegno sottrae tempo prezioso alla celebrazione delle Messe e alla cura spirituale dei fedeli.

Per questo motivo, è essenziale inviare loro offerte per la celebrazione delle Sante Messe, affinché possano dedicarsi pienamente al loro ministero e alla guida spirituale della chiesa locale. Nel LINK troverete come fare anche per le 30 Messe gregoriane.

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L’opera più efficace per il suffragio dei cari Defunti è la Santa Messa accompagnata poi, naturalmente dalle opere di carità, che sono gesti concreti, e ricevere l’Eucaristia in uno stato di grazia, cioè, dopo essersi pentiti dei propri peccati e ben confessati. Il perché è presto detto: “Dio ha mandato nel mondo il suo unico Figlio, perché noi abbiamo la vita per mezzo di lui”. (1Gv 4, 9).

Per alleviare le pene delle Anime sante del Purgatorio, è sufficiente quindi che noi facciamo alcune opere che a noi costano poco, ma a loro apportano un vantaggio immenso. La Messa apporta grande refrigerio a quelle povere anime.

Si legge che San Gregorio con una sola Messa liberò una volta tutte le Anime del Purgatorio. Ed è certo che ad ogni Messa un gran numero di quelle anime se ne salgono al cielo, diventando nostri intercessori.

Un secondo mezzo per suffragare le Anime del Purgatorio è la recita del santo Rosario. Quando noi recitiamo la corona di Maria Santissima per qualche anima, quell’anima sente quasi smorzare le ardenti fiamme che la circondano, e prova invece un refrigerio di Paradiso. Spesso, quando si dice il Rosario durante la veglia ad un moribondo, è stato raccontato da molti Santi che molte Anime – non macchiate di gravi peccati – attraverso il Rosario ricevevano persino una immediata santificazione in punto di morte. Affrettiamoci, dunque, a suffragare queste anime, specialmente le più abbandonate, dimenticate. Affrettiamoci, poiché quell’anima abbandonata potrebbe essere l’anima anche di qualche nostro caro defunto dimenticato (così insegnava sant’Annibale M. di Francia).

Le Anime del Purgatorio non possono pregare per se stesse. Ma possiamo farlo noi in loro favore. Se a loro non è permesso aiutarsi, a noi è imposto di soccorrerle.

È un dovere, è un obbligo di carità. Le Anime del Purgatorio sono nostro prossimo non meno di quanto erano in questa terra; e come nostro prossimo dobbiamo interessarci del loro stato e sollevarle. Cresce poi quest’obbligo quando si riflette sulla facilità con cui possiamo giovare alle Anime del Purgatorio.


Vi è poi un altra questione: LE ANIME IN PURGATORIO, POSSONO PREGARE PER NOI?

“Sì, ma anche no” … ossia, non possono intercedere come fanno i Santi e i Beati in cielo!!

Se le anime del Purgatorio possano pregare per noi

Questo articolo è disponibile qui in originale

Quesito

Caro Padre Angelo,
Mi chiedo se le anime del Purgatorio possano intercedere per noi? Sono vicine ai loro cari? Oppure lo sono solo le anime dei santi?
Mille grazie per il lavoro che svolge la ricorderò nella preghiera.
Luca

Risposta del sacerdote

Caro Luca,
Essendo ormai fuori del tempo, le anime del Purgatorio non possono meritare.
Per questo san Tommaso d’Aquino dice: “Coloro che sono in Purgatorio, sebbene siano superiori a noi a motivo dell’impeccabilità, sono tuttavia inferiori a noi per le pene che soffrono, e sotto questo aspetto non sono in condizione di poter pregare per noi, ma piuttosto hanno bisogno di preghiere (“non sunt in statu orandi, sed magis ut oretur pro eis”; Somma Teologica, II-II, 83, 11, ad 3).
Altri teologi sostengono invece che possono pregare per noi (San Roberto Bellarmino, Suarez…), in questo senso però: che le loro opere buone, compiute in grazia, rimangono in eterno nell’accettazione di Dio, e stanno davanti a Lui in eterno in termini di supplica per tutti, in particolare per coloro che sono stati ad esse particolarmente cari.
Questa fede è confermata anche da antiche iscrizioni funebri, come le seguenti: “Pete pro nobis” (“Domanda per noi”).
Questo pensiero non contrasta quello di san Tommaso, perché se le anime del Purgatorio potessero pregare direttamente, certamente pregherebbero per se stesse. Cosa che invece non possono fare.
Anche la liturgia della Chiesa su questo punto è cauta: non si appella alle preghiere delle anime del Purgatorio. Piuttosto prega ed esorta a pregare per loro.

Ma, oltre a questo, vi è un altro significato secondo cui le anime del Purgatorio intercedono per noi: perché aiutate dai nostri suffragi ad entrare più presto in Paradiso, appena vi entrano certamente si ricordano di coloro che le hanno beneficate e le ricompensano largamente.
C’è dunque sempre un grande vantaggio personale a pregare per le anime dei defunti.
Ti ringrazio della domanda, ti seguo con la preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


QUI IN VIDEO

Dunque, è la Santa Messa il suffragio più diretto e immediato.

Il perché è comprensibile: Gesù vivo e vero viene donato al Padre nel Suo immenso Sacrificio, per la loro e nostra salvezza. Ogni Anima alla quale suffraghiamo per mezzo dell’Eucaristia non solo è un Anima che si beatifica, ma della cui beatificazione noi usufruiamo delle immense grazie. Tutta la catechesi  della Chiesa è piena di fatti, racconti e storie che ci danno prova di questa realtà. Gesù Cristo ha detto: «Con la misura con la quale misurate gli altri, sarete misurati anche voi» (Mt 7, 2).

Se oggi noi chiudiamo il cuore alla pietà, se oggi lasciamo in abbandono tante anime che aspettano i nostri suffragi, Dio, che è giusto, permetterà che anche noi siamo dimenticati. Provvediamo, dunque, ai nostri spirituali interessi. Il tempo passa rapidamente, la morte si avvicina. Ricordiamoci dei nostri antenati, dei nostri parenti; solleviamoli con preghiere, Messe, elemosine e opere buone.

Oltre alla Messa Ordinaria che possiamo (e dobbiamo) offrire in Suffragio delle Anime dei Defunti, c’è una pratica poco conosciuta, sempre appoggiata dalla Chiesa che vogliamo condividervi e proporvi.

LE SS. MESSE GREGORIANE

Tutti ne hanno sentito parlare, pochi sanno a chi rivolgersi per farle celebrare. Si tratta della celebrazione ininterrotta di trenta SS. Messe a suffragio di un’Anima del Purgatorio.

commemoratio-defuntorum-16_544cc4ffdb450La pia pratica è nata così. Un monaco del Convento di S. Gregorio Magno aveva accettato, senza il consenso del superiore, tre scudi d’oro da un suo beneficato: mancanza gravissima contro il voto di povertà, professato dai monaci, per la quale era incorso nella pena di scomunica.

Essendo il monaco deceduto poco tempo dopo, S. Gregorio, per dare una lezione esemplare a tutta la Comunità monastica, non solo continuò a lasciarlo nella scomunica, ma lo fece seppellire fuori del Cimitero comune, gettando nella sua fossa i tre scudi d’oro. Qualche tempo dopo, preso da compassione, il Santo chiamò l’economo del monastero e gli disse: «Il nostro confratello è tormentato dalle pene del Purgatorio: incomincia subito per lui la celebrazione di trenta SS. Messe, senza interromperla». Il monaco ubbidì; ma, per le troppe occupazioni, non pensò a contare i giorni. Una notte, gli apparve il monaco defunto e gli disse che se ne andava al Cielo, libero dalle sue pene. Si contò allora il numero delle SS. Messe celebrate in suo suffragio e si trovò che erano precisamente trenta.

D’allora invalse l’uso di far celebrare trenta SS. Messe per i Defunti, dette appunto Gregoriane dal nome di S. Gregorio Magno: uso che è tuttora in vigore nei monasteri benedettini e trappisti e che Dio con molte rivelazioni ha fatto conoscere essergli molto gradito (Dialoghi, IV, 10). Si può qui rispondere ad una critica facile a sentirsi: «Vedi, si dice, basta avere del denaro e te la cavi anche nell’altra vita. Certa gente fa di qua ciò che vuole e poi, con la celebrazione di Messe, si compra anche il Paradiso».

Sentite ora cosa risponde un’Anima del Purgatorio: «Delle preghiere della terra, in Purgatorio si riceve solo quel tanto che Dio vuole che ciascun’anima riceva secondo le disposizioni meritate. E’ un nuovo dolore aggiunto agli altri per queste povere Anime: il vedere cioè che le preghiere che si fanno per la loro liberazione, vengono applicate a chi ne è più degno. Il sollievo di ciascun’anima dalle pene è proporzionato al suo merito.

Le une ricevono di più, le altre di meno, ma la giustizia stessa del Signore provvede che proprio attraverso la Messa in Suffragio per le Anime del Purgatorio, i suoi benefici possano raggiungere anche le Anime più dimenticate. Ma è sempre bene sfruttare il dono delle trenta Messe nominative le quali, contro quei trenta denari del tradimento, il Signore volle compiacersi di dare conforto e beatitudine alle Anime prigioniere: il Sacrificio perfetto dell’Amore contro la corruzione e l’avidità» (Manoscritto del Purgatorio).

 Molti ci chiedono spesso se ci sono sacerdoti disposti a celebrare le sante Messe per un Defunto e, soprattutto, le 30 Messe dette gregoriane. Ebbene… la Provvidenza ci è venuta incontro. Abbiamo conosciuto Don Roberto De Oderico (a Roma) il quale, insieme ad un altro confratello, ci offrono questa opportunità. Sappiate che l’obolo della vedova è sempre preziosa agli occhi del Signore e, Don Roberto, si sta prendendo cura anche di un confratello operato di cancro perciò …sia ben chiaro che… *LE OFFERTE PER LE MESSE non pagano “la Messa” ma sostengono con carità le necessità di questi sacerdoti in difficoltà* … Quindi aiutiamo questi sacerdoti scrivendo a questa email: deodoricoroberto@gmail.com Don Roberto De Oderico, dite che vi abbiamo dato noi il contatto e fate celebrare Messe ai Cari Defunti aiutando anche con la vostra carità, dei sacerdoti in difficoltà e in malattia… e preghiamo per questi Sacerdoti. Grazie Per ulteriore chiarimento restiamo a vostra disposizione. Ave Maria🙏

Altra opportunità, per chiedere le Trenta SS. Messe gregoriane, in Suffragio per l’anima di un Defunto, contattate Sacerdoti che celebrano solitamente anche il rito antico, oppure: presso la Fraternità san Pio X, per esempio, o la Fraternità san Pietro.

Perché riproporre il Dies iræ? Perché quest’inno è un simbolo potente della dimensione del giudizio di Dio. Ne risulta chiaro, a leggerlo con serietà, che è decisamente meglio evitare di giudicare, se non si vuole entrare a proprio grande rischio nella sfera terribile del giorno cum vix iustus sit securus (cfr. Matteo 7,1-2: «Non giudicate, per non essere giudicati. Infatti con il giudizio con il quale avrete giudicato sarete giudicati e con la misura onde avrete misurato si misurerà a voi»).

Il giudizio è una cosa seria, è un atto che spetta solo a Dio mentre a noi è dato di fare discernimento di ciò che è male per evitarlo, e di ciò che è bene per praticarlo. Noi siamo chiamati a giudicare gli atti sbagliati, il peccato, a cominciare da noi stessi, dai nostri difetti, dai nostri peccati, ma nessuno può giudicare le intenzioni degli uomini, il cuore dell’uomo il quale, come rammenta San Paolo: ” Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio.” (1Cor.4,5)

Il brano, infine, non è una invenzione della dottrina cattolica come alcuni pensano. È tratto dalla Scrittura, inizia con i versi del Libro di Sofonia 1,15-16 per poi dispiegare non solo il senso vero della giustizia che spetta solo a Dio, ma anche l’invocazione sincera alla Sua divina misericordia, così come conclude appunto l’inno: “Non sondo i tuoi decreti ma auspico per tutti il perdono, perché so bene che né io stesso né altri possiamo meritarlo. Così infine prevalga la tua misericordia…”

È un Inno alla giustizia di Dio che richiama anche la pagine dell’Apocalisse: «Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: Fino a quando, Sovrano, / tu che sei santo e verace, / non farai giustizia / e non vendicherai il nostro sangue / sopra gli abitanti della terra?». (Apoc. 6,9-10)

Purtroppo da dopo il Concilio, con la Riforma Liturgica, non si è capito perché questo Inno non viene più cantato, nè insegnato, subendo così una rottura inaudita non semplicemente con la Tradizione viva della Chiesa nella Comunione dei Santi in cielo, in Purgatorio, ma soprattutto una rottura con il giusto rapporto con Dio che ogni persona dovrebbe maturare, una rottura con il sacro e reverenziale sacro timor di Dio che è uno dei Sette Doni dello Spirito Santo, eppure è il più dimenticato, il meno invocato, il meno vissuto.

Ma nessun Documento ufficiale della Chiesa, neppure la Sacrosanctum Concilium hanno mai inteso togliere questo Inno di verità, lode, supplica, amor di Dio, è anche per questo che lo riproponiamo con la speranza che venga riscoperto e se ne faccia uso ai funerali, nelle commemorazioni per i Defunti, nella preghiera dei Fedeli.

Ve lo proponiamo qui in formato karaoke per meglio imparare la melodia più conosciuta giunta a noi oggi da questa Tradizione viva.

A seguire la meravigliosa Catechesi dottrinale di Benedetto XVI sulla realtà della morte, davvero imperdibile!

– Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla
teste David cum Sybilla.
– Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.
– Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.
– Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.
– Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.
– Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit:
nil inultum remanebit.
– Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?
– Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
– Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.
– Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.
– Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
– Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.
– Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
– Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.
– Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
– Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
– Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.
– Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.
– Huic ergo parce, Deus:
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.

***********************
– Giorno dell’ira sarà quel giorno
dissolverà il mondo terreno in cenere
come annunciato da David e dalla Sibilla.
– Quanto terrore verrà
quando giungerà il giudice
a giudicare severamente ogni cosa.
– La tromba diffondendo un suono stupefacente
tra i sepolcri del mondo
spingerà tutti davanti al trono.
– La Morte si stupirà, e anche la Natura
quando risorgerà ogni creatura
per rispondere al giudice.
– Sarà portato il libro scritto
nel quale tutto è contenuto,
dal quale si giudicherà il mondo.
– E dunque quando il giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà svelata,
niente rimarrà invendicato.
– In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?
– Re di tremenda maestà,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.
– Ricorda, o Gesù pio,
che io sono la causa della tua venuta;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.
– Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento patendo la Croce:
che tanta fatica non sia vana!
– Giusto giudice di retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.
– Comincio a gemere come un colpevole,
per la colpa è rosso il mio volto;
risparmia chi ti supplica, o Dio.
– Tu che perdonasti Maria di Magdala,
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.
– Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
che io non sia arso dal fuoco eterno.
– Assicurami un posto fra le pecore,
e tienimi lontano dai capri,
ponendomi alla tua destra.
– Smascherati i malvagi,
condannati alle aspre fiamme,
chiamami tra i benedetti.
– Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto in cenere,
prenditi cura del mio destino.
– Quel giorno sarà un giorno di lacrime,
quando risorgerà dalla cenere
il peccatore per essere giudicato.
– Perdonalo, o Dio:
pio Signore Gesù,
dona a loro la pace.
Amen.


La Commemorazione di tutti i fedeli defunti – Udienza di Benedetto XVI 2.11.2011

Cari fratelli e sorelle!

Dopo avere celebrato la Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a commemorare tutti i fedeli Defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci hanno preceduto e che hanno concluso il cammino terreno. Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cristiani è illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna.

commemoratio-defuntorum-14_544cc6dccd07eCome già dicevo ieri all’Angelus, in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’è uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già raggiunto l’eternità.

Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo scopriamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo.

Perché è così? Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.

Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è igno­to. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.

Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.

Oggi il mondo è diventato, almeno apparentemente, molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è sarebbe una copia di quella presente.

Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può an­che vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).

Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare sen­za alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.

Ogni domenica, recitando il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza. Grazie.


MA… CHI ERA

San Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa

Nasce a Roma intorno al 540 da una famiglia patrizia degli Anici, gens di fede cristiana e nota anche per i servizi resi alla Sede Apostolica. I genitori Gordiano e Silvia (che la Chiesa venera santa il 3 novembre) gli trasmettono alti valori evangelici offrendogli anche un grande esempio. Dopo gli studi di diritto, Gregorio intraprende la carriera politica e ricopre la carica di prefetto della città di Roma. Questa esperienza gli fa maturare uno sguardo più consapevole sull’urbe e le sue problematiche e un profondo senso dell’ordine e della disciplina. Pochi anni dopo, attratto dalla vita monastica, decide di ritirarsi, dona i suoi averi ai poveri e fa della casa paterna al Celio un monastero che intitola a Sant’Andrea. Qui si dedica alla preghiera, al raccoglimento e allo studio della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa.

Da monaco a Papa

Ma Papa Pelagio II lo nomina diacono e lo invia a Costantinopoli come suo aprocrisario (nunzio apostolico). Vi resta sei anni, e, oltre a svolgere i compiti diplomatici affidatigli dal pontefice, continua a vivere come monaco con altri religiosi. Richiamato a Roma, torna al Celio, ma morto Pelagio II, nel 590, viene scelto come suo successore. È una stagione difficile quella che Gregorio deve affrontare: i Longobardi imperversano, abbondanti piogge e inondazioni avevano provocato numerose vittime e causato ingenti danni, la carestia aveva colpito diverse zone dell’Italia e la peste continuava a far vittime. Gregorio esorta allora i fedeli alla penitenza e alla preghiera, invitandoli a prendere parte, per tre giorni, ad una solenne processione penitenziale verso la Basilica di Santa Maria Maggiore. Si narra che attraversando il ponte che collega l’area del Vaticano al centro della città (oggi ponte Sant’Angelo), Gregorio e la folla avrebbero avuto la visione dell’arcangelo Michele sulla Mole Adriana interpretandola come segno celeste che preannunciava la fine dell’epidemia. Da qui l’uso di chiamare l’antico mausoleo Castel Sant’Angelo.

Opera ecclesiastica e l’impegno civile

Sulla cattedra di Pietro Gregorio riorganizza l’amministrazione pontificia e si preoccupa della Curia romana, dove tanti ecclesiastici e laici avevano interessi ben diversi da quelli spirituali e di carità, sicché affida molti incarichi a dei monaci benedettini. Riforma anche le attività ecclesiastiche nelle diverse sedi episcopali, stabilisce che i beni della Chiesa vengano utilizzati per la sua stessa sussistenza e per la sua opera evangelizzatrice nel mondo e gestiti con assoluta rettitudine, giustizia e misericordia. Gregorio impiega anche i beni propri e i lasciti alla Chiesa per aiutare i fedeli: compra e distribuisce grano, soccorre i bisognosi, sostiene sacerdoti, monaci e claustrali in difficoltà, paga riscatti di prigionieri, si adopera per armistizi e tregue. A lui si devono anche mosse politiche per salvaguardare Roma – ormai dimenticata dagli imperatori – e trattative con i Longobardi per assicurare la pace nell’Italia centrale. Gregorio stabilisce rapporti di fraternità, si preoccupa della loro conversione e inoltre avvia missioni di evangelizzazione tra i Visigoti di Spagna, i Franchi e i Sassoni. In Britannia invia il priore del convento di Sant’Andrea al Celio, Agostino (poi vescovo di Canterbury), e quaranta monaci.

Servus servorum Dei

Gregorio riforma poi la Messa e la rende più semplice, promuove il canto liturgico, che da lui prende il nome di gregoriano, e scrive diverse opere. Il suo epistolario conta oltre 800 missive, svariate le omelie; celebre il suo Moralia in Iob (Commento morale al libro di Giobbe), dove afferma che l’ideale morale consiste nell’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai propri doveri; e la Regola pastorale, che tratteggia la figura del vescovo ideale, insiste sul dovere del pastore di riconoscere ogni giorno la propria miseria, e riserva l’ultimo capitolo al tema dell’umiltà. Per dimostrare che la santità è sempre possibile, Gregorio redige i Dialoghi, un testo agiografico in cui narra gli esempi lasciati da uomini e donne, canonizzati e non, accompagnandoli con riflessioni teologiche e mistiche. Assai noto il libro II, dedicato a Benedetto da Norcia. Si può dire che Gregorio sia il primo papa ad aver utilizzato anche il potere temporale della Chiesa senza, comunque, dimenticare l’aspetto spirituale del proprio compito. Resta, però, un uomo semplice, tanto che nelle lettere ufficiali si definisce “Servus servorum dei”, “servo dei servi di Dio”, appellativo che i pontefici hanno continuato a conservare.

Il titolo Servus servorum Dei non nasce da una vaga richiesta di visibilità del Papa, ma dall’umiltà vera e sincera di Papa Gregorio Magno, che lo adottò come risposta alla stessa umiltà di Pietro di cui era ora il successore e, insieme, ferma a chi pretendeva titoli onorifici per umiliare Roma. Significa che l’autorità del Papa non è dominio ma servizio, ma non dipende né dal consenso dei fedeli e neppure dalle opinioni personali. È Cristo stesso che ha posto Pietro come Pastore universale e non c’è alcun bisogno di “vedere” se lo merita: il suo mandato è oggettivo e divino. Muore il 12 marzo del 604 e viene sepolto nella Basilica di San Pietro.


In un testo di Padre Emmanuel Andrè, intitolato “La Sainte Eglise”, si parla degli ultimi tempi della Chiesa e, riportando ampi stralci di parole pronunciate dal grande San Gregorio Magno, scrive:

La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!

La Chiesa – dice più volte il grande Papa – verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d’appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.

Il potere dei miracoli – dice – sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno. Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli. Sarà anche l’occasione – spiega ancora il Pontefice – di un meraviglioso discernimento. In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono” (Moralia in Job, libro 35).

E prosegue Padre Emmanuel. “Che parola terribile: taceranno gli insegnamenti della dottrina! San Gregorio proclamava altrove che la Chiesa preferisce morire che tacere. Dunque parlerà ancora, ma il suo insegnamento sarà ostacolato, la sua voce coperta; molti di coloro che dovrebbero gridare sopra i tetti non oseranno farlo per paura degli uomini…”

(Padre Emmanuel Andrè, La Sainte Eglise, Clovis, 1997, pag.296)


Piangere sulla fine del mondo, e sugli eventi drammatici che verranno per purificare gli uomini, è tipico di coloro che lo amano e vi hanno messo le proprie radici del cuore e non cercano altro, non aspirano alla Vita futura, non si aspettano, oppure  rifiutano che questa Vita esista per davvero. Ma noi che abbiamo conosciuto i gaudi eterni della Celeste Patria, dobbiamo  anelare di giungere ad essa, e dobbiamo incoraggiare il prossimo su questa via. Da quali mali non è oppresso il mondo? Quale tristezza, quale avversità non ci addolora? Che cosa è la vita presente se non un viaggio? Considerate dunque, o miei fratelli, quale contraddizione sarebbe essere affaticati dal viaggio, colpiti dalle  avversità e dai dolori e desiderare che questo mondo non abbia termine! Il nostro Redentore ci insegna come dobbiamo calpestare l’amore del mondo mediante un’opportuna similitudine, aggiungendo  subito: “E disse loro una parabola: “Guardate il fico e tutte le piante; [30] quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.”  (Omelia I di san Gregorio Magno, Papa, tenuta al popolo nella Basilica di san Pietro, nella seconda Domenica di Avvento Lezione del Santo Vangelo, secondo Luca 21, 25-33)

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“Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l’onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. 𝙀𝙧𝙖 𝙦𝙪𝙞𝙣𝙙𝙞 𝙜𝙞𝙪𝙨𝙩𝙤 𝙘𝙝𝙚 𝙞 𝙎𝙤𝙙𝙤𝙢𝙞𝙩𝙞, 𝙖𝙧𝙙𝙚𝙣𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙙𝙚𝙨𝙞𝙙𝙚𝙧𝙞 𝙥𝙚𝙧𝙫𝙚𝙧𝙨𝙞 𝙤𝙧𝙞𝙜𝙞𝙣𝙖𝙩𝙞 𝙙𝙖𝙡 𝙛𝙚𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙘𝙖𝙧𝙣𝙚, 𝙥𝙚𝙧𝙞𝙨𝙨𝙚𝙧𝙤 𝙖𝙙 𝙪𝙣 𝙩𝙚𝙢𝙥𝙤 𝙥𝙚𝙧 𝙢𝙚𝙯𝙯𝙤 𝙙𝙚𝙡 𝙛𝙪𝙤𝙘𝙤 𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙯𝙤𝙡𝙛𝙤, 𝙖𝙛𝙛𝙞𝙣𝙘𝙝𝙚́ 𝙙𝙖𝙡 𝙜𝙞𝙪𝙨𝙩𝙤 𝙘𝙖𝙨𝙩𝙞𝙜𝙤 𝙨𝙞 𝙧𝙚𝙣𝙙𝙚𝙨𝙨𝙚𝙧𝙤 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙡 𝙢𝙖𝙡𝙚 𝙘𝙤𝙢𝙥𝙞𝙪𝙩𝙤 𝙨𝙤𝙩𝙩𝙤 𝙡𝙖 𝙨𝙥𝙞𝙣𝙩𝙖 𝙙𝙞 𝙪𝙣 𝙙𝙚𝙨𝙞𝙙𝙚𝙧𝙞𝙤 𝙥𝙚𝙧𝙫𝙚𝙧𝙨𝙤”.

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa – Commento morale a Giobbe, XIV, 23, vol. II, p. 371).

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Dal Vocabolario Treccani: Sodomìa (ant. soddomìa) s. f. [dal lat. mediev. sodomia, e questo dal nome dell’antica città di Sòdoma (ebr. Sĕdōm, gr. Σόδομα, lat. Sodŏma) della Palestina che, secondo la tradizione biblica, Dio distrusse perché vi si praticava questo vizio]. – Termine che indica, nell’uso corrente, rapporti omosessuali tra individui dello stesso sesso.

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Fulvio Festosi

Ad Jesum per Mariam

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