Premessa
Sono trascorsi Sessant’anni dalla Rivoluzione Ungherese per liberarsi della tirannia del comunismo. L’Italia, nei suoi portavoce politici comunisti e catto-comunisti, non ha mai chiesto “scusa”, non ha mai chiesto “perdono” per aver appoggiato un massacro, per aver sostenuto una delle peggiori dittature del nostro tempo. La voce coraggiosa dell’allora Prefetto dell’odierna Congregazione per la Dottrina della Fede, si elevò alta e supplichevole dalla Basilica di San Pietro. Condanna del comunismo, condanna per il tragico silenzio delle autorità di quel tempo, onore e gloria per i Martiri d’Ungheria, ma anche suppliche a Dio per i massacratori, per la loro conversione. Qui vi proponiamo l’inedito integrale dell’Omelia-Preghiera del cardinale Ottaviani. Preghiera, perché si trattava di una Adorazione Eucaristica pubblica, alla quale parteciparono migliaia di persone. Concludiamo questo “Ricordo” con un accenno, dovuto, al cardinale Primate di Ungheria Jozsef Mindszenty.
I tragici giorni vissuti dal popolo ungherese alla fine di ottobre e principio del novembre 1956, quando fu soffocata con le stragi operate dalle artiglierie e dai carri armati russi la sollevazione di studenti, operai ed intellettuali anelanti alla libertà, diffusero nel mondo un grido di esecrazione contro gli oppressori, e di pietà per gli oppressi. Nella Basilica Vaticana, con la partecipazione di una immensa moltitudine di fedeli, si svolse un rito propiziatorio, con un’Ora di adorazione eucaristica predicata dal Cardinale Alfredo Ottaviani, Prefetto del Sant’Uffizio. Il testo intero dei quattro punti dell’Orazione viene desunto dall’Osservatore Romano, che lo pubblicò nel n. 275 del 27 Novembre 1956.
- Per un popolo eroico
Adoriamo, o fratelli, Gesù Dio, qui presente sotto i veli eucaristici: e quanto più lo vediamo umile e nascosto, tanto più grande e potente lo riconosca la nostra fede. Adoriamolo Dio giusto, giudice supremo dei vivi e dei morti. Quanto più siamo angosciati per l’iniquità che trionfa in questo mondo, quanto più vediamo gli uomini violare ogni diritto umano e divino e straziare con ferocia inaudita individui, famiglie e nazioni, tanto più fidenti volgiamoci a lui, che è l’unico, sicuro, infallibile restauratore di tutti i valori morali, naturali e soprannaturali, l’unico, sicuro, immancabile giudice giusto e forte, sebbene paziente, che retribuirà a ciascuno il suo.
Certo, lo sconforto, l’angoscia dell’ora presente è grande, tanto grande quanto è tremenda e apocalittica la sciagura per la quale, più che parlare, dovremmo piangere. Gerusalemme sotto gli invasori non dette a Geremia tanto motivo di pianto, quanto l’Ungheria ne dà a noi. Non una delle parole del profeta non ricorre sulle nostre labbra, non una delle sue preci e deprecazioni, tanto appaiono appropriate alla odierna sciagura e desolazione, cosi tremenda, cosi smisurata!
Ma non c’è dunque una giustizia anche in questo mondo?
Signore, Signore, qui sulla terra tutti si conclamano tutori della giustizia e della pace, ma né giustizia, né pace fanno. Anzi, o Signore, c’è tanta licenza di far del male che superbia eorum qui te oderunt, ascendit semper! quelli che ti odiano ascendono sempre. E in quello che dovrebbe essere il supremo consesso della giustizia mondiale, l’aggressore siede come giudice tra gli altri giudici e per rappresentante della vittima si ritiene quegli che è complice dell’assassino.
E tutto il resto del mondo non ha forse la sua parte di responsabilità ostentando, con cinico calcolo, un’impotenza e una prudenza che permetta agli alleati e ai servi dei massacratori, d’insolentire contro l’indignazione pubblica, esaltando i massacratori? Mite solo in apparenza, cosa fa il mondo responsabile per essere all’altezza morale di chi muore per non lasciar la fede e tradire la libertà dei figli di Dio?
O potenti del mondo, sentite il tremendo monito dello Spirito Santo (dal Libro della Sapienza): «L’Altissimo esaminerà le vostre opere e scruterà i pensieri; perché… non avete governato rettamente, né avete osservato la legge di giustizia, né secondo il volere di Dio avete camminato. Terribile e veloce egli piomberà su di voi, ché rigorosissimo giudizio sarà fatto di quelli che stanno in alto. Al piccolo invero si usa misericordia, ma i potenti saranno potentemente puniti! Perché non indietreggerà dinanzi a nessuno il Signore di tutti, né avrà soggezione della grandezza di alcuno; ché il grande e il piccolo egli ha creato ed ha cura ugualmente di tutti ».
O Gesù, giudice supremo dei vivi e dei morti, quanto conforto e quanta speranza ci dà la fede per queste parole del Divino Spirito! SI, noi ti crediamo Dio, Figlio di Dio, costituito, dal Padre celeste, giudice dei secoli passati e futuri, che darà a ciascuno il suo.
Mihi vindictam, et ego retribuam. E la restaurazione dell’equilibrio fra delitto e pena, bontà e premio, avverrà non soltanto individualmente per ogni uomo nel giorno del suo transito, ma anche socialmente nel giorno tremendo dell’ira: Dies irae, dies illa (Sof.1,15).
0 Gesù che sei ora nascosto e tacito, tu stesso ci hai descritto come verrai nella tua maestà di giudice.
«Allora il segno del Figlio dell’uomo (la tua croce, o Signore) comparirà nel cielo e piangeranno tutte le nazioni della terra e vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del Cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con sonora tromba e raduneranno dai quattro venti, da una estremità dei cieli all’altra, i suoi eletti ».
Gesù, giudice supremo, dà fin d’ora la pace eterna e il riposo alle anime degli eroi ungheresi straziati dai feroci seguaci dell’anticristo e fa che nel giorno supremo del tuo giudizio si ritrovino trionfanti, con tutti coloro che nel corso dei secoli meritarono o meriteranno quella beatitudine che tu dicesti riservata ai perseguitati: Beati qui persecutionem patìuntur propter ìustìtiam, quoniam ipsorum est regnum coelorum (Mt.5,10). Beati coloro che soffrono per la giustizia, perché è loro il regno dei cieli!
Vere dignum… nos Tibi semper et ubique gratias agere. (dal Canone della Messa: È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio…) Nel dolore come nella gioia, nella vita terrestre e in quella celeste. Nel dolore con cui ci purifica, nelle pure e sante gioie con cui ci solleva. Ti ringraziamo, o Signore, per la sapienza e potenza con cui anche dal male sai trarre il bene. Non ci ha forse egli concesso di poter, col nostro dolore, col nostro sangue, adimplere ea quae desunt passionum eius? (per adempiere ciò che manca ai Suoi patimenti, riferimento a Colossesi 1,24) Non dà egli alla Chiesa la grazia di allietarsi della gloria dei martiri? E anche dalla strage subita dagli ungheresi, quanta gloria per gli ideali del nome cristiano! E come il loro sangue, con quello di Abele, clamat, invoca, ammonisce, illumina le menti di gran parte di quelli che errarono ed ora si ricredono e giudicano il comunismo!
Dobbiamo anche ringraziare per la luce, e la forza di cui ha dotato il Suo Vicario in terra (S.S. Pio XII), per proclamare innanzi a tutto il mondo i principi di verità e di giustizia con cui debbono condannarsi gli aggressori e ridare agli oppressi libertà e pace. Ringraziamo il Signore che, in mezzo a tante tenebre, a tante viltà e a tante calcolate astensioni ha fatto risplendere la luce e il disinteresse e il coraggio di Colui che ha parlato in nome di Dio e ha dato sentenza di condanna, che nella storia suonerà a perpetuo vilipendio degli oppressori e a gloria della Chiesa vindice dei diritti sacri e umani dell’uomo redento e liberato da Cristo.
Ringraziamo il Signore di questa vera grandezza data al Capo della Sua Chiesa che contrasta luminosamente con la pochezza e piccolezza dimostrata in queste dolorose circostanze da coloro che dal mondo si sono fatti chiamare i grandi.
Gesù, che nemmeno della croce ti sei contentato e ci hai lasciato Te stesso nel Sacramento del tuo amore e del tuo Sacrificio e del tuo dolore, o Gesù che nell’ora del tuo gran dolore e poco prima della tua partenza ci hai provveduto tu stesso il modo di averti sempre — nei nostri dolori come nelle nostre gioie — misteriosamente, ma realmente presente e presente al nostro comando, come Cibo che ristora l’anima e come pegno irrefutabile d’amore e di resurrezione, o Gesù, nostra giustizia e nostra misericordia, ringrazia tu, per noi, il Padre celeste di tutto quanto ci ha donato. Ringrazialo di quanto ci ha voluto bene e ci vuol bene e di quanto bene ci ha fatto e ci fa.
Ringrazialo di averci dato in Te tutto il tesoro di ogni grazia e vita spirituale: non per altro Tu sei eucaristia, cioè ringraziamento, vale a dire sei il nostro atto di grazie al Padre, il nostro olocausto, il nostro punto d’incontro, dove Dio che discende incontra l’uomo che sale. Tu sei, o Gesù, la nostra via e la nostra ala, Tu sei il nostro cibo e il nostro riposo. Che cosa sarebbe la terra, o Gesù, se Tu non ci fossi disceso come uomo e non ci fossi restato come sacramento! Ora specialmente lo sperimentiamo, ora che in tanta angoscia abbiamo in Te un rifugio, ora che i profughi, i deportati, gli orfani, le vedove della desolata Ungheria hanno in Te, in Te più che negli umani soccorsi, il più efficace conforto, il compagno nell’esilio, l’amico, il sostegno delle non spente speranze, il rifugio nel supremo dolore.
Grazie, o Gesù, anche per il conforto che stai dando al Padre comune dei fedeli, che vede tanta gara di generosità e di aiuto dei figli per il soccorso dei fratelli ungheresi, tanta unanimità di preghiera, tanta solidarietà di amore.
III. Parce Domine, parce populo tuo.
Perdona Signore, perdona il popolo tuo, non rimanere in eterno adirato con noi. La distruzione più barbara, la ferocia più metodica, la crudeltà più folle e macabra massacra un popolo e il resto degli uomini se ne lavan le mani, lieti di farla franca.
Fratelli, tremiamo. Il popolo d’Ungheria espia anche per noi sulla Croce, con Gesù. Quel popolo insegna al resto del mondo e ci fa comprendere che cosa orrenda sia cader sotto il torchio sanguinario del comunismo: ma guai a noi se anche dopo una così chiara e tremenda testimonianza data col sangue, continuiamo ad essere vili e peccatori!
Noi abbiamo peccato e pecchiamo: pecchiamo di omissione. Se c’è chi è senza tetto e senza fuoco e senza pane e persino senza lavoro, di chi è la colpa, di chi è il peccato? se c’è tra noi chi ignora Iddio e persino chi lo bestemmia e lo nega, di chi è la colpa se non la nostra, che non sappiamo rivelarlo nella nostra azione e difenderlo con la nostra vita? se tanta immondezza cova nelle case ed è ostentata persino sulle mura della città, di chi è la colpa? se il mondo è tornato pagano e ignora Iddio o lo combatte, di chi è la colpa se non la nostra? E non siamo forse peccatori anche nelle opere?
Chi oserebbe far le meraviglie dell’ira di Dio e dei suoi giudizi, se pensa a tanto peccato? Miei cari figli, dobbiamo renderci ben conto che nessuna delle nostre colpe, neppure in una piccola parte, non riceverà la sua giusta paga.
Tanto premesso, riflettiamo con terrore a quanti peccati si commettono e inorridiamo. Riflettiamo, ciascuno nel silenzio della propria anima, ai soli peccati nostri. Riflettiamo, dirò di più, anche ad un solo peccato. C’è da inorridire. Chi, trovandosi di fronte ad un leone, oserebbe provocarlo? chi, sull’orlo dell’abisso, farebbe una mossa incauta? chi in un rischio tremendo, se la sentirebbe di fare scherzi di cattivo genere? Ebbene, noi sciagurati, siamo tutti nelle mani di Dio e lo offendiamo, non cessiamo di offenderlo.
Egli ci ha amato e noi lo ripaghiamo con l’ingratitudine. Egli ci ha dato la vita, e noi, appena si è fatto uomo, lo abbiamo ucciso. Egli ci ha elargito ogni sorta di doni e noi li abbiamo gettati nel fango. Egli ci mantiene in vita con un prodigio continuo e noi nemmeno pensiamo alla sua esistenza. Egli è tutto e fa tutto e noi non siamo nulla e non facciamo nulla per Lui. Come può la giustizia divina risparmiarci? Guardiamoci intorno: ovunque regna il peccato, anche tra noi che riconosciamo e confessiamo il suo santo nome.
O Gesù, noi lo sappiamo e lo confessiamo ad alta voce. Il tuo Padre non sarebbe Iddio se non fosse giusto e la sua giustizia non conosce limiti né ostacoli! E’ infinita ed è onnipotente. La sua giustizia ha dato un esempio memorabile della sua severità, nella tua passione e morte. Se in te, legno verde, il fuoco della sua ira è divampato talmente, che cosa avverrà di noi, legna secca, buona soltanto a essere gettata nel fuoco eterno?
Signore Gesù, eccoci ai tuoi piedi. Si, siamo noi il tuo populus acquisitìonis. Siamo noi i redenti col tuo Sangue. Siamo noi i tuoi fratelli adottivi. Siamo noi i tuoi testimoni ed i tuoi adoratori. Siamo il tuo popolo eletto e anche noi ti abbiamo lasciato, tradito, rinnegato, forse anche bestemmiato. Signore Gesù, siamo il tuo popolo e siamo peccatori. Abbi pietà di noi!
Il popolo ungherese sale oggi sulla croce di Cristo ed espia anche le colpe nostre. Si, le nostre ed è qui il nostro rossore. Narra uno storico che quando Clodoveo sentì raccontare per la prima volta la Passione di Gesù, non si tenne dall’esclamare: «Perché non ero lì con i miei Franchi?».
Miei cari figli, gli uomini oggi sono invece lietissimi di non essere li, dove per i cristiani ideali di libertà e per la fedeltà ai principi della morale e della fede, i seguaci di Cristo salgono la croce e tutto un popolo è maciullato dagli sgherri dell’anticristo; sì, letteralmente maciullato nelle sue città e nelle sue campagne, nel suo presente e, sì, nel suo avvenire.
Non ci resta che fare appello alla misericordia di Dio. La misericordia di Dio salvi quel popolo generoso che tante volte col suo sangue ha salvato la civiltà cristiana. La misericordia di Dio tenga lontana la sua ira e salvi la pace del mondo; dia agli esuli il sollecito ritorno; asciughi le lacrime di tante madri, accolga il gemito di implorazione di tanti orfani.
Il Signore non è meno misericordioso di quanto è giusto e, se dobbiamo dire la verità, quaggiù sulla terra la sua misericordia apparisce assai più che non la sua giustizia. Anche solo come creatore, è tutto bontà, è tutto dono, è tutto elargizione, è tutto cuore (se mi si lascia dir così). Che dire poi come Padre? che dire come Redentore? che dire come Paraclito e consolatore?
Grande è Iddio e grande è la sua misericordia. Che cosa sono i cieli, che cosa è la terra se non un suo dono? che cosa è il volto dell’uomo e la sua anima se non un suo specchio? Che cosa c’è di più bello al mondo, che la misericordia di Dio? che cosa c’è di più grande, di più vasto, di più intimo?
Se la giustizia di Dio giunge dappertutto, può tardare, ma di certo arriva, la sua misericordia è in certo qual modo la sua presenza più continua. E’ giusto sempre, ma la sua giustizia apparisce in certo qual modo quando punisce; la sua misericordia invece apparisce sempre, anche quando punisce. Splende nel sorriso dei giusti, trionfa nelle lacrime del peccatore. Nella gioia brilla come un giorno felice, nel dolore rifulge come una interpretazione e la chiave d’un segreto. Se la croce di Gesù è il trofeo della divina giustizia, è anche il trofeo della divina misericordia. Sopra quella croce un Dio punisce il nostro peccato, un Dio espia il nostro peccato: la giustizia si stringe con la misericordia. Quindi anche in mezzo a tanta tristezza noi possiamo sperare.
La vostra tristezza si convertirà in gaudio (Gv.16,20), così disse Gesù, nell’imminenza della passione, quando una profonda amarezza aveva invaso l’animo dei discepoli al sentire quanto doveva Gesù patire e come fosse egli prossimo a fare il cammino della croce, a separarsi dai suoi. Anche voi flagelleranno, vi metteranno in carcere, vi uccideranno. Non temete, io ho vinto il mondo. Dunque, Gesù, cosi dobbiamo sperare. Il cielo e la terra passeranno, ma tu hai detto : Verba mea non transibunt, le mie parole non passeranno (Mc.13,31).
E noi, o Signore, questa fede e questa fiducia l’abbiamo: ma tu non riterrai, o Signore, mancanza di confidenza in te, se ti preghiamo con l’antico gemito del profeta, perché venga presto l’ora tua, l’ora del gaudio nostro, perché sia anticipata l’ora della tua misericordia. Cito anticipent nos misericordiae tuae. E’ pur vero o Signore che tu chiamasti gli apostoli «uomini di poca fede», quando, terrorizzati dalla tempesta, ti destarono col grido della loro angosciosa supplica: «Signore, salvaci, periamo» e non seppero aspettare, sicuri per la tua presenza. Ma tuttavia tu, o Signore, anticipasti il momento della tranquillità grande, imperando ai venti e al mare.
E poi, non c’è stata forse una creatura, la tua Madre, la Vergine Immacolata, che ci ha insegnato che si può far anticipare il tuo divino intervento? Nondum venit hora mea dicesti, e tuttavia la volontà onnipotente si piegò alla potenza che tu stesso hai dato alla supplica; e obbediente facesti subito il miracolo (Gv.2).
Gesù, Signore delle anime nostre, abbi pietà di chi muore, di chi soffre e per la gloria del tuo Nome getta eroicamente la vita. Fai grande questo popolo mirabile, che i tuoi nemici vogliono schiacciare. Noi oggi siamo tutti ungheresi, o tali vorremmo essere, o Signore, al tuo cospetto. Sono loro a rappresentarci, come tu ci rappresentavi sulla croce. Sono loro i nostri testimoni ed i nostri martiri. Grazie, che fra tanta viltà ci hai dato un popolo cosi grande, cosi coraggioso, in una parola cosi cristiano. Se ancora è possibile tanta grandezza, tu non sei morto invano e le nostre speranze ridivengono certezze. Non disperiamo da quando abbiam visto come si affrontano i tuoi nemici e si lotta per liberare la Chiesa dagli anticristi oppressori e carnefici, come si muore per il tuo amore e per la tua gloria, o Gesù, abbi pietà di noi.
Amen.
E’ necessario ora descrivere, seppur brevemente, il “caso” del Primate d’Ungheria cardinale Jozsef Mindszenty
Finita la Guerra, Mindzenty torna alla sua missione di vescovo e Pio XII decide di nominarlo, nel settembre 1945, arcivescovo di Strigonio, storica sede primaziale ungherese, e principe primate d’Ungheria, ponendo fine ad un periodo di sede vacante durato sei mesi. Il 21 febbraio 1946 promette alla Chiesa di servire Cristo “usque ad sanguinis effusionem” venendo creato cardinale dal pontefice nella Basilica di San Pietro a Roma. Mindszenty sa bene di trovarsi ora da una dittatura all’altra, quella comunista. Sul principale giornale cattolico del Paese, il Magyar Kurir, fa pubblicare, alla fine dell’anno, un articolo in cui si rivolge direttamente al popolo ungherese e che si conclude con queste parole: “Sto qui per Dio, per la Chiesa e per la patria, poiché questo è il dovere che mi ha imposto il servizio storico verso il mio popolo abbandonato nel vasto mondo. Di fronte alle sofferenze della mia gente il mi destino è cosa insignificante. Non getto la colpa sui miei accusatori. Quando qua e là sono costretto a far luce sulla situazione, sono soltanto le grida di dolore, le lacrime e la voce soffocata del mio popolo a parlare. Prego perché venga un mondo di verità e di amore; prego anche per coloro che, secondo le parole del mio Maestro, non sanno quello che si fanno, e perdono loro di tutto cuore.” Il giorno dopo il Natale del 1948 viene arrestato dai comunisti e portato nel famigerato stabile di via Andrassy 60 a Budapest, dove i comunisti lo torturano.
Nel febbraio del 1949 si tiene, per quattro giorni, un processo farsa, in cui il primate di Ungheria viene accusato di essere a capo di una organizzazione che aveva in mente il rovesciamento dello Stato, di aver svolto spionaggio contro l’Ungheria, di aver maneggiato in maniera illegale la valuta estera. Dopo un finto dibattimento senza alcuna garanzia processuale per l’imputato, il cardinale è condannato all’ergastolo. “Lo scopo principale di tutto il giudizio – spiegò poi – è stato quello di sconvolgere la Chiesa cattolica in Ungheria, nella speranza di ottenere ciò a cui accenna la Sacra Scrittura: Percutiam pastorem et dispergentur oves gregis.” Percuoterò il pastore e disperderò il suo gregge.
I comunisti avevano preteso di nominare tutte le cariche ecclesiastiche con effetto retroattivo al 1946 e tutti i vescovi, i superiori religiosi e i vicari generali erano tenuti ad un giuramento allo Stato. Il potere sul clero non veniva più gestito da parte della normale gerarchia cattolica, ma dal Dicastero statale per gli affari ecclesiastici. Tutti i vescovi erano divenuti esecutori del dicastero, che prendeva direttive dal Ministero dell’Interno e dalla Polizia per la sicurezza dello stato. La Chiesa aveva rinunciato, di fatto, ad ogni resistenza passiva, giungendo a chiudere spontaneamente tutti i seminari e le scuole di teologia rimaste. Addirittura, agenti di polizia si erano infiltrati tra i sacerdoti, riuscendo facilmente ad assumere cariche rilevanti come vicari generali e direttori della cancelleria. Questi poliziotti – falsi preti, venivano spesso inviati all’estero dal regime e lì propagandavano false informazioni sui rapporti tra Chiesa e regime comunista.
Con il primate in carcere la persecuzione anticattolica viene accentuata. Nel 1950 vengono occupati i conventi e da essi espulsi dodicimila religiosi, molti dei quali vengono deportati; gli ordini e le congregazioni sono sciolte. Nel 1951 il governo ordina la chiusura di sette seminari sui tredici esistenti in Ungheria. Intanto il Paese intero precipita in una gravissima crisi economica.
Negli otto anni seguenti Mindszenty viene spostato in varie prigioni, con differenti livelli di sicurezza. Per lunghissimi periodi non gli è consentito di celebrare la messa e non gli vengono messi a disposizione testi sacri. Tra le vessazioni che subisce, il divieto di inginocchiarsi in cella o le continue interruzioni delle sue preghiere. Gli viene portata carne il venerdì, in modo da non farlo mangiare. Quando, finalmente gli è consentito di tenere in cella con sé l’Eucarestia, passa ore ed ore prostrato in adorazioni e le sue meditazioni sul sacrificio di Cristo durano dalle due ore e mezza alle tre e mezza. Gli danno solo un breviario. “Per molto tempo – raccontò – esso è stato la mia Bibbia, la mia dogmatica, la mia mistica, il mio direttore spirituale”. Anche nel male riuscì a trovare il bene. “In carcere – scrisse – ci avviciniamo di più anche alla grazia redentrice, nel senso della gratia liberans illustrata da Sant’Agostino: buon per me che ero nell’afflizione (Sal. 118,71)”.
Il capo del governo Imre Nagy, intanto, prova a lanciare qualche riforma economica per salvare il Paese dalla miseria, ma i tentativi non funzionano. Il 24 ottobre 1956 un Paese ormai allo stremo si ribella ai sovietici. I comunisti si recano in fretta e furia da Mindszenty, chiedendogli di seguirli “per salvarlo dalla plebaglia che avrebbe potuto assaltare la prigione”. Il primate rifiuta ed i comunisti, senza molto discutere, fuggono. Il 30 ottobre decine di persone entrano nella casa in cui è recluso il cardinale e restano sbigottiti nel vedere che il cardinale è ancora vivo e che sta abbastanza bene. Viene tenuto in fretta e furia un consiglio rivoluzionario che sentenzia che la detenzione del primate è illegale. Un gruppo di militari raggiunge Mindszenty e lo preleva dalla sua prigione, liberandolo.
Fuori dalla casa in cui era stato rinchiuso in regime di massima sicurezza si crea nel giro di poche ore una folla enorme. “Non potevano credere – scrisse Mindzenty – che io non fossi stato trascinato via dalle unità corazzate russe. Mi toccavano, baciavano i miei abiti, mi pregavano di benedirli. Guidati dal loro pastore giunsero anche i protestanti evangelici, sinceramente contenti, poi la minoranza cattolica e battista: ragazzi, ragazze e vecchi. Mi stavano attorno e non volevano lasciarmi partire.” Dopo poche ore il primate parte alla volta di Budapest, ma deve spesso fermarsi e scendere dall’automobile per salutare i parroci e la popolazione, mentre il suo corteo si ingrossa sempre di più, e si aggiungono ad esso addirittura anche carri armati e mezzi d’assalto. A Budapest, l’ingresso trionfale, dove una moltitudine di persone era accorsa, esultante e piangente, per festeggiare il ritorno del principe primate d’Ungheria nel suo palazzo dopo otto anni.
Negli anni sessanta la posizione della Santa Sede verso i regimi comunisti subì un mutamento. Fu inaugurata una politica conciliante. Responsabile del dialogo con i Paesi del Blocco dell’Est fu il cardinale Agostino Casaroli. Midszenty si oppose nettamente a questa politica. Incontrò più volte il cardinale Casaroli, che pur considerando l’atteggiamento di Mindszenty un pesante ostacolo per la riuscita della sua Ostpolitik, non poté non ammirare la grandezza morale, spirituale e di forza d’animo e sopportazione del cardinale ungherese. Per molti anni Mindszenty rifiutò l’invito del Vaticano a trovare riparo a Roma. Ma col tempo il cardinale era diventato un ospite scomodo anche per gli americani. Dopo varie trattative, nel 1971, con l’interessamento dell’allora presidente Nixon, lasciò l’ambasciata USA e raggiunse la Santa Sede.
Negli anni successivi Mindszenty ricevette grandi amarezze dalla politica vaticana. Scelse come residenza Vienna, presso il collegio Pázmámy, un’antica istituzione ungherese. Dalla capitale austriaca effettuò numerosi viaggi presso le comunità ungheresi sparse nel mondo per far sentire la sua vicinanza e per descrivere la realtà del comunismo, che all’epoca veniva taciuta. Ma il regime di Budapest ottenne dal Vaticano il suo silenzio. La norma che prevedeva che i vescovi lasciassero l’incarico a 75 anni non fu applicata nel suo caso, finché il 1º novembre 1973, quando il cardinale aveva ormai superato gli 81 anni, papa Paolo VI chiese le sue dimissioni dalla cattedra primaziale di Strigonio. Il cardinale oppose un rispettoso ma netto rifiuto, riflettendo sul fatto teologico e del Vangelo, che non esiste un “pensionamento” per gli Apostoli di Cristo. Il 18 novembre dello stesso anno, papa Montini sollevò il cardinal Mindszenty dall’incarico, nominando un amministratore apostolico.
Il 6 maggio 1975 morì a Vienna per un arresto cardiaco susseguente ad un intervento chirurgico. Solo dopo la sua morte, Paolo VI procedette alla nomina del nuovo arcivescovo di Strigonio nella persona di László Lékai. Nel 1991 i resti di Mindszenty vennero solennemente trasportate da Mariazell a Strigonio, città nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della cattedrale di Nostra Signora e di sant’Adalberto.
Il 22 ottobre 1996 è stata avviata la causa di canonizzazione con l’approvazione di Giovanni Paolo II, per altro un suo difensore nei confronti del comportamento tenuto dal cardinale.
Nel 2012 Mindszenty ha ottenuto la definitiva riabilitazione legale, morale e politica. La Procura generale ungherese ha così chiuso ufficialmente la revisione del processo-farsa subito nel 1949.
Avanti ragazzi di Buda,
avanti ragazzi di Pest,
studenti, braccianti, operai
il sole non sorge più ad Est!
Abbiamo vegliato le notti
le notti di cento e più mesi,
per l’alba radiosa di ottobre,
quell’alba dei giovani ungheresi.
Ricordo tu avevi un moschetto
su, portalo in piazza, ti aspetto,
nascosta tra i libri di scuola
anch’io porterò una pistola.
Sei giorni, sei notti di gloria
durò questa nostra vittoria;
al settimo sono arrivati
i russi con i carri armati.
I carri ci schiaccian le ossa,
nessuno ci viene in aiuto.
Sull’orlo della nostra fossa
il mondo è rimasto seduto.
Ragazza non dire a mia madre
che io morirò questa sera;
ma dille che vado in montagna
a che tornerò in primavera.
Compagni il plotone già avanza,
già cadono il primo e il secondo
finita è la nostra speranza,
sepolto l’onore del mondo.
Compagno riponi il fucile
torneranno a cantare le fonti
quel giorno serrate le file
e noi torneremo dai monti.
Avanti ragazzi di Buda,
avanti ragazzi di Pest
studenti, braccianti e operai,
il sole non sorge più all’Est
Avanti ragazzi di Buda,
avanti ragazzi di Pest,
studenti, braccianti, operai
il sole non sorge più ad Est!