Santa Teresa d’Avila: il Protestantesimo malaugurata setta preda del demonio

Riflessioni di Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, sul protestantesimo imperante e dilagante nel suo tempo e che devono farci riflettere sui nostri comportamenti, oggi, nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Buona meditazione. Ricordiamo che potrete scaricare QUI il “Libro della mia vita” autobiografia della Santa in comodo pdf.

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Santa Teresa d’ Avila: ” Cammino di perfezione “, cc. 1-3

“In questo tempo mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che son qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciar tutto per amor suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che avete patito per loro?

Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso è così poco fedele a voi, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che lo abbiamo gratificato con maggiori benefici, perché ci debba serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che per bontà del Signore siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano son già preda del demonio? Un bel castigo si son guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male ch’è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col tener conto della loro devozione, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza.

Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso da questi eretici, benché si sia cercato di radunare soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più, mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa assai ben fortificare; di là piomba, di quando in quando, su di essi e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

Ma perché ho detto questo? Affinché voi intendiate, sorelle mie, che ciò di cui abbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico e che egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, procuriamo di essere tali che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

Santa Teresa d’ Avila: ” Cammino di perfezione “, cc. 1-3

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*IO SONO GESÙ DI TERESA*

 
Avvenne un fatto nel monastero dell’ Incarnazione di Avila:
un giorno la Madre stava scendendo le scale e inciampò in un bel bambino che le sorrideva .
Suor Teresa, sorpresa nel vedere un bambino all’ interno del Convento, gli si rivolse chiedendosi: “E tu chi sei?”
Al che il bambimo rispose con un’ altra domanda:
“E chi sei tu?”
La Madre disse “Io sono Teresa di Gesù”
Il bambino con un sorriso ampio e luminoso , le disse: “…IO SONO GESÙ DI TERESA…!”
 

15 ottobre

Santa Teresa d’Avila Dottore della Chiesa, riformò l’ordine delle Carmelitane. (1515-1582)

Dom Prosper Guéranger

La carità. “La Chiesa che regna in cielo, dice per questa festa il vescovo di Meaux, e quella che geme in terra, sebbene sembrino affatto separate, sono invece unite da un legame sacro. Legame è la carità, che è in questo luogo di esilio, come nella patria celeste, dà gioia ai santi che trionfano, anima quelli che combattono, si spande dal cielo in terra, dagli Angeli ai mortali e fa che la terra divenga cielo e gli uomini diventino Angeli. O santa Gerusalemme, Chiesa beata dei primogeniti, i nomi dei quali sono scritti in cielo, sebbene la Chiesa, tua cara sorella, che vive e combatte quaggiù, non osi paragonarsi a te, tuttavia assicura che un santo amore a te la unisce. È vero che essa cerca e tu invece possiedi, che essa fatica, e tu riposi, che essa spera e tu godi, ma fra tante differenze per le quali sei così lontana, vi è questo di comune, che gli spiriti beati amano quello che amano anche i mortali. Gesù, che è loro vita è anche nostra vita e nei loro canti di giubilo e nei nostri gemiti si sentono risuonare le parole del Salmista: Mio bene è unirmi a Dio” (Bossuet, Panegirico di santa Teresa).

Vocazione di Teresa. Teresa ebbe, in un tempo di rovine, la missione di ricordare al mondo dalle altezze del Carmelo, portato da lei alla premierà bellezza, questo bene supremo, che è della Chiesa della terra come in quella del cielo. Alla fine della gelida notte dei secoli XIV e XV, una potenza di irresistibile attrazione si sprigiona dagli esempi della sua vita e sopravvive nei suoi scritti, trascinando dietro a lei, sui passi dello Sposo, i predestinati.

Tuttavia né lo Spirito Santo apriva in Teresa vie sconosciute, né Teresa, l’umile Teresa, diceva novità nei suoi libri. Prima di Teresa, già l’Apostolo aveva affermato che la conversione dei cristiani è nei cieli (Filipp. 3, 20) e, dopo di lui, l’avevano detto, Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno, Gregorio di Nazianzo e molti altri, testimoni per tutta la Chiesa. S’è detto e provato, meglio che non sapremmo fare noi: “Nessuna condizione fu meglio nota ai Padri di quella dell’unione perfetta che si acquista al sommo della contemplazione e, leggendo i loro libri, si nota la semplicità con cui ne trattano; pare che la ritengano frequente, e la considerino uno sviluppo del cristianesimo portato alla sua pienezza (M.me C. Bruyere, La vie spirituelle et l’Oraison, c. 19).

In quello, come in tutto il resto, la scolastica ha solo raccolto i dati e afferma la dottrina riguardante le vette della vita cristiana anche quando l’indebolimento della fede dei popoli impedisce alla carità divina il suo slancio e lo confina in qualche chiostro ignorato. Ma nella sua forma speciale l’insegnamento della Scuola non fu accessibile a tutti e perciò il carattere anormale di un’epoca stranamente agitata si riflette perfino sui mistici che ancora vi erano.

Gli scritti di Teresa. Ecco allora apparire nel regno cattolico la vergine di Avila. Dotata in modo mirabile per grazia e per natura, conobbe le resistenze di questa come le chiamate di Dio, le purificanti attese e i trionfi progressivi dell’amore. Lo Spirito, che la voleva Maestra nella Chiesa, la guidava per il classico cammino, se così si può dire, dei favori riservati ai perfetti. Giunta alla montagna di Dio, annotò senza alcuna pretesa le tappe del cammino percorso e, obbedendo a chi lo imponeva in nome del Signore (Vita della Santa scritta da lei stessa) narrò, con penna squisita per limpidità e disinteresse, le opere compiute dallo Sposo (Libro delle Fondazioni). Con non minore attrattiva passò gli insegnamenti della sua esperienza presso le sue figlie (Il cammino della perfezione), descrivendo le molte mansioni del castello dell’anima umana al centro del quale, per chi sa trovarlo, risiede, in un cielo anticipato, la Santa Trinità (Il castello interiore). Non occorreva altro. La mistica cristiana, tolta alle astrazioni speculative, riportata alla sublime semplicità ha di nuovo presa sulle intelligenze e la luce risveglia l’amore. Finalmente soavissimi profumi esalano in ogni parte del giardino della Chiesa e risanano la terra e cacciano i miasmi sotto i quali l’eresia e la pretesa riforma minacciavano di soffocare il mondo.

La via unitiva. Teresa non persuadeva nessuno a forzare l’entrata delle vie non comuni. Ma, se l’unione passiva e infusa dipende totalmente dal volere di Dio, è possibile a tutti, con l’aiuto della grazia e purché ci sia buona volontà, l’unione di conformità effettiva e attiva, senza della quale la prima non sarebbe che illusione. “Coloro che possiedono l’unione di conformità, dice la santa, hanno ottenuto ciò che possono desiderare. È l’unione che io desiderai tutta la vita, che sempre chiesi a nostro Signore ed è anche la più facile a conoscersi e la più sicura” (Il castello interiore, 5 dimora, c. 3).

Tuttavia aggiungeva: “Guardatevi dalle eccessive riservatezze che si vedono in certe persone e che esse credono umiltà. Se il re si degnasse concedervi qualche favore, sarebbe umiltà il rifiuto? Quando il Padrone assoluto del cielo e della terra si degna onorare l’anima mia e la visita, per riempirmi delle sue grazie e gioire con me, non volerlo, non rispondergli, non fargli compagnia, non accettare i suoi doni, fuggire la sua presenza e lasciarlo solo sarebbe mostrarmi umile? Bella umiltà davvero! Vedete in Gesù Cristo un Padre, un fratello, un maestro, uno sposo e trattate con lui secondo queste diverse qualità ed egli stesso vi farà capire quale gli piace di più e quale quindi voi dovete scegliere. Non siate così sciocchi da farne a meno” (Il cammino della perfezione).

Ma si ripete da tutte le parti che “questa via è tutta seminata di scogli: la tale vi si è perduta, altra si è sbandata, una terza, che pregava sempre non ha potuto evitare di cadere… Ammirate l’inconcepibile accecamento del mondo, Non si inquieta per migliaia di disgraziati, che, totalmente estranei alla vita di orazione, vivono in dissolutezze orribili e, se per disgrazia, deplorevole senza dubbio, ma rarissima, gli artifici del tentatore seducono un’anima dedita alla preghiera, se ne trae motivo di ispirare agli altri grandi paure, per allontanarle dalla pratica delle sante virtù. Non è questo, essere vittime del più grave degli errori: credere che per evitare il male sia necessario evitare di far il bene? Superate tutte queste paure, sforzatevi di conservare sempre pura la vostra coscienza, irrobustitevi nell’umiltà, schiacciate col vostro piede tutte le cose terrene, siate irremovibili nella fede della santa Chiesa, nostra madre, e dopo tutto questo non dubitate di non essere sul buon cammino”. (Il cammino della perfezione, c. XXII).

È vero anche troppo “che un’anima quando non trova una fede vigorosa e i suoi trasporti di devozione non contribuiscono ad aumentare il suo attaccamento alla Chiesa, si trova in una via piena di pericoli. Lo Spirito di Dio ispira sempre soltanto cose conformi alle sante Scritture e quando vi sia anche il più lieve contrasto questo basta a dimostrare con evidenza l’azione dello spirito cattivo e, se il mondo intero mi assicurasse che si tratta dello Spirito divino, io non mi lascerei persuadere” (Vita, c. XXV).

Il compito del direttore. L’anima evita il pericolo interrogando chi può darle luce. “Ogni cristiano, che ne ha la possibilità, deve cercarsi una guida istruita e la più istruita sarà la migliore. Tale aiuto è più ancora necessario alle persone d’orazione e più sono avanzate meno possono farne senza. Io ho sempre amato gli uomini eminenti per dottrina. Alcuni, lo comprendo, non avranno conoscenza sperimentale delle vie spirituali, ma non vi sono contrari, non le ignorano e, con l’aiuto della Sacra Scrittura, che studiano costantemente, sanno sempre riconoscere i segni del buon Spirito. Lo spirito delle tenebre teme in modo particolare la scienza umile e virtuosa, sa che da essa sarà sempre scoperto e che i suoi artifici si risolveranno a suo danno … Signore, io ignorante e inutile, ti benedico per questi ministri fedeli, che ci danno luce (Vita, c. XIII). Io non ho scienza superiore alla virtù, scrivo furtivamente e con pena: ciò mi impedisce di filare e mi trovo in una casa povera in cui le occupazioni non mancano. Mi basta essere donna, e donna così imperfetta perché la penna mi scappa di mano” (ibid.).

L’amore del prossimo. Secondo la parola del Cantico divino, per introdurre Teresa nella sua intimità più profonda, lo Sposo aveva dovuto ordinare l’amore nell’anima sua e regolarvi la carità (Cant. 2, 4). Rivendicati, come era giusto, i suoi diritti sovrani, la rendeva più devota e amante del prossimo. Il dardo del Serafino non inaridì, né deformò il suo cuore. Al punto culminante della perfezione che raggiunse 1’anno stesso della sua morte felice: “Se tu mi ami molto, scriveva, ti ricambio l’amore, te lo assicuro e desidero che tu me lo dica. È proprio vero che la natura ci porta a voler essere compensati! Non può essere cosa cattiva, posto che il Signore lo esiga da noi. È un vantaggio somigliare a lui in qualche cosa, fosse pure anche solo in quello” (A Maria di Giuseppe, Priora di Siviglia, 8 nov. 1581). Altrove, parlando dei suoi viaggi senza fine al servizio dello Sposo: “La pena più grande per me era lasciare le mie figlie e sorelle. Esse sono distaccate da tutto in questo mondo ma Dio non ha loro concesso di esserlo da me e ciò forse ha permesso, perché fosse per me un più grande tormento, dato che non sono meno attaccata a loro” (Fondazioni, c. XXVII).

La natura e la grazia. La grazia non disprezza la natura, che è essa pure opera del Creatore, ma, consacrandola, la risana, la fortifica, l’armonizza e del pieno sviluppo delle facoltà fa il primo omaggio tangibile che l’uomo rigenerato deve rendere, alla presenza dei suoi simili, a Dio Redentore. Si legga quel capolavoro letterario, che è il libro delle Fondazioni, o lettere innumerevoli, strappate dalla serafica Madre alla sua vita divorante e si conoscerà se l’eroismo della fede e di tutte le virtù, se la santità portata alla più alta espressione mistica recò danno un istante a Teresa, non diciamo alla costanza, alla devozione, all’energia, ma a quella intelligenza che nulla sconcerta, pronta e viva fino alla gaiezza, al carattere sempre sereno che versa serenità su quanto la circonda, alla sollecitudine, alla moderazione, al tatto squisito, all’amabile saper vivere, al genio pratico, all’incomparabile buon senso di questa contemplativa dal cuore trafitto che pulsava ancora solo per miracolo e che aveva per divisa: Soffrire o morire.

Al benefattore di una progettata fondazione scrive: Non creda mio Signore, di dover donare solo quello che pensa; vi prevengo. È cosa da nulla dare denaro, costa poco. Ma quando ci vedremo al momento di essere lapidati, lei, suo genero e quanti siamo a occuparci di questo affare, come ci si dovette arrivare al tempo della fondazione di san Giuseppe d’Avila, allora sì che sarà bello! (Ad Alfonso Ramirez, 19 febbraio 1569). Si riferiscono alla stessa fondazione molto movimentata di Toledo le parole della santa: “Teresa e tre ducati sono niente; ma Dio, Teresa e tre ducati sono tutto”.

La grande prova. Teresa provò qualcosa di peggio delle privazioni umane, perché un giorno sembrò mancarle Dio stesso. Come prima di lei san Filippo Benizi, come dopo di lei Giuseppe Calasanzio e Alfonso de’ Liguori, conobbe la prova del vedersi condannata, respinta con le sue figlie e i suoi figli in nome e per autorità del Vicario dello Sposo. Era uno dei giorni da molto tempo predetti in cui – è concesso alla bestia di fare la guerra ai santi e di vincerli (Apoc. 13, 7). Ci manca lo spazio per raccontare gli incidenti dolorosi (vedi le lettere della Santa al Priore della Certosa di Siviglia, 31 gennaio 1579 ecc.) e a che pro li racconteremmo: La bestia non ha che un procedimento, che ripete al secolo XVI, al XVII, al XVIII e sempre. Come Dio, ciò permettendo, non ha che un fine: condurre i suoi al sommo dell’unione crocifiggente in cui Colui che volle per primo assaporare l’amarezza di questa feccia poté dire, a titolo più doloroso che chiunque altro: Mio Dio, perché mi hai abbandonato? (Mt. 27, 46).

Vita. Teresa nacque ad Avila, in Spagna, il 28 marzo 1515. Leggendo nella sua infanzia gli Atti dei Martiri, sentì il desiderio di imitarli. Scappata perciò dalla casa paterna, cercò di raggiungere l’Africa per versarvi il suo sangue per Cristo. Ricondotta a casa dallo zio, volle supplire il martirio col fervore della carità verso Dio e verso il prossimo. A venti anni entrò nel Carmelo e vi condusse una vita di sofferenze, di penitenza e di preghiera, senza avere, per diciotto lunghi anni, il conforto delle consolazioni spirituali che poi le furono concesse.

Lo zelo le ispirò di riportare il Carmelo alla regola primitiva e, con l’approvazione di Pio IV, sostenuta da san Giovanni della Croce, poté edificare trentadue monasteri. Il Signore la ricompensò con favori altissimi, visioni, estasi e con la trafissione del cuore. All’orazione più fervorosa unì grandi penitenze per la salvezza degli infedeli e la conversione degli eretici. L’ardore della sua carità le provocò la morte il 4 ottobre 1582 ad Alba. Il suo corpo resta ancora incorrotto. Avendo la Chiesa riconosciuti i miracoli operati, Teresa fu canonizzata da Gregorio XV.

Soffrire per amore. Tu trovasti già in vita, o Teresa, il Diletto, che ti si rivela alla morte. “Se una cosa poteva riportarti in terra era il desiderio di soffrire ancora” (Apparizione a Padre Graziano). “Non mi stupisco, dice Bossuet, che Gesù abbia voluto morire, perché egli doveva questo sacrificio al Padre. Ma era necessario che passasse tutti i suoi giorni e li terminasse in mezzo a tanti mali? Perché egli era l’uomo dei dolori, come lo chiama il Profeta (Is. 53, 3) volle vivere solo per soffrire e, per dire ciò più fortemente con la bella parola di Tertulliano, ha voluto saziarsi, prima di morire, con una voluttà di sofferenza: Saginare voluptate patientiae discessurus volebat (De patientia, 3). Ecco uno strano modo di parlare. Tu non dirai che, secondo il sentimento del Padre, tutta la vita del Salvatore era un festino in cui tutte le portate erano tormenti? Strano festino secondo il mondo, ma che Gesù ha giudicato degno dei suoi gusti. Bastava la sua morte per la nostra salute, ma non bastava alla meravigliosa fame che egli aveva di soffrire per noi. Alla morte si aggiunsero i flagelli, si aggiunsero la sanguinante corona che trafigge la testa, si aggiunse tutto il crudele apparato di supplizi spaventevoli e per quale ragione? Perché, vivendo solo per soffrire, voleva saziarsi, prima di morire, della voluttà di soffrire per noi” (Panegirico di santa Teresa). Finché sulla croce “vedendo che nei decreti eterni non c’è più nulla da soffrire: Ah! disse, tutto è fatto, tutto è finito: (Gv. 19, 30) andiamo, non vi è più nulla da fare in questo mondo e rese subito l’anima al Padre. (Bossuet, ibid.).

Soffrire o morire. Se questo è lo spirito di Gesù, non deve forse essere anche quello di Teresa, sua sposa? “Essa vuole soffrire o morire e il suo amore non può sopportare che causa alcuna ritardi la sua morte, fuorché quella che ha ritardato la morte del Salvatore.” (Bossuet, ibid.). Riscaldiamo i nostri cuori a questo grande esempio. “Se siamo veri cristiani dobbiamo desiderare di essere sempre con Cristo. E dove si trova l’amabile Salvatore delle anime nostre? dove può essere abbracciato? Non si trova che in questi due luoghi: nella gloria o nella sofferenza, sul trono o sulla croce. Per essere con lui dobbiamo quindi o abbracciarlo sul suo trono ed è ciò che ci ottiene la morte, o unirci a lui sulla croce e noi vi riusciamo con le sofferenze. Sicché occorre soffrire o morire, per non lasciare mai il Salvatore. Soffriamo dunque, soffriamo, cristiani, quello che a Dio piace mandarci: afflizioni, malattie, miserie, povertà, ingiurie e calunnie; sforziamoci di portare quella parte della sua croce di cui vorrà onorarci” (Bossuet, ibid.).

Orazione e virtù.

Tu, che la Chiesa presenta ai suoi figli quale maestra e madre nel sentiero della vita spirituale, insegnaci il cristianesimo forte e vero. La perfezione non si raggiunge in un giorno solo e tu lo dicevi: “Saremmo molto da compiangere, se non potessimo cercare e trovare Dio che dopo essere morti al mondo: Dio ci liberi dalla gente spirituale, che vuole, senza discernimento e senza scelta, tutto portare alla perfetta contemplazione” (Al vescovo d’Avila, marzo 1557, in una delle più graziose lettere della santa). Ma Dio ci liberi pure dalle devozioni male intese, puerili e sciocche, come tu le chiami, che ripugnavano alla dirittura e alla dignità della tua anima generosa! (Vita c. XIII) Tu non desideri altra orazione che quella che ti fa crescere nella virtù persuadici allora del principio che regola questa materia e cioè che “l’orazione migliore e a Dio più gradita è quella che lascia migliori effetti e si manifesta nelle opere e non soddisfa soltanto i gusti, che tendono alla personale soddisfazione” (A Padre Graziano, 23 ottobre 1557).

Sarà salvo solo colui che avrà osservato i comandamenti, che avrà adempita la legge; e il cielo, il tuo cielo, o Teresa, è la ricompensa delle virtù praticate, non delle rivelazioni e delle estasi, che ti sono state concesse (Apparizione alla Priora di Véas).

Preghiera.

Dal luogo in cui il tuo amore si nutre di infinita felicità, come si saziava quaggiù di sofferenze, fa’ che la Spagna, ove sei nata, custodisca nei nostri tempi meschini il suo bel nome di cattolica. Possano i tuoi figli avere, con la benedizione dei meriti e della santità, anche quella del numero e, sotto tutte le latitudini dove lo Spirito li ha moltiplicati, i loro asili benedetti possano sempre ricordare “i primi colombai della Vergine, nei quali lo Sposo si compiaceva far splendere i prodigi della sua grazia” (Fondazioni c. IV). Tu stabilisti scopo delle loro preghiere e dei loro digiuni il trionfo della fede e il sostegno dei suoi difensori (Il cammino della perfezione, cc. I, III) e come è oggi immenso il campo aperto al loro zelo! Con loro e con te, noi chiediamo a Dio “due cose: che fra tanti uomini e religiosi se ne trovino che abbiano le qualità necessarie per servire utilmente la causa della Chiesa, dato che un solo uomo perfetto renderà più servizi che molti uomini imperfetti; che nella lotta il Signore li sostenga con la sua mano, perché schivino i pericoli e chiudano l’orecchio al canto delle sirene … Abbi, o Dio, pietà di tante anime che si perdono, arresta la valanga dei mali che affliggono l’umanità e, senza ritardi, fa’ brillare in mezzo a queste tenebre la tua luce” (Il cammino della perfezione).

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959.


🙏O Santa Teresa, che attraverso la tua costanza nella preghiera, raggiungesti le più alte vette della contemplazione e sei stata additata dalla Chiesa quale maestra di orazione, ottienici dal Signore la grazia di imparare il tuo stile di preghiera per poter raggiungere come te quell’intimo rapporto di amicizia con Dio dal quale sappiamo di essere amati.

1. Amabilissimo Signor nostro Gesù Cristo, vi ringraziamo del gran dono dell’amor di Dio concesso alla vostra diletta S. Teresa; e per i meriti vostri e di questa vostra amantissima sposa, vi preghiamo di concederci la grande e necessaria grazia del vostro perfetto amore. 1Pater, Ave, Gloria

2. Dolcissimo Signore nostro Gesù Cristo, vi ringraziamo del dono elargito alla vostra diletta S.Teresa della tenera devozione alla vostra Madre dolcissima Maria, ed al vostro padre putativo S. Giuseppe; e per i meriti vostri e di questa vostra santa sposa Teresa vi preghiamo di darci la grazia d’una speciale e tenera devozione verso la nostra Madre celeste Maria SS.ma ed il nostro grande protettore S. Giuseppe. 1Pater, Ave, Gloria

3. Amorosissimo Signore nostro Gesù Cristo, vi ringraziamo per il singolare privilegio concesso alla vostra diletta S.Teresa della ferita del cuore; e per i meriti vostri e di questa vostra santa sposa vi preghiamo di donarci una simile ferita d’amore, ed esaudirci, dandoci quelle grazie che per sua intercessione vi chiediamo. 1Pater, Ave, Gloria


*Preghiera di Santa Teresa d’Avila per porre rimedio ai mali della Chiesa*

🙏 Padre nostro che sei nei Cieli, ti prego di rispondere alla supplica che ti rivolgiamo per l’onore del Tuo Figlio. Non per noi, Signore, che non lo meritiamo, ma per il Sangue del Tuo Figlio e per i Suoi meriti, e per quelli della Sua gloriosa Madre, e di tanti martiri e santi che sono morti per Te. O Padre Eterno! Tante percosse, tante ferite, tanti tormenti così gravi non possono essere ignorati. O mio Creatore, viscere amorevoli come le Tue non possono consentire al disprezzo di ciò che Tuo Figlio ha fatto con così ardente amore! Il mondo sta bruciando, vogliono crocifiggere di nuovo Cristo, demolire la Sua Chiesa. I Sacramenti sono aboliti, le chiese chiuse o distrutte, innumerevoli anime si condannano. Mio Signore e mio Dio, ponete fine al mondo o ponete rimedio a mali così gravi, perché nemmeno cuori meschini come i nostri possono sopportare tutto questo. Ti prego, o Eterno Padre, che Tu stesso non lo sopporti. Spegni questo fuoco, Signore, perché hai il potere di farlo, se lo vuoi. Ci deve essere qualche soluzione, applicatela, Vostra Maestà. Abbi pietà di tante anime che si perdono e salva la Tua Chiesa. Non permettete ulteriori danni al Cristianesimo. Proietta la Tua luce su questa oscurità. Ora, Signore! Ora, Signore! Rendi calmo questo mare, risparmiando la nave della Chiesa da una tempesta così persistente. Salvaci, mio Signore, altrimenti affonderemo. Te lo chiediamo per Cristo, tuo Figlio e nostro Signore. Amen.

Liberaci, o Signore, dalle sciocche devozioni dai santi dalla faccia triste” Santa Teresa d’Avila

Se dovessimo rappresentare una suora di clausura medievale, penseremmo probabilmente a una donna inginocchiata in una chiesa, con la testa china e le mani giunte, assorta nella preghiera. Non verrebbe certo subito in mente una persona con uno spiccato senso dell’umorismo.

È per questo che è deliziosamente sorprendente sentir parlare dell’umorismo della santa del XVI secolo e Dottore della Chiesa Teresa d’Avila.

Un episodio famoso riassume perfettamente il suo carattere:

Mentre Santa Teresa… si stava recando al suo convento durante un tremendo temporale, scivolò su un terrapieno e cadde nel fango. L’irreprensibile suora alzò gli occhi al cielo e ammonì il suo Creatore dicendo: “Se è così che tratti i tuoi amici, non stupisce che tu ne abbia così pochi!

Un altra versione racconta che la Madre Teresa attraversava un momento molto difficile e se ne lamentò con Gesù dicendoGli quanto fosse duro essere suo discepolo! Gesù rispose dicendole: “Ma è così che tratto i miei amici!” alché la Madre rispose: “ora capisco perché ne hai così pochi…”

Quando insegnava alla sue suore cosa significasse essere una religiosa fedele, Teresa sottolineava l’importanza di avere un buon senso dell’umorismo. Scrisse: “Una suora triste è una cattiva suora… Mi spaventa di più una suora che non è felice che una folla di spiriti maligni… Cosa succederebbe se nascondessimo il nostro senso dell’umorismo? Usiamolo umilmente per rallegrare gli altri”.

Il suo senso dell’umorismo le permetteva anche di riconoscere le proprie mancanze e il bisogno che aveva della grazia. All’inizio della sua autobiografia scrive: “L’aver genitori virtuosi e timorati di Dio, unitamente a tutto il favore che il Signore mi concedeva, mi sarebbe bastato per crescere buona, s’io non fossi stata tanto spregevole ”.

Ma Teresa non era solo una buontempona. Era anche una fiera riformatrice, che non aveva tempo per la falsa pietà. Una volta disse: “Liberaci, o Signore, dalle sciocche devozioni e dei santi dalla faccia triste”.

Teresa ci ricorda che a volte ridere è davvero la miglior medicina. Un sano senso dell’umorismo ci farà tenere la testa a posto e ci permetterà di vedere la bellezza del mondo. Dio non ha mai detto che per essere santi dobbiamo avere la faccia triste. E allora, se volete diventare santi, forse il primo passo è prendersi meno sul serio!


👉 Santa Teresa d’Avila, dai suoi scritti alcune “Esclamazioni” che faremo bene a meditare e a fare nostre:

– Oh, Gesù mio, quanto è immenso l’amore che nutrite per il prossimo, i figli degli uomini… per la loro salvezza. Chi non lo ama, non Vi ama, mio Signore, poiché tutto il sangue che avete versato ci dimostra l’immenso amore che nutrite per i figli di Adamo.

– Considerate, mio Dio, che i vostri nemici vanno guadagnando notevolmente terreno. Abbiate pietà di coloro che non ne hanno di se stessi! Poiché la sventura li acceca in modo tale da impedire che essi vengano a voi, andate voi da essi, mio Dio. Ve lo chiedo in nome loro, perché so che questi morti risusciteranno non appena, riconosciuti i propri errori e tornati in sé, cominceranno a godere di voi.

– Mio Dio, misericordia mia!, che devo fare per non distruggere le grandi cose che compite in me? Le vostre opere sono sante, sono giuste, sono di un valore inestimabile, frutto di una straordinaria sapienza, perché voi, Signore, siete la stessa Sapienza.

– Chi ti consola, anima mia, in questo tempestoso mare? Ho pena di me e ancor più del tempo che son vissuta senza dolermi. Oh, Signore, come sono dolci le vostre vie! Ma chi camminerà senza timore? Temo di non riuscire a servirvi: quando mi dispongo a farlo, non trovo cosa che mi soddisfi per pagarvi almeno un po’ di ciò che vi devo. Mi sembra di volermi consacrare tutta al vostro servizio ma, quando considero attentamente la mia miseria, vedo che non posso far nulla di buono, se voi non me ne date la capacità.

– Anima mia, benedici senza fine un così grande Signore! Come si può tornare a essergli ribelli? Oh, come la stessa grandezza del dono ricevuto è di danno agli ingrati! Ponetevi voi rimedio, mio Dio. E voi, figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore e avrete il coraggio di opporvi a questo dolcissimo Gesù? Cos’è questo? Forse che la vostra malizia può prevalere a lungo contro di lui? No; la vita dell’uomo ha, infatti, una fine come il fiore del fieno, e il Figlio della Vergine verrà a pronunciare la sua terribile sentenza.

– Se non mi lamento di quanto a lungo la vostra bontà mi ha sopportato, non ho alcun altro motivo per farlo. E allora che potrà chiedervi una creatura così miserabile come me? Datemi, Dio mio, di che darvi, dirò con sant’Agostino, per soddisfare almeno in parte il molto che vi devo; ricordatevi che sono creatura vostra e concedetemi di conoscere chi sia il mio Creatore affinché io l’ami.

– Oh, anima mia! Lascia che si compia la volontà del tuo Dio; questo è quanto ti conviene. Servilo, e spera nella sua misericordia che porterà rimedio alla tua pena; quando avrai fatto penitenza per le tue colpe e ne avrai meritato un po’ il perdono di esse, non voler godere senza patire… con il vostro aiuto tutto mi sarà possibile.

– 👉 Oh, cristiani! È tempo di difendere il vostro Re e di tenergli compagnia in così grande solitudine. Sono ben pochi i sudditi che gli sono rimasti, mentre grande è il numero dei seguaci di Lucifero. E il peggio è che gli si mostrano amici in pubblico e lo vendono in segreto: non trova quasi più nessuno di cui fidarsi.

– Oh, Signore, Dio mio! Piango il tempo in cui non me ne sono resa conto e poiché sapete, mio Dio, quanto mi affligga vedere il grande numero di coloro i quali non vogliono capirlo, io ora vi prego, Signore, che almeno uno, uno solo riceva luce da voi, perché possa servire a illuminare molti altri! Non per me, Signore, che non ne sono degna, ma per i meriti di vostro Figlio. Guardate le sue piaghe, Signore, e poiché egli perdonò a chi gliele aveva provocate, anche voi perdonateci.

– Oh, libero arbitrio, così schiavo della tua libertà, se non sei inchiodato al timore e all’amore di chi ti ha creato! Oh, quando verrà quel felice giorno in cui ti vedrai annegato nell’oceano infinito della somma Verità, dove non sarai più libero di peccare, né vorrai esserlo, perché al sicuro da ogni miseria, naturalizzato con la vita stessa del tuo Dio!

– Muoia ormai questo io, e ne viva in me un altro che è più grande di me e migliore per me di me stessa, affinché io possa servirlo. Egli viva e mi dia vita; egli regni e io sia la sua schiava; la mia anima non vuole altra libertà. Come potrà essere libero chi se ne sta lontano dall’Altissimo?


Santa Teresa, le scomuniche e la coscienza

Teresa_Avila
 

(Cristiana de Magistris) Quando la grande santa spagnola, Teresa d’Avila, iniziò la Riforma del Carmelo con la fondazione del Monastero di san Giuseppe in Avila, non avrebbe mai pensato che, da lì a pochi anni, nel 1577, il suo nome sarebbe divenuto oggetto di doppia scomunica. Si tratta di un evento della sua vita che i biografi tendono a passare sotto silenzio per coprire, col velo di una comprensibile e caritatevole omertà, i Religiosi colpevoli del grave misfatto. Ecco i fatti. Iniziata la Riforma, santa Teresa, oltre a fondare numerosi Carmeli, riformò anche il monastero in cui era entrata ancora giovane (l’Incarnazione di Avila), quando vi fu mandata come Priora dal visitatore apostolico nel 1571. Nonostante la pessima accoglienza che ebbe inizialmente dalle Religiose, riuscì a trasformarle nel giro di un triennio, grazie anche all’opera infaticabile di san Giovanni della Croce, chiamato dalla Santa ad Avila come direttore spirituale e confessore delle monache. La trasformazione e le conseguenti restrizioni non piacquero ai Carmelitani calzati, antichi confessori del monastero, e quando nel 1577 le monache elessero di nuovo Teresa (che dopo il triennio all’Incarnazione aveva ripreso le sue Fondazioni), vi fu una levata di scudi da parte degli antichi confessori che rasentò l’inverosimile. È la stessa penna della Santa a narrarci l’evento in tutti suoi particolari.

Nella Lettera 203 del 22 ottobre 1577, indirizzata a Madre Maria di san Giuseppe, priora del monastero di Siviglia e sua confidente, la Santa scrive: «Le voglio raccontare una cosa avvenuta qui all’Incarnazione, così iniqua che non credo se ne possa vedere di peggio. Quindici giorni fa venne qui per ordine del Tostado il P. Provinciale dei Calzati (P. Giovanni Gutierrez della Maddalena, provinciale dei Carmelitani calzati di Castiglia) per presiedere alle elezioni. Cominciò col minacciare grandi censure e scomuniche a chi avesse dato il voto a me. Ciononostante, le monache non se ne dettero per intese, e quasi non avessero sentito nulla, 55 votarono per me. A ogni voto il Provinciale scomunicava e malediceva chi l’aveva dato, stropicciava la scheda, la tempestava di pugni e la buttava nel fuoco. Le poverine sono scomunicate da quindici giorni, non possono ascoltare la Messa, né andare in coro, neppure fuori del tempo dell’Ufficio divino, senza poter parlare con alcuno, né con i confessori, né con i parenti».

Ma le monache non si lasciarono minimamente intimorire, certe della legalità della elezione e delle votazioni. «Il più curioso – prosegue la Santa – è che all’indomani di questa elezione fatta a base di pugni, il Provinciale tornò per invitarle ad una seconda elezione, ma esse risposero che non occorreva, perché l’avevano già fatta. Allora il provinciale le scomunicò di nuovo, e chiamate le quarantaquattro che non avevano votato me, fece loro eleggere un’altra priora e mandò per il P. Tostado perché la confermasse. La conferma è già avvenuta, ma le altre non intendono cedere, e dicono di non volere riconoscere l’eletta altro che come vicaria». Dunque, non una ma due scomuniche a chi aveva votato la Santa! Ma anche dopo la seconda scomunica, le monache non cedettero. «I teologi affermano che quelle scomuniche non valgono, e che una tale elezione è contraria al Concilio (di Trento) – scrive Teresa – perché fatta con suffragi inferiori ai prescritti. Le dissidenti hanno scritto al Padre Tostado per dirgli che vogliono me per priora ed egli ha risposto di no…». Dunque, dopo la seconda scomunica, queste Religiose, che la Santa chiama ironicamente “dissidenti”, non solo non si piegarono, ma scrissero al loro “nemico” (cioè il mandante delle scomuniche) per far valere i propri diritti. La Santa, come d’abitudine in casi così complessi, si rivolse ai teologi. La storia non ci ha tramandato i loro nomi: si può solo supporre che uno di essi fosse il P. Domenico Banez, illustre domenicano, grande estimatore della Riforma nonché confidente della Santa. In ogni caso, Teresa, che – come diceva lei stessa – per la più piccola cerimonia della Chiesa avrebbe dato la vita, non esita ad affermare che “quelle scomuniche non valgono”. Per risolvere la spinosa questione, scrisse al Re, Filippo II, grande ammiratore della Santa e della Riforma, il quale si rivolse al Nunzio, che infine fece rimuovere le scomuniche. Ma passarono due mesi, durante i quali le monache “ribelli” rimasero nella loro prigionia, senza sacramenti, senza tuttavia minimamente cedere alle pressioni che quotidianamente dovevano subire.

Il 10 dicembre 1577, la Santa scrisse ancora a Madre Maria di san Giuseppe (Lettera 209): «Le monache dell’Incarnazione che, come sa, erano scomunicate da due mesi e tenute molto in angustia, finalmente sono state assolte. Il Re ha ordinato al Nunzio di farle assolvere. Il P. Tostado ha mandato il priore di Toledo, il quale tolse loro la scomunica, […], perché vogliono me per Priora e non quella che essi hanno nominato».

Come si vede, anche dopo la revoca della scomunica, le “ribelli” non cambiarono opinione, segno evidente che “la scomunica non teneva”, visto che fu tolta senza alcuna ritrattazione da parte delle scomunicate. Ma il misfatto non finì lì. Coloro che avevano l’incarico di togliere la scomunica (gli stessi che l’avevano comminata) non si fecero scrupolo, nel medesimo giorno, di rapire, dopo averli ben percossi, i due confessori del monastero: san Giovanni della Croce e P. Germano di san Mattia. «Hanno tolto loro i due scalzi – scrive la Santa nella stessa Lettera – messi là dal Commissario apostolico e dal Nunzio precedente, e li hanno imprigionati come malfattori […]. Il giorno che li hanno presi si dice che li abbiano battuti due volte, con l’aggiunta di molti altri maltrattamenti […]. Raccontano che P. Germano andava gettando sangue dalla bocca».

I due furono poi separatamente imprigionati, e san Giovanni della Croce, trasportato segretamente a Toledo, rimase lì incarcerato per nove mesi in condizioni disumane. E, con la sua arguzia mista a dolore, la Santa conclude: «Preferirei saperli in mano dei mori!». Del Padre calzato che aveva ordito il sequestro scrisse poi al Re che era stato fatto vicario provinciale «forse perché è più bravo degli altri a fare dei martiri!» (Lettera 206). Le sevizie perpetrate contro i due Frati, però, non ebbero nessuna censura. Coloro che non ebbero scrupolo a scomunicare 55 monache innocenti non temettero di incorrere in qualche sanzione percuotendo e imprigionando due Religiosi! Sapevano, evidentemente, di aver le spalle coperte.

La scomunica è la censura ecclesiastica più grave in cui possa incorrere un battezzato. È – come tutte le censure – uno strumento nelle mani della Chiesa finalizzato anzitutto alla salusanimarum di coloro che vi incorrono. Essa, tuttavia, passa per mani umane e, come nel caso riportato, da strumento di salvezza può divenire arma di potere, e finanche di passione. Allora la censura “non tiene”, diceva santa Teresa, e deve affermarsi il primato della coscienza, come fecero le 55 monache dell’Incarnazione di Avila, sostenute dalla Santa che le definì «anime di gran perfezione, come si vede dal modo in cui sopportano la prova» (Lettera 211). In casi simili, la trasgressione non è di chi è scomunicato ma di chi scomunica. Allo stesso modo, può esservi una grave colpa nell’omissione della scomunica, come nel caso dei carnefici di san Giovanni della Croce e del suo compagno. Valgono allora più che mai le parole del cardinal Newman: «Se il papa o la regina pretendessero obbedienza assoluta, lui o lei trasgredirebbero le leggi della società umana: a nessuno di loro si deve obbedienza assoluta».

La grande Teresa, una delle stelle più fulgide nel firmamento dei Santi, alla fine della vita amava ripetere: «Infine, Signore, sono figlia della Chiesa». Mentre stava per presentarsi all’eterno giudizio, il suo vanto e la sua gloria non furono le sue visioni, né la sua riforma, né i suoi scritti, ma solo l’essere “figlia della Chiesa”. Quando dunque diceva che “la scomunica non tiene” sapeva di obbedire a quella Madre, la Chiesa, che non chiede mai ai suoi figli di rinunciare al giudizio certo della propria coscienza. In altri termini, Teresa affermava il primato della coscienza che – al dire ancora di Newman – «è una severa consigliera» ed «ha i suoi diritti perché ha i suoi doveri».

Sulle labbra di Teresa, come su quelle delle 55 dissidenti di Avila, sarebbe risuonato molto appropriato il grido del cardinal inglese: «La santità piuttosto che la pace». Nei tempi di profonda apostasia in cui versa il mondo cattolico, l’esempio delle 55 Carmelitane scomunicate è un monito ed un insegnamento. Già da anni si vedono innocenti ingiustamente censurati e colpevoli allegramente assolti e promossi. Se iniziassero a fioccare scomuniche ingiuste, con la grande Teresa e J. H. Newman brinderemo certamente al Papa, ma prima alla coscienza e poi al Papa.

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