- “… ai tempi di san Bonaventura una corrente di Frati minori, detti “spirituali”, sosteneva che con san Francesco era stata inaugurata una fase totalmente nuova della storia, sarebbe apparso il “Vangelo eterno”, del quale parla l’Apocalisse, che sostituiva il Nuovo Testamento. Questo gruppo affermava che la Chiesa aveva ormai esaurito il proprio ruolo storico, e al suo posto subentrava una comunità carismatica di uomini liberi guidati interiormente dallo Spirito, cioè i “Francescani spirituali”. Alla base delle idee di tale gruppo vi erano gli scritti di un abate cistercense, Gioacchino da Fiore, morto nel 1202. Nelle sue opere, egli affermava un ritmo trinitario della storia. Considerava l’Antico Testamento come età del Padre, seguita dal tempo del Figlio, il tempo della Chiesa. Vi sarebbe stata ancora da aspettare la terza età, quella dello Spirito Santo. Tutta la storia andava così interpretata come una storia di progresso: dalla severità dell’Antico Testamento alla relativa libertà del tempo del Figlio, nella Chiesa, fino alla piena libertà dei Figli di Dio, nel periodo dello Spirito Santo, che sarebbe stato anche, finalmente, il periodo della pace tra gli uomini, della riconciliazione dei popoli e delle religioni. Vi era dunque il rischio di un gravissimo fraintendimento del messaggio di san Francesco, della sua umile fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, e tale equivoco comportava una visione erronea del Cristianesimo nel suo insieme…” (Benedetto XVI – san Bonaventura Udienza del 10 marzo 2010)
UDIENZA GENERALE – Aula Paolo VI – Mercoledì, 3 marzo 2010
San Bonaventura (prima parte)
Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi vorrei parlare di san Bonaventura da Bagnoregio. Vi confido che, nel proporvi questo argomento, avverto una certa nostalgia, perché ripenso alle ricerche che, da giovane studioso, ho condotto proprio su questo autore, a me particolarmente caro. La sua conoscenza ha inciso non poco nella mia formazione. Con molta gioia qualche mese fa mi sono recato in pellegrinaggio al suo luogo natio, Bagnoregio, una cittadina italiana, nel Lazio, che ne custodisce con venerazione la memoria.
Nato probabilmente nel 1217 e morto nel 1274, egli visse nel XIII secolo, un’epoca in cui la fede cristiana, penetrata profondamente nella cultura e nella società dell’Europa, ispirò imperiture opere nel campo della letteratura, delle arti visive, della filosofia e della teologia. Tra le grandi figure cristiane che contribuirono alla composizione di questa armonia tra fede e cultura si staglia appunto Bonaventura, uomo di azione e di contemplazione, di profonda pietà e di prudenza nel governo.
Si chiamava Giovanni da Fidanza. Un episodio che accadde quando era ancora ragazzo segnò profondamente la sua vita, come egli stesso racconta. Era stato colpito da una grave malattia e neppure suo padre, che era medico, sperava ormai di salvarlo dalla morte. Sua madre, allora, ricorse all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. E Giovanni guarì.
La figura del Poverello di Assisi gli divenne ancora più familiare qualche anno dopo, quando si trovava a Parigi, dove si era recato per i suoi studi. Aveva ottenuto il diploma di Maestro d’Arti, che potremmo paragonare a quello di un prestigioso Liceo dei nostri tempi. A quel punto, come tanti giovani del passato e anche di oggi, Giovanni si pose una domanda cruciale: “Che cosa devo fare della mia vita?”. Affascinato dalla testimonianza di fervore e radicalità evangelica dei Frati Minori, che erano giunti a Parigi nel 1219, Giovanni bussò alle porte del Convento francescano di quella città, e chiese di essere accolto nella grande famiglia dei discepoli di san Francesco. Molti anni dopo, egli spiegò le ragioni della sua scelta: in san Francesco e nel movimento da lui iniziato ravvisava l’azione di Cristo. Scriveva così in una lettera indirizzata ad un altro frate: “Confesso davanti a Dio che la ragione che mi ha fatto amare di più la vita del beato Francesco è che essa assomiglia agli inizi e alla crescita della Chiesa. La Chiesa cominciò con semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori molto illustri e sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo” (Epistula de tribus quaestionibus ad magistrum innominatum, in Opere di San Bonaventura. Introduzione generale, Roma 1990, p. 29).
Pertanto, intorno all’anno 1243 Giovanni vestì il saio francescano e assunse il nome di Bonaventura. Venne subito indirizzato agli studi, e frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università di Parigi, seguendo un insieme di corsi molto impegnativi. Conseguì i vari titoli richiesti dalla carriera accademica, quelli di “baccelliere biblico” e di “baccelliere sentenziario”. Così Bonaventura studiò a fondo la Sacra Scrittura, le Sentenze di Pietro Lombardo, il manuale di teologia di quel tempo, e i più importanti autori di teologia e, a contatto con i maestri e gli studenti che affluivano a Parigi da tutta l’Europa, maturò una propria riflessione personale e una sensibilità spirituale di grande valore che, nel corso degli anni successivi, seppe trasfondere nelle sue opere e nei suoi sermoni, diventando così uno dei teologi più importanti della storia della Chiesa. È significativo ricordare il titolo della tesi che egli difese per essere abilitato all’insegnamento della teologia, la licentia ubique docendi, come si diceva allora. La sua dissertazione aveva come titolo Questioni sulla conoscenza di Cristo. Questo argomento mostra il ruolo centrale che Cristo ebbe sempre nella vita e nell’insegnamento di Bonaventura. Possiamo dire senz’altro che tutto il suo pensiero fu profondamente cristocentrico.
In quegli anni a Parigi, la città di adozione di Bonaventura, divampava una violenta polemica contro i Frati Minori di san Francesco d’Assisi e i Frati Predicatori di san Domenico di Guzman. Si contestava il loro diritto di insegnare nell’Università, e si metteva in dubbio persino l’autenticità della loro vita consacrata. Certamente, i cambiamenti introdotti dagli Ordini Mendicanti nel modo di intendere la vita religiosa, di cui ho parlato nelle catechesi precedenti, erano talmente innovativi che non tutti riuscivano a comprenderli. Si aggiungevano poi, come qualche volta accade anche tra persone sinceramente religiose, motivi di debolezza umana, come l’invidia e la gelosia. Bonaventura, anche se circondato dall’opposizione degli altri maestri universitari, aveva già iniziato a insegnare presso la cattedra di teologia dei Francescani e, per rispondere a chi contestava gli Ordini Mendicanti, compose uno scritto intitolato La perfezione evangelica. In questo scritto dimostra come gli Ordini Mendicanti, in specie i Frati Minori, praticando i voti di povertà, di castità e di obbedienza, seguivano i consigli del Vangelo stesso. Al di là di queste circostanze storiche, l’insegnamento fornito da Bonaventura in questa sua opera e nella sua vita rimane sempre attuale: la Chiesa è resa più luminosa e bella dalla fedeltà alla vocazione di quei suoi figli e di quelle sue figlie che non solo mettono in pratica i precetti evangelici ma, per la grazia di Dio, sono chiamati ad osservarne i consigli e testimoniano così, con il loro stile di vita povero, casto e obbediente, che il Vangelo è sorgente di gioia e di perfezione.
Il conflitto fu acquietato, almeno per un certo tempo, e, per intervento personale del Papa Alessandro IV, nel 1257, Bonaventura fu riconosciuto ufficialmente come dottore e maestro dell’Università parigina. Tuttavia egli dovette rinunciare a questo prestigioso incarico, perché in quello stesso anno il Capitolo generale dell’Ordine lo elesse Ministro generale.
Svolse questo incarico per diciassette anni con saggezza e dedizione, visitando le province, scrivendo ai fratelli, intervenendo talvolta con una certa severità per eliminare abusi. Quando Bonaventura iniziò questo servizio, l’Ordine dei Frati Minori si era sviluppato in modo prodigioso: erano più di 30.000 i Frati sparsi in tutto l’Occidente con presenze missionarie nell’Africa del Nord, in Medio Oriente, e anche a Pechino. Occorreva consolidare questa espansione e soprattutto conferirle, in piena fedeltà al carisma di Francesco, unità di azione e di spirito. Infatti, tra i seguaci del santo di Assisi si registravano diversi modi di interpretarne il messaggio ed esisteva realmente il rischio di una frattura interna. Per evitare questo pericolo, il Capitolo generale dell’Ordine a Narbona, nel 1260, accettò e ratificò un testo proposto da Bonaventura, in cui si raccoglievano e si unificavano le norme che regolavano la vita quotidiana dei Frati minori. Bonaventura intuiva, tuttavia, che le disposizioni legislative, per quanto ispirate a saggezza e moderazione, non erano sufficienti ad assicurare la comunione dello spirito e dei cuori. Bisognava condividere gli stessi ideali e le stesse motivazioni. Per questo motivo, Bonaventura volle presentare l’autentico carisma di Francesco, la sua vita ed il suo insegnamento. Raccolse, perciò, con grande zelo documenti riguardanti il Poverello e ascoltò con attenzione i ricordi di coloro che avevano conosciuto direttamente Francesco. Ne nacque una biografia, storicamente ben fondata, del santo di Assisi, intitolata Legenda Maior, redatta anche in forma più succinta, e chiamata perciò Legenda minor. La parola latina, a differenza di quella italiana, non indica un frutto della fantasia, ma, al contrario, “Legenda” significa un testo autorevole, “da leggersi” ufficialmente. Infatti, il Capitolo generale dei Frati Minori del 1263, riunitosi a Pisa, riconobbe nella biografia di san Bonaventura il ritratto più fedele del Fondatore e questa divenne, così, la biografia ufficiale del Santo.
Qual è l’immagine di san Francesco che emerge dal cuore e dalla penna del suo figlio devoto e successore, san Bonaventura? Il punto essenziale: Francesco è un alter Christus, un uomo che ha cercato appassionatamente Cristo. Nell’amore che spinge all’imitazione, egli si è conformato interamente a Lui. Bonaventura additava questo ideale vivo a tutti i seguaci di Francesco. Questo ideale, valido per ogni cristiano, ieri, oggi, sempre, è stato indicato come programma anche per la Chiesa del Terzo Millennio dal mio Predecessore, il Venerabile Giovanni Paolo II. Tale programma, egli scriveva nella Lettera Novo Millennio ineunte, si incentra “in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (n. 29).
Nel 1273 la vita di san Bonaventura conobbe un altro cambiamento. Il Papa Gregorio X lo volle consacrare Vescovo e nominare Cardinale. Gli chiese anche di preparare un importantissimo evento ecclesiale: il II Concilio Ecumenico di Lione, che aveva come scopo il ristabilimento della comunione tra la Chiesa Latina e quella Greca. Egli si dedicò a questo compito con diligenza, ma non riuscì a vedere la conclusione di quell’assise ecumenica, perché morì durante il suo svolgimento. Un anonimo notaio pontificio compose un elogio di Bonaventura, che ci offre un ritratto conclusivo di questo grande santo ed eccellente teologo: “Uomo buono, affabile, pio e misericordioso, colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini… Dio infatti gli aveva donato una tale grazia, che tutti coloro che lo vedevano erano pervasi da un amore che il cuore non poteva celare” (cfr J.G. Bougerol, Bonaventura, in A. Vauchez (a cura), Storia dei santi e della santità cristiana. Vol. VI. L’epoca del rinnovamento evangelico, Milano 1991, p. 91).
Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole: “Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’estasi … entreremo nel gaudio di Dio” (La conoscenza di Cristo, q. 6, conclusione, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 187).
UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 10 marzo 2010
San Bonaventura (seconda parte)
Cari fratelli e sorelle,
la scorsa settimana ho parlato della vita e della personalità di san Bonaventura da Bagnoregio. Questa mattina vorrei proseguirne la presentazione, soffermandomi su una parte della sua opera letteraria e della sua dottrina.
Come già dicevo, san Bonaventura, tra i vari meriti, ha avuto quello di interpretare autenticamente e fedelmente la figura di san Francesco d’Assisi, da lui venerato e studiato con grande amore. In particolar modo, ai tempi di san Bonaventura una corrente di Frati minori, detti “spirituali”, sosteneva che con san Francesco era stata inaugurata una fase totalmente nuova della storia, sarebbe apparso il “Vangelo eterno”, del quale parla l’Apocalisse, che sostituiva il Nuovo Testamento. Questo gruppo affermava che la Chiesa aveva ormai esaurito il proprio ruolo storico, e al suo posto subentrava una comunità carismatica di uomini liberi guidati interiormente dallo Spirito, cioè i “Francescani spirituali”. Alla base delle idee di tale gruppo vi erano gli scritti di un abate cistercense, Gioacchino da Fiore, morto nel 1202. Nelle sue opere, egli affermava un ritmo trinitario della storia. Considerava l’Antico Testamento come età del Padre, seguita dal tempo del Figlio, il tempo della Chiesa. Vi sarebbe stata ancora da aspettare la terza età, quella dello Spirito Santo. Tutta la storia andava così interpretata come una storia di progresso: dalla severità dell’Antico Testamento alla relativa libertà del tempo del Figlio, nella Chiesa, fino alla piena libertà dei Figli di Dio, nel periodo dello Spirito Santo, che sarebbe stato anche, finalmente, il periodo della pace tra gli uomini, della riconciliazione dei popoli e delle religioni. Gioacchino da Fiore aveva suscitato la speranza che l’inizio del nuovo tempo sarebbe venuto da un nuovo monachesimo. Così è comprensibile che un gruppo di Francescani pensasse di riconoscere in san Francesco d’Assisi l’iniziatore del tempo nuovo e nel suo Ordine la comunità del periodo nuovo – la comunità del tempo dello Spirito Santo, che lasciava dietro di sé la Chiesa gerarchica, per iniziare la nuova Chiesa dello Spirito, non più legata alle vecchie strutture.
Vi era dunque il rischio di un gravissimo fraintendimento del messaggio di san Francesco, della sua umile fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, e tale equivoco comportava una visione erronea del Cristianesimo nel suo insieme.
San Bonaventura, che nel 1257 divenne Ministro Generale dell’Ordine Francescano, si trovò di fronte ad una grave tensione all’interno del suo stesso Ordine a causa appunto di chi sosteneva la menzionata corrente dei “Francescani spirituali”, che si rifaceva a Gioacchino da Fiore. Proprio per rispondere a questo gruppo e ridare unità all’Ordine, san Bonaventura studiò con cura gli scritti autentici di Gioacchino da Fiore e quelli a lui attribuiti e, tenendo conto della necessità di presentare correttamente la figura e il messaggio del suo amato san Francesco, volle esporre una giusta visione della teologia della storia. San Bonaventura affrontò il problema proprio nell’ultima sua opera, una raccolta di conferenze ai monaci dello studio parigino, rimasta incompiuta e giuntaci attraverso le trascrizioni degli uditori, intitolata Hexaëmeron, cioè una spiegazione allegorica dei sei giorni della creazione. I Padri della Chiesa consideravano i sei o sette giorni del racconto sulla creazione come profezia della storia del mondo, dell’umanità. I setti giorni rappresentavano per loro sette periodi della storia, più tardi interpretati anche come sette millenni. Con Cristo saremmo entrati nell’ultimo, cioè il sesto periodo della storia, al quale seguirebbe poi il grande sabato di Dio. San Bonaventura suppone questa interpretazione storica del rapporto dei giorni della creazione, ma in un modo molto libero ed innovativo. Per lui due fenomeni del suo tempo rendono necessaria una nuova interpretazione del corso della storia:
Il primo: la figura di san Francesco, l’uomo totalmente unito a Cristo fino alla comunione delle stimmate, quasi un alter Christus, e con san Francesco la nuova comunità da lui creata, diversa dal monachesimo finora conosciuto. Questo fenomeno esigeva una nuova interpretazione, come novità di Dio apparsa in quel momento.
Il secondo: la posizione di Gioacchino da Fiore, che annunziava un nuovo monachesimo ed un periodo totalmente nuovo della storia, andando oltre la rivelazione del Nuovo Testamento, esigeva una risposta.
Da Ministro Generale dell’Ordine dei Francescani, san Bonaventura aveva visto subito che con la concezione spiritualistica, ispirata da Gioacchino da Fiore, l’Ordine non era governabile, ma andava logicamente verso l’anarchia. Due erano per lui le conseguenze:
La prima: la necessità pratica di strutture e di inserimento nella realtà della Chiesa gerarchica, della Chiesa reale, aveva bisogno di un fondamento teologico, anche perché gli altri, quelli che seguivano la concezione spiritualista, mostravano un apparente fondamento teologico.
La seconda: pur tenendo conto del realismo necessario, non bisognava perdere la novità della figura di san Francesco.
Come ha risposto san Bonaventura all’esigenza pratica e teorica? Della sua risposta posso dare qui solo un riassunto molto schematico ed incompleto in alcuni punti:
San Bonaventura respinge l’idea del ritmo trinitario della storia. Dio è uno per tutta la storia e non si divide in tre divinità. Di conseguenza, la storia è una, anche se è un cammino e – secondo san Bonaventura – un cammino di progresso.
Gesù Cristo è l’ultima parola di Dio – in Lui Dio ha detto tutto, donando e dicendo se stesso. Più che se stesso, Dio non può dire, né dare. Lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio. Cristo stesso dice dello Spirito Santo: “…vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26), “prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16, 15). Quindi non c’è un altro Vangelo più alto, non c’è un’altra Chiesa da aspettare. Perciò anche l’Ordine di san Francesco deve inserirsi in questa Chiesa, nella sua fede, nel suo ordinamento gerarchico.
Questo non significa che la Chiesa sia immobile, fissa nel passato e non possa esserci novità in essa. “Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt”, le opere di Cristo non vanno indietro, non vengono meno, ma progrediscono, dice il Santo nella lettera De tribus quaestionibus. Così san Bonaventura formula esplicitamente l’idea del progresso, e questa è una novità in confronto ai Padri della Chiesa e a gran parte dei suoi contemporanei. Per san Bonaventura Cristo non è più, come era per i Padri della Chiesa, la fine, ma il centro della storia; con Cristo la storia non finisce, ma comincia un nuovo periodo. Un’altra conseguenza è la seguente: fino a quel momento dominava l’idea che i Padri della Chiesa fossero stati il vertice assoluto della teologia, tutte le generazioni seguenti potevano solo essere loro discepole. Anche san Bonaventura riconosce i Padri come maestri per sempre, ma il fenomeno di san Francesco gli dà la certezza che la ricchezza della parola di Cristo è inesauribile e che anche nelle nuove generazioni possono apparire nuove luci. L’unicità di Cristo garantisce anche novità e rinnovamento in tutti i periodi della storia.
Certo, l’Ordine Francescano – così sottolinea – appartiene alla Chiesa di Gesù Cristo, alla Chiesa apostolica e non può costruirsi in uno spiritualismo utopico. Ma, allo stesso tempo, è valida la novità di tale Ordine nei confronti del monachesimo classico, e san Bonaventura – come ho detto nella Catechesi precedente – ha difeso questa novità contro gli attacchi del Clero secolare di Parigi: i Francescani non hanno un monastero fisso, possono essere presenti dappertutto per annunziare il Vangelo. Proprio la rottura con la stabilità, caratteristica del monachesimo, a favore di una nuova flessibilità, restituì alla Chiesa il dinamismo missionario.
A questo punto forse è utile dire che anche oggi esistono visioni secondo le quali tutta la storia della Chiesa nel secondo millennio sarebbe stata un declino permanente; alcuni vedono il declino già subito dopo il Nuovo Testamento. In realtà, “Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt”, le opere di Cristo non vanno indietro, ma progrediscono. Che cosa sarebbe la Chiesa senza la nuova spiritualità dei Cistercensi, dei Francescani e Domenicani, della spiritualità di santa Teresa d’Avila e di san Giovanni della Croce, e così via? Anche oggi vale questa affermazione: “Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt”, vanno avanti. San Bonaventura ci insegna l’insieme del necessario discernimento, anche severo, del realismo sobrio e dell’apertura a nuovi carismi donati da Cristo, nello Spirito Santo, alla sua Chiesa. E mentre si ripete questa idea del declino, c’è anche l’altra idea, questo “utopismo spiritualistico”, che si ripete. Sappiamo, infatti, come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un’altra, totalmente “altra”. Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia.
In questo senso, san Bonaventura, come Ministro Generale dei Francescani, prese una linea di governo nella quale era ben chiaro che il nuovo Ordine non poteva, come comunità, vivere alla stessa “altezza escatologica” di san Francesco, nel quale egli vede anticipato il mondo futuro, ma – guidato, allo stesso tempo, da sano realismo e dal coraggio spirituale – doveva avvicinarsi il più possibile alla realizzazione massima del Sermone della montagna, che per san Francesco fu la regola, pur tenendo conto dei limiti dell’uomo, segnato dal peccato originale.
Vediamo così che per san Bonaventura governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare. Alla base del suo governo troviamo sempre la preghiera e il pensiero; tutte le sue decisioni risultano dalla riflessione, dal pensiero illuminato dalla preghiera. Il suo contatto intimo con Cristo ha accompagnato sempre il suo lavoro di Ministro Generale e perciò ha composto una serie di scritti teologico-mistici, che esprimono l’animo del suo governo e manifestano l’intenzione di guidare interiormente l’Ordine, di governare, cioè, non solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime, orientando a Cristo.
Di questi suoi scritti, che sono l’anima del suo governo e che mostrano la strada da percorrere sia al singolo che alla comunità, vorrei menzionarne solo uno, il suo capolavoro, l’Itinerarium mentis in Deum, che è un “manuale” di contemplazione mistica. Questo libro fu concepito in un luogo di profonda spiritualità: il monte della Verna, dove san Francesco aveva ricevuto le stigmate. Nell’introduzione l’autore illustra le circostanze che diedero origine a questo suo scritto: “Mentre meditavo sulle possibilità dell’anima di ascendere a Dio, mi si presentò, tra l’altro, quell’evento mirabile occorso in quel luogo al beato Francesco, cioè la visione del Serafino alato in forma di Crocifisso. E su ciò meditando, subito mi avvidi che tale visione mi offriva l’estasi contemplativa del medesimo padre Francesco e insieme la via che ad esso conduce” (Itinerario della mente in Dio, Prologo, 2, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 499).
Le sei ali del Serafino diventano così il simbolo di sei tappe che conducono progressivamente l’uomo dalla conoscenza di Dio attraverso l’osservazione del mondo e delle creature e attraverso l’esplorazione dell’anima stessa con le sue facoltà, fino all’unione appagante con la Trinità per mezzo di Cristo, a imitazione di san Francesco d’Assisi. Le ultime parole dell’Itinerarium di san Bonaventura, che rispondono alla domanda su come si possa raggiungere questa comunione mistica con Dio, andrebbero fatte scendere nel profondo del cuore: “Se ora brami sapere come ciò avvenga, (la comunione mistica con Dio) interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non l’uomo; la caligine, non la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio con le forti unzioni e gli ardentissimi affetti … Entriamo dunque nella caligine, tacitiamo gli affanni, le passioni e i fantasmi; passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo al Padre, affinché, dopo averlo visto, diciamo con Filippo: ciò mi basta” (ibid., VII, 6).
Cari amici, accogliamo l’invito rivoltoci da san Bonaventura, il Dottore Serafico, e mettiamoci alla scuola del Maestro divino: ascoltiamo la sua Parola di vita e di verità, che risuona nell’intimo della nostra anima. Purifichiamo i nostri pensieri e le nostre azioni, affinché Egli possa abitare in noi, e noi possiamo intendere la sua Voce divina, che ci attrae verso la vera felicità.










ULTERIORI CONTRIBUTI
Un approfondimento di Paweł Żukowski in Studi Teologici ( Studia Teologiczne) 35 (2017), pp. 129-136.

Introduzione
Il secolo XIII è il secolo aureo della scolastica. Bisogna sottolineare che con esso nella storia della Chiesa e del mondo, comincia un momento particolare per la sistemazione teologica. Nel primo progetto organico di questo sapere è anche la mariologia, sempre più messa così nel contesto della cristologia e per questo intimamente legata con essa. In seguito si darà l’avvio alla composizioni dei trattati autonomi di mariologia e di ecclesiologia. Tuttavia la persona di Maria e della Chiesa rimarranno, completamente e per lungo tempo, estranee l’una all’altra1. In questa epoca la mariologia è stata molto trattata fra l’altro nel pensiero di san Bonaventura da Bagnoregio2. Nel presente studio prendiamo in considerazione gli argomenti più importanti presenti nella mariologia di san Bonaventura, che si riassumono nei seguenti temi: la maternità di Maria, la grandezza di Maria, la sua bellezza spirituale, Maria come la collaboratrice nella redenzione e il modello da imitare.
1. Grandezza di Maria
Bonaventura appare come rapito dalla sublime grandezza di Maria, che nessuna lingua al mondo potrebbe esprimere. È una grandezza che la pone al di sopra di tutte le creature e la rende degna di essere onorata dagli uomini, dagli angeli e dai santi. Egli ne parla con ammirazione facendo ricorso a suggestive metafore: Maria è la terra germinante, la radice pullulante, la fonte che zampilla, la luna piena, la stella del mare, l’aurora che sorge e il sole sfolgorante3. Quest’ultima metafora è solitamente attribuita a Gesù Cristo, “sole di giustizia” ma, essendo la Madre intimamente unita al Figlio, può essere riferita anche a lei; e così Maria è la donna eccelsa che si alza sul mondo come il sole e del sole possiede le proprietà più belle: «la luminosità nel sorgere, la rapidità nel decorso, la sublimità o preminenza incomparabile rispetto alle altre creature e l’efficacia della sua azione»4. Bonaventura fissa la sua attenzione sulla grandezza della Vergine quando la pone in relazione con le tre Persone della Santissima Trinità, dalle quali ella riceve ogni dono: «Tutta la Trinità, o Maria, ti ha conosciuto come sposa del casto amore, come dimora della santa abitazione, come officina di mirabile lavoro. Con termini distinti diciamo: il Padre conobbe Maria come dimora della sua maestà […], il Figlio ne riconobbe il principio della sua umanità, e lo Spirito Santo il sacrario della sua bontà, nel quale raccolse pienissimamente e senza misura i carismi delle grazie»5.
1.1. Madre di Dio
È chiaro che tutta questa benevolenza ed azione di Maria a beneficio del popolo di Dio affondano le radici nella maternità totale verso Gesù. Si tratta di un legame con Dio e con gli uomini così come appare evidente in un passaggio del IV Sermone sull’Annunciazione: «Il Creatore di tutte le cose riposa nel tabernacolo del seno verginale, perché qui ha preparato la sua camera nuziale, per poter in tal modo diventare nostro fratello; qui egli dispose un trono regale per poter diventare nostro principe; qui rivestì i paramenti sacerdotali per poter diventare nostro pontefice. A causa dell’unione maritale, ella è la Madre di Dio; a causa del trono regale, ella è la regina del cielo; a causa dei paramenti sacerdotali, ella è l’avvocata del genere umano»6. Bonaventura spiega il significato che l’Incarnazione riveste per la stessa Madre di Dio attraverso la combinazione di tre sorte di meriti: congrui, digni e condigni. La questione viene presentata nel Commento alle Sentenze dove prima di tutto il nostro autore sottolinea come Maria meritò di concepire il Verbo per merito congrui, relativo all’insieme delle sue virtù: «A causa della sua grande purezza, umiltà e benignità, ella era adatta a diventare la Madre di Dio».7 A seguito dell’annuncio dell’angelo e del consenso, la Vergine di Nazaret meritò di diventare la Madre di Dio anche a causa della sua dignità, che resta sempre un dono e una grazia ricevuti dalla ricchezza propria dello Spirito Santo.
1.2. L’Immacolata Concezione
Nonostante questa apertura di fondo che lascia intravvedere la possibilità di accogliere l’idea dell’immacolato concepimento, Bonaventura fedele ai suoi principi metodologici, che sono la Scrittura, la ragione e la tradizione, torna a negare il fatto: per Maria non c’è esenzione dal peccato originale, ma santificazione dopo averlo contratto8. Questa posizione è, agli occhi del nostro autore, la migliore in quanto essa è la più comune, la più razionale, la più sicura e la più aderente alla pietà: «È più comune, dico perché quasi tutti sono del parere che Maria abbia ricevuto il peccato originale, ciò che si prova dal fatto che Maria andò soggetta a molte penalità: e non si può dire che le abbia patite per l’altrui redenzione (…) ma si deve dire che le ha contratte. È anche più razionale perché la natura precede sempre la grazia, e di una anteriorità di tempo, e di una anteriorità logica di ordine. Come dice Agostino, bisogna nascere prima di rinascere, come pure bisogna essere prima di stare bene. L’anima dunque ha dovuto unirsi al corpo prima di ricevere la grazia. Ora siccome quella carne era infetta, trasmise l’infezione della colpa originale all’anima. Bisogna dunque logicamente concludere che l’anima di Maria fu prima infetta dalla colpa d’origine e poi santificata. È più sicuro perché conforme alla pietà e all’insegnamento dei santi. I santi generalmente quando parlano di questa materia, eccettuano il solo Gesù Cristo dall’universalità della colpa, poiché si dice: Tutti hanno peccato in Adamo. Di quelli con i quali abbiamo parlato non ne abbiamo trovato uno che abbia detto Maria essere immune dalla colpa. È più conforme alla pietà e alla fede perché per quanto si debba portare grande riverenza alla Madre ed avere per lei una singolare devozione, molto di più si deve fare col Figlio dal quale deriva alla Madre ogni onore e gloria»9. Successivamente Bonaventura parla di una doppia santificazione di Maria: la prima antecedentemente alla nascita e la seconda al momento di concepire il Figlio. La posizione prudenziale e, al contempo, possibilista di Bonaventura concorre all’approfondimento della questione che sarà ripresa da Duns Scoto. Intanto il culto e la festa erano ormai diffuse nel tempo, per cui il santo dottore sottolinea che l’Immacolata concezione aveva lo scopo di celebrare la santificazione della Madre del Signore, non quella pia sentenza che, a suo avviso, non rendeva adeguato risalto alla redenzione operata da Cristo.
1.3. L’ Assunzione di Maria
Rispetto all’Immacolata, la teologia dell’Assunzione elaborata da Bonaventura è maggiormente comprensibile e condivisibile anche alla nostra mentalità. Inoltre il maestro francescano non teme di affrontare almeno due questioni ardue: la morte di Maria e il suo ingresso in Cielo in anima e corpo. Aspetti che avevano generato non poche discussioni nei secoli precedenti al santo e che emergeranno nuovamente (soprattutto la prima) nell’epoca immediatamente successiva alla promulgazione del dogma nel 1950. L’Assunzione mantiene la forte valenza cristologica tipica del nostro Dottore, per cui viene accolta, giustificata e motivata. Per la santità unica di Maria, cioè per la opera della santificazione dello Spirito Santo, così come si legge, in cui la Madre del Signore è la ‘piena di grazia’ tale da collocarla al massimo grado di santità, Bonaventura scrive che, «La beata Vergine si è scelta la parte migliore in assoluto, perché è diventata regina di misericordia mentre il Figlio è costituito re di giustizia; ora la misericordia è migliore della giustizia, poiché la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio e: la misericordia del Signore si espande su tutte le sue creature. In settimo luogo, si distinse ancora nei confronti del Figlio, in quanto, se questi siede alla destra del Padre, ossia fu messo a parte dei migliori beni del Padre, ella si è assisa Regina alla destra del Figlio, e la Glossa dice che è stata resa partecipe dei migliori beni del Figlio; ma tra le cose migliori questa rappresenta l’ottimo: Maria ha dunque scelto per sé la parte migliore in assoluto. Ed è evidente, dal momento che non mancò di alcun bene»10.
2. Bellezza spirituale di Maria
Bonaventura, nelle sue dense riflessioni, mette in luce non solo la grandezza di Maria ma anche la sua incomparabile bellezza: «Maria è la Vergine bellissima che il Signore ha preparato per il suo Figlio»11. Si tratta di una bellezza spirituale che coincide con la santità, con la virtù, e riempie di stupore Bonaventura: se «è tanto soave contemplare con gli occhi del corpo il sole che risplende all’orizzonte, quanto è più soave e gioioso contemplare lo splendore della gloriosissima Vergine Maria»12.
3. Collaboratrice nella redenzione
La bontà di Dio, che ha creato il mondo secondo un progetto d’amore vanificato purtroppo dal peccato dell’uomo, raggiunge la sua massima espressione nell’incarnazione – morte – risurrezione del Figlio, mandato dal Padre per redimere il mondo e sancire una nuova e definitiva alleanza. In questo piano di redenzione è fondamentale il ruolo della Vergine Maria che accoglie il progetto divino, facendolo totalmente proprio, e così diventa preziosa collaboratrice del Figlio redentore13. Aderendo alla parola dell’arcangelo Gabriele e rimettendosi docilmente all’azione dello Spirito Santo, concepisce il Salvatore atteso da secoli e, come donna nuova contrapposta all’antica Eva, dà avvio all’opera redentrice: «Per questo, come la donna ingannata dal diavolo trasmise a tutti la colpa, la malattia e la morte, così la donna istruita dall’angelo e santificata e fecondata dallo Spirito Santo, senza alcuna corruzione tanto nella mente quanto nel corpo, generò la prole che avrebbe dato a tutti quelli che fossero venuti a lei la grazia, la salute e la vita»14. Maria partecipa alla missione redentrice del Figlio non solo con la sua adesione iniziale, ma anche con tutti gli altri “sì”, coscienti e liberi, pronunciati lungo la sua esistenza.
4. La maternità di Maria
Grazie alla maternità divina, Maria non è soltanto Madre di Gesù Cristo, Figlio di Dio, ma anche madre degli uomini e delle donne di ogni tempo. Nell’unica generazione del Figlio, tutti sono figli della Vergine, sono cioè suoi figli nel Figlio: «Nel suo santo utero il Figlio di Dio ha introdotto la natura umana per poterla con se disporre e far sì che il Creatore divenisse nostro fratello e la beata Vergine divenisse madre di tutti i santi; per la Vergine Madre, Dio è divenuto nostro Padre e il Figlio di Dio nostro fratello»15. Accettando di essere Madre del Salvatore, Maria diviene madre universale per l’unione ontologica esistente tra il Capo e le membra: partorendo il Capo ha partorito il corpo, generando Gesù Cristo, il Primogenito, ha generato tutti i suoi figli. Si tratta di una maternità spirituale ma reale: «Ella generò il Figlio nella carne e ha generato noi spiritualmente. É madre alla maniera di Eva: come questa ci generò al mondo, così la nostra Signora ci ha generato al cielo»16.
5. Modello da imitare
Visto l’amore che quest’amabilissima Madre nutre per i suoi figli, Bonaventura, vibrante di autentico e profondo amore per Maria, invita caldamente tutti gli uomini e le donne a elevare a lei ogni lode, con l’unica avvertenza di «non credere nulla nei riguardi di lei che sia contro la verità della sacra Scrittura e della fede cristiana»17; a invocarla ogni giorno, ogni ora e con ogni fiducia per «trovare grazia e misericordia e aiuto al momento opportuno» in lei, che è «madre di misericordia somma»18; ad amarla con tutto il cuore e a venerarla in modo tutto particolare, come hanno fatto i santi: «Non ho mai letto di un solo Santo che non abbia avuto una speciale devozione alla Vergine gloriosa»19. E allora, come dice Bonaventura, seguiamola, imitiamola, facciamo nostri i suoi atteggiamenti: ascolto della Parola, profonda umiltà, intensa pietà, pronta obbedienza, piena benevolenza, bellezza interiore, fortezza, perseveranza. Così facendo saremo beati, perché amando e imitando Maria «siamo maggiormente illuminati nelle verità dell’intelletto e arricchiti di santa fama e di ogni bene»20. E raggiungeremo, pieni di gioia, il vertice del nostro itinerario spirituale perché, per sempre «Dio abiterà in noi e con noi, e noi con lui»21!
NOTE
1 Cfr. M. Semeraro, Maria e La Chiesa mutamenti del tema in epoca medievale, in E. M. Toniolo (a cura di), La Madre del Signore nel Medioevo e nel rinascimento, Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 1998, p. 175.
2 San Bonaventura (*1218 anno Bagnoregio, Viterbo, †15 luglio 1274 anno Lion, Francia), mistico e pensatore medievale, dottore allo studio di Parigi, diede forma di sintesi sapienziale alla teologia scolastica sulle orme di Agostino. L’espressione più matura di questo umanesimo teologico e nell’«Itinerario delle mente a Dio». Discepolo di san Francesco guido con superiore saggezza il suo ordine (1257 – 1273), tanto da essere chiamato «secondo fondatore e padre». Vescovo e cardinale di Albano, partecipo al secondo Concilio di Lione e si adopero per l’unita della Chiesa, in Messale Romano, Citta del Vaticano 1983, p. 359.
3 Cfr. B. Commodi, Canto francescano a Maria, San Paolo, Cinisello Balsamo 2011, pp.75-92.
4 Bonaventura, De Nativitate B.M.V., Q IX, 708.
5 Idem, De Assumptione B.M.V., Q IX, 694.
6 Idem, De Annuntiatione beata Virginis Maria., Q IX, 672a.
7 Idem, In III Sententiarum, d. IV, a. 2, q. 2, concl.,107b.
8 Cfr. ibidem, p. 15.
9 Bonaventura, In III Sententiarum, d. III, p. 1, a.1, q. 2, concl., 68a.
10 Bonaventura, De Assumptione beata Virginis Maria, QIX, 703b.
11 Idem, In Vigilia Nativitatis Domini, Q IX, 98.
12 Idem, De Nativitate B.M.V., Q IX, 709.
13 Cfr. L. Di Girolamo, Maria tra teologia monastica e teologia scolastica, p. 18.
14 Bonaventura, Breviloquio, 4, 3: CN V/2, 169.
15 Idem, De Annuntiatione B.M.V., Q IX, 672.
16 Idem, De Assumptione B.M.V, Q IX, 706.
17 Idem, III Sent., d. 3, p.1, a. 1, q. 1: Q 64.
18 Idem, Comm. al vangelo di Luca, 1, 70. 81: CN IX/1, 109 e 117.
19 Idem, De Purificatione B.M.V., Q IX, 642.
20 Idem, De Assumptione B.M.V., Q IX, 698.
21 Idem, In Nativitate Domini, Q IX, 125.
