Esistono ancora scismatici nella Chiesa?

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri questo articolo del prof. Guido Vignelli riguardo la nuova ecclesiologia voluta del Concilio Vaticano II che purtroppo sta cambiando anche il concetto di scisma. Se vi può essere una comunione parziale o imperfetta con chi non appartiene alla Chiesa, allora che cosa separa dalla piena comunione? La disobbedienza alla Gerarchia che impone “pastoralmente” cambiamenti dottrinali e morali? Quindi sì, esistono ancora scismatici, diciamo, classici che rifiutano la legittimità del Papa e dei vescovi in comunione con lui — e ne abbiamo avuto alcuni esempi molto recentemente — ma potrebbero essere accusati di scisma anche coloro che, pur riconoscendo il Papa e i Vescovi, però resisterebbero al “nuovo corso”.

di Guido Vignelli

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Il vecchio peccato di scisma

Dopo che le riforme post-conciliari avevano stabilito che nella Chiesa non si può più escludere nessuno, la possibilità di condannare e punire qualcuno per scisma era stata esclusa in quanto ritenuta una discriminazione da superare.

Eppure, paradossalmente, proprio la recente “pastorale della misericordia e della inclusione” ha ripreso a condannare e punire alcuni cristiani in quanto scismatici, escludendoli ufficialmente dalla Chiesa. Tuttavia, la questione dello scisma non può riproporsi identica a com’era in passato, perché sono molto cambiate non solo la prassi che condanna e punisce gli scismatici, ma anche la definizione stessa di “scisma”.

Fino a poco tempo fa, l’insegnamento ufficiale e costante della dottrina cristiana era chiaro. È scismatico un battezzato che, pur professando integralmente la Fede cristiana, non riconosce l’autorità ecclesiastica, o almeno disobbedisce ostinatamente ai suoi leciti, legittimi e competenti comandi. Così facendo, egli si separa dalla Chiesa visibile e quindi pecca contro la virtù soprannaturale della carità cristiana.

Se compiuto liberamente e consapevolmente, quello di scisma è un peccato mortale che priva della Grazia divina e dei suoi doni ordinari. Di conseguenza – per usare il paragone evangelico – lo scismatico è un ramo secco della sacra Vigna, perché non si può avere Dio per Padre se non si ha la Chiesa per Madre. Ovviamente, questo vale non solo per un singolo battezzato ma anche per una comunità religiosa o laicale.

Il tertium genus dei “fratelli separati”

Dopo il Concilio Vaticano II, quell’insegnamento tradizionale è stato criticato dalle stesse autorità ecclesiastiche (Papi compresi) come astratto, schematico, rigido, integrista, passatista, discriminatore, privo di comprensione e di misericordia.

Prima un’abituale prassi pastorale, poi anche un nuovo insegnamento dottrinale, hanno inventato un tertium genus, una terza posizione, una categoria intermedia tra chi è scismatico e chi è fedele, tra chi sta dentro la Chiesa e chi ne sta fuori. Si tratterebbe di una zona che non è bianca né nera ma grigia, la quale include quei cristiani che, pur essendo apparentemente scismatici, tuttavia non lo sarebbero realmente e quindi non potrebbero essere trattati come tali.

A questa categoria intermedia apparterrebbero coloro che, pur non riconoscendo pienamente l’autorità dei Pastori e non obbedendo perfettamente ai loro comandi, tuttavia sarebbero in parziale o imperfetta comunione con loro; oppure vi apparterrebbero coloro che, pur non essendo totalmente o perfettamente inseriti nella Chiesa, tuttavia sarebbero comunque in parziale o imperfetta unione con Essa. In qualità di “fratelli separati”, costoro sarebbero stranieri ma anche cittadini della Chiesa, per cui non potrebbero essere accusati di scisma.

Ad esempio, una persona o una comunità che si sono parzialmente separate dall’unità ecclesiale, o che riconoscono imperfettamente l’autorità e le prerogative della Gerarchia ecclesiastica (Papa compreso), non sono propriamente scismatiche, ma sono solo “dissenzienti” che comunque restano in parziale o imperfetta unione e comunione con la Chiesa, per il solo fatto di accettare alcune verità dottrinali o morali espresse dalla divina Rivelazione, o di rimanere in buoni rapporti con la Gerarchia ecclesiastica.

Pertanto, l’appartenenza o l’estraneità alla Chiesa non sono più fatti oggettivi da constatare o da smentire, ma sono situazioni di coscienza soggettiva in divenire che si attuano mediante tentativi inevitabilmente parziali e imperfetti. Di conseguenza, resta problematico discernere tra chi è incorporato alla Chiesa e chi ne resta estraneo, tra chi sta dentro e chi resta fuori.

Tutto ciò produce conseguenze gravemente permissive. Infatti, in questo modo s’insinua che l’unione solo parziale con la Chiesa e la comunione solo imperfetta con l’autorità ecclesiastica siano sufficienti per essere considerati e trattati come veri cristiani. Difatti, “la perfezione non è di questo mondo” e sia l’integrità dottrinale che la coerenza disciplinare sono ridotti a ideali astratti ai quali si deve liberamente tendere ma che non possono essere imposti come obbligatori, altrimenti si favorisce il deprecabile “integrismo” discriminatorio ed emarginante.

A questo punto, la “situazione scismatica” del battezzato diventa dottrinalmente irrilevante e pastoralmente giustificabile e la sua punizione canonica resta abbandonata all’arbitrio dell’autorità ecclesiastico, aprendo la strada agli abusi di potere.

Radice dottrinale di questa impostazione

Questa impostazione relativistica e storicistica della questione scismatica è stata preparata e favorita da una prassi pastorale che ha la sua radice in una evoluzione dottrinale del Magistero ecclesiastico, il quale si appella alla necessità di rispondere alle attese mondane riguardanti la Chiesa contemporanea e tenta di giustificare lo scandalo della sua “divisione interna”.

Già nel 1964, il Decreto conciliare sull’ecumenismo Unitatis redintegratio (al n. 4) affermò che «le divisioni tra i cristiani impediscono che la Chiesa stessa attui la pienezza della cattolicità a lei propria». Questa piena unità della Chiesa, finora impedita da divisioni dovute a incomprensioni e rivalità, si compirà perfettamente solo quando il progresso religioso avrà favorito la riunione tra le comunità cristiane separate.

Trattando esempi storici di scisma, il citato Decreto conciliare (al n. 3) rievocò il caso delle persone e delle comunità cristiane che «si staccarono dalla piena comunione con la Chiesa Cattolica, talora non senza colpa di entrambe le parti». Gli odierni eredi e seguaci di questi scismi, anche se rimangono solidali con essi, non ne sono storicamente responsabili, per cui «non possono essere accusati del peccato di separazione. (…) Essi sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica». Pur non godendo della «piena comunione ecclesiastica», tuttavia «essi sono incorporati a Cristo; perciò sono ragionevolmente insigniti del nome di “cristiani” e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come “fratelli nel Signore”».

Quindi, anche se un individuo o una comunità sono eredi e solidali di uno scisma, basta ch’essi siano imperfettamente in comunione con la Gerarchia ecclesiastica e parzialmente uniti alla Chiesa cattolica per essere incorporati al Corpo Mistico di Cristo e quindi salvarsi restando in questa loro ambigua situazione.

Successivamente, il Catechismo della Chiesa Cattolica (al n. 838) riportò e confermò questa innovazione conciliare, dichiarando che i cattolici devono considerare lo scismatico non come un figlio bastardo della Chiesa, ma come un suo figlio legittimo. Tutto ciò fu poi confermato dal Direttorio per l’applicazione dei princìpi e delle norme sull’ecumenismo, pubblicato nel 1993 dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.

Successivamente, papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Ut unum sint sull’ecumenismo (1995), affermò l’esistenza di «Chiese e comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica» (n. 42) ma che comunque resterebbero in parziale comunione con Essa. Inoltre, egli affermò che «la piena comunione [con la Chiesa] dovrà realizzarsi nell’accettare la verità tutta intera» (n. 36); di conseguenza, chi accetta solo alcuni dogmi o comandi evangelici, rifiutandone altri, rimarrebbe comunque in una parziale comunione ecclesiale che abbisogna solo di essere perfezionata.

Una erronea concezione dell’unità ecclesiale

Questa possibilità di essere solo parzialmente uniti alla Chiesa o solo imperfettamente in comunione con l’autorità ecclesiastica hanno la loro radice in una erronea concezione dell’unità e della comunione ecclesiali. Infatti, qui entrambe vengono considerate in base a un criterio non sostanziale ma accidentale, ossia non qualitativo ma quantitativo, che presuppone un più e un meno, un tutto e una parte, una completezza e una mancanza che possono compiersi gradualmente.

Pertanto, si pretende che un cristiano resti parzialmente unito alla Chiesa anche se ne accetta solo gl’insegnamenti che gli piacciono, oppure ch’egli resti imperfettamente in comunione con l’autorità ecclesiastica anche se obbedisce solo ai comandi che gli fanno comodo. Si pretende che, per essere cattolico, al battezzato basti mantenere una generica “opzione fondamentale” per Cristo, anche se poi agisce a suo arbitrio.

Questa falsa impostazione presuppone il grave errore secondo cui l’unità non è una perfezione originaria donata da Cristo alla sua Chiesa nel fondarla, ma è una conquista storica che potrà realizzarsi mediante la graduale ricomposizione delle divergenti confezioni cristiane, come insinuato dal citato Decreto Conciliare sull’ecumenismo (al n. 18). Pertanto, secondo alcuni cardinali, un Concilio veramente Ecumenico potrà essere celebrato solo quando tutte le confessioni cristiane si saranno riunite formando il “Cristo totale”, ossia quella “vera e grande Chiesa” che finora si è solo parzialmente e imperfettamente realizzata nella Chiesa Cattolica Romana, perché questa non coincide con il Corpo Mistico di Cristo ma solo “sussiste” in Esso, come il Concilio Vaticano II affermò nella Lumen gentium (al n. 8).  

Conseguenze pastorali di questa falsa impostazione

Dopo essere stata insinuata a livello teorico da pretese esigenze di “dialogo ecumenico”, questa falsa impostazione ha favorito l’imporsi di una nuova prassi pastorale le cui scelte e iniziative fatte dopo il Concilio sono state sviluppate fino alle più gravi conseguenze.

L’autorità ecclesiastica ha organizzato innumerevoli manifestazioni di “fraterna riappacificazione”, di “reciproco riconoscimento” e di abolizione delle scomuniche tra le Chiese cristiane, perfino celebrazioni di riti in comune, culminati in funzioni religiose interconfessionali, come quella famosa tenutasi ad Assisi nel 1983. Tutte queste manifestazioni hanno preteso di manifestare la comunione imperfetta che unirebbe parzialmente alla Chiesa di Cristo non solo le comunità greco-slavo-scismatiche (cosiddette “ortodosse”), ma perfino quelle anglicane e le altre protestanti.

Oggi più di ieri, le autorità ecclesiastiche vanno insegnando che “ciò che ci unisce” agli scismatici o agli eretici è maggiore di “ciò che ci divide” da loro. Questo presuppone che la comunione disciplinare e la coerenza dottrinale siano una questione quantitativa, riducibile a quel “minimo comun denominatore” – variabile secondo la storia e la geografia – che rende tutti i battezzati parzialmente e imperfettamente uniti tra loro e in Cristo.

Per di più, spesso la Gerarchia ecclesiastica incoraggia i giovani cattolici a partecipare a convegni, raduni e perfino cerimonie religiose gestiti da comunità scismatiche o eretiche o interconfessionali – come quella famosa di Taizé – al fine di manifestare pastoralmente, liturgicamente e dottrinalmente la loro “comunione esperienziale” con la Chiesa.

Un criterio fuorviante e fazioso

Stando così le cose, non meraviglia che oggi sia diventato molto difficile distinguere tra uno scismatico vero, ossia un estraneo che si pone fuori della Chiesa, quindi da condannare e da punire, e uno scismatico apparente, ossia un dissidente che rimarrebbe comunque in parziale unione con la Chiesa e in imperfetta comunione con la Gerarchia, quindi da perdonare e da accogliere.

Una volta che la teoria ha relativizzato la definizione stessa di scisma, il criterio che permette di distinguere lo scismatico vero da quello apparente può essere solo strettamente pastorale, oppure diplomatico, che rischia di degradare nell’arbitrario e nel fazioso e che permette di pescare nel torbido. Ad esempio, per gli amici, la colpa di scisma viene benevolmente “interpretata” condonandone la pena; per i nemici, questa stessa colpa viene rigorosamente condannata e punita, magari senza serie motivazioni né regolari processi.

Infatti, oggi può essere condannato come realmente scismatico un cattolico che, pur restando integralmente fedele alla verità rivelata, rifiuta l’ultima innovazione dottrinale o l’ultimo piano pastorale imposti dalla Gerarchia ecclesiastica. Per contro, può essere assolto come solo apparentemente scismatico un battezzato che, pur rifiutando anch’egli quelle innovazioni o disobbedendo a quei piani, lo fa per favorirne altri “più avanzati” che affrettano quel processo di aggiornamento che costituisce la nuova “ortodossia della prassi”. Insomma, può essere lecito rinnegare la Chiesa del tenebroso passato, ma non quella del luminoso presente e del radioso avvenire.

Una prassi selettiva e contraddittoria

La nuova pastorale della “misericordiosa inclusione per tutti” viene smentita da una contraddizione che ormai sta diventando sempre più evidente e scandalosa. L’esigenza del dialogo, della riconciliazione, della collaborazione e perfino del culto con personalità e comunità parzialmente separate dalla Chiesa, è stata finora applicata quasi sempre in una sola direzione.

Infatti, la prassi ecumenica si è spesso impegnata a includere estranei, dissidenti, ribelli, perfino scismatici, eretici e apostati, ma talvolta ha escluso e punito persone o comunità colpevoli del solo peccato oggi ufficialmente condannabile: quello della “rigida” coerenza dottrinale o del “fanatico” rigore disciplinare che caratterizzerebbero le “sette tradizionaliste”.

Come in campo politico, anche in quello ecclesiale, oggi vige una doppia sentenza secondo cui “nessun nemico sta a sinistra” e “il solo nemico sta a destra”. Infatti, i cristiani progressisti, anche se rifiutano la dottrina rivelata e violano la disciplina ecclesiastica, sono comunque elogiati come figli legittimi che restano in comunione con la Chiesa, almeno imperfettamente. Per contro, i cristiani intransigenti, anche se riconoscono l’autorità della Gerarchia e ne rispettano la disciplina, sono criticati come figli bastardi da porre ai margini della Chiesa, in attesa di espellerli con l’accusa di scisma.

Questa discriminazione è colpita dall’ammonimento biblico secondo cui «doppio peso e doppia misura sono abominevoli agli occhi di Dio» (Pv 20, 10). Pertanto, anche le autorità ecclesiastiche dovranno rispondere di questa loro faziosità che genera ingiustizie, suscita problemi di coscienza e scandalizza i fedeli.

Conclusione: “tertium non datur”

In realtà, il contradditorio tertium genus della unione o separazione parziale e imperfetta con la Chiesa non ha alcun fondamento dottrinale né disciplinare; il giudizio del diritto canonico non ammette uno stato intermedio dei “fratelli separati”, un grigio limbo dei “ribelli autorizzati”. L’innocenza, la fedeltà, il merito e la Grazia o li si hanno e li si conserva, o li si hanno perduti e non ancora ricuperati. Ad esempio, non si può essere “simul justus et peccator”, come pretese Lutero; non si può essere in uno stato di Grazia solo parziale e imperfetto, pretendendo quindi di ricevere rettamente la santa Comunione; non si può pretendere di appartenere a una “più grande Chiesa” che comprende in sé quella cristiana cattolica romana.

Insomma, “tertium non datur”: o si è uniti a Dio e in comunione con la Chiesa, o si è separati da entrambi; o si è figli legittimi e fedeli, o si è figli bastardi e ribelli. Il “figlio prodigo” della parabola evangelica si salvò tornando pentito nella Casa del Padre, senza illudersi di poter riabilitarsi stabilendosi nelle sue vicinanze.

Tuttavia, rimane il mistero del giudizio divino per cui – come già ammoniva sant’Agostino – «alcuni che sembrano stare dentro la Chiesa, in realtà ne stanno fuori, mentre altri che sembrano starne fuori, in realtà ne stanno dentro». L’attuale confusa situazione ce lo conferma ampiamente.


Guido Vignelli
Politologo e sociologo, collaboratore dell’Osservatorio Card. Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa e dell’emittente Radio Buon con Consiglio, studioso della Gnosi, è autore di molti preziosi libri che non devono mancare nella biblioteca cattolica, tra cui suggeriamo: San Francesco antimoderno. Il vero volto del Santo di Assisi (Fede&Cultura, 2013); Fine del mondo? O avvento del Regno di Maria? (Fede&Cultura, 2013); La lotta tra luce e tenebre. Alle origini della teologia cristiana della storia (Independently published, 2022); Gnosi contro cristianesimo. Il vero conflitto di civiltà. Il muro di cinta (Maniero del Mirto, 2023); La Chiesa sinodale. Malintesi e pericoli di un “grande reset” ecclesiastico (con mons. Nicola Bux, Fede&Cultura, 2023).

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