Riflessione sul nuovo formulario la “Messa per la custodia del creato”

Chiariamo subito che non si tratta di una “NUOVA MESSA“… Il Messale Romano contiene 49 Messe e Orazioni per diverse necessità ed occasioni: 20 riguardano la Chiesa, 17 le necessità civili, e 12 sono per varie circostanze. Tra i formulari “per le necessità civili”, oggi viene inserita una “Messa per la custodia della creazione” (Missa pro custodia creationis), per rispondere alle istanze suggerite dalla Laudato si’ giunte da tutto il mondo… Si tratta quindi di un nuovo formulario, non obbligatorio, che andrà ad aggiungersi agli altri già esistenti ma, nella Messa in sé, non cambia nulla.

Tuttavia alcune preoccupazioni ci sono… non si tratta di essere “contro” a prescindere da… ma di ragionare sui pro e sui contro di certe scelte…

BUONA INTENZIONE CHE RISCHIA DI SCIVOLARE NELLA CARICATURA
Riflessione sulla “Messa per la custodia del creato”

(di Don Mario Proietti cpps)

Giovedì 3 luglio 2025, alle ore 10.00, nella Sala Stampa della Santa Sede, è stato presentato ufficialmente un nuovo formulario liturgico intitolato Missa pro custodia creationis. A illustrarlo sono stati il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e monsignor Vittorio Francesco Viola, segretario del Dicastero per il Culto Divino.
Si tratta di un’aggiunta alle Messe “per varie necessità”, che potrà essere celebrata per invocare la protezione della casa comune, in linea con la sensibilità espressa nella Laudato si’.

Il titolo è solenne, l’intenzione dichiarata è nobile. E tuttavia, qualcosa non convince.

Non si tratta di negare l’importanza della responsabilità ambientale. Il cristiano sa che “la terra è del Signore” (Sal 24,1) e che l’uomo non è padrone assoluto, ma custode. Fin dalla Genesi, il compito affidato all’uomo è quello di “coltivare e custodire il giardino”. Questo è vero. E tuttavia, ed è il cuore della questione, non tutto ciò che è vero è anche liturgico.

La liturgia non è un bollettino parrocchiale né uno strumento educativo. Non serve per sostenere campagne, sensibilizzare su temi o promuovere valori. Serve, anzi è, il luogo della gloria di Dio e del sacrificio redentore di Cristo. È il mistero pasquale che salva il mondo, non una maggiore coscienza ecologica.

Inserire nel Messale un formulario per il creato, dunque, non è sbagliato in sé. Ma il rischio, oggi più che mai, è che una buona intenzione scivoli nella caricatura: la Messa come evento simbolico, la liturgia piegata all’urgenza culturale, l’altare trasformato in palcoscenico delle sensibilità del tempo.

Una volta era l’impegno politico, poi la pace, poi l’inclusione; oggi è l’ambiente. E domani?
Mi chiedo, con un po’ di amarezza: chi celebra una Messa per il creato, celebra anche la Messa per i bambini non nati, per le famiglie distrutte, per i cristiani perseguitati, per i poveri veri — non per le piante?

Oppure ci stiamo adattando al Vangelo secondo Greta, con il parroco vestito di verde e la croce fatta di lattine riciclate?
Non è un mistero che gran parte dell’ambientalismo contemporaneo sia penetrato da logiche ideologiche, talvolta perfino anticristiane: malthusianesimo, ecospiritualità panteista, centralità della “madre Terra”, equiparazione tra dignità umana e animale, linguaggi gnostici.

E mentre si celebra la Messa per la creazione, si tace sulla distruzione sistematica della vita umana, sulla dissoluzione della famiglia, sulla persecuzione dei cristiani.
Chi si lascia commuovere da un ghiacciaio che si scioglie, ma resta indifferente davanti a un bambino abortito, non ha bisogno di una nuova Messa, ma di una nuova conversione.

La Dottrina sociale della Chiesa ha parole alte e nobili sul creato, ma sempre nella cornice della Redenzione. La salvezza non consiste nella riduzione della CO₂, ma nella grazia di Cristo. I princìpi della DSC, dignità umana, bene comune, sussidiarietà, solidarietà, sono i veri criteri con cui affrontare anche i temi ambientali, non l’emotività o la pressione culturale.

Certo, il formulario non obbliga nessuno. Ma se entra nel Messale, entra anche nella pedagogia ordinaria della Chiesa. Ed è lecito chiedersi: perché proprio questo, adesso? In un momento in cui l’ideologia ecologista mostra già i suoi frutti più distorti, si decide di istituzionalizzarla liturgicamente?

Non si tratta di essere “contro”. Si tratta di essere fedeli alla logica interna della liturgia, che è anzitutto adorazione, sacrificio e comunione. Tutto ciò che non nasce da Cristo e non conduce a Cristo, anche se vestito di verde speranza, non ha posto sull’altare.


 

 

 

 


 

Intervento di S.E. Mons. Vittorio Francesco Viola, O.F.M.

La creazione nella liturgia

2. La Liturgia, che rende attuale il mistero pasquale, celebra in ogni momento dell’Anno liturgico il mistero della creazione, che ha nella Pasqua del Signore il suo culmine.

Scrive Gaudenzio di Brescia (Sermone I, 10): « … nel settimo giorno, in cui aveva creato l’uomo, [Cristo] subì per lui la passione, e nel giorno di domenica, che nelle Scritture viene chiamato il primo giorno dopo il sabato, e in cui il mondo aveva preso inizio, risuscitò: così chi nel primo giorno aveva creato il cielo e la terra, dalla quale poi modellò l’uomo creandolo, pure nel primo giorno volle restaurare l’uomo, per il quale aveva creato il mondo».

3. In particolare nella memoria annuale della Pasqua, la liturgia celebra il mistero della creazione redenta, rinnovata, finalmente compiuta. L’intima connessione tra il Cristo Risorto e la creazione non potrebbe essere espressa in modo più efficace.

La prima lettura della Veglia pasquale è il racconto della creazione (Gen 1,1-2,2), al termine del quale la Chiesa così prega:

Dio onnipotente ed eterno,

ammirabile in tutte le opere del tuo amore,

illumina i figli da te redenti

perché comprendano che,

se fu grande all’inizio la creazione del mondo,

ben più grande, nella pienezza dei tempi,

fu l’opera della nostra redenzione,

nel sacrificio pasquale di Cristo Signore.

Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

4. San Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Dies Domini sulla santificazione della domenica dedica il cap. I al tema della creazione (La celebrazione dell’opera del Creatore, nn. 8-18):

«Tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1, 3)

8. Nell’esperienza cristiana, la domenica è prima di tutto una festa pasquale, totalmente illuminata dalla gloria del Cristo risorto. È la celebrazione della «nuova creazione». Ma proprio questo suo carattere, se compreso in profondità, appare inscindibile dal messaggio che la Scrittura, fin dalle prime sue pagine, ci offre sul disegno di Dio nella creazione del mondo. Se è vero, infatti, che il Verbo si è fatto carne nella «pienezza del tempo» (Gal 4, 4), non è meno vero che, in forza del suo stesso mistero di Figlio eterno del Padre, egli è origine e fine dell’universo. Lo afferma Giovanni, nel prologo del suo Vangelo: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (1, 3). Lo sottolinea ugualmente Paolo scrivendo ai Colossesi: «Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili […]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (1, 16). Questa presenza attiva del Figlio nell’opera creatrice di Dio si è rivelata pienamente nel mistero pasquale, in cui Cristo, risorgendo come «primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15, 20), ha inaugurato la nuova creazione ed ha avviato il processo che egli stesso porterà a compimento al momento del suo ritorno glorioso, «quando consegnerà il regno a Dio Padre […], perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 24.28).

Già nel mattino della creazione, quindi, il progetto di Dio implicava questo «compito cosmico» di Cristo. Questa prospettiva cristocentrica, proiettata su tutto l’arco del tempo, era presente nello sguardo compiaciuto di Dio quando, cessando da ogni suo lavoro, «benedisse il settimo giorno e lo santificò» (Gn 2, 3). Nasceva allora — secondo l’autore sacerdotale del primo racconto biblico della creazione — il «sabato», che tanto caratterizza la prima Alleanza, ed in qualche modo preannuncia il giorno sacro della nuova e definitiva Alleanza. Lo stesso tema del «riposo di Dio» (cfr Gn 2, 2) e del riposo da lui offerto al popolo dell’Esodo con l’ingresso nella terra promessa (cfr Es 33, 14; Dt 3, 20; 12, 9; Gs 21, 44; Sal 95 [94], 11) è riletto nel Nuovo Testamento in una luce nuova, quella del definitivo «riposo sabbatico» (Eb 4, 9) in cui Cristo stesso è entrato con la sua risurrezione e in cui è chiamato ad entrare il popolo di Dio, perseverando sulle orme della sua obbedienza filiale (cfr Eb 4, 3-16). È necessario pertanto rileggere la grande pagina della creazione e approfondire la teologia del «sabato», per introdursi alla piena comprensione della domenica.

5. Illuminanti anche le parole di Benedetto XVI (Omelia, Sabato Santo, 7 aprile 2012):

[…] Pasqua è la festa della nuova creazione. […] Si è aperta una nuova dimensione per l’uomo. La creazione è diventata più grande e più vasta. La Pasqua è il giorno di una nuova creazione, ma proprio per questo la Chiesa comincia in tale giorno la liturgia con l’antica creazione, affinché impariamo a capire bene quella nuova. Perciò all’inizio della Liturgia della Parola nella Veglia pasquale c’è il racconto della creazione del mondo. […] In primo luogo, la creazione viene presentata come una totalità della quale fa parte il fenomeno del tempo. […] In secondo luogo, del racconto della creazione la Chiesa, nella Veglia pasquale, ascolta soprattutto la prima frase: “Dio disse: «Sia la luce!» (Gen 1,3). Il racconto della creazione, in modo simbolico, inizia con la creazione della luce. […] A Pasqua, al mattino del primo giorno della settimana, Dio ha detto nuovamente: “Sia la luce!”. Prima erano venute la notte del Monte degli Ulivi, l’eclissi solare della passione e morte di Gesù, la notte del sepolcro. Ma ora è di nuovo il primo giorno – la creazione ricomincia tutta nuova. “Sia la luce!”, dice Dio, “e la luce fu”. Gesù risorge dal sepolcro. La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. […] Nella Veglia pasquale, la notte della nuova creazione, la Chiesa presenta il mistero della luce con un simbolo del tutto particolare e molto umile: con il cero pasquale […] Il grande inno dell’Exsultet, che il diacono canta all’inizio della liturgia pasquale, ci fa notare in modo molto sommesso un altro aspetto ancora. Richiama alla memoria che questo prodotto, il cero, è dovuto in primo luogo al lavoro delle api. Così entra in gioco l’intera creazione. Nel cero, la creazione diventa portatrice di luce.

6. In ogni celebrazione eucaristica nella presentazione dei doni si fa riferimento ai frutti della terra e del lavoro dell’uomo; nella professione di fede diciamo: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili».

7. Una particolare rilevanza alla creazione è data dalle Rogazioni e dalle Quattro Tempora delle quali le Norme generali per l’ordinamento dell’Anno liturgico e del Calendario trattano al cap. VII:

45. Con le Rogazioni e le «Quattro Tempora» la Chiesa è solita pregare il Signore per le necessità degli uomini, soprattutto per i frutti della terra e per il lavoro dell’uomo, e ringraziarlo pubblicamente.

46. Affinché le Rogazioni e le «Quattro Tempora» possano venire adattate alle diverse situazioni locali e alle necessità dei fedeli, saranno d’ora in poi regolate dalle Conferenze Episcopali, sia quanto al tempo che al modo di celebrarle.

L’autorità competente, perciò, tenendo presente la situazione locale, stabilirà le norme relative alla durata di tali celebrazioni, che potranno protrarsi per uno o più giorni, e riguardo alla loro eventuale ripetizione durante l’anno.

47. La Messa per i singoli giorni di queste celebrazioni si scelga tra quelle per varie necessità, che sono più adatte allo scopo delle celebrazioni [Nel tempo della seminaDopo il raccolto].

8. Interessanti sono le motivazioni espresse nelle Precisazioni nel Messale Romano della CEI:

d) La preghiera di «rogazione» può inoltre manifestare, attraverso il linguaggio proprio della liturgia, l’attenzione per la custodia del creato, oggi particolarmente attuale e comune a credenti e non credenti (cf. Francesco, Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 257; Francesco, Lettera enciclica sulla cura della casa comune Laudato si’, 24 maggio 2015). p. LXII

La tradizione delle «Quattro Tempora», originariamente legata alla santificazione del tempo nelle quattro stagioni, può essere opportunamente ravvivata con momenti di preghiera e di riflessione. Mettendo in rilievo il mistero di Cristo nel tempo, la comunità cristiana invoca e ringrazia la provvidenza del Padre per i frutti della terra e del lavoro dell’uomo (cf. Benedizionale, n. 1814). In tali occasioni si potrà caratterizzare la Messa vespertina del venerdì o quella del sabato mattina utilizzando qualche formulario particolare di Preghiera universale, concludendo con l’orazione di benedizione proposta dal Benedizionale (n. 1819) e con l’offerta dell’olio in inverno, dei fiori in primavera, delle spighe di grano in estate, dell’uva in autunno (cf. Benedizionale, n. 1816). Nel Tempo Ordinario ci si potrà avvalere dei formulari delle Messe «per varie necessità» nei giorni del cambio della stagione (cf. Ordinamento Generale del Messale Romano 368-373).

L’inizio delle quattro stagioni si ricorda il mercoledì, il venerdì e il sabato dopo la III domenica di Avvento (inverno), dopo la III domenica di Quaresima (primavera), dopo la domenica della Ss.ma Trinità (estate), dopo la III domenica di settembre (autunno). p. LXII-LXIII

9. Anche la celebrazione dei singoli sacramenti celebra la creazione. Basti ricordare le grandi preghiere di benedizione dell’acqua per il battesimo o dell’olio per le sacre unzioni. La parte anamnetica inizia facendo memoria della creazione dell’acqua e dell’olivo in vista dei sacramenti.

O Dio, per mezzo dei segni sacramentali, tu operi con invisibile potenza le meraviglie della salvezza; e in molti modi, attraverso i tempi, hai preparato l’acqua, tua creatura, ad essere segno del Battesimo.

O Dio, fonte prima di ogni vita e autore di ogni crescita nello spirito, accogli il gioioso canto di lode che la Chiesa ti innalza con la nostra voce. Tu in principio facesti spuntare dalla terra alberi fruttiferi e tra questi l’olivo, perché dall’olio fluente venisse a noi il dono del crisma.

10. Inoltre, nella Liturgia delle Ore il tema della creazione è ben presente. Basti citare il cantico di Daniele (Dn 3, 57-88. 56 – Benedite, opere tutte del Signore, il Signore) nelle lodi della Domenica della I settimana, nelle solennità e nelle feste, come pure il riferimento all’impegno dell’uomo nel custodire la creazione presenti nelle preci. Nel Supplementum alla Liturgia delle Ore di prossima pubblicazione il lunedì della prima settimana del Tempo Ordinario (anno II) è prevista come prima lettura il racconto della Creazione (Gen 1,1 – 2,4), come seconda lettura il Cantico delle Creature di san Francesco.

11. La Liturgia, dunque, offre molteplici riferimenti alla creazione: la loro valorizzazione favorisce la crescita nella consapevolezza dell’importanza della custodia della creazione il cui senso profondo è rivelato nel mistero pasquale che la celebrazione rende presente.

Alla ricchezza che la Liturgia già custodisce riguardo al mistero della creazione, si aggiunge ora la Missa pro custodia creationis che, con l’approvazione di Papa Leone, viene inserita nel Missale Romanumeditio typica tertia (2008) tra le Missæ et Orationes pro variis necessitatibus vel ad diversa, sezione seconda Pro circumstantiis publicis. Il suo uso è regolato dal capitolo VII della Institutio Generalis Missalis Romani e dalle rubriche proprie (Missale Romanumeditio typica tertia, p. 1074).

Un formulario per una Messa per la cura del creato

12. L’ Ordinamento Generale del Messale Romano prevede la possibilità di Messe e orazioni per diverse circostanze:

368. Poiché la Liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale (cfr. SC 61), e poiché l’Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il Messale presenta formulari di Messe e orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e locale.

13. Anche grazie al magistero di Papa Francesco siamo più consapevoli di trovarci in una situazione di grave crisi che l’esortazione apostolica Laudate Deum descrive con estrema chiarezza, ribadendo quanto già detto nella Laudato si’. È certamente significativo che la Chiesa nella celebrazione dell’Eucaristia elevi a Dio la sua preghiera perché l’uomo posto nel giardino di Eden, impari a coltivarlo e a custodirlo secondo il disegno di Dio (cfr. Gen 2,15).

14. Il titolo del nuovo formulario (Missa pro custodia creationis) si ispira alla corretta ermeneutica biblica alla quale Papa Francesco ci ha richiamato. Al n. 67 della Laudato si’ si legge:

67. Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data. Ciò consente di rispondere a un’accusa lanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dal racconto della Genesi che invita a soggiogare la terra (cfr Gen 1,28), verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore. Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa. Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a «coltivare e custodire» il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre «coltivare» significa arare o lavorare un terreno, «custodire» vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, «del Signore è la terra» (Sal 24,1), a Lui appartiene «la terra e quanto essa contiene» (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23).

15. Il versetto 2 del Sal 18(19) indicato come antifona d’ingresso (I cieli narrano la gloria di Dio, / l’opera delle sue mani annuncia il firmamento) apre la celebrazione esprimendo la meraviglia per come la creazione riflette la gloria di Dio: senza questo stupore “i nostri atteggiamenti – scrive Papa Francesco – saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali” (LS 11).

16. L’orazione colletta fa sintesi orante della teologia della creazione ispirata alla Sacra Scrittura.

O Padre,

che in Cristo, primogenito di tutta la creazione, cf. Col 1, 15-16

15Egli è immagine del Dio invisibile,

primogenito di tutta la creazione,

16perché in lui furono create tutte le cose

hai chiamato all’esistenza tutte le cose, cf. Dominum et vivificantem, n. 34

fa’ che, docili al soffio vitale del tuo Spirito, cf. Gen 2, 7

7Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

custodiamo con amore l’opera delle tue mani. cf. Gen 2, 15

15Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Un passaggio della lettera enciclica di Giovanni Paolo II Dominum et vivificantem (18 maggio 1986) offre una significativa riflessione sull’agire di Dio che chiama tutte le cose all’esistenza:

34. «Lo Spirito di Dio», che secondo la descrizione biblica della creazione «aleggiava sulle acque», indica lo stesso «Spirito, che scruta le profondità di Dio»; scruta le profondità del Padre e del Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il testimone diretto del loro reciproco amore, dal quale deriva la creazione, ma è egli stesso questo amore. Egli stesso, come amore, è l’eterno dono increato. In lui è la fonte e l’inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza dell’inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a cominciare dal Libro della Genesi, su questo punto è univoca. Creare vuol dire chiamare all’esistenza dal nulla; dunque, creare vuol dire donare l’esistenza. E se il mondo visibile viene creato per l’uomo, dunque all’uomo viene donato il mondo. E contemporaneamente lo stesso uomo nella propria umanità riceve in dono una speciale «immagine e somiglianza» di Dio. Ciò significa non solo razionalità e libertà come proprietà costitutiva della natura umana, ma anche, sin dall’inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come «io» e «tu» e, dunque, capacità di alleanza che avrà luogo con la comunicazione salvifica di Dio all’uomo. Sullo sfondo dell’«immagine e somiglianza» di Dio, «il dono dello Spirito» significa, infine, chiamata all’amicizia, nella quale le trascendenti «profondità di Dio» vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell’uomo. Il Concilio Vaticano II insegna: «Dio invisibile (Col 1,15); (1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Es 33,11); (Gv 15,14) e si intrattiene con loro (Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé».

17. L’orazione sulle offerte riprende ed amplifica le parole della presentazione dei doni.

Accogli, o Padre,

questi frutti della terra e del nostro lavoro:

porta a compimento in essi l’opera della tua creazione,

perché, trasformati dallo Spirito Santo,

siano per noi cibo e bevanda di vita eterna. cf. Io 6, 54-55

… 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. …

Per Cristo nostro Signore.

Viene così espressa l’idea teologica che ispira la contemplazione liturgica della creazione. In estrema sintesi:

– l’intera storia della salvezza di cui la creazione è fondamento e inizio [cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, 51: AAS 64 (1972) 128] culmina nella Pasqua del Signore;

– la Liturgia rende presente per via sacramentale il mistero pasquale, lo attualizza e ne svela l’efficacia;

– in continuità con la logica dell’incarnazione le cose create da Dio e lavorate dall’uomo (pane, vino, olio, acqua …) raggiungono la loro pienezza di senso nell’azione celebrativa;

– questa dignità chiede uno sguardo contemplativo sulle cose create che cambia la nostra relazione con esse.

Illuminanti le parole di Papa Francesco nella LS:

236. Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo» [Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003) n. 8]. L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso».[Benedetto XVI, Omelia nella Messa del Corpus Domini (15 giugno 2006)]. Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato.

18. Il versetto 3 del Sal 97 indicato come antifona di comunione (Tutti i confini della terra hanno veduto / la salvezza del nostro Dio) accompagna l’assemblea che si nutre al banchetto eucaristico in una contemplazione dell’opera della salvezza che unisce l’uomo a tutte le creature.

19. Con l’orazione dopo la comunione invochiamo i frutti del mistero celebrato.

Il sacramento di unità cf. Augustinus, In Io. 26, 13

… Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. È quello che dice l’Apostolo, quando ci parla di questo pane: Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo (1 Cor 10, 17)Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo di carità! …

che abbiamo ricevuto, o Padre,

accresca la comunione con te e con i fratelli,

perché, in attesa dei cieli nuovi e della terra nuova, cf. 2 Pt 3, 13

13Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia.

impariamo a vivere in armonia con tutte le creature. cf. Laudato si’, n. 66

Per Cristo nostro Signore.

Questa orazione è ispirata al n. 66 della LS.

Papa Francesco ci ricorda che esistono tre fondamentali relazioni:

66. I racconti della creazione nel libro della Genesi contengono, nel loro linguaggio simbolico e narrativo, profondi insegnamenti sull’esistenza umana e la sua realtà storica. Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cfr Gen 3,17-19). Per questo è significativo che l’armonia che san Francesco d’Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura. San Bonaventura disse che attraverso la riconciliazione universale con tutte le creature in qualche modo Francesco era riportato allo stato di innocenza originaria. Lungi da quel modello, oggi il peccato si manifesta con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili, negli attacchi contro la natura.

La comunione con Diocon il prossimocon la terra è alimentata dall’Eucaristia, “sacramento di unità”, e da essa viene protesa verso il suo compimento ultimo, verso quella pienezza di comunione nella quale saranno nuove tutte le cose. L’armonia con tutte le creature, che contempliamo in Francesco d’Assisi, non può che nascere, così come è avvenuto per il Poverello, da una esperienza di riconciliazione che rende possibile la comunione con Dio e con i fratelli.

20. Le letture bibliche scelte per la Missa pro custodia creationis offrono diversi spunti di riflessione.

Il libro della Sapienza (13, 1-9: Se sono riusciti a conoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano?) invita a riconoscere nella bellezza delle creature quella del Creatore.

A questa pagina fa eco il Salmo responsoriale (182-3. 4-5; Rit. I cieli narrano la gloria di Dio) che unisce l’assemblea alla creazione che canta la gloria di Dio.

L’inno della lettera di san Paolo apostolo ai Colossési (1, 15-20: Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui) offre una lettura cristologica della creazione. Il Salmo responsoriale (103, 1-2a. 5-6 10.12. 24.35c; Rit. Gioisca il Signore per tutte le sue creature) è un canto di benedizione per l’opera creatrice di Dio.

Vengono proposti due brani evangelici (Mt 6, 24-34: Guardate gli uccelli del cielo … Cercate, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia; Mt 8, 23-27: Si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia).

Essi rappresentano, in certo modo, una “sfida” e una opportunità per mettere in pratica quella corretta ermeneutica dei testi biblici in assenza della quale – come ha sottolineato LS 67 – si potrebbe giungere a sostenere posizioni non coerenti con il dato della Rivelazione, come, ad esempio, l’atteggiamento che LS 69 definisce “antropocentrismo deviato”.

21. In conclusione, la Missa pro custodia creationis recepisce alcune delle principali istanze contenute nella LS e le esprime in forma di preghiera nel quadro teologico che l’enciclica rilancia. I testi eucologici che compongono questo formulario sono un buon antidoto contro una certa lettura della LS che rischia di ridurre la profondità del suo contenuto ad una “ecologia superficiale o apparente” (LS 59) ben lontana da quella ecologia integrale ampiamente descritta e motivata nel testo (cfr. Ls cap. IV).


 
 

QUANDO LA LITURGIA PARLA DEL CREATO. MA CHI CUSTODISCE LA LITURGIA?

Riflessione sull’intervento di Mons. Vittorio Francesco Viola, O.F.M.

Dopo il primo articolo provocatorio (“Buona intenzione che rischia di scivolare nella caricatura”), che ha suscitato tanto dibattito, sento il bisogno di tornare sull’argomento con uno sguardo più disteso e sistematico.
La presentazione ufficiale della Missa pro custodia creationis, proposta da Mons. Vittorio Francesco Viola, offre l’occasione per una riflessione teologica e liturgica più ampia.
 
Non si tratta solo di giudicare un nuovo formulario, ma di capire quale idea di liturgia lo sorregga, quale visione di Chiesa lo renda possibile, quale uso pastorale ne deriverà.
 
E soprattutto: chi custodirà la liturgia, mentre si prega per custodire il creato?
 
L’intervento con cui Mons. Vittorio Francesco Viola ha presentato il nuovo formulario liturgico della Missa pro custodia creationis è ampio, colto, teologicamente ben strutturato. Non ci troviamo davanti a un’improvvisazione ideologica o a un’operazione di marketing liturgico. È una vera lezione teologica e liturgica, che merita attenzione e discernimento.
 
E tuttavia, proprio perché è così articolata, richiede una lettura profonda, capace di distinguere tra ciò che è fondamento dottrinale e ciò che, invece, si espone al rischio di un uso pastorale ambiguo o fuorviante. Perché il punto non è solo: cosa contiene questa Messa?
Ma: a cosa serve davvero, e dove ci conduce?
Va detto con franchezza: molti dei riferimenti proposti da Mons. Viola sono ineccepibili. La relazione tra creazione e redenzione è una delle grandi chiavi della teologia patristica e liturgica. La Veglia pasquale si apre proprio con il racconto della Genesi. L’Eucaristia, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, è il compimento sacramentale dell’intera economia della creazione.
I Padri, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, tutti lo hanno affermato: la creazione trova il suo compimento nella Pasqua.
In questo senso, il richiamo all’opera creatrice di Dio, alla bellezza dell’universo, all’armonia cosmica che riflette il Logos, non è una forzatura. È parte della nostra fede. E su questo punto Mons. Viola parla con autorevolezza, portando il pensiero della Chiesa fino alle soglie della mistica liturgica: l’Eucaristia come “atto di amore cosmico”, come “luogo dove la creazione si fa preghiera”.
 
Ma proprio qui inizia la sfida vera: se tutto è teologicamente corretto, perché permane in molti il senso di disagio?
 
Il problema non è ciò che Mons. Viola dice. Il problema è ciò che non dice, o che lascia ai margini. Si parla della bellezza del creato, della lode cosmica, della redenzione delle cose. Ma si tace su ciò che rende tutto questo necessario: il peccato dell’uomo. Il creato va custodito, sì. Ma perché è stato ferito, e non solo dall’inquinamento atmosferico.
Non si può parlare della redenzione del cosmo senza ricordare che la creazione è stata sottomessa alla vanità (Rm 8,20), che l’uomo ha rotto l’alleanza, che solo attraverso la croce passa la ricapitolazione dell’universo. Altrimenti, si rischia di evangelizzare il mondo con la grammatica della natura, ma senza annunciare il Vangelo della Croce.
 
È questa l’inquietudine di molti fedeli: una Messa per il creato che parli dell’Eden, ma non del Golgota.
Nella teoria teologica, tutto fila. Ma nella prassi ecclesiale di oggi, quanto potrà durare questa coerenza?
Chi garantirà che questo formulario venga celebrato con lo stesso equilibrio mostrato da Mons. Viola?
 
Temiamo che, nella realtà delle parrocchie, delle diocesi, delle Giornate per il creato, l’ermeneutica liturgica proposta venga oscurata da una banalizzazione simbolica:
• omelie ecologiche che dimenticano il Vangelo;
• messe con segni esterni ambigui (processioni con piantine, offerte di frutta, letture di testi extrabiblici…);
• inviti alla “conversione ecologica” ma nessuna confessione dei peccati;
• e magari, come già accaduto, più attenzione ai rifiuti differenziati che alla Presenza Reale.
Insomma: una liturgia che nasce ben pensata, rischia di essere usata come manifesto ambientale.
 
E questo perché manca oggi una chiara vigilanza teologica e liturgica a livello ecclesiale. È inutile elaborare un formulario solido, se non si hanno pastori che lo custodiscano nella verità.
L’ultima orazione proposta nella Messa dice: «… impariamo a vivere in armonia con tutte le creature». Bello. Ma è tutto qui? È questo il fine dell’Eucaristia?
 
La liturgia è per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini, non per la buona armonia tra le creature.
Se oggi parliamo tanto di “custodia del creato”, è anche perché abbiamo smesso di parlare della custodia del Mistero, della custodia del Sacro, della custodia della Verità rivelata. Il vero problema non è che il formulario parli del creato. È che troppi celebrano l’Eucaristia senza più stupore, senza adorazione, senza riverenza.
Abbiamo redatto una nuova Messa per il creato, ma quando scriveremo una Messa “per la custodia della Liturgia”?
Non vogliamo opporci a quanto di buono può esserci in questa iniziativa. Ma pretendiamo che si dica tutta la verità: che non c’è creazione senza redenzione, non c’è redenzione senza croce, non c’è liturgia senza sacrificio, non c’è Eucaristia senza adorazione.
La Missa pro custodia creationis sarà utile solo se aiuterà i fedeli a contemplare il Creatore, a convertirsi dai propri peccati e a riconoscere Cristo come Signore del cosmo e del tempo.
Se invece sarà ridotta a un gesto simbolico, celebrato “perché oggi si parla di ambiente”, sarà un passo ulteriore verso la dissoluzione del senso del sacro nella Chiesa.
La creazione canta la gloria di Dio, sì. Ma è dalla croce che viene il canto più alto.
 
 

 

Stamattina, giovedì 3 luglio, alle ore 10,00, in Vaticano viene presentato in conferenza stampa un nuovo formulario liturgico per la Missa pro custodia creationis. Il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, e monsignor Vittorio Viola, segretario del Dicastero per il culto divino, illustreranno questa nuovaaggiuntaal Messale Romano.

L’iniziativa suggerisce qualche osservazione a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa. Come si sa, la liturgia non è estranea alla Dottrina sociale, a patto di non intendere quest’ultima come un vademecum per interventi sociali, ma come annuncio di Cristo, missione della Chiesa, evangelizzazione del sociale ed educazione alla fede. Così intesa, essa è tutta inserita nel mistero della passione, morte e resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo che si rinnova sull’altare. Questo nesso tra le due realtà non significa una promiscua mescolanza. Troppe volte abbiamo assistito a forme di politicizzazione delle celebrazioni eucaristiche e sull’altare hanno preso posto alcuni temi sociali scelti spesso ideologicamente o legati ad una particolare sensibilità pubblica. La salvezza cristiana è stata così ridotta ad interventi politici o economici di parte. In questi casi è sempre successo anche il contrario, ossia che i problemi sociali non siano stati affrontati al loro livello alla luce dei principi della Dottrina sociale della Chiesa. Durante gli anni dell’avanguardismo progressista si portavano sull’altare le questioni sociali, ma non si portava l’altare alle questioni sociali. Chi voleva la povertà sull’altare, non voleva poi che la povertà fosse affrontata con la Dottrina sociale della Chiesa. Sostenendo che questo secondo sarebbe stato un atteggiamento ideologico, si fingeva di non vedere l’ideologicità del primo.

Ora sembra di capire che si stia ripetendo lo stesso errore, non per volontà di gruppi dissidenti ma per indirizzo della Curia romana. Del resto, il cardinale Czerny, gesuita, ha già dato prova di essere molto attento ad adeguarsi alle priorità del momento. La nuova Messa per la conservazione del creato si colloca nella linea della Laudato si’ (2015), che però non sta più ottenendo il consenso di maniera degli anni scorsi. L’ecologismo sta provocando gravi danni e si sta premendo da tante parti per fare marcia indietro. Questa volta il cardinale Czerny sembra arrivato fuori tempo.

Stefano Fontana 


 
PIETRO NON SI NEGA
Il magistero recente tra zelo, errore e successione apostolica
 
Il prossimo 9 luglio, Papa Leone XIV celebrerà per la prima volta nella storia della Chiesa la Messa per la custodia del creato. Lo farà a Castel Gandolfo, presso il Borgo Laudato si′, in una forma semplice, forse anche silenziosa, ma carica di significato. Per alcuni sarà solo un gesto in linea con l’ecologia integrale tanto promossa da Papa Francesco.
 
Per altri, un ennesimo passo lungo un percorso di adattamenti moderni della liturgia, capaci di confondere. Per me, è prima di tutto un’occasione per pensare, con realismo e lucidità, alla successione dei papi post-conciliari e al modo in cui ogni loro atto, pastorale, liturgico o dottrinale, viene oggi recepito dentro un clima che spesso non è più ecclesiale, ma viscerale.
 
Non scrivo per difendere il formulario della Messa per il creato, né per denigrarlo. Né per inneggiare a un’ennesima apertura pastorale, né per condannarla. Scrivo perché vedo nei commenti di molti, anche di coloro che apprezzano i miei interventi, una crescente incapacità di comprendere il cuore della Chiesa. Una corrente sotterranea, ma ormai nemmeno troppo velata, che tende a erodere l’idea stessa della legittimità della successione petrina.
Non parlo dei modernisti: quelli, per paradosso, sono almeno riconoscibili e spesso prevedibili. Parlo dei tradizionalisti disorientati, che non hanno più fiducia nella Chiesa perché la immaginano diversa da quella reale, e non si accorgono che così si stanno separando dal corpo vivo di Pietro. Non sono semplicemente nostalgici: sono scivolati in una dimensione ideologica che usa il linguaggio cattolico, ma non abita più l’orizzonte ecclesiale.
 
Leggo giudizi lapidari su Paolo VI, definito da alcuni nei commenti come “debole, pavido, modernista, complice della rovina della liturgia”.
Mi chiedo: davvero chi scrive queste cose ha letto il Credo del Popolo di Dio? Ha mai meditato su Mysterium Fidei, o sull’eroismo contenuto in Humanae Vitae? Davvero ci si rende conto di cosa significhi, nel 1968, firmare un documento che nessuno voleva più, né dentro né fuori la Chiesa?
È possibile, e anzi doveroso, riconoscere i limiti tragici della sua gestione della riforma liturgica.
Ma è ingiusto e falso ridurre un pontificato così sofferente a un’idea preconfezionata, frutto di un malcontento più emotivo che dottrinale. Lo stesso vale per Giovanni Paolo II: papa teologicamente robusto, eppure criticato per Assisi e per alcune aperture percepite come ambigue. Anche qui, non si tratta di ignorare i problemi, ma di saperli leggere dentro una Chiesa che non vive di ideologie, ma di mistero e storia.
 
E qui arriviamo al punto: molti di questi giudizi duri, netti, definitivi contro i papi del Concilio e del post-Concilio, partono da un errore ecclesiologico fondamentale. Presuppongono, anche implicitamente, che possa esserci una discontinuità “purificatrice” nella successione apostolica. Che un giorno possa arrivare un Papa che, per così dire, cancelli tutto quello che è stato fatto prima, condanni i predecessori, azzeri il magistero degli ultimi sessant’anni e proclami il ritorno alla verità.
Questo pensiero, che circola oggi con toni diversi, alcuni lo esprimono con rabbia, altri con dolore, altri ancora con un certo compiacimento profetico, è profondamente estraneo alla fede cattolica. È, in ultima analisi, sedevacantismo dissimulato.
 
Nella storia della Chiesa ci sono stati antipapi, è vero. Ma sono sempre stati casi isolati, contesi, spesso legati a lotte politiche o a fratture locali. Mai si è data, nella fede cattolica, una sequenza continuativa e sistematica di antipapi riconosciuti come tali dalla Chiesa universale. Mai.
Pensare che da Giovanni XXIII a oggi nessuno sia stato vero Papa è non solo ecclesiologicamente insostenibile, ma anche storicamente assurdo. Una tale ipotesi, se portata alle estreme conseguenze, finirebbe per negare l’unità, la visibilità e l’apostolicità della Chiesa. In fondo, significherebbe dire che la promessa di Cristo a Pietro, “le porte degli inferi non prevarranno”, si sarebbe rotta. E questo è già protestantesimo, o peggio.
 
Piuttosto, la realtà è molto più complessa e insieme molto più cristiana. I Papi del post-Concilio hanno ereditato, interpretato, sviluppato, a volte male, a volte bene, una stagione storica segnata da grande confusione pastorale. Ma sono stati e sono davvero Papi, nella linea di Pietro. E proprio Pietro, con la sua storia personale, è la chiave per capire.
È lui che a Giaffa riceve la visione sul telo, che a Cesarea battezza Cornelio, che apre ai pagani la porta della fede. Ed è sempre lui che ad Antiochia, per eccesso di zelo pastorale, si tira indietro, si allontana dalla mensa comune, compromette l’unità visibile tra giudei e gentili. Pietro non è eretico, ma ambiguo. Non è infedele, ma reticente.
Non è traditore, ma pavido nell’amministrare la verità che pure ha già ricevuto. Paolo lo rimprovera: “Gli resistetti in faccia, perché era da condannare”. Ma non lo nega, non lo accusa di non essere più Pietro. E questo gesto di Paolo è un atto di fedeltà ecclesiale, non di ribellione.
 
Tutti i papi successivi, anche quelli del nostro tempo, vivono, in forme diverse, questa stessa tensione.
C’è sempre uno zelo che rischia di farsi compromesso. C’è sempre una prudenza che può diventare ambiguità. Ma c’è anche una grazia che non viene meno, un mandato che non viene revocato, una promessa che sostiene. Pietro può sbagliare, e spesso sbaglia proprio per eccesso di carità, per desiderio di tenere tutti dentro, per quella paternità che a volte si fa debolezza. Ma Pietro resta Pietro. E noi restiamo cattolici non quando smettiamo di vedere i limiti dei Papi, ma quando, pur vedendoli, continuiamo ad amarli nella verità.
 
Per questo non possiamo aspettarci una discontinuità brutale. Non è ecclesialmente possibile, e nemmeno cristianamente auspicabile. Non si cancella la storia della Chiesa. Non si cancella il cammino della Chiesa, dove lo Spirito Santo ha operato fedelmente anche attraverso la povertà dei suoi ministri, senza mai permettere che venisse meno la santità della Sposa di Cristo.
 
Piuttosto, occorre un discernimento rigoroso, paziente, profondo. Dobbiamo saper leggere, distinguere, vagliare, senza mai rompere la comunione. Questo è ciò che fece Paolo. Questo è ciò che la Tradizione chiede. Non si tratta di accettare tutto: si tratta di non negare ciò che Dio ha legittimato. Di non trasformare il desiderio di purezza in strappo ecclesiale. Di non fare della Tradizione un’arma contro la Chiesa stessa.
 
Pietro è ancora lì, anche quando sembra titubante. Anche quando introduce un nuovo rito liturgico che può lasciare perplessi. Anche quando compie scelte che vorremmo più chiare, più incisive, più ortodosse. Ma Pietro è lì. E Cristo è ancora con lui. Questa è la nostra fede cattolica. Ed è da questa certezza che possiamo parlare, discernere, correggere, amare. Chi invece scambia la delusione per profezia, il rifiuto per purezza, e l’opposizione per fedeltà… rischia di cadere in una solitudine spirituale che lo porta fuori dalla comunione. E questa, sì, sarebbe una vera sconfitta.
 
 

I commenti sono chiusi.

Crea un sito web o un blog su WordPress.com

Su ↑