Non t’informano, ti educano

Il potere sottile della propaganda sofisticata.

di Don Mario Proietti (16 luglio 2025)

Abbiamo già visto come un titolo ben confezionato, anche se ingannevole, possa trasformare una percezione in verità. Ma c’è un passaggio ancora più raffinato e, per certi versi, più pericoloso: quello in cui la propaganda si traveste da cultura. Non più titoli gridati, ma articoli sobri, ben scritti, apparentemente imparziali. Eppure costruiti con uno scopo preciso: non far conoscere, ma far schierare.

È il caso di tante testate “autorevoli”, anche cattoliche. Un esempio recente ha coinvolto Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana. L’8 luglio 2025 è stato pubblicato un articolo sul cosiddetto rapporto Dinah, un documento che denuncia gli abusi sessuali compiuti da membri di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023. Fin qui, nulla da eccepire: si tratta di un contributo giornalistico, come tanti altri, su un tema tragico e delicato.

Il problema è sorto quando quell’articolo è stato trasformato in uno strumento di propaganda governativa. Il governo israeliano, attraverso l’Israeli Government Advertising Agency, ha acquistato spazi pubblicitari su Google per promuovere in modo massivo proprio quel link, senza autorizzazione della testata. In pratica, il nome Avvenire è stato usato per dare autorevolezza e risonanza internazionale a una campagna politica mirata, veicolata come contenuto “informativo” ma in realtà parte di una strategia diplomatica.

La direzione del quotidiano ha poi chiarito di non aver autorizzato né ricevuto alcun compenso per quella sponsorizzazione, avvenuta a loro insaputa. Ma il danno era fatto. Il lettore, vedendo un articolo su Avvenire promosso su larga scala come fosse una notizia chiave, non poteva sapere di essere davanti a una forma di propaganda indiretta, pensata per suscitare consenso politico e rafforzare una narrazione precisa del conflitto.

Il punto non è qui giudicare i contenuti del rapporto, né assolvere né condannare, ma far emergere la dinamica che lo accompagna: un’informazione formalmente corretta può essere usata per orientare l’opinione pubblica senza che se ne accorga. Non si offre più al lettore la libertà di farsi un’idea, ma lo si conduce lentamente, silenziosamente, verso una posizione precostituita. Anche chi si informa con attenzione, leggendo articoli ben scritti, può diventare inconsapevole portavoce di una linea politica. Perché non sta più cercando la verità: la sta ricevendo già confezionata, già selezionata, già depurata da ogni dubbio.

Questo vale per Putin trasformato in mostro, per Trump ridotto a caricatura, per Israele assolutizzato in un ruolo salvifico o vittimistico. Non si tratta di negare fatti o storie vere. Ma di denunciare la costruzione narrativa che si fa senza più onestà intellettuale, usando le stesse tecniche che un tempo attribuivamo solo ai regimi: ripetizione, semplificazione, decontestualizzazione, reazione emotiva.

Questa nuova forma di indottrinamento non ti dice cosa pensare. Ti insegna come pensare. Ti costruisce un orizzonte morale ed emotivo in cui certi giudizi sono già pronti, già approvati, già “buoni”. Il lettore crede di formarsi, ma in realtà viene formato. Con parole dosate, immagini selezionate, silenzi strategici. È la pedagogia del consenso.

Il problema non è solo esterno. Anche dentro la Chiesa si affaccia questo pericolo. Non si tratta di scegliere una fazione, progressista o tradizionalista, ma di resistere a ogni uso ideologico dell’informazione. Quando un articolo, anche su una rivista ecclesiale, induce a pensare male di chi non è allineato, o a ridicolizzare una posizione legittima, non è più informazione. È tentazione. Tentazione di orgoglio intellettuale, di appartenenza ideologica, di rifiuto dell’ascolto.

In tutto questo, la questione più grave è la perdita della libertà interiore. Ci si illude di essere critici, e invece si è solo reattivi. Si crede di essere imparziali, e si è già schierati. Si pensa di sapere, e invece si è stati addestrati. Non alla verità, ma alla reazione.

È il contrario dello spirito evangelico. Gesù non ha mai imposto una lettura del mondo. Ha offerto segni, parabole, incontri. E ha lasciato all’intelligenza del cuore il compito di discernere. Lo Spirito Santo, che guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13), non urla nei titoli, non costruisce schieramenti. Ma opera nella coscienza limpida, libera, umile.

Nel tempo delle opinioni obbligate e delle narrazioni pilotate, abbiamo bisogno di Maria. Lei, Vergine del Carmelo, è la Donna che custodisce la verità nel silenzio. È la Madre che non schiera, ma protegge. È la Regina che non domina, ma guida. Il suo sguardo non giudica, ma penetra. E il suo manto, che ci avvolge nello scapolare, è protezione anche contro le menzogne eleganti, quelle che si insinuano come pensiero giusto, ma allontanano dallo Spirito.

Alla scuola di Maria, impariamo a distinguere. A riconoscere il linguaggio della manipolazione. A respingere la semplificazione ideologica. A cercare, nella libertà dei figli di Dio, la sola verità che salva: quella che passa per la croce, che non si impone, che si riceve. Quella che si chiama Gesù.

(fonte)

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