San Gaspare del Bufalo, apostolo del Preziosissimo Sangue

Il testo è una trascrizione di un programma radiofonico di Radio Maria, intitolato “Radici Cristiane” e condotto dal Professor Roberto De Mattei, incentrato sulla devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo. La trasmissione esplora la storia di questa devozione, le sue origini bibliche e la sua diffusione attraverso i secoli e i santi, con un’enfasi particolare su San Gaspare del Bufalo, considerato il suo più grande apostolo. Il professor De Mattei collega l’importanza di questa devozione ai periodi di crisi della Chiesa, come le invasioni napoleoniche e la Rivoluzione francese, evidenziando il ruolo di San Gaspare nella restaurazione dei costumi e nella lotta contro il brigantaggio e le società segrete. Infine, la discussione si estende all’attualità del Preziosissimo Sangue, collegandolo al sangue dei martiri e alla sofferenza della Chiesa moderna, concludendo con le riflessioni degli ascoltatori.

Il mese di luglio è il mese in cui si celebra il Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo. Questa importante devozione non è conosciuta come si dovrebbe e io vorrei farla meglio conoscere non tanto sotto l’aspetto teologico e spirituale, quanto sotto quello storico delle radici cristiane. Le radici cristiane a cui ci alimentiamo sono, infatti, anche la storia dei culti e delle devozioni dal popolo cristiano nel corso dei secoli. Devozioni storiche perché nate e sviluppatesi nella storia, ma devozioni e pratiche religiose vive e attuali perché traggono da Cristo stesso la loro vita perenne. L’istituzione della festa del Preziosissimo Sangue si deve al Papa Pio I. Ma questa devozione non era una novità spirituale. Si trattava di una devozione che risaliva all’insegnamento stesso di Gesù, che offrendosi come vittima dice agli apostoli: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. E per questo San Paolo afferma che in Cristo abbiamo la redenzione per il suo sangue. San Bernardo, San Bonaventura, Santa Gertrude, Sant’Alberto Magno, Santa Caterina da Siena divulgarono poi questa devozione nel Medioevo, ma il suo principale diffusore fu San Gaspare del Bufalo, nato e vissuto a Roma tra il 1786 e il 1837, un santo che Giovanni XXIII definì il vero e il più grande apostolo della devozione al Preziosissimo Sangue. San Gaspare appartiene a quella ricca falange di santi romani della prima metà dell’Ottocento. Romani o di nascita o di elezione perché a Roma vissero e operarono, come Vincenzo Strambi, Vincenzo Pallotti, Annamaria Taigi, Elisabetta Canori Mora, Giuseppe Pignatelli, Carlo De Scalchi e tanti altri ancora. A lui in particolare la Provvidenza riservò di stabilire e diffondere nel mondo la devozione al Sangue Divino. Va ricordato che le grandi devozioni della Chiesa nascono e si sviluppano sempre nei momenti di crisi come risposta alle prove del proprio tempo. Così accadde per la devozione al Sacro Cuore, rivelata dal Signore stesso a Margherita Maria Alacoque alla fine del Seicento come rimedio alla piaga del giansenismo. E così fu per la devozione al Preziosissimo Sangue, che si presentò come un provvidenziale rimedio al naturalismo e all’incredulità dell’Ottocento.

Siamo nell’epoca della Rivoluzione, un’epoca che non si è chiusa, un’epoca che viviamo, che chiamiamo così perché figlia della Rivoluzione Francese ed è sempre da lì che dobbiamo stabilire la genealogia dei mali e degli errori moderni. La Rivoluzione Francese, scoppiata a Parigi nel 1789, arrivò in Italia nel 1796 quando l’esercito del generale Bonaparte, su ordine del Direttorio, valicò le Alpi e irruppe nella penisola, provocando lutti e distruzioni in nome dell’ideologia giacobina. Dove i francesi arrivavano, venivano piantati i cosiddetti alberi della libertà sormontati dal berretto frigio rivoluzionario. Questi alberi della libertà si contrapponevano all’albero della croce cristiana come simboli della nuova Rivoluzione che avrebbe spazzato via con i troni e gli altari ogni ricordo e ogni tradizione del passato. Era il mese di giugno del 1796 quando a Roma giunse la notizia che le truppe di Napoleone avevano invaso gli Stati Pontifici. Si indissero tridui, novene, processioni di penitenza per scongiurare il pericolo, ma tutto fu vano. Proprio in quei giorni però avvenne un fatto miracoloso. Un grande numero di immagini della Madonna iniziò a muovere gli occhi a Roma e in altre città pontificie. Rino Camilleri e Vittorio Messori hanno dedicato un bel libro a questo straordinario fenomeno. Si chiama “Gli occhi di Maria”, è stato pubblicato da Rizzoli nel 2001, riferendo su decine, se non addirittura centinaia, di miracoli che accaddero in Italia centrale, da Ancona a Perugia, da Rimini a Recanati, da Iesi e soprattutto a Roma, tra il 1796 e il 1797. Su questi miracoli fu condotta una rigorosa inchiesta che attestò l’autenticità dei prodigi con i quali la Madonna sembrava preannunciare la catastrofe giacobina. Intanto l’armata di Napoleone avanzava. L’esercito pontificio non era in grado di contrastare l’invasore che entrò in Romagna e nelle Marche, occupando la città di Ancona. Il Papa fu costretto a negoziare con l’invasore, firmando un accordo, il Trattato di Tolentino del 1797, in cui Pio VI cedeva ai francesi le province di Bologna, Ferrara e Ravenna e come indennizzo di guerra oltre 20 milioni di scudi, una cifra enorme per quell’epoca, con l’aggiunta di tutto il rimanente dei tesori artistici in Roma.

In realtà la pace di Tolentino era stata una trappola tesa al Papa perché i francesi avevano già deciso la totale occupazione dello Stato Pontificio. Quando pochi mesi dopo, il 28 dicembre del 1798, fu ucciso a Roma in un tumulto il generale francese Duphot, l’esercito ne trasse pretesto per entrare nella città sacra, proclamare decaduto il potere temporale dei papi e il 15 febbraio del 1798 proclamare la Repubblica Romana. Le proteste di Pio VI furono vane. Il Papa venne imprigionato e condotto a Valenza, in Francia. La Repubblica francese ordinò che la Chiesa consegnasse a Napoleone tutti i beni preziosi che esistevano a Roma e questi beni, stipati in casse sigillate, vennero incolonnati verso Parigi. Moltissime chiese furono ridotte a stalle o a quartieri militari. Fu dichiarato obbligatorio per tutti il culto dell’albero della libertà e ai religiosi venne imposto di portare sugli abiti la coccarda di tre colori francesi. Fu soppressa la settimana e la festa della domenica venne sostituita con la decade come giorno festivo. Tutti erano obbligati a prestare servizio militare nella guardia civica, compresi i religiosi che si vedevano girare per Roma vestiti del loro abito, ma con la coccarda tricolore e lo schioppo in spalla. Tra il 1798 e il 1799, mentre Napoleone si trovava in Egitto, vi fu una controffensiva dell’esercito austro-russo in Italia, ma Bonaparte tornò in Francia, abbatté il Direttorio, si nominò console e scese nuovamente in Italia per riconquistarla. Valicato il San Bernardo entrò trionfalmente a Milano e pochi giorni dopo sbaragliò gli austriaci a Marengo. Intanto il 29 agosto del 1799 Pio VI morì a Valenza, in Francia. Fu deposto in una povera cassa gettata poi in una fossa comune in cui fu scritto: “Cittadino Gianangelo Braschi in arte Papa”. I giacobini erano convinti che sarebbe stato l’ultimo papa della storia. Il suo corpo fu poi riesumato e riposa oggi nelle Grotte Vaticane. I cardinali che la persecuzione giacobina aveva disperso nelle varie parti d’Europa si raccolsero a Venezia dove, sotto la protezione degli austriaci, il 14 marzo 1800 elessero il nuovo papa Barnaba Chiaramonti, che si chiamò Pio VII.

Il nuovo pontefice, imbarcatosi a Venezia, approdò a Pesaro, visitò il santuario di Loreto, dove pregò caldamente la Vergine, e finalmente giunse a Roma, accolto dal popolo in tripudio. Pio VII negoziò con Napoleone un concordato con cui la Chiesa ritrovava una parte di quella libertà che la Rivoluzione Francese aveva drasticamente soppresso. Napoleone aveva capito l’utilità per lui dell’appoggio della Chiesa. Così quando nel maggio 1804 volle proclamarsi imperatore, chiese al Papa di incoronarlo solennemente a Parigi. Pio VII si lasciò convincere. La cerimonia avvenne il 2 dicembre, ma poi Napoleone volle essere incoronato anche re d’Italia, come gli imperatori del Sacro Romano Impero, con l’antichissima Corona Ferrea conservata a Monza. E la cerimonia si svolse nel 1805 nel Duomo di Monza. Il trasporto della Corona Ferrea fu eseguito con tre carrozze scortate da 50 uomini a cavallo. Quando l’arcivescovo fece per mettergliela sul capo, Napoleone l’afferrò e se l’impose da solo, dicendo con alterigia: “Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca”. In questi anni terribili a Roma, Gaspare del Bufalo, nato in una famiglia di nobili origini, ma poi decaduta, si preparava con scrupolo al sacerdozio. Nel 1798, l’anno della prima Repubblica Romana, dopo aver completato gli studi, aveva indossato l’abito talare e 10 anni dopo, il 12 marzo del 1808, ricevette il diaconato dal cardinale Giulio della Somaglia, vicario di Roma, e quindi il 31 luglio fu ordinato sacerdote dal cardinale provicario di Roma Antonio De Spuig. Don Gaspare aveva sognato di fare il missionario, aveva scelto come suo patrono San Francesco Saverio. Ben presto comprese però che il suo campo di missione sarebbe stato la città in cui era nato. Roma, infatti, come ogni città italiana, portava sul corpo le ferite della Rivoluzione. Ai saccheggi, ai vandalismi delle truppe rivoluzionarie erano seguite le nuove mode, il nuovo modo di vivere e di pensare della Rivoluzione, l’incredulità e l’immoralità dilagante e la restaurazione delle idee e dei costumi era l’obiettivo primario di un gruppo di santi sacerdoti che operavano nei rioni più popolari della città. Tra essi don Francesco Albertini, futuro vescovo di Terracina, e don Gaetano Bonanni.

Futuro vescovo di Norcia. Tra la riva sinistra del Tevere e le pendici del Campidoglio, dove oggi sorgono e si vedono i ruderi del Teatro di Marcello, sorgeva allora ai primi dell’Ottocento un vasto quartiere che si differenziava da tutti gli altri della città. La piazza principale di questo quartiere, disseminato di antiche chiese, era detta Montanara perché qui si raccoglievano all’alba i lavoratori della campagna o montanari, quasi tutti provenienti dalle Marche, dall’Abruzzo e dalle regioni limitrofe. Qui essi trattavano la loro mercede e si munivano degli attrezzi agricoli necessari a lavorare i campi. Piazza Montanara, cantata dal Belli e riprodotta nelle tele del Pinelli, era una delle piazze più caratteristiche della Roma dell’Ottocento. È stata cancellata negli anni ’30 del Novecento per la costruzione della Via del Mare, oggi Via del Teatro di Marcello. A Piazza Montanara sorgeva una chiesa dedicata a Santa Galla. È pia tradizione che in questo luogo fosse già la casa paterna della matrona romana Galla, figlia di Simmaco, ucciso dal re Teodorico. E si racconta che nell’anno 525, mentre Galla era in casa, intenta alla carità, le apparve la Vergine. Da allora si sviluppò il culto a un’immagine della Madonna che oggi è venerata nella chiesa di Santa Maria del Portico a Piazza Campitelli. E questo perché l’antica icona fu trasferita dalla chiesa di Santa Galla a quella di Santa Maria in Campitelli nel 1606. A Santa Galla, nei cui pressi sorgeva anche un grande ospedale, avevano esercitato il loro apostolato figure come San Giovanni Battista de Rossi, morto nel 1764, genovese di origine, ma vissuto e morto a Roma, dove si era dedicato alla cura dei malati. San Giovanni Battista de Rossi si spense a Roma nell’altro grande ospedale di questa zona, quello della Santissima Trinità dei Pellegrini. Gaspare del Bufalo aveva letto la vita del De Rossi e ne era stato edificato. Ed è ai malati, ai poveri, agli orfani che vivevano in questo quartiere che egli iniziò a dedicare tutte le sue cure. Il giovane sacerdote faceva la spola tra le due chiese che davano su Piazza Montanara, la chiesa di Santa Galla, appunto, e l’altra più piccola di Santa Maria in Vincis.

Queste due chiese oggi non esistono più perché sono state distrutte quando fu creata la Via del Mare. Però ne rimane un’altra molto importante per la nostra storia, la chiesa di San Nicola in Carcere. San Nicola in Carcere sorge sulle rovine di due antichissimi templi romani. La chiesa, costruita nel VI secolo e poi ricostruita in epoca medievale, aveva il nome di In Carcere per una prigione che vi sorgeva accanto. Ebbene, nella chiesa di San Nicola in Carcere era conservata con particolare devozione ed esposta alla venerazione dei fedeli una preziosa reliquia del Sangue di Cristo. Stando alla tradizione, il capostipite dell’aristocratica famiglia dei Savelli, un legionario che si trovava presente alla morte del Salvatore, ebbe la veste spruzzata da alcune stille del sangue sgorgato quando il costato divino fu trafitto dalla lancia di Longino. Convertitosi a Cristo, il legionario staccò dall’abito la parte ancora rossa di sangue e, tornato a Roma, la conservò nella sua dimora, chiusa in un reliquiario di ebano e di cristallo, dove restò gelosamente custodita fino al 1708, anno nel quale il principe Giulio Savelli, ultimo di una famiglia che aveva la carica di Marescialli di Santa Romana Chiesa e custodi perpetui del conclave, l’ultimo principe Savelli, la offrì in dono alla chiesa di San Nicola in Carcere in una cassetta d’argento accuratamente sigillata. Fu posta in venerazione all’altare del Santissimo Crocifisso, un Crocifisso che un giorno aveva parlato a Santa Brigida e sulla cassetta fu scolpita la scritta: “De aqua et sanguine Domini Nostri Jesu Christi quae effluxerunt ex eius sacratissimo latere dum pendebat in crucem“. Quindi attorno alla venerazione verso questa reliquia e verso il Crocifisso era nata una festa popolare a cui partecipava tutta la parrocchia, una parrocchia che comprendeva la vasta area di Piazza Montanara ai piedi del Campidoglio. Ebbene, fu attorno a questa reliquia, a questo altare, che il canonico Francesco Albertini, di cui abbiamo parlato, iniziò a promuovere la devozione al Preziosissimo Sangue, istituendo una speciale coroncina recitata dai fedeli di Roma e di fuori nelle chiese e in privato.

L’Albertini il 2 luglio 1807 si era consacrato alla Madonna, facendo voto ai piedi del suo altare di non cercare altro sulla terra che la pura gloria di Dio. Un giorno, in cui era tutto assorto in Dio, aveva sentito un forte stimolo soprannaturale di risvegliare nelle anime la devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù attraverso una speciale istituzione. E ciò accadeva proprio mentre la città di Roma passava uno dei giorni più tristi della sua storia. Il 21 gennaio 1808, infatti, Napoleone aveva dato ordine al generale Miollis di invadere lo Stato Pontificio. Il 2 febbraio 1808, giorno della Purificazione, le truppe francesi penetrarono in Roma. Era la seconda invasione francese dopo quella di 10 anni prima, del 1798. Pio VII si oppose a ogni resistenza limitandosi a far pubblicare, nello stesso giorno, dal cardinale Filippo Casoni, suo segretario di Stato, una notificazione in cui si diceva che il Papa, rassegnato com’egli è nell’umiltà del suo cuore e ai giudizi imperscrutabili dell’Altissimo, mette nelle mani di Dio la sua causa e non volendo d’altronde mancare all’essenziale obbligazione che gli corre di garantire i diritti della sua sovranità, ci ha comandato di protestare, come egli formalmente protesta in nome suo e dei suoi successori, contro qualunque occupazione dei suoi domini, intendendo che rimangano ora e in appresso illesi ed intatti i diritti della Santa Sede sui medesimi. Pio VII dimorava al Quirinale, mentre una parte delle truppe francesi, per intimidirlo, bivaccava sulla piazza e nelle adiacenze del Palazzo Pontificio. E lì il Papa stette di fatto recluso per 17 mesi, finché il 10 giugno del 1809, su ordine di Napoleone, il generale Miollis fece togliere lo stemma pontificio dal Quirinale, sostituendolo con la bandiera francese, mentre a suon di tromba faceva annunciare in tutti i quartieri della città che, per decreto dell’imperatore, il potere dei papi era abolito e Roma e lo Stato Pontificio venivano annessi all’Impero Francese. Pio VII firmò quel giorno stesso la bolla di scomunica contro Napoleone e tutti coloro che avevano collaborato con lui in quest’atto.

E all’alba del 5 luglio dello stesso anno 1809, i soldati francesi irruppero nel Palazzo Pontificio, si impadronirono di Pio VII e, dopo un lungo e penoso viaggio, lo condussero a Grenoble in Francia e quindi di nuovo in Italia, prigioniero a Savona. Si può immaginare quale effetto dovette fare la notizia della cattura e della prigionia del Papa? Il popolo si riversò nelle piazze a pregare, mentre a Roma e in tutto lo Stato Pontificio venne imposto il giuramento di fedeltà al nuovo regime. Il 12 giugno 1810 giunse a casa del Bufalo un biglietto della polizia francese. Si intimava al canonico don Gaspare di presentarsi il giorno seguente alla sede della Prefettura francese per prestare il giuramento di fedeltà all’imperatore davanti ai magistrati, suoi rappresentanti. Gaspare si presentò, accompagnato dal padre, dinanzi all’ufficiale francese, ma alla richiesta di giuramento rispose con le stesse parole che Pio VII aveva rivolto ai francesi: “Non posso, non debbo, non voglio”, dicendosi pronto al carcere e alla morte pur di non prestare il giuramento. Nessuna lusinga né minaccia lo convinse. Fu condannato alla deportazione immediata. Ebbe come compagni di esilio tre altri sacerdoti romani che, come lui, avevano rifiutato il giuramento civico. Tra essi era il canonico Francesco Albertini che lo dirigeva spiritualmente e che lo preparava a svolgere un ruolo primario nella diffusione della devozione al Preziosissimo Sangue. Qualche mese prima, infatti, il 15 marzo del 1810, nel monastero delle Paolotte presso la Suburra, era morta una santa religiosa, suor Maria Agnese del Verbo Incarnato. Prima di morire aveva confidato al canonico Albertini che la dirigeva spiritualmente: “Conoscerete nelle angustie della Chiesa un giovane sacerdote che fonderà una nuova congregazione di sacerdoti missionari sotto l’invocazione del Divin Sangue per la riforma dei costumi e per la salvezza delle anime. Egli sarà la tromba del Divin Sangue onde scuotere i peccatori e i settari nei difficili tempi della cristianità”. L’Albertini non tardò a riconoscere il predestinato nel giovane canonico del Bufalo che con lui condivideva la prigionia.

Gaspare del Bufalo passò 4 anni in esilio, incarcerato nella Rocca di Imola e poi in quella di Lugo, mentre l’Albertini veniva recluso nelle prigioni di Bastia in Corsica. La loro sorte non era diversa da quella di Pio VII che il 9 giugno del 1812 venne fatto prelevare da Napoleone e trasferito a Fontainebleau, dove il 25 gennaio del 1813 fu costretto a firmare un disastroso documento nel quale i diritti e le prerogative della Santa Sede erano gravemente compromessi. Un mese dopo, però, resosi consapevole dell’errore, il Papa scrisse di proprio pugno una lettera di ritrattazione a Napoleone e in una successiva allocuzione invocò la nullità del trattato. Ma ormai per Napoleone i giorni erano contati. Il 31 marzo del 1814 Bonaparte veniva sconfitto a Lipsia e il 6 aprile dello stesso anno abdicava. Il sogno imperiale si frantumava. Pio VII poté riprendere la via del ritorno nei suoi stati e il 28 marzo del 1814 fece il suo ingresso trionfale in Roma. Tornarono anche i canonici Albertini e del Bufalo, mettendosi al servizio del Papa. La devozione al Preziosissimo Sangue costituiva l’anima del loro apostolato. L’Albertini fu il fondatore di una Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue aperta a religiosi e laici, mentre il del Bufalo istituì la Congregazione dei Missionari del Sangue Preziosissimo di Gesù, inaugurando il 15 agosto del 1815 la prima casa dell’opera presso l’abbazia di San Felice di Giano dell’Umbria. La regola della Congregazione venne poi approvata nel 1841 dal Papa Gregorio XVI. Il Papa volle affidare due incarichi particolari ai nuovi istituti: risanare i territori pontifici da due gravissime piaghe che li affliggevano, il brigantaggio e le società segrete, carbonare e massoniche. Il metodo per svolgere quell’opera era quello stesso delle missioni popolari che il canonico del Bufalo svolgeva seguendo le orme dei grandi santi del Settecento: Alfonso de Liguori, Paolo della Croce, Leonardo da Porto Maurizio. Gaspare percorse perciò gli Stati Pontifici e quasi tutte le regioni dell’Italia centrale spinto da uno zelo irresistibile. Le sue missioni, che chiamava “un assedio da darsi ai popoli”, duravano dai 10 ai 15 giorni.

Predicava a ogni ceto di persone, celebrava funzioni religiose, confessava, consigliava, raccoglieva armi vietate, libri proibiti, stampe oscene, carte da gioco, oggetti di superstizione e tutto distruggeva o bruciava alla fine della missione, regalando in compenso e diffondendo libri buoni, di preferenza “Le massime eterne” di Sant’Alfonso de Liguori. I frutti superavano ogni attesa. Pubblici scandali rimossi, vertenze familiari ricomposte, coniugi riconciliati, perdoni accordati, figli traviati recuperati, somme di denaro restituite. E non mancavano i prodigi, come quando si udiva giungere la voce del predicatore a distanza di chilometri o essere compresa anche da chi parlava altre lingue. Era veramente la profetizzata “tromba di Dio”. L’idea era quella di contrapporre ai missionari del male, briganti e settari, i missionari della verità e del bene. Il brigantaggio fioriva in Campania, negli Abruzzi, nella Calabria e soprattutto negli Stati Pontifici, in quei territori della Marittima e Campagna che comprendevano una vasta area tra gli Appennini e le Paludi Pontine fino alle soglie di Roma, sui monti di Albano e del Tuscolo. Tra le cause del fenomeno del brigantaggio era stata la coscrizione obbligatoria imposta dai francesi e dietro i briganti, costituiti da un gran numero di disertori e renitenti alla leva, c’era una silenziosa retroguardia di complici costituita da mogli, madri, figli dei briganti che di notte procuravano armi e viveri ai loro cari a rischio della loro vita. Monti, rupi, boscaglie inaccessibili erano il luogo di elezione dei briganti che, snidati da un covo, si arrampicavano su un altro. Tutti questi luoghi furono percorsi da San Gaspare del Bufalo, che vinse la ferocia e la crudeltà dei briganti con la predicazione dell’amore divino attraverso il culto al Sangue di Cristo. E fu così che la città di Sonnino, dominata dal famoso brigante Antonio Gasbarrone, una città detta Brigantopoli per il numero di briganti di cui pullulava, fu salvata dalla distruzione vista dalle forze di polizia e Gasbarrone si arrese alle forze di polizia.

Oggi San Gaspare del Bufalo è il patrono della città di Sonnino e l’altra piaga che affrontò fu quella altrettanto grave delle società segrete che infestavano gli Stati Pontifici. Anche in questo caso Gaspare convertì intere logge massoniche e non si stancò di mettere in guardia il popolo contro la loro satanica propaganda. Per questo era chiamato anche con il titolo di “Martello dei settari”. Al tempo stesso, ha ricordato Pio XII nel discorso che fece nel 1954 in occasione della canonizzazione di Gaspare del Bufalo, al tempo stesso egli dava sagge regole all’istituto ed, esclamando “Paradiso, Paradiso!”, si sottraeva ad ogni offerta di dignità ecclesiastiche, desiderando di rimanere sino alla morte “sul palco”, vale a dire nel campo della sacra predicazione, fiducioso com’era di ricevere in tal guisa più facilmente e senza indugio il premio eterno. Ed il Signore accolse la sua preghiera che la morte lo colpisse in mezzo alle fatiche dell’apostolato, onde egli lasciò ai suoi figli un ammirabile modello di uno zelo eroico che generosamente si immola per il più gran bene delle anime. Gaspare del Bufalo morì a 50 anni, il 28 dicembre del 1837. San Vincenzo Pallotti, suo grande amico ed estimatore, vide la sua anima salire in cielo in forma luminosa e Gesù venirle incontro. Fu beatificato da Pio X nel 1904 e canonizzato da Pio XII, come abbiamo ricordato, il 12 giugno del 1954. La sua festa è il 28 dicembre. Il suo corpo oggi a Roma nella chiesa di Santa Maria in Trivio accanto alla Fontana di Trevi. Mi fermo un momento qui, cari amici, per una breve pausa musicale e riprenderemo tra pochi minuti la nostra conversazione.

San Gaspare del Bufalo viveva tempi tragici per la Chiesa. Egli era convinto però che la devozione al Divin Sangue avrebbe salvato gli uomini dai castighi divini pronti a piombare sulla società corrotta della sua epoca. Egli considerava la devozione al Preziosissimo Sangue come “la devozione dei tempi”, “l’arma dei tempi”, “l’arma più potente per vincere e umiliare Lucifero”.

Essa, diceva, è quel Preziosissimo Sangue che si offre di continuo nella messa e che si applica nei sacramenti. Per diffondere nel mondo questa devozione aveva fondato la sua congregazione e difeso anche contro le obiezioni di qualche papa il titolo che le fu poi assegnato. Ed è per fare meglio conoscere questa devozione che oggi noi ne stiamo parlando nello spirito che fu di San Gaspare e ponendoci sotto il suo patrocinio. San Gaspare del Bufalo, nella propagazione di questa devozione, fu affiancato, come tanto spesso accade, da un’altra Santa, Maria de Mattias, che fondò le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. Altri istituti religiosi si ispirarono nel XX secolo alla stessa spiritualità, come le Suore del Preziosissimo Sangue, le cosiddette “Preziosine”, fondate dalla venerabile Madre Maria Matilde Bucchi, e le Figlie della Carità del Prezioso Sangue, fondate a Pagani da don Tommaso Fusco. Tutti i papi successivi incoraggiarono questa devozione così intimamente legata a quella del Sacro Cuore. Basti qui ricordare Pio XI che il 25 aprile del 1934, in occasione del 19° centenario della Redenzione, elevò la festa del Preziosissimo Sangue al rito doppio di prima classe per, disse, “ricordare ai traviati dal paganesimo imperante nella vita e nei costumi la necessità di tornare alle sorgenti della grazia, alle piaghe e al sangue che da quelle a purificazione e salvezza del genere umano”. Anche Papa Giovanni XXIII propagò questa devozione con la lettera apostolica “Inde a primis” del 30 giugno del 1960, ma con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II la festa del Preziosissimo Sangue fu soppressa, o meglio abbinata a quella del Corpus Domini, non mancando di suscitare malcontento tra i devoti del Divin Sangue e tra gli istituti religiosi a questo consacrati. Questa importante devozione non è tuttavia dimenticata e non potrebbe esserlo perché sta al centro dei misteri del Cristianesimo. Giovanni Paolo II nella “Evangelium vitae” parla del sangue di Cristo come “sangue dell’aspersione che redime, purifica e salva”. È il sangue del Mediatore della Nuova Alleanza, versato per molti in remissione dei peccati. Benedetto XV ha collegato questa devozione al sangue versato dai cristiani perseguitati nel mondo.

Ed è proprio su questo punto che possiamo scoprirne l’attualità. Il Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo è anche il prezioso sangue della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e dunque dal suo sangue irrorata. Se, come dice la Sacra Scrittura, la vita di una creatura risiede nel sangue, la vita della Chiesa, che è il Corpo Mistico di Cristo, risiede nel suo sangue. Il sangue, come il cuore, è principio di vita e nulla è più venerabile del Sangue di Cristo, sangue di un Dio e dunque più prezioso di tutti i tesori della terra. Ogni goccia di questo sangue ha un valore infinito. Il Sangue di Cristo è soprattutto l’espressione simbolica, ma al tempo stesso reale della Redenzione, quel mistero che ci ricorda che Gesù è l’Agnello Pasquale la cui immolazione ha cancellato i peccati del mondo e ci ha riconciliato con Dio. E dunque il Sangue di Cristo ci ricorda il mistero centrale del Cristianesimo, quello della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, l’Uomo-Dio che a prezzo del suo sangue ci ha riscattato e ci ha destinato alla felicità eterna. Sapete bene, dice San Pietro nella sua prima lettera, che non a prezzo di beni corruttibili, con oro o argento, foste riscattati dalla vana forma di vita ereditata dai padri, ma a prezzo del sangue prezioso dell’Agnello illibato e immolato. La Redenzione si può definire l’atto per il quale Gesù Cristo, col prezzo del suo sangue, espressione del suo amore, ha strappato il genere umano al peccato e al demonio e lo ha riconciliato con Dio. Il sangue da lui versato è l’espressione del suo amore. E questo sangue continua ad essere versato e offerto nella messa che rinnova in modo incruento l’immolazione di Cristo per applicarne i frutti alle generazioni che passano fino alla fine del mondo. Ecco, la messa è un sacrificio che perpetua in maniera incruenta il sacrificio del Calvario perché è la stessa vittima, Gesù Cristo, che viene offerta ed è lo stesso sacerdote, sempre Gesù Cristo, che la offre. Infatti il sacerdote opera in persona Christi, un rito incruento, cioè non sanguinoso, ma che rappresenta sacramentalmente l’immolazione sanguinosa del Calvario. La passione di Cristo però non si concluse sul Golgota e non ha avuto mai termine. È la condizione stessa della vita della Chiesa.

Il colpo di lancia portato contro Cristo nel Calvario si rinnova nelle persecuzioni contro la Chiesa e da questi attacchi scaturisce come sul Calvario il sangue di Cristo che è il sangue dei cristiani. La lotta che si fa alla Chiesa e ai cristiani si fa a Cristo perché i perseguitati sono membra del corpo di Cristo che continua ad essere crocifisso e a versare il suo sangue. Per questo dice Pio XII: “La Chiesa è sposa di sangue. Nel sangue sono i suoi figli, i suoi ministri calunniati, imprigionati, uccisi, sgozzati. Chi avrebbe mai creduto possibile?”, dice sempre il Papa, “in questo secolo XX, dopo tanti progressi di civiltà, dopo tante affermazioni di libertà, tante oppressioni, tante persecuzioni, tante violenze”. Ma la Chiesa non teme. Essa vuole essere sposa di sangue e di dolore per ritrarre in sé l’immagine del suo Sposo divino, per soffrire, per combattere, per fare con lui. Fin qui Pio XII, ma l’immagine della Chiesa sposa di sangue e di dolore è impressa a fuoco nella storia del Novecento. E nel suo testamento Giovanni Paolo II ha ritrasmesso, potremmo dire, questa immagine al XXI secolo con queste parole: “La Chiesa si trova in un periodo di persecuzione tale da non essere inferiore a quelle dei primi secoli, anzi li supera per il grado della spietatezza e dell’odio”. “Sanguis martyrum semen christianorum“. Questa stessa espressione di Tertulliano è stata ripresa da Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato, quando il 25 aprile del 2005 nella Basilica di San Paolo fuori le mura, ha ricordato che “è lecito attendersi una rinnovata fioritura della Chiesa, perché, secondo le parole di Tertulliano, il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”. I martiri, testimoni della fede in Gesù Cristo, sono coloro che versano il sangue per lui. Per questo, fin dai primi secoli, i loro corpi erano raccolti dal luogo del martirio e il sangue che essi avevano versato veniva raccolto con spugne o con pezzi di tessuto e conservato in ampolle di argilla o di vetro. E il sangue di alcuni di essi ancora oggi è testimonianza del loro martirio, come accade a Napoli con San Gennaro, a Priverno con San Lorenzo, a Ravello con San Pantaleone, tutti luoghi dove il sangue di questi santi continua miracolosamente ogni anno a liquefarsi.

Il sangue dei martiri è il sangue stesso di Cristo che circola nella Chiesa e la vivifica. La Chiesa è viva e feconda perché nelle sue membra circola il sangue di Cristo che sgorga dal sacrificio del Calvario. “Il sacrificio del corpo e sangue di Cristo”, ha detto Benedetto XVI, “comprende a sua volta il mistero della passione di nostro Signore che continua nei membri del suo corpo mistico, la Chiesa in ogni epoca. Questo aspetto del mistero è rappresentato nel prezioso sangue dei martiri che hanno bevuto al calice da cui Cristo stesso ha bevuto e il cui sangue, sparso in unione al suo sacrificio, dà nuova vita alla Chiesa. Ciò”, dice ancora Benedetto XVI, “è anche riflesso nei nostri fratelli e sorelle nel mondo che ancora oggi soffrono discriminazioni e persecuzioni per la loro fede cristiana, ma è anche presente, spesso nascosto, nelle sofferenze di tutti quei singoli cristiani che quotidianamente uniscono i loro sacrifici a quelli del Signore per la santificazione della Chiesa e la redenzione del mondo”. E noi potremmo aggiungere che Cristo continua oggi a sanguinare non solo per il sangue dei martiri, ma per il vilipendio continuo al suo vicario, per gli oltraggi e le profanazioni che avvengono nelle sue chiese e nei suoi altari, per l’infedeltà dei suoi ministri, per la tiepidezza e la mancanza di combattività dei buoni, per ogni ostacolo, insomma, che viene frapposto all’espansione e alla vittoria della Chiesa nel mondo. La Chiesa è sposa di Cristo e madre di ogni cristiano. Per questa madre ogni cristiano deve essere pronto a combattere, a dare il suo sangue come Cristo lo ha fatto per la sua sposa e per ognuno di noi. Così ha fatto Shahbaz Bhatti, assassinato a Islamabad il 2 marzo del 2011. Dobbiamo continuare a meditare le sue parole, quello che ci ha lasciato scritto nel suo testamento: “Il mio nome è Shahbaz Bhatti, sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù.”

“Fu l’amore di Gesù che mi indusse a offrire servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua, quando avevo solo 13 anni, ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione, per la salvezza del mondo e pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico”. Ecco ciò che spinse Shahbaz Bhatti a versare il suo sangue per la fede fu il sangue versato da Gesù per la nostra redenzione. E l’esempio di Shahbaz Bhatti deve segnare la strada di ogni cristiano e spingerci a combattere con coraggio e con pazienza contro i mali del nostro tempo. Al relativismo, al secolarismo, all’edonismo dominanti, dobbiamo opporre lo spirito di Cristo che ci ricorda la del sacrificio e della penitenza, perché dice Gesù: “Chi vuole venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua”. La vita del cristiano è vita di sacrificio e di lotta, illuminata dalla luce della croce e alimentata dal sangue divino di Cristo. Il sangue di Cristo, che è il sangue della Chiesa, è drammaticamente presente sullo sfondo del messaggio di Fatima che proietta la sua profezia sul XX secolo. Nell’autunno del 1916 comparve a Lucia, Francesco e Giacinta un angelo tenendo nella mano sinistra un calice. Sopra era sospesa un’ostia da cui cadevano alcune gocce di sangue dentro il calice. L’angelo lasciò il calice e l’ostia sospesi nell’aria e, prostrato fino a terra a fianco dei pastorelli, ripeté, imitato da loro, tre volte questa preghiera: “Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Io vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo presente in tutti i tabernacoli del mondo in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi, delle indifferenze da cui egli medesimo è offeso e per i meriti infiniti del suo Sacro Cuore, del Cuore Immacolato di Maria, io vi domando la conversione dei peccatori”. Ecco, oltraggi, sacrilegi, indifferenze, peccati. Questa è l’unica tragedia del nostro tempo. Non le guerre, né la fame, né le malattie, né i danni ecologici del pianeta.

Tutte queste sono conseguenze e non cause. E per questo l’angelo prese nuovamente il calice e l’ostia e diede l’ostia a Lucia e il sangue del calice a Francesco e a Giacinta, dicendo: “Prendete e bevete il corpo e il sangue di Gesù Cristo oltraggiato dagli uomini ingrati, riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio”. Quindi si prostrò di nuovo e ripeté ancora tre volte la preghiera “Santissima Trinità” per poi scomparire. Al Sangue di Cristo immolato nell’Eucaristia corrisponde nel messaggio di Fatima, potremmo dire, quello dei martiri che sono la Chiesa. E nel Terzo Segreto suor Lucia vede, come racconta, sotto i bracci della croce due angeli, ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio. Il sangue dei martiri ha una forza irrigatrice. Irrigando dà la vita, è fonte di rinascita spirituale degli uomini e dei popoli. A una sua figlia spirituale nel monastero della Visitazione in Roma suor Matilde, il canonico Albertini disse un giorno in spirito profetico: “Beati quelli che saranno intinti nel Divin Sangue, allorquando verranno i tempi più calamitosi della Chiesa. Iustificati in sanguine ipsius, salvi erimus ab ira per ipsum. Più si estenderà in guisa di diluvio di misericordie sulla terra la devozione del Divin Sangue e più si affretteranno le misericordie di Dio”. “Era”, diceva Albertini, “grande strage degli empi con poco sangue dei buoni”. Anche San Gaspare del Bufalo profetizzò tempi terribili per la Chiesa e castighi divini da cui i buoni sarebbero stati preservati dal sangue di Cristo. Questo sangue divino continua ad essere un segno di salvezza nel tempo e nell’eternità. Per questo è bello vivere luglio col Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo. Cari amici di Radio Maria, concludo con queste parole la conversazione di questa sera. Nel mese di agosto la nostra rubrica sarà interrotta e quindi do il prossimo appuntamento al terzo mercoledì del mese di settembre, il 21 settembre, ma c’è ancora tempo, forse dopo una breve pausa musicale, per qualche domanda prima di chiudere la nostra trasmissione.

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