Dio lo vuole o lo permette? La dottrina cattolica sulla permissione divina

Sintesi di una video-conferenza di Corrado Gnerre. La dottrina cattolica sulla permissione divina distingue tra volontà e permissione. Dio, essendo sommo bene, ripugna totalmente il male morale (peccato), che non è mai voluto ma solo permesso. Il male è privazione del bene, originato dall’allontanamento della creatura libera. Il male fisico (sofferenza) è conseguenza del peccato originale ed è sempre permesso; può essere voluto (per accidence) da Dio in vista di un bene superiore (es. castigo o santificazione). Tutto ciò che accade è sempre permesso da Dio, poiché Egli è la Causa sussistente che mantiene la creazione nell’essere. La sofferenza, se accettata, è fondamentale per la cristificazione e ha un valore redentivo.

Introduzione: Il Paradosso che Scuote la Fede

Se Dio è infinitamente buono, perché esiste il male? Perché permette la sofferenza, specialmente quella degli innocenti? Questa è forse la domanda più antica e dolorosa che ogni essere umano si pone, un paradosso che può scuotere anche la fede più solida. La saggezza popolare, con detti come “non si muove foglia che Dio non voglia”, sembra suggerire un controllo divino totale che, di fronte al dolore, può generare confusione e angoscia.

Tuttavia, la teologia cattolica offre una distinzione cruciale e illuminante per navigare questo mistero: una cosa è ciò che Dio vuole, un’altra è ciò che permette. Comprendere questa differenza è il primo passo per dare un senso a ciò che sembra non averne.

In questo articolo, esploreremo cinque approfondimenti chiave, tratti da una riflessione del professor Corrado Gnerre, che possono trasformare radicalmente la nostra prospettiva sulla sofferenza, offrendo non risposte facili, ma una speranza profonda e radicata nella fede.

1. Il Male Non È Ciò Che Pensi: Non è una Creazione, ma un’Assenza

Il primo passo per fare chiarezza è capire la vera natura del male. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il male non è una sostanza, una forza autonoma o qualcosa creato da Dio. La teologia e la filosofia cristiana lo definiscono come una “privazione del bene”, ovvero una mancanza, un’assenza. L’analogia più semplice è quella dell’oscurità: il buio non è una “cosa” in sé, ma semplicemente l’assenza di luce.

Il male ha origine quando una creatura dotata di libertà — prima l’angelo, poi l’uomo — usa male questa facoltà per allontanarsi da Dio, che è il Bene Assoluto. Allontanandosi dalla fonte del bene, si genera una “mancanza di bene”, cioè il male.

Questo punto è fondamentale: Dio, essendo Bene Assoluto e perfettissimo, non può per sua natura creare il male. La logica stessa ce lo impone: Dio è un essere perfettissimo, e nell’assoluta perfezione non può esistere la contraddizione. Non possiamo affermare che Dio sia amore e non-amore, bene e male, allo stesso tempo. Il male, quindi, non ha una “causa efficiente” (qualcosa che lo produce attivamente), ma una “causa deficiente” (qualcosa che viene meno, una mancanza).

2. La Distinzione Cruciale: Dio Permette Tutto, ma Non Vuole il Peccato

Qui entriamo nel cuore della questione, distinguendo tra la permissione di Dio e la sua volontà.

Tutto ciò che accade, compreso il peccato e l’azione del demonio, avviene all’interno della permissione divina. Per capire questo concetto, pensiamo al rapporto tra Dio e la creazione. Dio non è come un orologiaio che costruisce l’orologio e poi lo lascia andare. Egli sostiene costantemente ogni cosa nell’esistenza.

Immaginiamo una lampadina elettrica. Non rimane accesa solo perché abbiamo premuto l’interruttore una volta, ma perché l’energia elettrica continua a fluire ininterrottamente. Se interrompessimo quel flusso, la luce svanirebbe all’istante. Allo stesso modo, ogni cosa, inclusa la nostra esistenza, continua a essere solo perché Dio la “mantiene nell’essere”. Se smettesse di farlo, non moriremmo, ma torneremmo al nulla. Di conseguenza, ogni azione, buona o cattiva, può avvenire solo perché Dio permette che la creatura esista e agisca.

“…se non è possibile affermare che tutto ciò che accade è sempre e comunque voluto da Dio è sicuramente possibile affermare che tutto ciò che accade è sempre permesso da Dio.”

Tuttavia, la verità più importante e consolante è questa: Dio non può mai, in nessun caso, volere il male morale, cioè il peccato. L’idea che Dio possa desiderare attivamente un peccato per trarne un bene superiore è teologicamente inaccettabile. Sarebbe una sorta di “machiavellismo” divino, totalmente contrario alla sua natura di Sommo Bene.

3. La Verità Difficile: Dio Può Volere la Sofferenza Fisica (per un Bene Superiore)

La teologia distingue tra il “male morale” (il peccato) e il “male fisico” (la malattia, la sofferenza, la morte). Mentre Dio non vuole mai il primo, la sua relazione con il secondo è diversa. Il male fisico, è bene ricordarlo, è una diretta conseguenza del Peccato Originale, che ha ferito non solo l’uomo ma l’intera creazione.

Questo male fisico, pur ripugnando a Dio in quanto male, può essere voluto da Lui “per accidens” (cioè incidentalmente), in vista di un bene enormemente superiore. Gli esempi sono potenti e chiari:

  • La sofferenza di Cristo sulla croce, voluta per la redenzione di tutta l’umanità.
  • Le prove, le malattie o i castighi inviati come ammonimento per portare una persona alla conversione e alla salvezza.
  • Le croci che permettono di acquisire meriti per la vita eterna, unendoci al sacrificio di Cristo.

Questa idea, sebbene dura, non rivela un Dio distante o indifferente, ma un Padre che è attivamente coinvolto nella nostra salvezza e che, nel suo amore infinito, è capace di trarre il bene più grande anche dal dolore più profondo.

4. Il Ricamo Visto dal Rovescio: Il Significato Nascosto della Sofferenza

Per affrontare il mistero della sofferenza, specialmente quella degli innocenti, San Giovanni della Croce e San Pio da Pietrelcina usavano una metafora potente: la nostra vita terrena è come un ricamo visto dal retro.

Dal nostro punto di vista limitato, vediamo solo un “groviglio incomprensibile di fili”. Non capiamo perché quel filo doloroso passi proprio lì, perché quella prova colpisca un bambino, perché il disegno sembri caotico e privo di senso.

Tuttavia, la fede ci assicura che un giorno, nell’eternità, vedremo finalmente il ricamo dalla parte anteriore. Allora comprenderemo come quel groviglio apparentemente insensato corrispondesse in realtà a un “disegno perfettissimo”.

Anche se non possiamo conoscere la spiegazione di ogni singola prova, abbiamo la certezza che esiste un grande significato che avvolge tutto. Nessuna sofferenza di un innocente andrà mai perduta o non sarà ricompensata da Dio in una misura che supera ogni nostra immaginazione.

5. Il Paradosso Finale: Un Cristianesimo Senza Croce Rende Dio Crudele

L’argomento più provocatorio e controintuitivo riguarda il tentativo, molto diffuso nella cultura contemporanea, di “ammorbidire” il cristianesimo, rimuovendo la centralità della croce e il valore redentivo della sofferenza per rendere Dio “meno duro”. Questo sforzo ottiene l’esatto contrario.

Il ragionamento è stringente: se si nega che la sofferenza possa avere un valore di compensazione per il peccato e di partecipazione all’opera redentiva di Cristo, allora il dolore degli innocenti diventa veramente e irrimediabilmente insensato e ingiusto. Se si rimuove questo significato, non solo viene meno tutto il senso dell’Incarnazione e della Redenzione, ma Dio stesso appare come un tiranno crudele che permette il dolore senza alcun motivo.

“il cristianesimo senza la croce… diventa assolutamente incomprensibile… diventa anche impossibile poter dare una spiegazione alla sofferenza degli innocenti.”

Paradossalmente, è proprio la dottrina della croce, spesso considerata “dura”, a salvare l’immagine di un Dio buono e giusto di fronte al mistero del male. È perché la sofferenza ha un valore salvifico che Egli la permette.

Conclusione: La Felicità Non È Assenza di Dolore, ma Presenza di Speranza

La vera felicità in questa vita non consiste nell’assenza di sofferenza, che è ineliminabile. Consiste invece nell’alternativa alla disperazione: la speranza teologale. È la certezza che la nostra vita e il nostro dolore hanno un senso ultimo.

Cristo non è venuto a toglierci la croce, ma a insegnarci come portarla, trasformandola da macigno che opprime a strumento di santificazione e di unione con Lui.

Il nostro Signore Gesù Cristo fu crocifisso con due ladroni ai suoi fianchi. Essi non soffrirono in modo diverso: gli stessi chiodi trafissero le carni dell’uno e dell’altro. Eppure, per un ladrone quella sofferenza fu causa di dannazione, perché si disperò. Per l’altro, quella stessa sofferenza divenne l’occasione per una grazia incommensurabile: la salvezza. Di fronte alla croce inevitabile della nostra vita, la vera domanda non è “perché?”, ma “chi scegliamo di essere?”.

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