“lo spettacolo dei Dieci Comandamenti”, così definisce senza remore, Roberto Benigni, le sue due serate sulla Rai, il 15 e il 16 dicembre 2014, con puntate da record degli ascolti, ma anche di un suo compenso personale di ben 4 milioni di euro!
Sì, avete letto bene: 4 milioni di euro per 3 ore o poco più di spettacolo, in due serate, sui Dieci Comandamenti…..
Fa pensare che nessuno si scandalizza di questo compenso che è davvero immorale a fronte della crisi economica che stiamo vivendo, per la sproporzione di un solo incasso senza fare nulla… e poi ci si scandalizza dello stipendio del prete, dell’8xmille et similia.
Ma non ci occuperemo di queste finanze, questo era solo un accenno per farvi meditare su certe sproporzioni che vengono applaudite e fanno successo.
Ciò di cui vogliamo invece parlare è il contenuto di questa strana e moderna “catechesi” sui Comandamenti di Dio per l’uomo.
Diciamo subito che non abbiamo nulla da ridire sull’arte tipica di Benigni che gli è propria, di come ci sappia fare, ciò che gli contestiamo è il contenuto di questa “catechesi” e la diffusione di certa confusione.
Senza perderci in chiacchiere l’introduzione stessa ai Comandamenti non ha nulla di teologico o di catechetico, Benigni entra nell’argomento con la sua arte che è quella del comico, e lo fa bene!
Nella seconda serata, per esaltare la prima puntata e ricalcare il successo degli indici di ascolto, Benigni scherza (ma neppure troppo) e fa diverse battute del tipo:
“… la gente mi incontrava ma non mi chiedeva l’autografo, ma in quale parrocchia ero, se potevo confessarli, ecc…” insomma, tutti vorrebbero avere un prete, o il proprio prete parroco, come Benigni.
Siamo alla dissacrazione del ruolo del Prete, ma a chi vuoi che importi?
Se il prete tace sui Comandamenti, ecco che anche uno come Benigni è benvenuto a parlarne e se, per caso, persino Enzo Bianchi interviene per fare i suoi complimenti a Benigni, allora siamo al completo, ma i conti non tornano.
Oramai siamo arrivati al punto che il laico, la laicità, ha preso il sopravvento e gestisce il ruolo del prete, della vera religione, della autentica catechesi e tutto viene trattato laicamente.
Veniamo al sodo.
Benigni nel parlare del quinto Comandamento (il non uccidere) dice davvero delle cose stupende e che non fanno ridere. Il pubblico non ride, infatti, e non applaude per ogni frase. Nel lungo – e giusto – elenco in cui specifica come l’uomo di oggi è giunto a calpestare questo Comandamento, Benigni omette (volutamente?) l’omicidio dell’aborto…. eppure il Papa, proprio nel Messaggio di Natale, davanti a milioni di persone, specifica di come l’aborto sia ed è un vero omicidio:
“Gesù Bambino. Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita…” (1)
I cinque minuti dedicati a questo Comandamento non hanno fatto ridere e, si sa, bisogna intrattenere il pubblico con qualcosa di brioso, altrimenti ci si annoia e così arriva il sesto comandamento nel quale Benigni scatena tutta la sua comicità ma anche incompetenza dottrinale.
E lo fa con il solito modo che il modernista sa fare meglio: attaccando la Chiesa, accusando la Chiesa di ogni malefatta, mentendo contro la Chiesa.
E nel fare questo ecco che il pubblico si sveglia scompisciandosi dalle risate….
Non staremo qui a fare una analisi sul fatto che parlare di sesso fa sempre ridere, è come una sorta di esorcizzazione delle responsabilità che questo strumento (l’uso della sessualità) comporta, e perciò è sempre meglio buttarla a ridere…
Un pubblico dall’aspetto ebete e davvero ignorante sul tema il quale, avendo pagato il suo posto in prima fila, pretende quasi il divertimento, lo spettacolo, e Benigni si dimostra ancora una volta capace di farlo, ma a discapito della verità, a discapito della Chiesa.
Innanzi tutto Benigni fa confusione nel separare volutamente gli “atti impuri” dall’adulterio e accusa la Chiesa di aver “cambiato il Comandamento” in passato, inventandosi il peccato degli “atti impuri” che per lui non sono “un peccato”.
Ma è davvero come dice lui?
No!
Adulterio significa letteralmente “falsificare” e il Comandamento intende mettere in guardia l’uomo dal falsificare l’uso del sesso che è appunto lo strumento della procreazione. Tanto è vero che dopo la prima fase comica della spiegazione, Benigni cerca di riprendere il vero argomento sull’adulterio parlando della fedeltà coniugale, del rispetto della dignità della donna, ecc…
La comicità è tutta tesa a prendere in giro la Chiesa “del passato”, una vera matrigna spiona che stava lì a vedere quante volte uno si masturbava….
Benigni stravolge il senso pieno di questo Comandamento seminando falsità sull’autentico Magistero della Chiesa a riguardo della morale.
Gli “atti impuri” fanno parte del pacchetto del sesto Comandamento, sono l’altra faccia della medesima medaglia, non sono separabili dal contesto della fedeltà coniugale.
Tanto è che Benigni fa confusione anche fra la castità e il celibato sacerdotale.
Lo fa con la solita battuta trita e ritrita contro il prete che non rispetta questo Comandamento, strappando le solite risate di un pubblico ebete ed ignorante in materia, ma pagante eh!
Alla “castità” sono chiamati TUTTI i fedeli, anche i coniugi, ma spieghiamo il come e il perchè attraverso la voce di un teologo:
“Isidoro, eruditissimo vescovo di Siviglia nel VII secolo, scrive nella sua enciclopedia che la parola «casto» è connessa con «castrazione» e conferma con autorevolezza l’idea che si possa dire casto in senso stretto chi non esercita la sessualità e si fa «eunuco per il Regno» (Mt 19,12 ).
In questa prospettiva che assimila castità e astinenza, la vera castità matrimoniale consiste nell’astenersi il più possibile dall’avere intimità sessuali. Non sono mancati nella storia della Chiesa, specie nei primi secoli coloro che- come sant’Agostino – hanno proposto agli sposi l’ideale della continenza sessuale come mezzo per crescere nella vita spirituale e nell’amore coniugale cristiano.
La castità, nella prospettiva della teologia postconciliare, non si identifica con l’astensione dai rapporti sessuali, ma definisce la capacità della persona di essere fedele alla verità della sessualità.
La virtù della castità orienta il cammino di ciascuno verso una armoniosa integrazione delle energie sessuali, della capacità di amare, dei vissuti, dei desideri nel progetto unitario della persona (Cfr Catechismo Chiesa Cattolica 2337).
La castità, sotto questo punto di vista, fa parte della tensione positiva e costruttiva che dirige interiormente la persona verso livelli sempre più soddisfacenti di pienezza. La persona casta è la persona con lo sguardo trasparente e con il cuore liberato dalla durezza.
Per raggiungere questa meta, la castità richiede di purificare le spinte egoistiche e distruttive della sessualità (ad esempio l’heros – si legga la Deus Caritas est di Benedetto XVI) e di volgerle verso un progetto di comunione e di vita, attraverso il superamento e il controllo delle dinamiche deformanti che la concupiscenza può generare nel vissuto sessuale di ciascuno «Secondo la visione cristiana – si legge in Familiaris Consortio 33 – la castità non significa affatto né rifiuto né disistima della sessualità umana, significa piuttosto energia spirituale che sa difendere l’amore dai pericoli dell’egoismo e dell’aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione».
La beatitudine dei puri di cuore vale per tutti i cristiani perché la castità si modella sulla vocazione di ciascuno e così, come c’è la castità dei consacrati, c’è la castità degli sposati, la castità dei fidanzati, la castità dei vedovi…” (2)
Nel pacchetto del sesto Comandamento è connesso tutta una serie di atti che indicano la funzione della sessualità e condannano l’uso improprio della sessualità per altri fini. La castità è certo quel “farsi eunuchi per il regno dei cieli” ma non è solo questo, è proprio una cultura, un comportamento che deve partire dalla mente, dai pensieri puri. Dice San Paolo:
“Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolàtri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio…”(Ef.5, 3 – 31)
Sempre a riguardo della castità San Paolo offre dei consigli a riguardo di una situazione che si è verificata nella comunità dei Corinzi:
“Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere”. (1Cor. 7, 1-40)
L’astenersi dai rapporti ha dunque un significato preciso, un compito: quello di pregare, astenersi di comune accordo e, sottolinea Paolo “temporaneamente”, per dedicarsi alla preghiera.
La “fornicazione” dunque non è come spiegato da Benigni che ha buttato tutto in vacca e spiegato in termini comici…. ma è qualcosa di serio e di grave che ci allontana da Dio.
Per Benigni, si è capito benissimo, la masturbazione non è peccato ma poi sottolinea l’importanza della fedeltà coniugale e dunque sottolinea che il sesto Comandamento vieta il sesso al di fuori del matrimonio…
La castità non è una robetta per vecchi decrepiti o una battuta per preti infedeli, riguarda tutti e per tutti non c’è nulla da ridere: ” Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolàtri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio…” (Ef.5, 3 – 31)
Per concludere.
Benigni afferma più volte che la Chiesa ha “cambiato il Comandamento” da “non commettere adulterio” al tipico “non commettere atti impuri”, ma sbaglia di grosso.
La Chiesa che è depositaria e custode della Verità, della stessa Scrittura e Tradizione (cfr 1Tim. 3,15), in quanto Madre e Maestra offre ai suoi figli in ogni tempo l’approfondimento di un tema specifico a seconda della necessità del proprio tempo.
Lo abbiamo visto con il quinto Comandamento del non uccidere dove non si specifica chi è la vittima anche se, nella Scrittura, è chiaro il riferimento all’Ebreo che non doveva uccidere un altro Ebreo, ma con l’avvento del Cristo il “non uccidere” si allarga, si dilata comprendendo non solamente le vicende all’interno del popolo ebraico, bensì ben oltre.
Nella famosa Lettera a Diogneto c’è la descrizione di come si potevano distinguere i Cristiani, al cap.V vv 6 e 7 leggiamo:
“Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto…”
Per il sesto Comandamento la Chiesa intese specificare che il monito divino non riguardava esclusivamente gli sposati, ma anche i non sposati.
Per questo la Chiesa, che è Madre, insistette per un certo periodo sul “non commettere atti impuri” che riguardava tutti, sposati e non sposati.
La Chiesa non ha affatto cambiato i Comandamenti e Benigni dovrebbe avere la coscienza di riparare a questo grave torto, a questa grave calunnia che ha fatto nei confronti della Chiesa davanti a milioni di spettatori e per un compenso superiore a quello di Giuda, con l’aggravante che i 4 milioni di euro Benigni se li è pure tenuti senza pentirsi e senza fare le sue scuse alla Chiesa per la menzogna che ha detto.
Da Benigni non ci aspettiamo nulla di più, men che meno un “mea culpa”, ma da Voi che ci leggete sì, pretendiamo l’onestà di mente e di cuore nei confronti delle menzogne che si seminano contro la Chiesa del passato, come se ciò che “ieri” era peccato oggi non lo è più, ma leggiamo alcune riflessioni del Papa:
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate» (Intervista Papa Francesco a Civiltà Cattolica, agosto 2013)
“Ci sono cristiani luminosi, pieni di luce – osserva il Papa – che cercano di servire il Signore con questa luce” e “ci sono cristiani tenebrosi” che conducono “una vita di peccato, una vita lontana dal Signore” e usano quelle quattro parole che “sono del maligno”. “Ma c’è un terzo gruppo di cristiani”, che non sono “né luminosi né bui”: “Sono i cristiani del grigio. E questi cristiani del grigio una volta stanno da questa parte, un’altra da quella. La gente di questi dice: ‘Ma questa persona sta bene con Dio o col diavolo?’ Eh? Sempre nel grigio. Sono i tiepidi. Non sono né luminosi né oscuri. E questi Dio non li ama. Nell’Apocalisse, il Signore, a questi cristiani del grigio, dice: ‘Ma no, tu non sei né caldo né freddo. Magari fossi caldo o freddo. Ma perché sei tiepido – così del grigio – sto per vomitarti dalla mia bocca’. Il Signore è forte con i cristiani del grigio. ‘Ma io sono cristiano, ma senza esagerare!’ dicono, e fanno tanto male, perché la loro testimonianza cristiana è una testimonianza che alla fine semina confusione, semina una testimonianza negativa”. Non lasciamoci ingannare dalle parole vuote – è l’esortazione del Papa – “ne sentiamo tante, alcune belle, ben dette, ma vuote, senza niente dentro”. Comportiamoci invece come figli della luce. “Ci farà bene oggi pensare al nostro linguaggio” – conclude Papa Francesco – e domandiamoci: “Sono cristiano della luce? Sono cristiano del buio? Sono cristiano del grigio? E così possiamo fare un passo avanti per incontrare il Signore”. (Papa Francesco – Omelia a Santa Marta del 27.10.2014)
“Forza e coraggio”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulle parole di San Paolo che, rivolgendosi agli Efesini, “sviluppa in un linguaggio militare la vita cristiana”.
Il Pontefice ha sottolineato che “la vita in Dio si deve difendere, si deve lottare per portarla avanti”. Ci vogliono dunque forza e coraggio “per resistere e per annunziare”. Per “andare avanti nella vita spirituale – ha riaffermato – si deve combattere.
Non è un semplice scontro, no, è un combattimento continuo”. Francesco ha quindi rammentato che sono tre “i nemici della vita cristiana”: “il demonio, il mondo e la carne”, ovvero le nostre passioni, “che sono le ferite del peccato originale”. Certo, ha osservato, “la salvezza che ci dà Gesù è gratuita”, ma siamo chiamati a difenderla:
“Da che devo difendermi? Cosa devo fare? ‘Indossare l’armatura di Dio’, ci dice Paolo, cioè quello che è di Dio ci difende, per resistere alle insidie del diavolo. E’ chiaro? Chiaro.
Non si può pensare ad una vita spirituale, ad una vita cristiana, diciamo ad una vita cristiana, senza resistere alle tentazioni, senza lottare contro il diavolo, senza indossare questa armatura di Dio, che ci dà forza e ci difende”. (Papa Francesco – Omelia a Santa Marta del 30.10.2014)
Note
1) Papa Francesco Messaggio Urbi et Orbi Natale 2014
2) Padre M. Faggioni su Toscana oggi il teologo risponde
Aggiornamento al nostro articolo: ci sono stati segnalati alcuni autorevoli interventi che volentieri pubblichiamo, un ottimo segnale che ci sono ancora molti a parlare e a pensare con un cuor solo e un anima sola….

C’era quasi riuscito a piacermi. La prima serata di Benigni era stata magistrale, al netto di qualche inciampo. E pure l’avvio della seconda puntata sui Dieci comandamenti pareva promettente. Fino al quinto comandamento. Poi, il Roberto nazionale è caduto sulle marchette.
Un’infinita serie di luoghi comuni sul sesto comandamento, che la Chiesa avrebbe «manipolato» (non si capisce a che scopo), creando generazioni di repressi sessuali. E invece il senso del comandamento sull’adulterio sarebbe la lotta alla violenza sulle donne (Dio, una Boldrini ante-litteram), l’esaltazione della fedeltà che protegge l’amore vero e i figli. Per il resto, love is love, fate l’amore non fate la guerra e tutto l’arcinoto e melenso repertorio retorico.
Peccato che Benigni abbia frainteso la profondità dell’insegnamento cattolico sulla sessualità, che la Chiesa considera un preziosissimo dono del Signore e perciò difende da ogni banalizzazione: dal sentimentalismo come dalla bestialità, dall’irresponsabilità come dalla compulsione. Il sesso è libertà e realizzazione della propria natura relazionale, non impulso animalesco cui sottomettersi come a un idolo, e torniamo al primo comandamento: di Dio c’è solo Dio, non il denaro, il successo o il sesso. Di qui, le sciocchezze sul “non desiderare la donna d’altri”: guardare non è peccato, basta fermarsi là. Visto che questo monologo ci è costato due milioni a serata, ci saremmo aspettati che oltre all’Esodo, Benigni leggesse pure il Vangelo, laddove il Cristo ammonisce: «Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5, 28).
Persino su un comandamento “facile” Benigni è scivolato rovinosamente. “Non rubare”. Come volevasi dimostrare, ci ha messo in mezzo pure gli evasori: «Violano un patto che abbiamo stabilito tutti». Caro Benigni, quand’è che avremmo stabilito consensualmente di essere derubati dallo stato? Proprio in questi giorni il Leviatano ci chiede il conto: 144 miliardi di euro sottratti alle tasche degli italiani. Chi sarebbe il ladro? E pensare che gli avevo perdonato l’imprecisione sulle guerre di religione: attingendo al leitmotiv della violenza in nome di Dio, Benigni aveva deplorato l’enormità dei massacri commessi per questioni di fede. Tuttavia, la maggior parte delle fonti accreditate smentisce questa tesi. Le varie enciclopedie sulle guerre storiche mostrano come i conflitti religiosi siano una minoranza: si va dall’Encyclopedia edita da Gordon Martel, per la quale solo il 6% delle guerre censite possono essere considerate guerre di religione; al volume di Phillips e Axelrod, che arriva alla cifra più alta, ma ancora minoritaria, del 25% – senza contare che molto spesso, dietro il casus belli religioso si sono nascoste questioni politiche ed economiche.
“Povero” (tra virgolette, dato l’incasso) Benigni, proprio sul più bello è partito per la tangente. Eppure, un piccolo applauso glielo tributiamo anche noi, perché in mezzo a una televisione generalista affollata di anticlericalismo e omosessualismo, se non altro è riuscito a parlare di Dio con il consueto appeal mediatico. E nonostante qualche grossolana fesseria antropologica e teologica, ci ha dato almeno il la per precisare, chiarire, arricchire, puntando i riflettori su temi banditi dal dibattito pubblico, quando non vilipesi. Una controcultura cattolica deve iniziare ad aggrapparsi anche a queste circostanze. A Benigni, invece, diamo un consiglio: la prossima volta, anziché andarsi a cercare la consulenza dei pastori valdesi, dia una letta a Joseph Ratzinger.
Nota di BastaBugie: vuoi sapere davvero cosa dicono in dieci comandamenti? Puoi leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica dal n° 2052 al n° 2557, cliccando sul seguente link
http://www.vatican.va/archive/ccc_it/documents/2663cat473-668.PDF
Oppure puoi richiedere il cd con sei meditazioni tratte da un corso di esercizi spirituali tenute da don Stefano Bimbi, fondatore degli Amici del Timone di Staggia Senese sul tema dei dieci comandamenti. Contiene file audio in mp3 che puoi ascoltare nello stereo, nel computer oppure in auto durante i tuoi spostamenti. Per riceverlo clicca nel link qui sotto (codice C04)
http://www.amicideltimone-staggia.it/shop/index.php?view=articoli&filtro_fornitore=3
A seguire, il commento di Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, pubblicato il 21-12-2014:
IL “CASO BENIGNI” EVIDENZIA L’ASSENZA DELLA CHIESA
Lo confesso: sono uno dei pochi italiani che non ha visto lo show di Roberto Benigni in tv sui Dieci comandamenti. Non per snobismo, ma perché impegnato in altre cose. Sto seguendo tuttavia con molta attenzione reazioni e commenti a quella esibizione. […] Al proposito è curioso notare che a un parere a caldo quasi unanimemente molto positivo – al limite dell’entusiasmo – si vanno aggiungendo delle critiche che aumentano col passare dei giorni. In ogni caso si tratta di un programma che ha riscosso un grande interesse e acceso un forte dibattito.
Proprio questo dibattito, aldilà del merito dello spettacolo, mi sembra importante rilevare, perché fa emergere con chiarezza il terribile vuoto di proposta culturale in cui viviamo.
Vuoto di proposta, anzitutto della tv. Così che un semplice programma di buona qualità, fondato non sugli effetti speciali ma su un discorso – per quanto brillantemente sostenuto da un comico – e su un argomento niente affatto scontato, diventa un evento del quale si va avanti a parlare per giorni e giorni. Vuol dire che per il resto c’è il deserto. E se dieci milioni di persone hanno seguito un lungo monologo sui dieci comandamenti, vuol dire che per i programmi-spazzatura che occupano quasi tutto il palinsesto non vale più il luogo comune per cui «è quello che la gente vuole». La gente evidentemente apprezza molto di più programmi che, pur leggeri, mettono in moto la testa.
Ma il vuoto di proposta ancor più preoccupante è quello religioso, anzi cattolico. Non può non stupire tanta animosità, da parte di alcuni che imperversano su blog e social network, per gli errori “teologici” di Benigni, come se da lui ci si dovesse aspettare una lezione di catechismo, magari su richiesta della Conferenza episcopale. A tutti è chiesto il rispetto e di non usare le capacità artistiche per irridere alla religione e offendere la fede di tanta gente, e di non strumentalizzare la religione per propri fini ideologici (vedi Dario Fo). Ma nessuno dei critici muove questa accusa a Benigni, gli si rimprovera invece di aver dato letture parziali o troppo “umane” ai comandamenti.
Ma Benigni non è un prete o un vescovo: è un uomo di spettacolo, neanche credente – a quanto ne sappiamo – che però si fa interrogare dal fatto religioso, ne è in qualche modo attratto, e davanti ai comandamenti o alla Divina Commedia cerca di andarci a fondo, di capire, di studiare. Sicuramente non tutte le sue fonti sono ortodosse, e altrettanto le sue considerazioni, ma è innegabile che ci sia anche un cammino (basti pensare ai Dieci comandamenti proposti trent’anni fa). Non è certo a lui che possiamo o dobbiamo chiedere una spiegazione del catechismo, piuttosto dovremmo riflettere sul fatto che solo grazie a lui in televisione vanno quei Dieci comandamenti che – e sono ottimista – almeno la metà di coloro che partecipano alla messa ogni domenica non sarebbero neanche in grado di elencare in ordine.
Il fatto è che dei Dieci comandamenti normalmente non si sente parlare neanche in chiesa, figurarsi se possiamo pensare a una loro riproposta culturalmente intelligente in tv o nei teatri. Al recente Sinodo sulla famiglia abbiamo sentito vescovi e cardinali fare affermazioni sulla sessualità che negano la Rivelazione, e ce la vogliamo prendere con Benigni perché del sesto comandamento dà una versione molto personale? La Conferenza episcopale manda a commentare il vangelo su Rai Uno (e senza neanche essere simpatici) a quelli che sono stati definiti “preti di strada”, che più volte hanno sostenuto pubblicamente posizioni tutto fuorché ortodosse, e vogliamo crocifiggere Benigni perché dà un’interpretazione poco trascendente all’amore per il prossimo?
C’è qualcosa che non quadra. Non si può chiedere a Benigni di fare opera di supplenza alla Chiesa. Né si deve guardare a lui come un faro che ci guida nella fede. Se ci fosse una proposta pubblica seria, sia ecclesiale sia culturale, della fede cattolica non spaventerebbero le affermazioni eterodosse di Benigni, ai suoi spettacoli sarebbe dato il giusto peso e, forse, lo stesso Benigni sarebbe in grado di confrontarsi e fare proprie delle letture dei comandamenti più aderenti alla Verità.