Matrimoni misti e intercomunione: cosa dice la vera Chiesa: Benedetto XIV e Gregorio XVI

« …tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo.»(2Tim.3,12-16)

La situazione che stiamo vivendo è davvero paradossale, per non dire comica se non fosse per il fatto che non stiamo parlando di cose ed effetti sulle quali riderci sopra, ma parliamo del Sacramento del Matrimonio nel quale confluiscono altri due (Confessione ed Eucaristia) per i quali è in gioco la salvezza delle Anime, ma dove parliamo anche della Presenza reale, viva e vera di Gesù Cristo che si dona “ai suoi”, e non è affatto vero che “per TUTTI” è un diritto riceverlo nell’Eucaristia.

Ci riferiamo alle stravaganti pretese di una parte del clero e della gerarchia cattolica in Germania, capeggiata tra altri, dal cardinale Marx al cardinale Kasper, dove riferisce brillantemente mons. Nicola Bux su un articolo, che condividiamo, da La Nuova Bussola Quotidiana, cliccare qui.

Qui ci soffermiamo su alcune considerazioni. Vediamo  i Matrimoni misti, ossia, quei matrimoni tra cattolici e non cattolici che il Concilio di Trento vietò con decreto legislativo e dottrinale e dell’assurda pretesa, oggi, di dare la Comunione eucaristica a “tutti”, quasi fosse un diritto.

A rompere gli indugi fu papa Lambertini, Benedetto XIV il quale pur mostrandosi aperto a molte innovazioni, fu però anche molto severo come, per esempio, fulminando con pene severissime quei “disgraziati sacerdoti che profanassero il Sacramento della Confessione”; interdisse ogni sorta di mercimonio nella celebrazione della Santa Messa. Per impedire che i matrimoni venissero sciolti in modo non consentito dalle leggi canoniche, istituì in ogni diocesi un ufficiale apposito, tanto che di lui si disse il “difensore del vincolo matrimoniale”.

Lambertini emanò, per l’Olanda, una dichiarazione papale nel 1741 (Benedectina scil. declaratio) disponendo che i matrimoni di non cattolici e i matrimoni misti fossero colà validi anche senza l’osservanza della forma stabilita dal Concilio di Trento; tale disposizione fu poi estesa anche ad altri paesi. Ma spieghiamola bene!

Tra il 1741 e il 1742, Benedetto XIV intervenne in materia di disciplina sacramentale riguardo al matrimonio, emanando per i Paesi Bassi (4 novembre 1741) un importante decreto di deroga alla legislazione tridentina circa la validità dei matrimoni tra protestanti e dei matrimoni misti, MA ATTENZIONE: qualora i coniugi o il coniuge acattolico fossero passati al cattolicesimo, e limitando, con altre disposizioni, la possibilità dei matrimoni di coscienza e la facilità con cui venivano concesse le dispense.

Perciò sia ben chiaro che, quando sentite citare Benedetto XIV in materia di “apertura” ai matrimoni misti o di acattolici con i cattolici, non è affatto vero che papa Lambertini aprì all’intercomunione…. Cliccando qui troverete una raccolta vasta sull’argomento.

Il matrimonio, secondo il Vangelo ed insegnato dalla Chiesa Cattolica, è un Sacramento difeso e “portato a compimento” da Gesù stesso (vedi Catechismo nn.1601-1658). Il punto di partenza scelto dal Concilio di Trento, per confermare il matrimonio tra i sacramenti è stato Efesini 5,32, dove di esso si dice che è «un mistero grande», riflesso misterico del “rapporto tra Cristo e la Chiesa Sua Sposa”, infatti così decreterà Trento: «Chi afferma che il matrimonio non è veramente nel senso proprio uno dei sette sacramenti della legge del vangelo, che è stata promulgata da Cristo, il Signore, ma che è stato inventato dagli uomini nella chiesa e non conferisce la grazia, sia scomunicato»

Con il decreto Tametsi, che aveva lo scopo di por fine alla situazione penosa dei matrimoni clandestini, il Concilio di Trento stabilì l’obbligo della forma. Per essere valido, il matrimonio doveva essere concluso solamente con lo scambio del consenso di fronte al proprio parroco e alla presenza di almeno due testimoni. Chi non rispetta questa forma, non celebra validamente il matrimonio. Il Tametsi costituisce il primo capitolo del decreto De reformatione matrimonii, composto di dieci capitoli ed emanato durante la XXIV sessione del Concilio Tridentino (1563). Con questo testo (che troverete qui nel link “Tutti i decreti del Concilio di Trento) venne risolta la questione del matrimonio clandestino ed anche in difesa di quel coniuge (solitamente la donna) spesse volte costretta ad un matrimonio imposto, del quale si dichiarò l’invalidità, stabilendo che la celebrazione del matrimonio fosse preceduta da regolari pubblicazioni; che fosse celebrato dinnanzi al parroco dei nubendi e alla presenza di almeno due testimoni in rispetto proprio della libertà di entrambi i contraenti, e che fosse debitamente trascritto nel registro parrocchiale.

E’ evidente, pertanto che, questo Decreto, non si occupò affatto prettamente dell’intercomunione o dei “matrimoni misti”…. e neppure riuscì a risolvere la scelta fatta dalle Chiese orientali di decretare la validità di “seconde nozze”, dopo il fallimento del primo matrimonio. Questioni complesse di cui non ci occuperemo ora qui. Trento si occupò più ristrettamente del concetto della validità e della indissolubilità del “vincolo” del Matrimonio e che è uno dei sette Sacramenti istituiti da Cristo stesso, e non inventato dalla Chiesa. Da qui l’anatema e la scomunica a chi avesse affermato il contrario, contro proprio l’eresia luterana che si era da poco imposta nella comunità civile di quei tempi.

Tornando all’argomento specifico e a proposito di questo Sacramento, sant’Ignazio di Antiochia scrive al vescovo Policarpo: «Raccomanda alle mie sorelle di amare il Signore e di sostenere i mariti nella carne e nello spirito. Così esorta anche i miei fratelli, nel nome di Gesù Cristo, ad amare le spose come il Signore la Chiesa. Se qualcuno può rimanere nella castità a gloria della carne del Signore, vi rimanga con umiltà. Chi se ne vanta è perduto, e se si ritiene più del vescovo si è distrutto. Conviene agli sposi e alle spose di stringere l’unione con il consenso del vescovo, perché le loro nozze avvengano secondo il Signore e non secondo la concupiscenza. Ogni cosa si faccia per l’onore di Dio» (Polyc.,V,1-2).

Per farla breve e non uscire fuori tema è fondamentale sottolineare che sarà sempre lui, Martin Lutero a rinnegare il Matrimonio in quanto Sacramento e sacramento DELLA GRAZIA. La sua eretica dottrina sulla Giustificazione col supporto dell’eretica affermazione del Sola Scriptura, saranno determinanti sulla nuova prassi dei MATRIMONI CIVILI, non sacramentali che, per i battezzati significa “privati della Grazia”… non dimentichiamo, infatti, che da ben 400 anni tra i protestanti vige il concubinato (da non confondersi con l’adulterio) e che purtroppo, con l’ecumania scatenatasi dal concilio Vaticano II, ha prodotto le aberrazioni che oggi stiamo vivendo, quali l’imposizione della Comunione eucaristica ai divorziati-risposati, così come ora la pretesa di dare l’Eucaristia anche a chi non è cattolico, ma sposato con un cattolico.

Un mondo che non si deve più piegare alla Legge di Dio ma, al contrario, è la Legge divina che deve piegarsi alle mode dei tempi. Se preferite siamo al famoso detto gesuitico modernista: cattolicizzare ciò che non è cattolico!

Eppure san Paolo lo aveva predetto, ci aveva avvisati: « …tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo.»(2Tim.3,12-16); oppure laddove profetizza ancora: « Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.»(2Tim.4,1-5)

Giovanni Paolo II indisse l’Anno dell’Eucaristia nel 2005 e scrisse l’ultima enciclica sull’argomento – Ecclesia de Eucharistia –  proprio per mettere la parola “fine” a queste discussioni che oggi, prepotentemente e con diabolicità, questi Modernisti e progressisti insieme, pretendono imporre col tacito consenso di un pontefice che sembra piuttosto compiaciuto dalla loro perversione dottrinale.

Le parole di Giovanni Paolo II CONTRO la pretesa di una recezione dell’Eucaristia senza conversione alla Chiesa Cattolica, sono chiarissime:

  • «Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integra la sua struttura e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e nel suo organismo visibile sono uniti con Cristo – che la dirige mediante il Sommo Pontefice e i Vescovi – dai vincoli della professione di fede, dei Sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione.. L’Eucaristia, essendo la suprema manifestazione sacramentale della comunione nella Chiesa, esige di essere celebrata in un contesto di integrità dei legami anche esterni di comunione. »

E specifica:

  • «Perciò la Chiesa ha dato delle norme che mirano insieme a favorire l’accesso frequente e fruttuoso dei fedeli alla Mensa eucaristica e a determinare le condizioni oggettive in cui ci si deve astenere dall’amministrare la comunione. La cura nel favorirne la fedele osservanza diventa espressione effettiva di amore verso l’Eucaristia e verso la Chiesa.
  • Nel considerare l’Eucaristia quale sacramento della comunione ecclesiale vi è un argomento da non tralasciare a causa della sua importanza: mi riferisco al suo rapporto con l’impegno ecumenico….. (..)
  • Proprio perché l’unità della Chiesa, che l’Eucaristia realizza mediante il sacrificio e la comunione al corpo e al sangue del Signore, ha l’inderogabile esigenza della completa comunione nei vincoli della professione di fede, dei Sacramenti e del governo ecclesiastico, non è possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica fino a che non sia ristabilita l’integrità di tali vincoli. Siffatta concelebrazione non sarebbe un mezzo valido, e potrebbe anzi rivelarsi un ostacolo al raggiungimento della piena comunione, attenuando il senso della distanza dal traguardo e introducendo o avallando ambiguità sull’una o sull’altra verità di fede. Il cammino verso la piena unità non può farsi se non nella verità. In questo tema il divieto della legge della Chiesa non lascia spazio a incertezze.
  • Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica (si parla del caso in pericolo di morte). In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale… »

Ma  cardinali e molti vescovi di oggi, preferiscono la tesi luterana sul Matrimonio. Per Lutero il matrimonio è “cosa mondana” (“weltlich Ding”), e che per mondano non significava, sostengono i Modernisti oggi e lo stesso papa Francesco, la secolarità… ma più semplicemente che – il matrimonio in generale – non è “monopolio cattolico” e trova le sue fondamenta nella NATURA stessa della creazione… tesi per altro sostenuta dall’eretico gesuita Karl Rahner.

Ma chi studiasse a fondo l’argomento comprenderebbe che – la protesta del “bastian contrario” Lutero fu una protesta contro il diritto canonico matrimoniale della Chiesa Cattolica: Lutero voleva sottrarre il matrimonio alla giurisdizione ecclesiastica sulla sovranità dello stato rispetto al potere temporale della chiesa. Inoltre, per Lutero, il problema risiedeva anche nella conformazione sacramentale del Sacerdote il quale, secondo lui, non conferiva un bel nulla agli “sposi”.

Gli eretici di oggi stanno cercando un compromesso che salvi “capre e cavoli”, un compromesso che promuova una comunione di facciata con il mondo protestante, che mantenga la botte piena e la moglie ubriaca, leggete qui, un compromesso che non metta in discussione il POTERE CLERICALE e quindi – salvaguardando il diritto della gerarchia – possa trovare un comune accordo dottrinale. In sostanza: cambiare la dottrina nella prassi.

In sostanza, se volete davvero capire cosa stanno cercando di fare nella Chiesa di oggi, è di mettere in pratica la dottrina sul Matrimonio SECONDO LUTERO!

Per Lutero, il mandato divino sul matrimonio è compiuto nel ministero dei genitori, nel quale gli uomini ricevono da Dio il compito di donare ai propri figli la vita corporea, spirituale e religiosa . Lutero considerava il matrimonio uno stato santo, poiché in esso vedeva l’unico mezzo di salvezza adatto contro il disordine sessuale; nel suo linguaggio duro lo indicava come «difesa contro la prostituzione»…. Analisi tutto sommato corretta e certamente cristiana. Peccato però che, ciò che negava Lutero era il CONFERIMENTO DELLA GRAZIA e perciò, il matrimonio, non è un Sacramento, ma uno “stato obbligatorio”, necessario, del tutto “naturale” e che non implica gli altri sacramenti quali la Confessione e così anche l’Eucaristia la quale, non essendo impartita con la medesima dottrina Cattolica della Presenza reale, essa può essere ricevuta da tutti. Da chiunque però si faccia cristiano, indipendentemente dall’essere “cattolico”…

E non è forse questa la piega che ha preso la prassi della pastorale nella chiesa di oggi? La dottrina luterana sul Matrimonio – e gli altri sacramenti da lui tolti e reinterpretati – conduce poi alla stravagante prassi dell’unione liberale tra persone dello stesso sesso, sulla quale infatti, si fonda oggi la nuova dottrina protestante ulteriormente sviluppata dalla teologia luterana.

Resta una semplice domanda ed una limpida risposta: perché siamo contrari alla Comunione Eucaristica a chi non è cattolico e a chi è – divorziato-risposato – con in piedi il vero matrimonio sacramentale ?

Risposta semplice ed evangelica: perché per ricevere l’Eucaristia bisogna essere in comunione con Cristo e la Chiesa. NON un Cristo fatto a “nostra immagine”, non ad una chiesa accomodante e “come piace a me”, ma al Cristo Vivo e vero che governa la Chiesa, Sua Sposa e che ha fatto del Matrimonio, del Sacerdozio, della Confessione, della stessa Eucaristia, UN SACRAMENTO che unisce i battezzati in una comunione non solo spirituale, ma anche fisica (le membra di un solo Corpo) e diffondente LA GRAZIA, quella Grazia che Lutero ha sempre rinnegato! Bisogna CONVERTIRSI, riconoscere ed odiare il peccato, rinnegarlo, vivere per combatterlo.

L’Eucaristia, infatti, serve a chi, pentito e confessato, assolto dal peccato, vive per combattere le proprie inclinazioni perverse. Nessuno può ricevere l’Eucaristia se è in stato di peccato grave. Nessuno, che vive negando – o peggio rifiutando – la Chiesa Cattolica, i suoi Sacramenti, la sua Dottrina, può dirsi in comunione tanto da ricevere l’Eucaristia che è fare questa comunione anche con i Santi in Cielo… L’Eucaristia NON è un diritto, ma è un dono che si riceve a determinate condizioni stabilite da Cristo stesso nella Sua vera Chiesa attraverso i Padri, i Santi, i Dottori, i concili. Ciò che sta imponendo oggi questa gerarchia E’ FALSITA’! Perché ciò che era peccato “ieri” è peccato anche oggi, e domani! E’ l’uomo che deve convertirsi e cambiare, non la Dottrina, non l’amministrazione ai Sacramenti, non è la Chiesa che deve cambiare! Rinnovarsi e riformare non è rivoluzionare la dottrina, leggete qui, ma spingere l’uomo di ogni tempo ad adattarsi alla Legge divina che non muta, mai!

Laudetur Jesus Christus


Ricordiamo infine un altro grande Pontefice sull’argomento che scrisse una Lettera specifica:

Gregorio XVI
Quas vestro


Le devotissime lettere che, a nome vostro e dei Vescovi di codesto Regno, Ci avete fatto pervenire tramite il Venerabile Fratello Vescovo canadese Giuseppe, pervase di sentimenti di sincera devozione, sono state per Noi motivo di gioia e di tristezza ad un tempo. A buon diritto perché, dovendo salvaguardare con ogni cura, in forza del Nostro dovere apostolico, l’integrità della sacra dottrina e del diritto, non possiamo tollerare il sopraggiungere di qualsiasi cosa che possa metterla in pericolo.

È perfettamente noto il pensiero della Chiesa circa i matrimoni fra cattolici ed acattolici. Essa considerò sempre illecite e deleterie tali nozze, sia per la degradante comunione nelle cose divine, sia per l’incombente pericolo di perversione del coniuge cattolico e la scorretta educazione della prole. Trattano proprio di questo problema le più antiche disposizioni canoniche che le riprovano con tutta severità, nonché le più recenti norme adottate dai Sommi Pontefici, di cui non sembra necessaria una lunga e particolareggiata elencazione, essendo più che sufficiente ciò che precisò al riguardo il Nostro predecessore Benedetto XIV, di felice memoria, nella lettera enciclica indirizzata ai Vescovi di Polonia e ciò che si trova nel famosissimo scritto noto con il titolo De Synodo Dioecesana.

Se in qualche luogo, per le gravi difficoltà del momento e per la pesante situazione sociale, siffatti matrimoni vengono tollerati, ciò deve essere ricondotto ad una prassi di profonda ed accorta valutazione che non può in alcun modo essere presa come indizio di approvazione e di consenso, ma di semplice tolleranza, che scaturisce non da un atto di volontà ma dalla necessità di evitare mali maggiori, come sapientemente annotò Pio VII, di venerata memoria, nella lettera inviata il 9 ottobre 1803 all’Arcivescovo di Magonza, riproponendo le risposte del proprio predecessore indirizzate ai Vescovi di Bratislava, di Roznava e di Spisskà Belà.

Se, allentando in qualche modo la severità delle disposizioni canoniche, questa Sede Apostolica permise qualche volta siffatti matrimoni misti, lo fece assai a malincuore, in forza delle summenzionate considerazioni e per gravi e seri motivi, ma sempre con l’espressa ingiunzione di definire le debite precauzioni, non solo per evitare che il coniuge cattolico potesse essere fuorviato da quello acattolico, ma anche perché tenesse sempre presente l’obbligo, nei limiti del possibile, di far recedere la comparte dall’errore e si provvedesse inoltre ad educare nella santa Religione cattolica i figli di entrambi i sessi eventualmente procreati. Si tratta di precauzioni che fondano la loro ragion d’essere nella stessa legge divina e naturale: certamente pecca contro di essa chiunque espone temerariamente se stesso e i futuri figli al pericolo della perversione.

Dalle vostre predette lettere abbiamo avuto la certezza di un abuso assai diffuso nelle diocesi di codesto Regno: matrimoni fra cattolici e acattolici senza la dovuta dispensa della Chiesa e senza le necessarie precauzioni vengono legittimati con la benedizione e con i riti sacri dai parroci cattolici. Potete ben comprendere, Venerabili Fratelli, come non potessimo non essere gravemente colpiti da tutto questo, soprattutto perché ci siamo resi conto di quanto ampiamente abbia preso piede la pratica di tali matrimoni misti, e come si sia inoltre profondamente radicata l’indifferenza verso i contenuti della Religione in vastissime regioni di un Regno che era per l’addietro un vero vanto della Fede cattolica.

Non è Nostra intenzione sorvolare sul fatto che, in forza del Nostro santissimo compito, non avremmo tralasciato di prendere le opportune misure se fossimo stati da tempo a conoscenza della situazione. Potete facilmente intuire il motivo del Nostro silenzio: negli ultimi tempi non è stata concessa alcuna dispensa apostolica per matrimoni misti da celebrare presso di voi se non con l’ingiunzione delle prescritte precauzioni e l’aggiunta delle norme che, per disposizione di questa Santa Sede, si debbono osservare.

Tuttavia, tra le notizie riportate, Ci è stato di non poca consolazione il fatto che, mentre venivamo edotti del male incombente, apprendevamo anche che da parte vostra e dei vostri colleghi venivano messe in atto le strategie per porvi rimedio. Ancor più sovrabbondò di gioia il Nostro cuore constatando con quanto zelo operate in comune per salvaguardare l’integrità della fede, con quale unanime, deferente ossequio vi rivolgete a questa Sede Apostolica, maestra autorevole di verità, sempre attenti al suo cenno per orientare il vostro impegno pastorale.

Dopo aver conosciuto le Nostre disposizioni emanate in materia per altri paesi, non appena avete appurato che la prassi invalsa nei vostri territori era in aperto contrasto con i principi e le indicazioni della Chiesa, e pertanto non poteva più a lungo essere tollerata senza gravi conseguenze, non avete minimamente dubitato, in unità di intenti e di azione, che si dovesse eliminarla e, come era logico, a non demordere, pronti anche ad affrontare con fermezza eventuali gravi pericoli per garantire la salvezza eterna vostra e del gregge a voi affidato.

A rendere piena la Nostra gioia sopravvennero i copiosi frutti che scaturirono dalle vostre solerti iniziative. Sappiamo bene infatti come i parroci, e l’altro clero, abbiano obbedito alle vostre ammonizioni e alle vostre istruzioni in proposito, tanto che – rimossa in lungo e in largo l’illegittima consuetudine – è stata ripristinata l’antica disciplina dei sacri canoni. Esprimiamo dunque a voi, Venerabili Fratelli, la Nostra viva soddisfazione, e mentre ringraziamo Dio che vi ha rafforzato dall’alto per la tutela della fede e della dottrina, non smettiamo di esortarvi e di stimolarvi vigorosamente perché con pari decisione e costanza vi sforziate di difendere la causa della Chiesa cattolica affinché non abbia più a risorgere la malvagia consuetudine: se ancora ne persistesse qualche vestigia, ne possa essere totalmente sradicato il germe.

Nel frattempo non abbiamo potuto non soppesare con oculata attenzione tutte le cose che vi premuravate di riferirci nelle vostre lettere documentando le gravissime difficoltà contingenti che vi hanno indotti, e quasi costretti, a optare per la tolleranza qualora un cattolico o una cattolica, nonostante gli ammonimenti e le debite esortazioni dei sacri pastori, persistesse nel proposito di contrarre nozze miste in assenza delle necessarie precauzioni. In questa situazione, non potendo altrimenti ovviare a un male maggiore per la Religione cattolica, avete deciso che i parroci potessero assistere alle nozze passivamente, senza intervenire in alcun modo nel rito religioso e senza assumere atteggiamenti che potessero essere intesi come approvazione. Mentre rendevate operativi questi provvedimenti, con l’intento di far fronte con assennatezza al problema del momento, avevate già deciso di sottoporre al più presto a Noi un simile arduo dilemma, per ottenere in proposito il Nostro assenso, che presumevate di potere in qualche modo avere in presenza delle pressanti necessità.

Per la verità Noi, pur operando con estrema decisione al fine di mantenere integri i sacrosanti principii della Chiesa cattolica, non abbiamo mai smesso, in forza del potere a Noi conferito, di portare rimedio alle funeste situazioni di codeste regioni e alle angustie a voi sopravvenute. Pertanto, non disapproviamo le ragioni della vostra decisione, e riteniamo che si debba accondiscendere alla vostra richiesta.

Decidiamo ciò in piena sintonia con quanto Noi stessi, sull’esempio dei Nostri predecessori, abbiamo per l’addietro permesso a fatica a favore di altre regioni. Allo stesso modo si era espresso a più riprese Pio VI, di venerata memoria, nei confronti di qualche diocesi dello stesso Regno di Ungheria. Infatti nella risposta che già nel 1782, mentre dimorava a Vienna, e poi nell’anno successivo, dopo il suo ritorno a Roma, inoltrò al vescovo di Spisskà Belà (e la stessa risposta ordinò fosse inviata al successore di questi nel 1795), così palesò il proprio pensiero a proposito dei matrimoni misti in quelle particolari circostanze: “Pur in presenza di precise disposizioni al riguardo, è necessario che il vescovo e i parroci si adoperino con prudente sollecitudine perché simili matrimoni non abbiano luogo e, nel caso vengano celebrati, pretendano che tutti i figli siano educati nella Religione cattolica. Tuttavia ogni qualvolta si verifichi, contro la loro volontà, ciò che non può essere approvato, si astengano sempre dalla benedizione nuziale e la loro presenza, se lo richiedono le circostanze, sia puramente fisica e non si permettano atti o dichiarazioni che autorizzino o approvino che la prole possa essere educata in un’altra religione che non sia quella cattolica“.

Se dunque, Venerabili Fratelli, per particolari circostanze locali e situazioni personali si verifichi nelle diocesi di codesto Regno l’eventualità di un matrimonio fra un acattolico e una donna cattolica, o viceversa, anche in assenza delle prescritte precauzioni della Chiesa e non sia possibile in alcun modo evitare altrimenti il danno per la Religione senza il pericolo di un danno maggiore e di uno scandalo e nello stesso tempo (per usare le parole del Nostro predecessore Pio VII di venerata memoria nella succitata lettera al vescovo di Magonza) si arguisca di poter contribuire al bene della Chiesa, simili nozze, pur vietate ed illecite, siano celebrate in presenza di un parroco cattolico piuttosto che di un ministro eretico a cui facilmente potrebbero rivolgersi. In questo caso il parroco cattolico, o un altro sacerdote da lui delegato, potrà assistere al matrimonio con una presenza assolutamente passiva, con l’esclusione di qualsivoglia rito religioso, come se assolvesse al compito di semplice testimone, per così dire, qualificato o autorizzato che, dopo aver raccolto il consenso di ambedue i coniugi, avrà la possibilità, in forza del suo ufficio, di riportare nel libro dei matrimoni la validità dell’atto compiuto.

In queste circostanze, come specificamente raccomandava lo stesso Nostro predecessore, i vescovi e i parroci devono, con ancora maggiori cura e preoccupazione, provvedere che sia rimosso il pericolo di perversione per il coniuge cattolico; che si provveda nel migliore dei modi all’educazione dei figli di entrambi i sessi nella Religione cattolica e che il coniuge di fede cattolica, secondo l’obbligo che gli incombe, s’impegni con le proprie forze alla conversione del coniuge acattolico: ciò gli sarà assai utile per ottenere più facilmente da Dio il perdono dei peccati commessi.

Intimamente addolorati che si debbano introdurre simili criteri di tolleranza in un Regno che si segnalava per la professione della Religione cattolica, confessiamo con tutta sincerità di fronte a Dio di esservi stati indotti, o meglio trascinati, unicamente per evitare il sopraggiungere di più gravi danni per la Chiesa cattolica.

Con tutto il cuore esortiamo dunque voi, Venerabili Fratelli, e tutti i vostri colleghi, per l’immenso amore di Gesù Cristo che immeritatamente rappresentiamo sulla terra, a mettere in atto, dopo aver implorato la luce dello Spirito Santo, ciò che in un affare di così grande rilievo può validamente rispondere allo scopo. Cercate anche di perseguire unanimemente l’obiettivo prefisso, perché a tale tolleranza nei confronti delle persone che si accingono a contrarre illecitamente matrimoni misti non tenga dietro, nel popolo cattolico, l’affievolimento del rispetto dei canoni che condannano tali nozze e della incessante cura con la quale la Santa Madre Chiesa si preoccupa di dissuadere i suoi figli dal contrarre tali matrimoni che recano danno alle loro anime.

Sarà dunque compito vostro, degli altri Vescovi solidali con voi e dei parroci, di ammaestrare i fedeli sia privatamente, sia in pubblico, e ricordare l’insegnamento e le disposizioni che riguardano questi matrimoni e pretenderne la scrupolosa osservanza.

Non mancherete certo di provvedere a tutto ciò in forza della vostra provata devozione, della fede e del rispettoso ossequio verso questa Cattedra del Beato Pietro, e Noi, con grande affetto impartiamo a voi e a tutti i vostri colleghi l’Apostolica Benedizione, propiziatrice dell’aiuto celeste e testimonianza del Nostro amore: Benedizione che ciascuno estenderà al proprio gregge.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 30 aprile 1841, undicesimo anno del Nostro Pontificato.


  Magistero pontificio – Copertina