Tutti i papi Benedetti (2)

Breve storia dei sedici pontefici che hanno scelto il nome Benedetto.

Ricapitolando la prima parte dei Papi che portarono il nome Benedetto, eravamo rimasti alla situazione incresciosa di ben tre Pontefici anche se, è bene ricordarlo, Benedetto IX, Silvestro III e Gregorio VI, le cui date di pontificato si incrociano più che succedersi come abbiamo visto, risultano tranquillamente nella lista dei Pontefici in qualche modo legittimi, e Benedetto IX per ben tre volte, perché dopo la morte di Clemente II, il 9 ottobre 1047, egli fu aiutato per la seconda volta dai suoi a reinsediarsi a Roma. E ci volle un altro Papa tedesco, Damaso II, e poi ancora un altro, san Leone IX, perché Benedetto alla fine accettasse di ritirarsi nel monastero di Grottaferrata, dove finì i suoi giorni tra il 1055 e il 1056.

Benedetto X, il papa deposto

Veniamo ora a Benedetto X (1058 +1060). Anch’egli romano, vescovo cardinale di Velletri, figlio di Guido conte Tuscolano e di Emilia Conti, ed eletto dai romani, regnò di fatto fra l’aprile e il dicembre 1058. Risulta però inizialmente fra gli antipapi per il giudizio solenne di deposizione che su di lui fu pronunciato dal suo stesso successore Niccolò II, nel 1060, e non solo, ma venne protestato perfino da san Pier Damiani all’epoca cardinale di Ostia e di conseguenza colui che con gli altri cardinali avrebbero dovuto intronizzare il nuovo Pontefice. Ma san Pier Damiani non ci sta e piuttosto che prestarsi ad uno scisma, se ne va da Roma con gli altri cardinali d’accordo con lui. Così nella notte del 5 aprile 1058, nelle tenebre, Benedetto X veniva intronizzato nella Basilica del Laterano. Si dice anche che Benedetto X nonostante i suoi nobili natali fosse quasi analfabeta e di profonda ignoranza tanto da ricevere – e forse ingiustamente – il soprannome di “mincio” ossia…. minchione. Prima di partire per la Toscana, il defunto Papa Silvestro IX (1057 +1058) aveva mandato al cardinale Ildebrando Damiani in Germania, come suo legato, dichiarando che, ove venisse a morire prima del suo ritorno, la sede avrebbe dovuto rimanere vacante affinché la nuova elezione fosse approvata dallo stesso Ildebrando in accordo con la maggioranza dei cardinali. Questa raccomandazione fu lungimirante e produsse una svolta storica nella elezione dei futuri Pontefici.

Il cardinale Ildebrando constatando che nel frattempo era stato eletto Benedetto X, fermatosi a Firenze indirizzò ai romani una lettera sulle conseguenze del grave scisma che si era aperto e ottenne da essi la più illuminata facoltà nel concilio di Siena, nel quale fece eleggere quale legittimo Pontefice, Gerardo, Vescovo di Firenze, che assunse il nome di Niccolò II. A quel punto Benedetto X si arrende, gettandosi ai piedi di Niccolò, confessa i suoi errori chiedendo l’assoluzione. Il cardinale Ildebrando davanti al sinodo lateranese dell’aprile 1060, davanti a tutti i cardinali ed allo stesso Pontefice, lo degrada spogliandolo delle vesti sacerdotali, scomunicandolo. Da questo momento Benedetto, vive in penitenza e mortificazione nell’ospizio di Sant’Agnese per molti anni. Gregorio VII (1073 +1085) – che era il cardinale Ildebrando – che lo aveva appunto scomunicato davanti a Niccolò II, lo riaccolse poi nella comunione della Chiesa, ricevendolo in Santa Maria Maggiore. Va annotato che alcuni atti compiuti da Benedetto X sono tenuti validi, anche se non rientra in molte liste degli elenchi papali, ebbe poi un’importante funzione maieutica, perché il suo pontificato determinò la scelta, che poi si sarebbe rivelata definitiva, di riservare l’elezione pontificia ai cardinali: «Il suo pontificato […] fornì l’occasione per il decreto sull’elezione pontificia del 1059, tramite il quale il gruppo dei riformatori si assicurò una decisiva influenza sull’elezione stessa e si preoccupò soprattutto di decretare legittima l’elezione di Niccolò II, compiuta in maniera che ben difficilmente poteva considerarsi canonica secondo le regole che erano in uso in precedenza» (Dizionario storico del papato I, 161). Quasi a risarcimento postumo, l’ordinale dei papi Benedetto tiene conto di Benedetto X anche se, come potete vedere, non c’è una foto ufficiale. Infatti il papa che dopo due secoli e mezzo avrebbe ripreso quel nome è da tutti ricordato come Benedetto XI.

0-nomen-benedetto-11_53be52e47686cBenedetto XI (1303 +1304), Niccolò Boccasino, è il primo Papa dell’Ordine dei Predicatori, e pure Generale dei domenicani, ad essere eletto (1). La sua storia si intreccia con quella di Bonifacio VIII, suo predecessore, e il famoso “schiaffo di Anagni”, con tutta la questione di Filippo il Bello, che vi abbiamo narrato qui. Nato nel 1240 a Treviso, e vestite le Bianche Lane domenicane a soli quindici anni, il Boccasino si distinse subito per la sua profonda vocazione sacerdotale, animo virtuoso ed equilibrato, uomo di profonda mitezza, intelligente e diplomatico tanto che, Bonifacio VIII lo volle premiare cardinale e lo inviò come suo delegato di fiducia in Ungheria nel 1298, e ancora in altri Paesi per svolgere incontri diplomatici. Non abbiamo bisogno di consultare schedari ed altro a riguardo di alcune tappe di Niccolò, perché lui stesso mise per iscritto questa testimonianza: ” A quattordici anni entrai nell’Ordine; vi studiai altri quattordici anni, per altri quattordici esercitai l’ufficio di Lettore (cioè insegnante), e ne trascorsi altri quattordici nelle cariche dell’Ordine, prima di essere eletto Maestro Generale…”.

Quando a Treviso il futuro Papa vestiva le Bianche Lane domenicane, cioè nel 1254, pensate che san Tommaso d’Aquino aveva iniziato a Parigi la sua gloriosa carriera di insegnante e si preparava al magistero; effettivamente l’ordine di san Domenico era all’apogeo del suo splendore… E’ vero che la “carriera” di Niccolò fu tutta in salita, ma da non confondersi con gli agi e gli allori come si penserebbe oggi quando si dice “ha fatto carriera”, Niccolò infatti non solo non era un ambizioso, ma non era neppure un tipo accomodante, inoltre egli vedeva questo salire come la salita del Calvario e si diceva spesso curioso di sapere fino a che punto il Signore lo avesse portato sul Golgota, e pregava la Vergine Maria di non farlo mai deviare da tal percorso e che, giunti al fine della vita, ai piedi della Croce, lo avesse aiutato ad affrontare qualsiasi sacrificio definitivo che il Signore gli avesse chiesto.

Ed ecco un bell’aneddoto. Sulla pia Bernarda, la mamma di Benedetto XI, si racconta di un episodio che la tradizione ha voluto conservare nel tempo legato alla elezione del figlio Niccolò a Sommo Pontefice. Dalla nativa Treviso sarebbe giunta a Perugia per riabbracciare almeno un ultima volta il figlio e vederlo in tanta gloria. Era giunta in città con poveri vesti di popolana. Ma prima di introdurla dal Pontefice, i cortigiani la convinsero, nonostante ne fosse contrariata, di vestirsi con abiti sfarzosi e principeschi che si addicevano, secondo loro, alla mamma di un Papa. Benedetto XI appena la vide entrare imbarazzata sotto quelle vesti che non le si addicevano affatto, si mostrò dispiaciuto e tanto contrariato da non volerla ricevere. La mamma soffrì molto ma comprese di aver sbagliato, rivestì i suoi abiti di popolana e appena il figliuolo la vide, gli andò incontro abbracciandola con infinita dolcezza davanti a tutta la corte. Quando Bonifacio VIII gli conferirà il cardinalato, il Boccasino nell’atto di prostrarsi dinnanzi al venerando Pontefice, non poté fare a meno di chiedere commosso: “Beatissimo Padre, perché avete posto sulle mie povere spalle un fardello così pesante?”, e il Papa gli rispose: ” Non preoccupatevi, questo ve lo impongo io, ma il Signore stesso ve ne imporrà un altro ancor più pesante, fatevi trovare pronto…”.

E profezia fu! Fra Niccolò Boccasino, nono Maestro Generale dell’Ordine di san Domenico, sarebbe diventato così successore di Bonifacio VIII. A lui, umile frate domenicano, attendeva la sorte miseranda del Pontificato Romano. Per due lunghi e dolorosissimi giorni egli dovette assistere impotente ed inorridito alla prigionia di Bonifacio ingiustamente calunniato, e nel suo palazzo fra insulti e scherni dei suoi feroci e volgari nemici. Non è un caso che il così detto “secolo d’oro” dell’Occidente cristiano, si eclissava sotto gli occhi di un umile frate innalzato a tanto ruolo, in una atmosfera di vera e triste tragedia. Il Beato Benedetto XI avrà così come missione quella di lanciare al mondo il grido di dolore e di esecrazione per tanto delitto, che egli definirà: “un’infame scelleragine, e una scellerata infamia”. Il suo programma di governo, dunque, aveva come fondamento la pace e l’unità nella Chiesa tanto che riabilitò i Colonna togliendo loro le scomuniche passate, restituendo loro i diritti civili, ma non reintegrò i due ex cardinali Colonna colpevoli di troppa cattiveria reproba e non volle reintegrare neppure Sciarra, reo dello schiaffo a Bonifacio VIII e del cui gesto egli stesso fu, appunto, testimone oculare. Anche verso Filippo il Bello cercò la pace e con un atto generoso scrisse una lettera “per evitare scandali e perché era necessario moderare un poco il rigore nell’interesse della moltitudine”, e con tale gesto il 2 aprile 1034, assolveva Filippo il Bello e tutta la Francia dalle censure del suo Predecessore.

Ma questa clemenza non doveva offuscare il senso della giustizia e perciò, Benedetto XI, il 7 giugno dello stesso anno pubblicava in una Bolla – Flagitiosum scelus – la scomunica personale contro quindici caporioni della impresa di Anagni. Una Bolla dai toni severi ma anche ispirati, di dura condanna e riprovazione, ecco un passo: “Essi hanno commesso questi delitti pubblicamente e sotto i nostri occhi: delitti di lesa maestà, di ribellione, di sacrilegio, di fellonia, di latrocinio, di rapina; il solo pensarvi mette orrore… Qual santuario sarà rispettato dopo essere stato violato il Pontefice di Roma? Oh, malvagità inaudita! Miserabile Anagni, che hai lasciato commettere simili cose entro le tue mura! Che la rugiada e la pioggia non cadan più sopra di te, che ti caschin sopra alte montagne, perché l’eroe è caduto; quegli che aveva sì gran potere è stato abbattuto sotto i tuoi occhi e non vi ti sei opposta….”. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, e così Filippo il Bello, per nulla convertito, manda ipocritamente a Roma due suoi ambasciatori con il compito di “ungere” il Pontefice, nella speranza di attirarlo dalla sua parte e far condannare Bonifacio VIII. Ma Filippo evidentemente non conosceva la preparazione veramente cristiana del Papa. Benedetto XI infatti rispose al re di Francia che non era necessaria alcuna piaggeria e che lui stesso in persona gli aveva dato prova del suo affetto paterno coll’averlo assolto dalla scomunica, prima ancora di averglielo chiesto, e che come Pontefice lo riteneva una pecorella illustre, nobile, distinta, ma anche pecorella traviata e smarrita di cuore. Per tutta risposta Filippo il Bello ancora insisteva che si facesse un concilio per condannare Bonifacio, ma Benedetto XI non rispose più alle provocazioni del re superbo e presuntuoso.

Man mano che andremo avanti nella storia dei Papi troveremo, naturalmente molto più materiale. Di Benedetto XI sono tramandate le virtù amabili che gli avvalsero da subito una venerazione da parte dei fedeli che lo hanno da sempre definito un vero “beato”. La scienza è per lui un tutt’uno con la santità della vita, insisteva molto sulla coerenza di una vita cristiana: scrisse Sermoni e Commentari su parte del Vangelo di Matteo e i Salmi, sul Libro di Giobbe e sull’Apocalisse. Benedetto XI, anche sotto altri aspetti, si presenta a noi come l’antitesi perfetta del suo grande confratello Tommaso d’Aquino. Tra gli atti del suo breve pontificato, c’è il decreto che fa obbligo a ogni cristiano di confessarsi almeno una volta all’anno. Poiché le turbolenze a Roma non si erano affatto placate, il Papa dovette spostarsi prima a Montefiascone, a Viterbo e poi a Perugia dove svolse una intensa attività di governo ricevendo gli ambasciatori di Giovanni II re di Aragona, i quali professavano di riconoscere come feudi pontifici i regni di Sardegna e di Corsica, concessi dalla Santa Sede agli Aragonesi nel 1207. Altrettanto fecero gli ambasciatori di Federico re di Sicilia. Con sorpresa e vero profondo dolore, un mese dopo la pubblicazione della Bolla sopra citata, Benedetto XI moriva a Perugia a 64 anni di età. La serietà di un tracciato storico è propensa nel ritenere che Benedetto XI fu avvelenato. Papa Giovanni XXII nel 1319 ordinava all’arcivescovo di Tolosa con altri due vescovi, di istituire un processo contro il francescano Bernardo Deliziosi, indiziato quale strumento della morte del Papa. Il Deliziosi fu condannato al carcere perpetuo ed espulso dall’Ordine francescano, tuttavia le circostanze di questa morte sono rimaste irrisolte. Da quel momento i Papi che gli succedettero si rassegnarono a dimorare in Avignone, rendendosi più o meno consenzienti , strumenti compromessi alla politica francese.

Rileggendo la storia è assai probabile che tutta questa situazione doveva purtroppo preparare lo Scisma d’Occidente, e con esso accelerare la corruzione dei costumi nel clero e nel popolo, arrivare così anche al Protestantesimo e alle sue tristi conseguenze. Secondo alcuni studiosi e dello stesso Cesare Cantù, si può affermare che l’Ordine Domenicano ebbe il compito provvidenziale di ritardare di tre secoli il dilagare dell’eresia in Europa, il che non ci sembra poca cosa. Ma se Benedetto XI avesse avuto la possibilità di governare la Chiesa per quei “quattordici anni”, qualcuno azzarda l’ipotesi che il Protestantesimo non avrebbe avuto il successo che ebbe. Ma la storia non si fa con i sé e con i ma, ogni supposizione è inutile, del resto leggendo la storia non è un caso che un’altra grande figlia dell’Ordine Guzmano, Santa Caterina da Siena, ebbe il compito di riportare il Papato a Roma, sua Sede naturale e divina, quasi a voler chiudere un contenzioso che Benedetto XI non riuscì a chiudere, o che forse non gli permisero di chiudere. Non ci resta che adorare l’arcano Consiglio di Dio, la sublime Divina Provvidenza, che per i peccati degli uomini non volle concedere al mondo il protrarsi del governo di un Pontefice così umile, beato e santo.

L’epigrafe sepolcrale di Benedetto XI, chiesa di San Domenico, Perugia, così commemora Benedetto XI: “Quanto è degno di lode, quanto dolcemente è da venerare questo inclito padre. Già semplice frate dell’Ordine di san Domenico, che fu solerte amico di Cristo, insegnò con onore, anzi fu ritenuto il primo dei dottori. Poi fu fatto maestro generale dei frati. Uomo di tanta dottrina, divenne poi cardinale di Sabina, e con gioia gli danno il titolo le due sedi di Ostia e di Velletri. Fu gioiello di sapienza come legato in Ungheria. Divenne quindi pater patrum, signore del mondo, gloria dei frati. Fu detto a ragione, di nome e di fatto, Benedetto. Nacque a Treviso e qui a Perugia venne nel primo anno di pontificato; governò con giustizia ogni cosa a lui sottoposta; nel nono mese fu atterrato dalla spada della morte. I miracoli rendono santo quest’uomo così grande, che a coloro che ne sono degni dispensa aiuti di grazia con segni innumerevoli. Tu che leggi tieni a mente: correva l’anno milletrecentoquattro, quando quest’uomo mite se ne dipartì. Ciò avvenne nel sesto giorno di luglio”.

0-nomen-benedetto-12_53be5387ef364Papa Benedetto XII (1334 +1342) è l’altro papa del Trecento ad assumere il nome Benedetto. Scelta che nel suo caso sembra di nuovo riferita innanzitutto al santo patriarca del monachesimo occidentale, era stato infatti cistercense tanto che, quando fu nominato cardinale, lo chiamavano “il cardinale bianco”. Benedetto XII al secolo Giacomo Fournier, terzo dei sette papi cosiddetti avignonesi. Quello che ebbe il regno più breve. Non escludiamo che si volle richiamare anche a Benedetto XI. In effetti accomunavano i due papi tanto la professione religiosa quanto il rigore della vita. Ma non solo. Li accomunava anche la fedeltà personale alla Chiesa, unita alla necessità di prendere le distanze, rispetto ai loro immediati predecessori che erano stati coinvolti in lotte talmente cruciali col potere regio e imperiale (ormai non più distinti se non per nazionalità) da costringerli ad affermazioni e reazioni aspre tanto quanto quelle che intendevano combattere. Se Bonifacio VIII, predecessore di Benedetto XI, aveva ingaggiato una lotta senza quartiere con Filippo il Bello, Giovanni XXII (1316 +1334) suo predecessore, si era trovato a fronteggiare l’assalto per certi versi ancora più deciso, tanto dal punto di vista dottrinale che disciplinare, di Ludovico il Bavaro, che era arrivato a farsi incoronare imperatore a Roma da un antipapa fatto appositamente eleggere e che per la prima volta nella storia fu definito proprio con questo epiteto. Tanto sovrani che papi duellavano con tutti i mezzi a disposizione, ivi compresi eserciti di scrittori e scorte di trattati. Siamo in piena “cattività avignonese” e, rigido nei costumi e coerente con una vita virtuosa, Benedetto XII si accinse a riformare la Corte papale cominciando con il dichiarare di non voler più concedere i benefici vacanti. Diceva che era meglio che rimanessero vacanti anzi che male amministrati e che non voleva onorare col fango (lutum exornare) eleggendo persone indegne… Ebbe desiderio di riportare la sede petrina a Roma dove aveva già trasferito la sua Curia, ma il Sacro Collegio della Corte francese glielo impedì. La sua scelta come papa, ricorda Benedetto XI. «Sembra che la scelta rappresentasse una sorpresa: il nuovo Papa non aveva alcuna esperienza di questioni politiche, ma la sua competenza teologica, la sua attività pastorale, la sua austerità erano atte a produrre un serio sforzo di rettitudine dottrinale, morale e amministrativa. […] Fin dal suo primo concistoro segreto invitò i cardinali che lo avevano eletto ad aiutarlo a “rendere produttiva la vigna del Signore”» (2).

Forte nella fede e nella riforma dei costumi, fu tuttavia debole in politica nella quale, il più delle volte, non volle entrarci, problemi politici che si riverseranno poi al suo successore Clemente VI. Acerrimo nemico della cultura degli abusi e di ogni forma di favoritismo, Benedetto XII era assai più portato per gli affari interni alla Chiesa, e di questi si occupò con tutte le sue forze anche se non riuscì ad ottenere la riforma sperata. Ripeteva che il Papa in primis, ma anche ogni sacerdote e dunque cardinali e vescovi, dovevano somigliare a Melchisedech, del quale la Scrittura dice che era senza padre, senza madre, senza genealogia. Questo diceva per combattere contro ogni forma di simonia e di matrimoni combinati per rafforzare i propri poteri. La Bolla Benedictus Deus del 19 febbraio 1336, che pose termine alla tanto discussa questione della “beatifica visione”, è senza dubbio il suo Documento più importante e duraturo, visto che è entrato a pieno titolo nel Magistero pontificio e dottrinale. A secoli di distanza, in qualunque trattato di escatologia si legge un giudizio simile. Non è cosa da poco, vista la presunzione che spesso accompagna i teologi.

Bisogna partire da lontano per capire come e perché fu decisivo l’intervento di Benedetto XII sulla questione. Il suo predecessore Giovanni XXII si era lasciato andare a pericolose elucubrazioni, sostenendo in una serie di sermoni che le anime non conosceranno la perfetta beatitudine se non al momento dell’ultimo giudizio, quando saranno riunite ai corpi. Era una tesi che Giovanni XXII pretendeva poggiare sull’autorità di san Bernardo. Benedetto XII, ancora cardinale, non solo salvaguardò l’ortodossia di san Bernardo, dando un’interpretazione dei suoi scritti che gli rendeva giustizia, ma anche quella di Giovanni XXII, riducendo la sua tesi a una pura opinione personale su di una questione ancora non formalmente definita. Potremo dire, oggi, davvero “nulla di nuovo”. Nel frattempo, mentre preparava quella definizione dogmatica che da allora fa testo al riguardo (cfr. Denzinger-Hünermann 1000-1002), corresse amabilmente il Papa fino a farlo ravvedere in punto di morte. Le parole che Eco nel Nome della rosa mette in bocca a Giovanni XXII sono quelle da lui effettivamente pronunciate, secondo la testimonianza dello stesso Benedetto, ma l’atmosfera in cui le situa è un debito pagato alla lettura convenzionale di quell’epoca, anzi… un credito acquistato, ma nella menzogna. Non basta. Nel De statu animarum, un grande trattato in sei libri che uscì una volta che fu fatto papa, Benedetto affrontò da par suo – come teologo tomista, ma allo stesso tempo memore della lezione che san Bernardo aveva tratto dai Padri, in particolare Agostino – tutta la questione, lasciando intravedere fra l’altro una possibile via per comprendere correttamente, senza tradire né Tommaso né Agostino, come si possa parlare di un progresso dell’intensità della visione beatifica fra giudizio particolare e giudizio finale. Oggi che alcuni autori anche famosi sostengono un’assoluta coincidenza dei due momenti fino al punto da annullare il senso stesso del giudizio finale, potrebbe essere saggio valorizzare la dottrina di Benedetto! (3). Dopo una lunga malattia, Benedetto XII moriva il 25 aprile 1342, e fu sepolto ad Avignone. I Cistercensi lo venerano come beato nella propria liturgia.

Gli antipapi Benedetti

Due sole parole, concedetecele, per ricordare ben due antipapi col nome Benedetto. Fra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento incontriamo altri due Benedetto.  L’aragonese Pedro de Luna, l’antipapa che sul finire del secolo XIV prese il nome di Benedetto XIII nella linea avignonese o clementista del Grande scisma d’Occidente. Fatto cardinale ancora da Gregorio XI nel 1375, prima del definitivo ritorno da Avignone di questo Papa, si adoperò per portare all’obbedienza di Clemente VII – che era stato eletto nel 1378 in alternativa al papa romano successore di Gregorio XI – tutti i regni iberici. Succedette poi lui stesso nel 1394 a Clemente VII e pretese regnare anche dopo la deposizione in cui era incorso nel 1417 al Concilio di Costanza, che aveva risolto la compresenza non solo di Benedetto XIII e del papa romano, ma anche di un terzo papa che si era venuto ad aggiungere nel frattempo, deponendo anche costui e favorendo la rinuncia del papa romano. Fu l’ultimo vero antipapa, anche se altri due gli tennero dietro. Uno dei quali, Benedetto XIV, fu antipapa dell’antipapa, perché segretamente eletto da uno dei quattro cardinali seguaci di Pedro de Luna in opposizione al candidato degli altri tre. La fine dell’Impero toglieva ormai ogni altro spessore agli antipapi che non fosse quello di poveri Don Chisciotte con un solo scudiero. La Chiesa non ne avrebbe infatti conosciuti altri, se non l’effimero Felice V (1439-1449) conosciuto in assoluto come l’ultimo antipapa. Da qui l’illusione che in epoca moderna il nemico stia solo all’esterno (4).

II vero Benedetto XIII

0-nomen-benedetto-13_53be5441d1921Siamo giunti a Benedetto XIII, quello vero (1724 +1730). Dopo una sede vacante di ben tre mesi, il 29 maggio 1724 un altro Domenicano, il terzo, (il secondo fu San Pio V 1566 +1572 e canonizzato nel 1712) sale sulla Cattedra Petrina. E vi sale scegliendo lo stesso nome di Benedetto, nel maggio 1724, il cardinale Pietro Francesco Orsini ovvero, secondo il nome di religione, il domenicano fra Vincenzo Maria Orsini. Il nome di Benedetto in riferimento proprio al beato papa domenicano Benedetto XI del 1303. Di nobile e religiosissima famiglia pugliese (sua madre, rimasta vedova nel 1658, avrebbe poi vestito l’abito domenicano), fece la sua professione fra i domenicani nel febbraio 1669 poco più che diciannovenne, entrando nel convento domenicano a Venezia. La potente famiglia Orsini tentò ogni manovra – lecita ed illecita – per distoglierlo dalla decisione presa a tal punto che dovette intervenire in sua difesa il Papa Clemente IX (1667 +1669), a frenare i parenti dell’umile fraticello che, intanto, procedeva per la sua strada. A 21 anni lo troviamo già a Bologna, professore affermato e grande oratore, intento a migliorare le proprie conoscenze. Aveva solo 23 anni quando Clemente IX gli pose la porpora cardinalizia che egli accettò umilmente solo dopo essersi consultato con il Maestro generale dell’Ordine. Nel 1675 fu nominato arcivescovo di Manfredonia, poi di Cesena nel 1680 ed infine a Benevento nel 1686 dove vi rimase fino all’elezione di Pontefice. Benedetto XIII seppe conquistarsi la benevolenza di tutti, specialmente del popolo. Non era “stima” superficiale infatti la sua vita virtuosa e coerente fu talmente credibile e contagiosa da far presa così anche sulla sua famiglia che, alla fine la madre, la sorella e due suoi nipoti, rinunciarono al mondo per consacrarsi a Dio secondo la Regola del Terz’Ordine Domenicano. Quando fu eletto Papa i cardinali dovettero far entrare nel conclave finito il Maestro Generale dell’Ordine Domenicano il quale impose al pio religioso di accettare l’elezione, per virtù della santa obbedienza.

Quando fu portato in sedia gestatoria, il 29 maggio 1724 per l’intronizzazione, il neoeletto davanti all’entrata della Basilica di San Pietro, volle scendere e senza pompa magna, volle entrare umilmente fino all’altare maggiore, proseguendo a piedi in segno di penitenza. E sempre in segno di umiltà non si assise nel centro dell’altare, ma volle mettersi di lato dell’epistola, per ricevere l’omaggio dei cardinali. E non sono solo di oggi quelle voci serpeggianti conservatrici che, davanti a queste innovazioni, vedevano “brutti presagi”, o in direzione opposta verso i più modernisti che già c’erano all’epoca, vederli esultare nel pensare che questi gesti avrebbero finalmente fatto saltare lo scettro temporale del Primato stesso. Benedetto XIII andava per la sua strada. Avvenne anche che, nella Processione del Corpus Domini egli stesso volle portare il Santissimo, a piedi: questo per l’epoca fu davvero un gesto nuovo, innovativo, una vera novità che edificò l’intero popolo. Per le passeggiate quotidiane, Benedetto XIII non voleva mai la carrozza papale, ma scegliendo quella più semplice si recava a far visita agli ammalati della Città, ci teneva a volerli conoscere uno ad uno, e di molti seguitava ad informarsi sulla loro salute. Un giorno visitando l’ospedale al Laterano si accorse che i letti erano scomodi, non erano – disse – “confacenti” alle necessità dei ricoverati e chiese di provvedere quanto prima alla loro sostituzione e di trattare i malati con quegli stessi riguardi che avrebbero usato per lui. La carità che seppe contagiare in quel periodo, portò molti benefici alla città stessa, tutti si sentivano coinvolti e tutti facevano a gara, fra gli ospedali, per apportare migliorie e serenità fra gli ammalati.

E se all’epoca la parola “solidarietà” non veniva pronunciata perché la dottrina sulla e della “carità” era pienamente comprensibile, di fatto tutti si sentirono coinvolti nelle richieste del Pontefice. Forse certi vaticanisti del nostro tempo, dediti al culto della mediaticità (e forse disinformazione più che informazione), al culto dello scoop che cercano di trovare nei gesti dei Papi di oggi, segni quasi fossero una novità, una innovazione, addirittura impetrando con questi dei cambiamenti al Ministero Petrino o alla morte del suo Primato, questi vaticanisti dovrebbero forse rileggersi la storia e scoprirebbero come certi gesti non sono solo di oggi, e dove ogni Papa santo – anche se non canonizzato – ha saputo dare dei chiari messaggi di innovazione, in ogni suo tempo, e non di distruzione! Questo suo modo di essere era talmente convincente che ben presto la semplice stima diventò affetto sincero e fedeltà al suo magistero. Il 15 aprile del 1725 Benedetto XIII inaugurava a Roma un concilio assai particolare. Ai 115 Padri intervenuti fece un discorso sui vantaggi che derivano alle chiese singole e ai fedeli dalla pratica di celebrare i sinodi! Questo concilio durò poco più di un mese, furono raccolti 32 capitoli contenenti materia di dogmatica e di disciplina. Nella vessata questione giansenista Benedetto intervenne confermando la Bolla del predecessore Clemente XI (1700 +1721) “Unigenitus”. Il cardinale di Noailles finalmente aderì alla bolla con la lettera del 1728, e ritrattò quanto vi aveva asserito di contrario. Dietro il suo esempio molti altri vescovi al concilio si sottomisero, così fece anche la Sorbona (nel 1729) ed anche il Senato di Parigi nel 1730. Cessò così, al momento, l’inquietudine del movimento detto degli “appellanti”.

E fu anche un Papa che viaggiò per fare le “visite pastorali”. Si recò nella sua amata Benevento per celebrarvi la Settimana Santa nel 1727 e nel 1729, tenendovi anche un concilio provinciale. Ritornato a Roma e su richiesta insistente dell’Abate Sebastiano Gadaleto, sostò anche a Monte Cassino e il 18 maggio vi consacrò la chiesa i cui lavori erano iniziati nel 1640, ed ora portata a termine. C’è davvero una curiosità assai ghiotta. Tra le molti disposizioni disciplinari di Benedetto XIII troviamo curioso che abolì la scomunica che Innocenzo X (1644 +1655) aveva irrogata contro quelli che “fiutavano tabacco nella Basilica Vaticana”. Una simile proibizione, a mezzo grave di una scomunica, era parsa opportuna ai tempi di Papa Innocenzo quando l’uso del tabacco era un lusso, e lo si offriva – e lo si riceveva – con un cerimoniale quasi ritualistico, cortigianesco e con lo scambio di troppe riverenze. In sostanza Papa Innocenzo non si accaniva sul tabacco, il cui uso era del tutto naturale, ma sul cerimoniale e lo spreco. Curioso invece che non abbia tolto il divieto di giocare al Lotto, che era stato importato non da Napoli come si pensa, ma da Genova, e si sdegnava Benedetto quanto quel gioco catturasse troppo l’attenzione di non pochi ecclesiastici. Quando i Vescovi si presentavano alle Udienze solitamente si inginocchiavano e in tale posizione restavano mentre, i cardinali, si sedevano, Benedetto dunque tolse questa usanza permettendo ai vescovi, dopo il saluto, di sedersi come i cardinali. Nel 1728 approvò l’erezione dell’Università di Camerino. Per promuovere l’erezione di Seminari diocesani, creò una apposita Commissione detta “Congregatio Seminariorum”. Da non dimenticare l’entusiasmo con il quale preparò l’Anno del Giubileo 1725 e in quella occasione fece incoronare – in Campidoglio – sommo poeta tale Bernardino Perfetti (l’ultimo ad avere tale onore era stato il Petrarca l’8 aprile 1341). E fu lui ad inaugurare la meravigliosa scalinata di Santa Trinità dei Monti. Ma come ogni bella favola che si rispetti, lo spettro delle tenebre sempre in agguato e del mostro cattivo, non si fece attendere neppure in questo santo Pontificato.

Benedetto XIII fece in tutto 29 nuovi cardinali. La più disgraziata di queste nomine fu la promozione di Niccolò Coscia, nonostante ben 9 cardinali misero in guardia il Papa dal fidarsi di codesta persona. Una persona davvero infida che era riuscito da sempre ad ingannare l’umile frate il quale, infatti, l’aveva ammesso già alle sue grazie fin da quando era arcivescovo di Benevento. Non a caso si diceva così del Papa: “alla semplicità della colomba, non accoppiava la sagacità del serpente”. Il Coscia non tardò, continuando ad ingannare il Pontefice, a soddisfare la sua ingordigia. Gli affari politici furono messi nelle mani del Coscia il quale, non aspettando altro, cominciò ad ingraziarsi i governi stranieri col far loro grandi promesse e concessioni anche a scapito degli interessi spirituali della Chiesa. Il Coscia concludeva accordi e affari senza interpellare il Collegio Cardinalizio, atti le cui ripercussioni politiche ritroveremo alla fine del ‘700 e nell’800. Il vecchio Pontefice, che aveva già varcato gli ottanta anni, lasciava fare anche perché, giunto all’estremo delle forze, non voleva fare altro ora che preparare la sua anima all’incontro con Dio e perciò si dedicava maggiormente alla preghiera ed alle funzioni religiose. A chi vedendolo affaticato gli consigliava di fare di meno, di stare più riguardato, rispondeva: “un Papa deve morire col piviale addosso!”. Infatti pochi giorni dopo, Benedetto XIII moriva, era il 21 febbraio 1730. E’ sepolto nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Sua la fondazione dell’Ospedale San Gallicano, ricovero specifico per le malattie della pelle. Nell’epigrafe all’ingresso dell’ospedale si legge infatti: «Benedetto XIII padre dei poveri eresse questo ospizio ampio e imponente, e dotato di censo annuo, per curare gli abbandonati e respinti da tutti che soffrono per il prurito in testa per la tigna e per la scabbia, e per strapparli dalle fauci di una morte precoce. Nell’anno della salvezza 1725».

Sia di monito a noi oggi ricordare che i Santi li dobbiamo anche meritare, e che se abbandoniamo le vie del Signore, il Signore abbandonerà noi ai nostri progetti che se sono malvagi e perversi non faranno altro che condurci alla rovina. Certo, il Signore è fedele e proteggerà sempre la Chiesa: Et ego dico tibi: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam; et portae inferi non praevalebunt adversum eam. / E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. (Mt 16,18), questo non significa però, che le ingiustizie e le cattive azioni non troveranno spazio, al contrario, la promessa di fedeltà del Signore è stata pronunciata proprio per metterci in guardia dal fatto che solo la Chiesa sarà preservata dalle tenebre totali dell’inferno, il mondo no.

NOTE

1) Per completare le vicende storiche relative a Benedetto XI, essendo appunto domenicano,ci siamo avvalsi di quanto riportato dalle fonti Domenicane, a cura di mon. Ludovico Ferretti e padre Tito Centi O.P. – Firenze 1956 – in “Vocazioni Domenicane”.

2) dalla voce nel Dizionario Biografico degli Italiani, a firma di Bernard Guillemain che, insieme a Guillaume Mollat, è forse il più grande studioso del papato avignonese

3) di Lorenzo Cappelletti da una serie di articoli in archivio alla rivista, dismessa, 30giorni

4) ibidem, come sopra

Tutto il resto dell’articolo: prende spunto dal Vol. I e II Storia dei Papi – C.Castiglioni prefetto all’Ambrosiana – 1957 seconda Ed. riveduta e aggiornata fino al Papa regnante Pio XII

– ed anche: Grande Dizionario dei Papi – Oxford University Press – J. N.D. Kelly 1986.


Da Bologna due Benedetto, il 14° e il 15°

Benedetto XIV aveva davvero preceduto il Concilio Vaticano II, o fu degno precursore, se soltanto lo avessero preso come esempio! Oltre ad aver ideato il sistema dell’encicliche per far giungere a tutti il magistero pontificio, avendo compreso la necessità di una “nuova” pastorale adatta ad affrontare la sfida dell’Illuminismo e del razionalismo – usate come armi contro la Chiesa.

Benedetto XV chiarisce l’urgenza per: “un’attenzione specialissima a sopire i dissensi e le discordie tra i cattolici, quali esse si siano, e ad impedire che ne sorgano altre in avvenire, tal ché tra i cattolici, uno sia il pensare e uno l’operare…” e specifica: “Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come profane novità di parole, che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché né è ammissibile il più, né il meno: “Questa è la fede cattolica, alla quale chi non crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo” (Symb. Athanas.); o si professa intero, o punto non si professa. Non vi ha dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicismo; basti a ciascuno di dire così: “Cristiano il mio nome, e cattolico il mio cognome”; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina”.

“Due anzitutto sono gli obblighi che dal Concilio Tridentino sono imposti a chi ha cura delle anime. Il primo comporta che nei giorni festivi tengano il sermone sulle cose divine; il secondo che istruiscano, con i rudimenti della Fede, i bambini e chiunque ignori la Legge Divina. Se nei giorni stabiliti i parroci svolgeranno la doverosa omelia, che non assordi le orecchie con suasive parole di umana sapienza, ma con parole adatte alla capacità degli ascoltatori infonda lo Spirito nel loro cuore; se annunzieranno un Mistero, specie nel tempo in cui la Chiesa lo ricorda, seminando ciò che è di incitamento alla virtù e di ricusazione dei vizi, soprattutto dei più gravi che con più disdoro infieriscono nel popolo; se in questi stessi giorni nutriranno, come bambini appena nati, i fanciulli con il latte della Dottrina, interrogando or l’uno or l’altro, sciogliendo i dubbi e le incertezze; se infine, con l’Apostolo, si dedicheranno alla lettura, all’esortazione e alla dottrina, perché il credente diventi perfetto e istruito in ogni buona opera, è lecito credere che il risultato risponda alle attese e possa sorgere agevolmente un popolo gradito a Dio e operatore di bene…” (1).

0-nomen-benedetto-14_53c0f304c6320Papa Benedetto XIV (1740 +1758 – vedi anche Nota aggiunta in fondo), il bolognese Prospero Lambertini. Senza dubbio Lambertini si affaccia all’interno di grandi cambiamenti epocali e culturali. Tutto ciò che abbiamo appreso, approfondendo la storia dei Papi “Benedetto” precedenti cambia, ci troviamo davanti all’Illuminismo e razionalismo usati contro la Chiesa. “Benedetto XIV fu un papa che apparve tanto diverso da Benedetto XIII come da altri predecessori e successori, che si è potuto sviluppare un mito di Benedetto XIV analogo ma ben più durevole di quello di Pio IX, che, come si sa, svanì prestissimo. Fondato sulla bonomia faceta di papa Lambertini, sulla sua moderazione e sulla sua sana apertura alla modernità, divulgate già da scritti ricchi di aneddoti, a lui coevi o appena posteriori alla sua scomparsa, quel mito è stato rinverdito nel Novecento dall’opera teatrale Il cardinale Lambertini interpretata, in una nota riduzione televisiva, da quel grande maestro delle scene che fu Gino Cervi. Ma la storia non è il mito. Tutti i papi, qualunque siano le lodi o il biasimo che gli uomini hanno loro tributato, realizzano volenti o nolenti il detto secondo cui non possono andare dove vogliono e cingersi da soli la veste. A cominciare dalla loro elezione. Specie quando, come nel caso di Benedetto XIV, si viene eletti inaspettatamente al termine del conclave più lungo e penoso dell’epoca moderna. Solo dopo sei mesi emerse il suo nome: tutta la sua esperienza giuridica e pastorale non era bastata ad accreditare la sua candidatura fintantoché il conclave, che «lungo tutto il Settecento riflette gli equilibri politici in mutamento», per troppo equilibrio non finì in stallo…” (2). Lambertini però era così lontano dal pensare di diventare Papa che pochi giorni prima dell’elezione, col suo abituale tono scherzoso, aveva detto ai cardinali: “Volete un santo? eleggete Gotti. Volete un politico? eleggete Aldobrandini. Volete un buon uomo? eleggete me”.

Così venne eletto Lambertini con 50 voti su 51. Interrogato sulla consueta domanda se accettava, rispondeva che accettava per tre ragioni: “la prima per non dispregiare un vostro benefizio; la seconda per non resistere alla volontà manifesta di Dio, poiché tale la ritengo non avendo io desiderato mai così eccelsa dignità; e la terza per finire queste nostre adunanze che credo servano di scandalo al mondo per la loro durata…” (3). Al pregio della schiettezza si univano in lui le virtù dei costumi, mantenuti incorrotti fin dalla giovinezza, la delicatezza di una coscienza istruita ma sempre purificata da una profonda umiltà, così come la carità dottrinale e materiale. Non era certo un carattere per nulla docile, specialmente a riguardo delle ingiustizie, in questi casi il suo animo si accendeva, prendeva fuoco, ma non durava che pochi istanti, perché subito lo smorzava con la virtù della mitezza.

Benedetto XIV sapeva unire la religiosità autentica alla pratica politica, curava gli interessi della Chiesa, ma mai a discapito della verità o del bene degli uomini, specialmente se eretici o non cattolici. Benedetto XIV fu il primo Pontefice ad usare il termine “Enciclica” introducendo con questo un nuovo genere di documento pontificio. Anche se il contenuto di una enciclica dipende molto dallo scopo e dall’argomento, ciò che la rende una garanzia è che essa impegna l’autorità del Pontefice che la detta, o che la scrive; anche se in modo “ordinario”, essa coinvolge l’infallibilità dell’Autore specialmente se l’argomento riguarda i costumi e la dottrina della Chiesa. Lambertini scrisse in tutto il suo Pontificato ben ventidue encicliche sugli argomenti più diversi, alcuni dogmatici, molti altri di carattere disciplinare e pastorale. Diceva infatti che non era sufficiente condannare gli errori, ma piuttosto, quanto fosse più necessario spiegare dove si annida l’errore: “è fondamentale – diceva – opporre agli errori non tanto la disciplina quanto la dottrina e non solo nei suoi principi, ma soprattutto nelle sue applicazioni”.

Benedetto XIV aveva davvero preceduto il Concilio Vaticano II, o fu degno precursore, se soltanto lo avessero preso come esempio! Oltre ad aver ideato il sistema dell’encicliche per far giungere a tutti il magistero pontificio, avendo compreso la necessità di una “nuova” pastorale adatta ad affrontare la sfida dell’Illuminismo e del razionalismo – usate come armi contro la Chiesa – inizia ad instaurare un rapporto diretto, senza intermediari, con i Vescovi delle principali sede vescovili. Avvia una corrispondenza personale con i Vescovi nelle loro sedi regionali e con loro discute per attuare un “nuovo” sistema di governo interno alla Chiesa, un rapporto tempestivo atto ad eliminare gli equivoci e l’incomunicabilità tante volte originata dai troppi intermediari. La prima Enciclica infatti, Ubi primum del 3 dicembre 1740, è diretta proprio ai Vescovi. Una profonda esortazione: ” … è della massima importanza che la cura delle anime sia affidata a coloro che per dottrina, pietà, purezza di costumi e per insigni esempi di buone opere possono far luce negli altri in tal misura da essere giudicati luce e sale del popolo…. darsi con amore e con passione alla cura delle anime (…). E invero, come potranno dare ascolto, se manca il predicatore? O in che modo i popoli potranno comprendere una legge che prescrive un giusto credo e un giusto comportamento, se i pastori di anime saranno stati, in tale ufficio, pigri, negligenti e inoperosi? Non si può comprendere compiutamente con l’animo o spiegare con le parole quanto danno per la Repubblica Cristiana derivi dalla negligenza di coloro, ai quali è affidata la cura delle anime, soprattutto nell’insegnare ai fanciulli il catechismo.” (4). Poche pagine, solo sei, ma che per oltre un secolo sono state la fotocopia di tutte le encicliche, quelle introduttive, le “enthronisticae” dei suoi Successori.

Per comprendere davvero Benedetto XIV, come operava, come credeva e pensava, è fondamentale citarvi la Lettera enciclica Vix pervenit del 1° novembre 1745, contro l’usura, leggiamo il passo iniziale: “Non appena pervenne alle nostre orecchie che a cagione di una nuova controversia (precisamente se un certo contratto si debba giudicare valido) si venivano diffondendo per l’Italia alcune opinioni che non sembravano conformi ad una saggia dottrina, ritenemmo immediatamente che spettasse alla Nostra Apostolica carica apportare un rimedio efficace ad impedire che questo guaio, con l’andar del tempo e in silenzio, acquistasse forze maggiori; e bloccargli la strada perché non si estendesse serpeggiando a corrompere le città d’Italia ancora immuni. 1. Perciò, prendemmo la decisione di seguire la procedura della quale sempre fu solita servirsi la Sede Apostolica: cioè, abbiamo spiegato tutta la materia ad alcuni Nostri Venerabili Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, che sono molto lodati per la loro profonda dottrina in fatto di Sacra Teologia e di Disciplina Canonica; abbiamo interpellato anche parecchi Regolari coltissimi nell’una e nell’altra materia, scegliendoli, alcuni fra i Monaci, altri nell’Ordine dei Mendicanti, altri ancora fra i Chierici Regolari; abbiamo aggiunto anche un Prelato laureato in utroque jure e dotato di lunga pratica del Foro. Stabilimmo che il giorno 4 del luglio scorso si riunissero tutti alla Nostra presenza e chiarimmo loro i termini della questione. Apprendemmo che già essi ne avevano notizia e la conoscevano a fondo. 2. Successivamente abbiamo ordinato che, liberi da qualsiasi parzialità e avidità, esaminassero accuratamente tutta la materia ed esprimessero per iscritto le loro opinioni (..) Tutti ubbidirono. Infatti, comunicarono le loro opinioni in due Congregazioni, delle quali la prima fu tenuta in Nostra presenza il 18 luglio, l’altra il primo agosto scorsi; alla fine tutti consegnarono le proprie relazioni scritte al Segretario della Congregazione. 3. All’unanimità hanno approvato quanto segue: I. Quel genere di peccato che si chiama usura, e che nell’accordo di prestito ha una sua propria collocazione e un suo proprio posto, consiste in questo: ognuno esige che del prestito (che per sua propria natura chiede soltanto che sia restituito quanto fu prestato) gli sia reso più di ciò che fu ricevuto; e quindi pretende che, oltre al capitale, gli sia dovuto un certo guadagno, in ragione del prestito stesso. Perciò ogni siffatto guadagno che superi il capitale è illecito ed ha carattere usuraio….”.

Benedetto XIV era davvero un uomo intelligente e di profonda astuzia, come uomo certamente fallibile e con i suoi difetti, ma come Pastore e Maestro fu davvero un perno fondamentale per la Chiesa di quegli anni ed oltre. Le controversie illuministe che all’epoca infuocavano gli animi romani, con lui, si raffreddarono. Non più ostilità diretta ma la vera prima apertura al dialogo che di fronte ad un Papa “amabile e spiritoso, dalla battuta e dalla risposta facile”, fu vera breccia in molte coscienze. Altro esempio del suo carattere roccioso era che Lambertini non amava molto il cerimoniale. Era di modi spiccioli e concreti, il protocollo gli pesava molto perché “faceva perdere molto tempo”. Di buon mattino usciva spesso per la città per andare a celebrare personalmente la Messa in qualche Chiesa. Non avvisava nessuno, prendeva e usciva, in fondo Roma era la “sua” città, perché chiedere permessi? E molti parroci si erano abituati a questo sacerdote che entrando, dopo aver salutato, chiedeva di celebrare la Messa e il parroco serviva. Non solo! Dopo aver sbrigato le faccende da tavolo, usciva per andare a fare un giro ne i mercati rionali, andava a sentire come stava la gente, non amava avere troppi intermediari, gli piaceva confrontarsi direttamente con la gente, muovendosi spesso a piedi. Chiunque lo poteva incontrare o da solo o in compagnia con qualche prelato. Non aveva il fastidio dei “Media” del nostro tempo a caccia di scoop. Muoversi per lui era certo più semplice che per un Papa oggi.

Un’altra novità Benedetto XIV la introdusse con le “Udienze”. Anche qui, non gli piaceva sentire dire “Tizio ha detto questo, quello; Caio ha risposto che; Sempronio vorrebbe mandarle i saluti”, no! Lambertini era diretto e così fu il primo Papa – all’epoca viveva al Quirinale – a ricevere gruppi di persone nei giardini per impartire loro piccole catechesi come risposte alle loro domande. L’estate la trascorreva a Castel Gandolfo, ma senza portarsi dietro la Corte. Gli piaceva sentirsi libero e la sera nei giardini si intratteneva con il personale e le loro famiglie, di giorno poi passeggiare per i campi e fermarsi a parlare con i contadini, uscire per le vie ed intrattenersi con la gente del Borgo, un gesto questo che soleva fare anche il Beato Pio IX il quale entrava dentro le case e andava a curiosare nella cucina, per uscire lasciando sulla tavola un contributo in moneta sonante.

Si dice che… fosse amico di Voltaire tanto che questi gli avrebbe dedicato un’opera profana. E’ vero o falso? E’ falso! Benedetto XIV era un uomo colto e spaziava molto con la mente, non era un rigorista del pensiero ed amava intrattenersi anche con i dotti, o così qualificati, del suo tempo. In questo giro entra in contatto con Voltaire. Questi gli fa omaggio di una sua opera e il Papa risponde ringraziando, fine della cosa. Voltaire, che malizioso era, fece divulgare che il Papa aveva gradito la sua opera Maometto, ma il Papa subito rispose con tanta disinvoltura e spirito che non rimase nella capitale… E’ bene dire che la corrispondenza epistolare fra Benedetto XIV e Voltaire si è esaurita con un Breve pontificio del 17 agosto 1745 in risposta allo scrittore francese, che gli aveva fatto pervenire non già il “Maometto” bensì il poema sulla battaglia di Fontenoy, pubblicato appunto in quell’anno, sotto gli auspici del re di Francia. Orbene, cosa fece Voltaire? Si servì a propria difesa del Breve, addirittura manipolando il testo, sostituendo “Fontenoy” con “Maometto”, così da riferire i ringraziamenti a questa opera, quale risposta positiva del Pontefice. Tanto è vero che Benedetto XIV, dopo aver ascoltato anche il parere dei vescovi francesi, dichiarò invece quel dramma – Maometto – talmente “osceno ed immorale” (già edito in Francia dal 1741) che ne vietò la diffusione in Italia (6). Con la Bolla Ex quo singulari, 11 luglio 1742, Benedetto XIV pose fine alla controversia intorno alle cerimonie cinesi e i riti malabarici, che teneva in contrasto i missionari gesuiti e quelli degli altri Ordini religiosi da quasi un secolo. Il Papa impose a tutti i missionari di impegnarsi con giuramento a distinguere gli usi condannati come superstiziosi. I missionari obbedirono e la risposta non si fece attendere: l’imperatore cinese Yong- Tschinog non si fece sfuggire l’occasione e approfittò di questo cambiamento per sferrare un attacco inaudito contro i Cristiani. Vi colsero la palma del martirio cinque Padri Domenicani, tre Gesuiti, molti fra laici e catechisti ed anche fra gli stessi indigeni che aiutavano nelle missioni. Il provvedimento del Papa era stato severo, ma necessario, la vera libertà – soleva ripetere – si conquista nella Crocifissione, l’unità dottrinale nella Chiesa è fondamentale per la buona riuscita di una missione.

Per giungere ad una conclusione sottolineiamo come il pontificato di Benedetto XIV abbia segnato una svolta netta e decisiva nella storia del papato, non solo settecentesco. Ma sia ben chiaro: Benedetto XIV non sacrifica i prìncipi ai princìpi. Da una parte, così, nei diversi concordati coi governi cattolici, essi stessi «infetti dallo spirito dell’assolutismo e dell’illuminismo anticlericale» (Pastor, XVI, pp. 460-461), cede tutto il cedibile, accettando di fatto «il ruolo secondario e passivo nello scacchiere politico europeo» (DBI, VIII, p. 398) che il papato aveva dovuto assumere a partire dalla metà del Seicento. Dall’altra va incontro all’emergente Regno di Prussia di Federico II, accettando per la prima volta dal tempo della Riforma di trattare direttamente con rappresentanti di un principe protestante al quale, come scriveva nel 1746, riconosce il titolo di re «per non pregiudicare a tanti poveretti che hanno il collo esposto al colpo della manaja». E in terza battuta sceglie in realtà non la neutralità ma un «atteggiamento particolarmente favorevole alla Francia», scrive il cardinale Tarcisio Bertone (7) trovandone conferma nelle innumerevoli lettere al ministro della Corona francese cardinale Pierre Guérin de Tencin, vero “amico di penna” col quale il Papa intrattenne una corrispondenza di incredibile confidenza e ampiezza, raccolta in tre volumi da Emilia Morelli dopo un lavoro trentennale.

Quando però nella querelle del secolo che opponeva, su quello stesso suolo francese, giansenisti e antigiansenisti, si sollecita un suo schieramento di principio per ragioni di Stato, egli nel giugno 1746 è capace di rispondere per le rime anche all’amico Tencin: «Ella nella sua lettera dice d’avere un’avversione particolare alla setta dei giansenisti. Ci protestiamo d’averla anche Noi, e l’assicuriamo che nel ceto degli uomini di garbo che sono in Roma vi è la stessa avversione: ma qui si crede non doversi dar ciecamente l’accusa di giansenismo in quelle cose nelle quali non entra». Insomma, come «non trova rispondenza nei documenti che conosciamo», scrive la Morelli, la sua avversione ai gesuiti, di cui anzi stimava soprattutto l’ardore missionario, così è indebito attribuire a Benedetto XIV simpatie gianseniste. Semplicemente egli non dà credito a quelle «troppe patenti di giansenista [che] si spediscono anche a chi condanna di vero cuore le proposizioni di Giansenio e tutte le altre condannate» (da una lettera del Papa del 1748 indirizzata ancora al cardinale Tencin). All’inizio del secolo scorso l’accusa di filomodernismo sarà analogamente sparsa a volte come un veleno che raggiungerà anche tanti sinceri uomini di Chiesa, colpevoli solo di mancato torpore di mente e di cuore (8).

Infine Benedetto XIV si mostrò severo fulminando con pene severissime quei “disgraziati sacerdoti che profanassero il Sacramento della Confessione”; interdisse ogni sorta di mercimonio nella celebrazione della Santa Messa. Per impedire che i matrimoni vengano sciolti in modo non consentito dalle leggi canoniche, istituì in ogni diocesi un ufficiale apposito, che si disse il “difensore del vincolo matrimoniale”. Sul finire del mese di aprile 1758 Benedetto XIV fu colto da una polmonite che aggravò già la sua salute invecchiata, aveva 83 anni. Il 2 maggio sottoscrisse la professione di fede; ai cardinali chiese perdono per le sue mancanze e li esortò alla concordia e all’umiltà soprattutto per l’elezione del suo successore: “io – concluse – ora cado nel silenzio e nella dimenticanza, l’unico posto che mi spetta. Sic transit gloria mundi”. A mezzogiorno del 3 maggio così moriva Benedetto XIV che dal Quirinale dove stava soggiornando, venne portato in processione fino a San Pietro per esservi tumulato. Degno di nota è questo: il figlio del ministro di Inghilterra, lord Walpole, protestante, gli fece erigere un monumento a Londra, salutando nell’epigrafe: “Egli restaurò il lustro della tiara – con quelle arti con le quali soltanto l’ottenne – colle sue virtù – amato dai papisti – stimato dai protestanti – ecclesiastico senza insolenza ed interesse – monarca senza favoriti e senza cortigiani – papa senza nepotismo – dottore senza orgoglio – censore senza amarezza”.

Cliccare qui per leggere i testi ufficiali di Benedetto XIV.

0-nomen-benedetto-15_53c0f40361d4bArriviamo così a Papa Benedetto XV (1914 +1922), “il piccoletto”, lo chiamavano con affetto alla Segreteria di Stato prima che San Pio X, da poco eletto, conoscendone le virtù lo nominò prima Vescovo a Bologna e poi cardinale due mesi prima di morire. Fu quindi una sorpresa per tutti quando il 3 settembre fu annunciato in piazza San Pietro, davanti ad una piazza gremita, la nomina del Della Chiesa. Un “piccoletto” di statura, ma dal cuore gigante e dalla statura dottrinale pari a un grande Padre della Chiesa. Una di quelle figure, persone, che a vederle forse non possono dire apparentemente nulla, ma che una volta entrati in contatto non si dimenticano più per il carico di umanità e la profonda santità che sanno imprimere nel cuore dell’interlocutore. Assumendo il pontificato in un momento assai critico, Benedetto XV, Giacomo Della Chiesa, fece meravigliare il mondo intero per il tatto squisito con cui seppe destreggiarsi fra le insidie avverse, per affermarsi come il padre e maestro di tutti i popoli, che tutti abbraccia e tutti vuole affratellati nella pace e nella giustizia del Dio vivo e vero, Gesù Cristo. Il 1° novembre, da poco intronizzato, offriva all’Urbe e all’Orbe la sua prima enciclica, a tutto il popolo cristiano per invitarlo a ritornare sinceramente alla pratica della Vangelo: ” Il tremendo fantasma della guerra domina dappertutto, e non v’è quasi altro pensiero che occupi ora le menti. Nazioni grandi e fiorentissime sono là sui campi di battaglia. Qual meraviglia per ciò, se ben fornite, come uomo, di quegli orribili mezzi che il progresso dell’arte militare ha inventati, si azzuffano in gigantesche carneficine? Nessun limite alle rovine, nessuno alle stragi: ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti. E chi direbbe che tali genti, l’una contro l’altra armate, discendano da uno stesso progenitore, che sian tutte dell’istessa natura, e parti tutte d’una medesima società umana? Chi li ravviserebbe fratelli, figli di un unico Padre, che è nei Cieli?”.

Ma non è solo la guerra che preoccupa il nuovo Pontefice, citando già le preoccupazioni avanzate dal suo santo predecessore, Pio X, il Papa Benedetto XV prosegue: “Ma non è soltanto l’attuale sanguinosa guerra che funesti le nazioni e a Noi amareggi e travagli lo spirito. Vi è un’altra furibonda guerra, che rode le viscere dell’odierna società: guerra che spaventa ogni persona di buon senso, perché mentre ha accumulato ed accumulerà anche per l’avvenire tante rovine sulle nazioni, deve anche ritenersi essa medesima la vera origine della presente luttuosissima lotta. Invero, da quando si è lasciato di osservare nell’ordinamento statale le norme e le pratiche della cristiana saggezza, le quali garantivano esse sole la stabilità e la quiete delle istituzioni, gli Stati hanno cominciato necessariamente a vacillare nelle loro basi, e ne è seguito nelle idee e nei costumi tale un cambiamento che, se Iddio presto non provvede, sembra già imminente lo sfacelo dell’umano consorzio. I disordini che scorgiamo, sono questi: la mancanza di mutuo amore fra gli uomini, il disprezzo dell’autorità, l’ingiustizia dei rapporti fra le varie classi sociali, il bene materiale fatto unico obbiettivo dell’attività dell’uomo, come se non vi fossero altri beni, e molto migliori, da raggiungere. Son questi a Nostro parere i quattro fattori della lotta, che mette così gravemente a soqquadro il mondo. Bisogna dunque diligentemente adoperarsi a torre di mezzo tali disordini, richiamando in vigore i principi del cristianesimo, se si ha veramente intenzione di sedare ogni conflitto e di mettere in assetto la società….”.

Sempre nella medesima enciclica il Papa chiarisce l’urgenza per: “un’attenzione specialissima a sopire i dissensi e le discordie tra i cattolici, quali esse si siano, e ad impedire che ne sorgano altre in avvenire, talché tra i cattolici, uno sia il pensare e uno l’operare…” e specifica: “Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come profane novità di parole, che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché né è ammissibile il più, né il meno: “Questa è la fede cattolica, alla quale chi non crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo” (Symb. Athanas.); o si professa intero, o punto non si professa. Non vi ha dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicismo; basti a ciascuno di dire così: “Cristiano il mio nome, e cattolico il mio cognome”; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina.” (9) E’ questo in sostanza il suo programma di Pontefice: fare tutto il possibile per scongiurare la guerra restando neutrale ma non inerme, e “richiamando in vigore i principi del cristianesimo, se si ha veramente intenzione di sedare ogni conflitto e di mettere in assetto la società….”. Per Benedetto XV non c’è altra soluzione. Per quanto egli volle assumere il nome Benedetto in onore al Predecessore, a buona ragione si può dire che Benedetto XV rifulge per una fortezza d’animo pari a quella di un Gregorio VII. A re ed imperatori diceva loro che, rinnegando il Vangelo , davano scandalo alle popolazioni ancora incivilizzate e che, con “l’orrenda carneficina che disonora l’Europa”, affogavano nel sangue la stessa civiltà Cristiana faticosamente seminata dal grande San Benedetto.

In una società veramente cristiana – prosegue il Pontefice – non ci può essere posto per la guerra: per altre vie e con altri mezzi civili si devono definire le contese tra i popoli; la giustizia e il diritto possono certamente usare la guerra quando si tratta di difesa a causa di invasioni, ma non stanno sulle punte delle spade, nè sulle bocche dei cannoni. Per Benedetto XV vale più che mai, in quel momento critico della storia, il monito di Nostro Signore Gesù Cristo: Qui gladio ferit gladio perit «chi di spada ferisce di spada perisce» (Mt.26,52). Un conto è la difesa, altra cosa è cercare di risolvere i conflitti con l’uso voluto della guerra (10): “Il Pontefice, armato del massimo potere spirituale, è tuttavia impotente di fronte al conflitto che continua. Ma egli non desiste, e mentre si adopera a favore delle persone e delle regioni più colpite, inviando e stimolando soccorsi ai bimbi affamati, ai feriti e ai prigionieri, il 24 dicembre 1916, parlando al Sacro Collegio Cardinalizio, invoca ancora una volta « quella pace giusta e durevole che deve mettere fine agli orrori della presente guerra ». Invano: la tragedia continua sui campi della morte, ma anche Benedetto XV non cede e il 1° agosto 1917 invia ai capi dei popoli belligeranti quell’Esortazione, Dès le début, nella quale indica soluzioni particolari, idonee a far cessare l’« inutile strage ». L’espressione del Vicario del Principe della pace, evidentemente male interpretata, suscita più proteste che consensi. Mentre i pangermanisti la ritengono uno strumento diretto a strappare la vittoria dalle mani degl’Imperi centrali ormai lanciatissimi, in Italia e in Francia c’è chi la giudica addirittura al servizio della Germania e dei suoi alleati, tanto che Georges Clemenceau definisce Benedetto XV il « Pape boche » (il « Papa tedesco »). Sono le amarezze di chi guarda il mondo con occhio paterno! Qualche gioia, tuttavia, il Pontefice Della Chiesa ha potuto assaporare anche in quel periodo, quando con la Bolla Providentissima Mater del 27 maggio 1917 promulga il nuovo Codice di diritto canonico, già auspicato dal Concilio Vaticano e voluto da Pio X, e quando — particolarmente attento ai problemi delle Chiese orientali — con il Motu proprio Dei providenti del 1° maggio 1917 istituisce la Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, e con il Motu proprio Orientis catholici del 15 ottobre 1917 fonda a Roma l’Istituto pontificio per gli studi orientali, con annessa una Biblioteca largamente dotata di opere specifiche” (dalla Biografia sul sito ufficiale del Vaticano).

Benedetto XV fu anche il vero iniziatore del Dialogo e della Preghiera Ecumenica, cliccare qui. “La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson, fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette prima la benedizione del Papa San Pio X e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV, che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve Romanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916” (11). Orbene, e cosa ha detto di preciso Benedetto XV, ricordato dalle parole di Benedetto XVI, come per esortarci ad un sano ecumenismo? Altrimenti non avrebbe senso citare il suo predecessore se poi non lo si legge e non lo si mette in pratica. I testi firmati da Benedetto XV sulla Preghiera per l’unità dei Cristiani sono due: 1) il Breve Romanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916; 2) il Breve Cum Catholicae Ecclesiae del 15 aprile 1916,

Preghiera per l’unione dei Cristiani d’Oriente alla Chiesa Romana, di Benedetto XV: «O Signore, che avete unito le diverse nazioni nella confessione del Vostro Nome, Vi preghiamo per i popoli Cristiani dell’Oriente. Memori del posto eminente che hanno tenuto nella Vostra Chiesa, Vi supplichiamo d’ispirar loro il desiderio di riprenderlo, per formare con noi un solo ovile sotto la guida di un medesimo Pastore. Fate che essi insieme con noi si compenetrino degl’insegnamenti dei loro santi Dottori, che sono anche nostri Padri nella Fede. Preservateci da ogni fallo che potrebbe allontanarli da noi. Che lo spirito di concordia e di carità, che è indizio della Vostra presenza tra i fedeli, affretti il giorno in cui le nostre si uniscano alle loro preghiere, affinché ogni popolo ed ogni lingua riconosca e glorifichi il nostro Signore Gesù Cristo, Vostro Figlio. Così sia ». 

E ancora, così prosegue Benedetto XV: “Noi, udito anche il parere dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa Inquisitori Generali, a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso che in qualunque parte della terra — dal giorno 18 del mese di gennaio, festa della Cattedra Romana di San Pietro, fino al giorno 25 dello stesso mese, nel quale si onora la Conversione di San Paolo — reciteranno ogni anno tali preghiere una volta al giorno, e poi nell’ottavo giorno, veramente pentiti, confessati e nutriti della Santa Comunione, dopo aver visitato qualsiasi Chiesa o pubblico Oratorio abbiano innalzato a Dio pie preghiere per la concordia dei Governanti Cristiani, per l’estirpazione delle eresie, per la conversione dei peccatori e per l’esaltazione di Santa Madre Chiesa, Noi concediamo ed elargiamo misericordiosamente nel Signore l’indulgenza plenaria di tutti i loro peccati (…) Le presenti concessioni saranno valide anche in futuro, nonostante il parere contrario di chicchessia. Le preghiere che dovranno essere recitate, negli otto giorni sopra stabiliti per l’unità della Chiesa, sono le seguenti, e affinché su di esse non venga operata alcuna variazione, abbiamo ordinato che una copia delle stesse alla custodita nell’Archivio dei Brevi Apostolici.

«Antifona (Giovanni, XVII, 21): Perché tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

— Io dico a te che tu sei Pietro.

— E su questa pietra io edificherò la mia Chiesa».

Preghiera: « Signore Gesù Cristo che hai detto ai tuoi Apostoli: Vi lascio la pace, vi dò la mia pace, non guardare ai miei peccati, ma alla fede della tua Chiesa; dégnati di pacificarla e riunirla secondo la tua volontà, tu che vivi e Regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen ». “…e affinché su di esse non venga operata alcuna variazione…”.

Non avanziamo alcun giudizio, solo ci sembra ragionevole ed onesto riflettere e meditare su queste variazioni invece avvenute…

Benedetto XV fu il primo Papa al quale, ancora in vita, venne dedicata una statua nel 1919 in Turchia, in chiave ecumenica: «Al grande Pontefice della tragedia mondiale, Benedetto XV, benefattore dei popoli, senza distinzione di nazionalità o di religione, in segno di riconoscenza, l’Oriente». Con una Bolla, ha ribadito la dottrina sul Purgatorio e il Suffragio delle Anime del Purgatorio per mezzo della Messa: “Il Concilio Ecumenico Tridentino, con una particolare solenne definizione, propose la stessa cosa alla nostra fede quando insegnò che « le anime trattenute nel Purgatorio vengono aiutate dai suffragi dei fedeli specialmente con il sacrificio dell’Altare, a Dio gradito », e colpì con la scomunica coloro che affermassero che il sacro sacrificio non deve essere offerto « per i vivi e per i defunti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni e per altre necessità ». Per la verità, la pia Madre Chiesa non ha mai seguito un comportamento diverso da questo insegnamento; in nessun tempo ha mai cessato di esortare intensamente i fedeli cristiani a non lasciare che le anime dei defunti venissero private di quegli aiuti spirituali che sgorgano abbondantemente dal sacrificio della Messa. E su questo punto si deve lodare il popolo cristiano, che non è mai venuto meno all’amore e all’impegno in suffragio dei defunti. Lo testimonia la storia della Chiesa che, quando le virtù della fede e della carità elevavano le anime, re e popoli si adoperavano più attivamente ovunque si estendeva il nome cattolico, onde ottenere la purificazione delle anime del Purgatorio” (12).

Devoto alle grandi Figure che hanno onorato la Chiesa, in occasione di particolari celebrazioni illustra con analitici documenti la vita e la dedizione agl’ideali religiosi di personaggi che meritano di essere additati alla pietà di tutti:

Margherita Maria Alacoque (Allocuzione Non va lungi del 6 gennaio 1918; Bolla Ecclesiae consuetudo del 13 maggio 1920);

San Bonifacio (Enciclica In hac tanta del 14 maggio 1919);

Giovanna d’Arco (Bolla Divina disponente del 16 maggio 1920);

San Girolamo (Enciclica Spiritus Paraclitus del 15 settembre 1920);

Efrem il Siro (Enciclica Principi Apostolorum del 5 ottobre 1920);

San Francesco d’Assisi (Enciclica Sacra propediem del 6 gennaio 1921);

Dante Alighieri (Enciclica In praeclara del 30 aprile 1921);

San Domenico di Guzman (Enciclica Fausto appetente del 29 giugno 1921).

L’indisposizione nella notte del 18 gennaio 1922 degenerava in bronco-polmonite acuta facendo giungere alla morte Benedetto XV il 22 gennaio. Nelle parole estreme il moribondo Pontefice offriva la sua vita per la vera pace nel mondo.

Lo stesso lavoro potrete trovarlo, integrale, nel Formato Kindle qui.

NOTE

1) Benedetto XIV enciclica Etsi minime del 7 febbraio 1742

2) di Lorenzo Cappelletti da una serie di articoli in archivio alla rivista, dismessa, 30giorni

3) da qui e tutto il resto dell’articolo: prende spunto dal Vol. I e II Storia dei Papi – C.Castiglioni prefetto all’Ambrosiana – 1957 seconda Ed. riveduta e aggiornata fino al Papa regnante Pio XII

– ed anche: Grande Dizionario dei Papi – Oxford University Press – J. N.D. Kelly 1986.

4) Benedetto XIV Ubi primum e dicembre 1740

5) Benedetto IXV Vix pervenit 1°novembre 1745

6) sul caso Voltaire: dal Vol. II Storia dei Papi – C.Castiglioni prefetto all’Ambrosiana – 1957 seconda Ed. riveduta e aggiornata fino al Papa regnante Pio XII, pag. 547 (che a sua volta cita: Luca di Castri, Due falsi di Voltaire, Napoli 1939)

7) Tarcisio Bertone (cardinale è stato Segretario di Stato con Benedetto XVI), Il governo della Chiesa nel pensiero di Benedetto XIV (1740-1758) – LAS, Libreria Ateneo Salesiano, 1977

8) Lorenzo Cappelletti da una serie di articoli in archivio alla rivista, dismessa, 30giorni

9) Benedetto XIV 1° novembre 1914 Ad beatissimi apostolorum principis

10) leggi su La legittima difesa nel Catechismo n.2263 e ss.

11) Benedetto XVI Udienza generale del 18 gennaio 2012

12) Benedetto XV Bolla del 10 agosto 1915 Incruentum Altaris – imperdibile!

  • Nota aggiuntiva per Benedetto XIV, Prospero Lambertini
  • BENEDETTO XIV – Prospero Lambertini (31- marzo – 1675 – 3 maggio -1758)
    (Pontificato 1740-1758) Nel giugno del 1724 fu nominato vescovo di Teodosia e nel gennaio 1727 fu eletto alla sede arcivescovile di Ancona e Numana.
    Sin dal 1725 fu incaricato da papa Benedetto XIII di occuparsi dell’Istituto di Scienze, interesse che andò sempre più ampliando negli anni successivi.
    Il 30 aprile 1728, all’età di 53 anni, fu nominato cardinale (ma lo era già in pectore fin dal dicembre 1726) e nell’aprile 1731 ebbe la sede arcivescovile di Bologna, che conservò anche da papa, fino a quando fu nominato, come suo successore, il cardinale Malvezzi. A Bologna fondò, come protettore delle lettere e delle arti, l’Accademia Benedettina.

    Alla morte di papa Clemente XII, avvenuta il 6 febbraio del 1740, si aprì un lungo e laborioso conclave che durò più di 6 mesi. Rimasto per i primi tempi nell’ombra, dopo 254 scrutini il cardinale Lambertini venne candidato al soglio pontificio. Il 17 agosto 1740 fu eletto papa con il nome di BENEDETTO XIV.

    Certamente fu il più erudito e il più colto dei papi del suo secolo, distinguendosi, in modo speciale, come canonista; diverse delle sue opere di diritto canonico, in gran parte valorizzate dopo il suo pontificato (De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, 1734-1738; De synodo diocesana, 1748, vera e propria esposizione organica del diritto ecclesiastico; inoltre De festis, De sanctorum Missae sacrificio entrambe del 1748), hanno valore scientifico durevole.

    Fu pontefice che appoggiò il sapere scientifico e che spesso difese e incoraggiò con provvedimenti, finanziamenti e donazioni. Istituì le cattedre di fisica, chimica e matematica presso l’Università di Roma, diede nuovo impulso all’attività accademica bolognese, attivando una moderna scuola di Chirurgia; favorì la diffusione, nello Stato Pontificio, dell’antivaiolo di origine umana (anche se questo si rivelò meno efficace dell’antidoto di origine animale, introdotto nel 1796 da Jenner, che fu osteggiato dagli stessi ambienti ecclesiali e conservatori, data la commistione tra animale e uomo che il nuovo antidoto presentava).

    Amante delle lettere e delle arti, Benedetto XIV acquisì preziosi volumi per la Biblioteca Vaticana e fece tradurre in italiano le opere più significative della letteratura inglese e francese. Promosse gli studi, favorendo gli uomini più dotti della sua epoca (Boscovich, Muratori, Querini). Tenne corrispondenza con Caterina di Russia, con Federico II, con Voltaire; fu stimato anche dai protestanti, specie quelli d’Inghilterra.
    Fu valido archeologo: acquistò il fondo di Domenico De’ Rossi e, su consiglio dell’artista, fondò la Calcografia Pontificia, pensando di diffondere, attraverso l’incisione, il gusto e la conoscenza delle collezioni che aveva accumulato. Tra le sue raccolte citiamo quella di 1500 monete, di cui 1340 imperiali e 160 di zecche greche e italiane in argento, con alcuni esemplari di eccezionale conservazione donate al Museo Archeologico bolognese.

    Favorì gli scavi a Roma. Cooperò con il Winckelmann alla fondazione dell’Accademia Archeologica nel 1740. Riuscì ad arrestare il degrado del Colosseo (fino ad allora considerato una cava per l’estrazione della pietra), che consacrò alla Via Crucis: 14 edicole e una grande croce nel mezzo dell’arena furono erette, in nome di migliaia di martiri cristiani, in occasione del Giubileo del 1750.

    Questo Anno Santo, predicato instancabilmente da san Leonardo da Porto Maurizio, ebbe una capillare organizzazione, sia sul piano spirituale che su quello protocollare. Il Pontefice preparò una serie di encicliche e lettere pastorali che testimoniano, ancora oggi, il suo fervore religioso. Interessantissime le norme date ai Vescovi e sacerdoti per suggerire lo stile con cui esercitare il ministero della Penitenza e su come tenere le Chiese. Addirittura il 29 giugno 1750, festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo, per la prima volta, si ebbe lo spettacolo d’illuminazione completa della cupola e di piazza s. Pietro. Si può dire che quel Giubileo fu veramente un grande spettacolo di fede.

    Durante il suo pontificato Benedetto XIV si mantenne equanime nelle controversie intorno al giansenismo. Ma fu secco nella condanna alla massoneria (Providas Romanorum del 18 marzo 1751; anche se, nel 1756, nella Ex omnibus christiani, stabilì che solo ai dispreggiatori pubblici e notori della bolla ‘Unigenitus’ di Clemente XI, fossero da rifiutarsi gli ultimi sacramenti); condannò, nel 1742 e 1744 (bolla Omnium sollicitudinum), la pratica dei riti cinesi e malabarici tollerati dai gesuiti; riformò la Congregazione dell’Indice. Rinnovò, nel 1746, il Codice antiebraico preparato dal cardinale Petra nel 1733 sotto Clemente XII.

    Nel 1741 approvò le Regole della nascente Congregazione dei Passionisti fondata da san Paolo della Croce; nel 1746 canonizzò Camillo de Lellis, affermando di essere l’iniziatore di una “nuova scuola di carità”; ma allo stesso tempo epurò il calendario dalla miriade di santi e beati che lo riempivano; concesse diverse indulgenze particolari, tra cui quelle legate alla medaglia di san Benedetto, della quale egli stesso aveva creato il disegno e ne aveva approvato, nel 1742, l’uso devozionale.
    Introdusse nel 1743 la pratica di sostituire, nel tempo pasquale, l’antifona Regina Coeli ai versetti dell’Angelus. Riservò, nel 1743, la carica di Predicatore Apostolico esclusivamente all’ordine dei Frati Minori Cappuccini (prima, infatti, tale titolo e ufficio era affidato a religiosi di diversi ordini; prima ancora il predicatore veniva scelto solo tra i Domenicani, i Minori, gli Eremitani di Sant’Agostino e i Carmelitani).

    Nel 1745 fissò per la prima volta nella storia del magistero papale i modi di rappresentazione di Dio e della Trinità: erano lecite solo le raffigurazioni derivanti dalle teofanie descritte dalla Bibbia, escludendo tutti i vari antropomorfismi dello Spirito Santo. Nel 1757, grazie all’intervento di padre Ruggero Boscovich (1711-1787) dell’Osservatorio Astronomico di Brera, il “De Revolutionibus” di Galileo fu tolto dall’Indice, autorizzando, così, la lettura simbolica della Bibbia intorno al sole.

    Come sovrano temporale dispose la libertà di commercio tra le varie parti dello Stato Pontificio, incoraggiò l’agricoltura; promosse varie riforme preoccupandosi del risanamento finanziario della Chiesa. Insistette molto sull’obbligo di residenza dei vescovi e sull’istruzione del clero. Si occupò anche del riordino amministrativo della città di Roma dandole una nuova delimitazione rionale (testimoniata da alcune lapidi ancora oggi visibili sull’Esquilino) e all’aristocrazia romana una nuova costituzione.

    Ma Benedetto XIV fu anche un prudente ed apprezzato uomo politico, la cui moderazione si manifestò attraverso una fitta rete di rapporti diplomatici con vari stati italiani ed europei. Infatti all’inizio del suo papato ebbe ad affrontare un’aspra guerra dovuta alla successione austriaca.
    Il 20 ottobre 1740 era morto l’imperatore Carlo VI d’Asburgo e per la successione al trono Maria Teresa, figlia di Carlo VI, appoggiava la candidatura del marito Francesco di Lorena, granduca di Toscana. Francia e Prussia appoggiavano invece Carlo Alberto di Baviera. Il conflitto coinvolse anche l’Italia e lo stesso Stato Pontificio, nonostante la dichiarazione di neutralità di quest’ultimo. La morte di Carlo di Baviera e l’elezione del lorenese Francesco I portarono alla pace di Aquisgrana del 1748, alla conclusione della quale Benedetto XIV ebbe a protestare perché non vide riconosciuti i diritti della Santa Sede su Parma e Piacenza che, per l’avvenimento, furono assegnate all’Infante spagnolo Filippo, con il quale concluse un concordato nel 1753.

    Riuscì, nel 1741, grazie a una diretta corrispondenza con Carlo Emanuele III e con il marchese di Ormea, a raggiungere degli accordi con la corte di Torino. Prova dei migliorati rapporti è la bolla del 1744 a favore dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
    Anche con Napoli avviò trattative (1741) per dirimere vecchie controversie. Un tribunale misto avrebbe deciso sui casi più spinosi, che erano rispuntati nonostante l’investitura feudale concessa al re Carlo di Borbone.
    Altre questioni sorsero per la disputa tra Venezia e l’Austria per il patriarcato di Aquileia che, con breve del 6 luglio 1751, era stato diviso nell’arcivescovado di Udine, assegnato a Venezia, e in quello di Gorizia, concesso all’Austria; anche con quest’ultima potenza il papa riuscì a concludere un concordato per Milano nel 1757. Il senato veneziano rispose con decreto del 7 settembre 1754 sopprimendo l’ingerenza pontificia circa le domande d’indulgenza, le dispense matrimoniali e la rinuncia dei benefici ecclesiastici. Fu per questa ragione che il governo della repubblica s’interessò molto, alla morte di Benedetto XIV, all’elezione del nuovo Pontefice.

    I re di Sardegna, Spagna e Portogallo ottennero il diritto di conferire quasi tutti i benefici esistenti nei loro stati; il re di Portogallo, nel 1748, ricevette in più anche il titolo onorifico di Rex fidelissimus. Per l’Olanda una dichiarazione papale del 1741 (Benedectina scil. declaratio) dispose che i matrimoni di non cattolici e i matrimoni misti fossero colà validi anche senza l’osservanza della forma stabilita dal Concilio di Trento; tale disposizione fu poi estesa anche ad altri paesi.

    Nel 1742 (26 maggio) con la pubblicazione della bolla Etsi pastoralis, sostenne la posizione di coloro che volevano eliminare la tradizione greca dalla Chiesa romana, in relazione alle popolazioni di origine albanese. Essa conteneva prescrizioni di ordine liturgico, come l’introduzione del Filioque nel simbolo niceno-costantinopolitano da recitarsi nella liturgia orientale; altre prescrizioni erano di ordine canonico come l’impossibilità del marito di abbracciare il rito orientale della moglie, la quale era tenuta ad uniformarsi al rito del coniuge latino; per contro, alla moglie latina era precluso analogo passaggio se il marito era di rito orientale; i figli dovevano seguire il rito del padre, salvo che la moglie latina non volesse educarli nel proprio rito. Infine stabiliva la supremazia del rito latino su quello greco. Se ad una prima lettura, l’Etsi Pastoralis apparve come una legge nettamente contraria al rito greco, di fatto si rivelò certamente restrittiva, ma garante agli albanesi di tradizione orientale un ambito ben protetto in cui poter sopravvivere.

    Universalmente rimpianto, Benedetto XIV si spense ad 83 anni il 3 maggio 1758.
    La sua tomba in san Pietro è opera di Pietro Bracci.
    Biografia curata da Pasquale Giaquinto

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    MURATORI su Papa Benedetto XIV, scrive “Da più secoli non era stata provveduta la chiesa di Dio di un pontefice sì dotto e pratico del pastorale governo”
    CARLO BOTTA che non nutriva benevolenza verso il papato, parla di questo papa con entusiasmo: “la suprema sede egli certamente meritava per bontà, per dottrina, per ingegno, e per quella sopportazione delle cose del mondo che nasce per esperienza in chi il mondo lo conosce…..Nessun papa era salito al seggio di Roma, che per ingegno e per prudenza fosse come Lambertini da paragonarsi…Dotto, amico dei dotti visse e gli protesse, e gli sollevò, e sotto l’ombra sua gli raccolse”(Lib.41).

    Due aneddoti sulla sua vita quotidiana di quest’uomo veramente superiore. Il mattino senza alcun cerimoniale andava in città in questa o in quella chiesa romana a celebrare la messa. Nel pomeriggio sbrigati gli affari di stato, verso sera a piedi passeggiava per le vie di Roma, da solo, come un qualunque prelato, con una predilezione per i quartieri popolari, come in Trastevere dove “si tratteneva nel modo più gioviale sulla via con gente anche di bassa condizione”. Altra novità fu quella di aprire il giardino del Quirinale per impartire udienze. Nel periodo estivo, che trascorreva a Castel Gandolfo, anche lì solo soletto, appoggiandosi alla sua canna, lo si poteva incontrare nelle selve a godersi il fresco, o mentre si intratteneva con i campagnoli” (Pastor, XVI,I)


2. Continua – Nell’ultima parte, clicca qui, ci dedicheremo esclusivamente a Benedetto XVI.