Strumenti Tortura e Inquisizione: i falsi in cui avete sempre creduto

Riportiamo un ricco articolo a firma di Gabriele Campagnano e pubblicato in questo sito, molto interessante, nel febbraio 2018


Gli strumenti di tortura medievale, specie quelli attribuiti all’Inquisizione – senza neanche specificare di quale Inquisizione si tratti – suscitano da sempre un interesse profondo, a volte morboso, da parte del grande pubblico.

Molti di voi hanno visitato i musei della tortura e ci hanno chiesto quale sia la veridicità o verosimiglianza storica degli strumenti di tortura esposti. La risposta è abbastanza semplice: si tratta di obbrobri senza alcun valore storico che appestano diverse città italiane e, incredibile dictu, riescono a ottenere patrocini regionali, del FAI e addirittura di ONG piuttosto famose. Un’affermazione tranciante, ma pienamente giustificata alla luce di quanto leggerete qui sotto.

Il primo dato che accende sincera meraviglia è l’assoluta mancanza di testimonianze archeologiche o documentali sui mezzi di tortura che vediamo esposti nei numerosissimi “musei della tortura”. Quasi tutti hanno didascalie che ne spiegano l’uso da parte dell’Inquisizione Romana o di altri tribunali inquisitori.

Ci si aspetterebbe, quindi, di trovare almeno una menzione della Vergine di Norimberga o della Forcella dell’Eretico nel Philippi a Limborch Historia inquisitionis: cui subjungitur liber sententiarum inquisitionis tholosanae ab anno Christi MCCCVII ad annum MCCCXXIII, scritto da Philippus van Limborch nel 1692, un teologo protestante fortemente critico della Chiesa. Oppure di scoprire, tra le pagine di A history of the Inquisition of the Middle Ages, redatto dallo storico statunitense Henry Charles Lea e pubblicato a partire dal 1887, una breve trattazione della Pear of Anguish.

E invece niente. Nei venti testi presenti nella bibliografia in calce all’articolo, così come in altre decine da noi visionati, non c’è traccia di questi strumenti. Si rende quindi necessaria un’analisi dei singoli strumenti.

LA PERA VAGINALE

Gli hanno dedicato paragrafi in riviste, libri e articoli. Fa bella mostra di sé nei (penosi) “musei della tortura”. La citano migliaia di siti e pagine web come uno degli strumenti di tortura dell’Inquisizione. Peccato che non sia mai stata utilizzata. In realtà, la pera vaginale (o “poire d’angoisse” o “pear of anguish”) non è mai esistita fino alla costruzione delle prime repliche nel XIX secolo.

Nei verbali dell’Inquisizione dal Cinquecento in poi non se ne trova traccia (e chiunque li abbia avuto sottomano sa perfettamente quanto siano precisi). Stesso dicasi per le altre fonti dell’epoca, compresi i diari di carnefici del potere civile come Franz Schmidt, le enciclopedie mediche, ecc.

strumenti tortura pear of anguish pera vaginale

La troviamo menzionata per la prima volta ne L’Inventaire général de l’histoire des larrons (L’Inventario generale della Storia dei Ladri) di F. de Calvi, pubblicato nel 1629. È una citazione, tra l’altro, molto contestata, perché si tratta, in quel caso, di una pera orale utilizzata per non far gridare le vittime durante una rapina. La sua invenzione è attribuita a un ladro di nome Palioli, originario di Tolosa. In realtà, anche molti studiosi dei secoli successivi hanno dubitato che “la Pera fosse mai esistita fuori dalla testa di de Calvi.

Tra il Settecento e la fine dell’Ottocento la “pera orale” viene ricordata sporadicamente come strumento per tenere in silenzio le vittime utilizzato per qualche tempo nel XVII secolo da alcuni briganti europei (olandesi o francesi).

Gli esemplari più antichi di poire d’angoisse sono conservati in diversi musei europei a americani. Quella del Louvre, appartenente alla collezione del musicista Alexander-Charles Sauvageot, risale probabilmente al 1800-1830, ed è stata catalogata nel 1856. Quella del Museo di Boston è dello stesso periodo. Tutte le altre sono state realizzate su commissione tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso.

Ed è proprio tra fine Ottocento e primi del Novecento che la Pera Vaginale inizia a trovare posto in quella rievocazione dei Cabinet of Curiosities che sono i “musei della tortura” e, da lì, in volumi divulgativi sull’Inquisizione e le torture medievali. Il sentimento anticlericale ha fatto, lentamente, il resto. Molti autori, probabilmente guidati da un interesse morboso, hanno iniziato a fantasticare sull’uso dello strumento per dilaniare vagine e orifizi anali di streghe e seguaci del demonio.

Un’assurdità che è diventata quasi sapere comune. Non a caso,anche in una delle ultime pubblicazioni relative all’argomento (Bishop, C. 2014, The ‘pear of anguish’: Truth, torture and dark medievalism, International Journal of Cultural Studies, vol. 17, no. 6, pp. 591-602) leggiamo che la pera fu immaginata come “inseribile” anche in orifizi diversi dalla bocca solo nell’Ottocento, e con il fine di sadico godimento sessuale.

Eppure basta una ricerca su google per vederla etichettata come “strumento di tortura medievale usata dall’Inquisizione sulle streghe” (difficile trovare più errori storici in una sola frase!).

LA VERGINE DI NORIMBERGA

La Vergine di Norimberga ha suscitato le più sfrenate fantasie della cultura di massa, ancora di più della Pear of Anguish, ed è presente in qualsiasi museo della tortura in Italia e all’Estero. Spacciata come strumento medievale, è stata in realtà creata solo nel XIX secolo, realizzata su commissione di gentiluomini europei con il gusto per il “finto medioevo gotico”, fatto di inquisitori con il cappuccio, streghe formose e un enorme quantitativo di violenza e atrocità gratuite. Il castello di Otranto, di Horace Walpole, pubblicato nel 1764, è stato forse il romanzo che più di ogni altro ha dato una spinta a questo gusto, protrattosi fino all’epoca vittoriana.

Tornando alla Vergine, il franchise “Museo della Tortura” la descrive così

La storia della tortura ricorda molti congegni che operavano col principio del sarcofago antropomorfo a due ante e con aculei all’interno che penetravano, con la chiusura delle ante, nel corpo della vittima. L’esempio più famoso è la cosiddetta “Vergine di Ferro” [die eiserne Jungfrau] del castello di Norimberga, distrutta dai bombardamenti del 1944.

In realtà, anche quella andata distrutta nel 1944 era una contraffazione ottocentesca, probabilmente del 1830-40. Ma andiamo con ordine.

strumenti di tortura vergine di norimberga
da http://www.torturemuseum.it

La prima citazione della Vergine di Norimberga è datata 1793, ad opera dell’erudito tedesco Johann Philipp Siebenkees (1759-1796), che la menziona come utilizzata a Norimberga nel Cinquecento, ma, sebbene abbia ricercato a lungo nei suoi scritti, non ho trovato traccia del passo.  Circa mezzo secolo dopo, nel 1840ca, la Vergine è esposta per la prima volta a Norimberga. L’involucro antropomorfo, interamente in metallo, è alto 210cm e largo 90, abbastanza grande, quindi, da contenere un uomo adulto. Gli spuntoni metallici creano il giusto “morso allo stomaco” dei visitatori, che li immaginano penetrare le membra di un essere umano.

Già molti visitatori ottocenteschi ne sottolineano la falsità e il magro interesse storico della Vergine. In Notes and Queries (Oxford University Press, 1893. Pag. 354), J. Ichenhauser definisce la Iron Maiden come “… di nessun interesse per storici e antiquari“. Questo 52 anni prima del bombardamento alleato che ci ha privati di questo pezzo di poco valore.

Ma allora quale fu la vera origine della Vergine di Ferro? Uno dei più importanti archivisti tedeschi, Klaus Graf, in un lungo articolo del 2001, Mordgeschichten und Hexenerinnerungen – das boshafte Gedächtnis auf dem Dorf, definisce la Vergine di Norimberga come “una finzione del XIX secolo, perché solo nella prima metà del XIX secolo gli schandmantel, a volti chiamati “vergini”, vennero dotati di aculei interni; in seguito, questi oggetti furono adattati a morbose fantasie mitiche e letterarie.”

La menzione dello Schandmantel (o Schandtonne) traducibile come “Mantello/Barile della Vergogna”, ci aiuta a fare chiarezza. Questo era infatti una sorta di barile che le autorità civili facevano indossare, in alcuni casi, a prostitute e altri soggetti, con lo scopo di impartire loro una pubblica umiliazione. Morbose fantasie, come dice bene il Graf, e fantasie molto più semplici relative all’orrore e al sacrilego (non di per sé negative, altrimenti non avremmo avuto autori come Lovecraft, Poe, ecc.), hanno preso lo shandmantel come base di partenza per creare qualcos’altro.

Non solo non è arrivata fino a noi una Vergine di Ferro costruita prima della fine del XIX secolo, ma anche in tutte le cronache cittadine, i manuali inquisitori, le procedure dei processi gestiti dal potere secolare, non si trova neanche un accenno al dispositivo. Anche nel diario del più famoso boia del Cinque-Seicento, Franz Schmidt (vedi “A Hangman’s Diary: The Journal of Master Franz Schmidt, Public Executioner” e “I Padroni dell’Acciaio“) non si trova nulla, sebbene egli abbia descritto in modo puntuale ogni punizione ed esecuzione portata a termine (senza mai tralasciare i particolari più raccapiccianti) nei suoi 40 anni di carriera (1578-1617).

LA FORCELLA DELL’ERETICO

Strumento di tortura meno conosciuto – più che altro a causa delle dimensioni ridotte (rispetto alla Vergine di Norimberga) e della mancanza di fini sessuali (Pear of Anguish) – ma altrettanto falso è rappresentato dalla Forcella dell’Eretico. Nel volume (senza alcun valore storico) “La storia dell’ inquisizione” di Carlo Havas è presente una  “forchetta o forcella dell’eretico” che non trova riscontro in alcuna fonte. Con la Forcella, tra l’altro, inizia anche la serie di falsi datati 1983 (quindi falsi recentissimi), di cui si ha una prima citazione in “Catalogo della mostra di strumenti di tortura, 1400-1800: nella Casermetta di Forte Belvedere, Firenze, dal 14 maggio a metà settembre,1983″  -si tratta, a quanto sembra, della prima mostra organizzata dalla società che ora possiede diversi musei della tortura in Italia e all’estero-  e nel successivoInquisition: A Bilingual Guide to the Exhibition of Torture Instruments from the Middle Ages to the Industrial Era, Presented in Various European Cities in 1983-1987, Firenze, 1985, entrambi redatti da Robert Held.

La Forcella dell’Eretico presenta come una doppia forchetta legata al collo, con le punte rivolte sotto il mento e al petto. Il sito de Il Museo della Tortura, gestito dalla Inquisizione s.r.l., lo definisce così:

Con le quattro punte acutissime conficcate profondamente nella carne sotto il mento e sopra lo sterno veniva impedito qualsiasi movimento della testa: la vittima poteva soltanto bisbigliare “abiuro” (parola questa che ha il significato di rinunzia ad altra religione o dottrina che non sia quella cristiana).

A parte  la menzione alla “dottrina cristiana” senza specificare se si trattasse di strumento dell’Inquisizione Romana o di un tribunale protestante, fa sorridere il fatto che, partendo da questa storia della parola sospirata “abiuro”, altri “musei” abbiano addirittura fatto creare dei pezzi che riportano la scritta “abiuro” incisa sul ferro. Le fonti wikipedia per “heretic fork” sono grottesche: un museo della tortura fasullo e la pagina di un negozio online che vende repliche (per giunta maldestre).

strumenti di tortura forcella dell'eretico
Un altro falso del secolo scorso. Molto forte dal punto di vista immaginifico ma pur sempre un falso.

Anche in questo caso nessun libro, di quelli conosciuti volgarmente come “manuali dell’Inquisizione”, parla di questo strumento. Dal Malleus Maleficarum al Sacro Arsenale di Eliseo Masini, fino all’opera anticlericale di Henry Charles Lea A history of the Inquisition of the Middle Ages, e alla Storia dell’Inquisizione di Tamburini, nessuno fa menzione di un dispositivo anche solo lontanamente simile alla Forcella dell’Eretico.

In pratica, è possibile che lo abbiano fatto costruire di sana pianta prendendo come canovaccio il libro di Havas, senza neanche rifarsi, quindi, ai falsi vittoriani. Il falso esposto dal “museo” della tortura è stato poi riproposto in un famoso dipinto di Leon Golub nel 1985.

LA SEDIA INQUISITORIA

Che qualcuno abbia potuto credere a una cosa del genere è, dal punto di vista storico, a dir poco mortificante. La Sedia Inquisitoria unisce influenze indiane provenienti dall’Impero Britannico al solito Medioevo Vittoriano, e, ovviamente, non se ne fa menzione in alcun volume dedicato alla prassi inquisitoriale, né ad altre fonti dal XIII al XVIII secolo.

L’idea stessa di inquisitori disposti a spendere cifre enormi per realizzare un simile oggetto è grottesca; il quantitativo di metallo utilizzato, poi, e la presenza di chiodi fatti in serie lasciano presupporre una prima fabbricazione modernissima. È quantomeno sospetto che le prime riproduzioni della Sedia Inquisitoria siano del XX secolo, anzi, più precisamente, dell’ultimo quarto del secolo scorso.

È difficile dire se la Sedia Inquisitoria sia stata creata avendo in mente i letti di chiodi dei fachiri o qualche altro falso vittoriano, ma è davvero molto sospetto leggere che la prima menzione del dispositivo risale al… 1880 (Geschichte der Hexen und Hexenprozesse, un altro testo senza alcuna pretesa storica) e la prima costruzione di questo dispositivo a dopo il 1983. Dopo la pubblicazione di quale testo? “Catalogo della mostra di strumenti di tortura, 1400-1800: nella Casermetta di Forte Belvedere, Firenze, dal 14 maggio a metà settembre,1983″. Ebbene sì, anche la Sedia Inquisitoria potrebbe essere (anzi, siamo più nell’ambito delle probabilità che in quello delle possibilità) la seconda creazione originale dei “musei” della tortura, ed è francamente incredibile che abbia avuto questa diffusione senza suscitare i necessari sospetti storici.

LA CULLA DI GIUDA

Almeno nel caso della Culla di Giuda (Judaswiege o Judas Cradle), alcune pagine wikipedia, come quella in italiano e in tedesco, riportano che si tratta di uno strumento immaginario, stendendo un velo pietoso sull’origine del mito. D’altronde, immaginare un trabiccolo del genere, per cui era necessario l’impiego di diverse persone, 4 funi e un puntale di legno, è storicamente (e fisicamente, visto l’impossibilità di mantenere in equilibrio l’imputato) demenziale.

A prescindere, comunque, dai problemi strutturali dell’attrezzo, è necessario fare il solito lavoro sulle fonti per dimostrare che non fu mai utilizzato o anche solo concepito prima del XIX secolo. La prima menzione? Immagino ci siate arrivati da soli ormai: “Catalogo della mostra di strumenti di tortura, 1400-1800: nella Casermetta di Forte Belvedere, Firenze, dal 14 maggio a metà settembre, 1983“.

culla di giuda
La prima menzione de La Culla di Giuda è anch’essa del 1983. Curioso no?

Per quanto riguarda l’incisione spesso riportata nella didascalia di questo oggetto, datata al XVII o XVIII secolo a seconda del “museo”, non sono stato in grado di reperirla in nessun manuale, né viene mai citata la fonte, quindi si tratta di un altro falso.

A questo punto, sarebbe interessante sapere di più degli autori di questo “Catalogo della mostra di strumenti di tortura, 1400-1800: nella Casermetta di Forte Belvedere, Firenze, dal 14 maggio a metà settembre,1983″: Robert Held, Tabatha Catte e Tobia Delmolino. Del primo, che vanta alcune curatele in ambito oplologico, sono riuscito a reperire solo due dichiarazioni: la prima riportata anche ne la pagina de L’Espresso qui sopra, in cui dice che gli originali sono “difficili da reperire perché dopo l’entrata in vigore del codice di Francesco III furono rimossi o distrutti“.

Più che “difficili” avrebbe dovuto dire “impossibili”, ma la cosa bizzarra è ricondurre la distruzione di ogni strumento di tortura degli ultimi otto secoli in tutta Europa, nonché la cancellazione di ogni sua traccia da decine di migliaia di volumi, alla legislazione di un Granduca di Toscana.  La seconda è tratta dal già citato “Inquisition: A Bilingual Guide to the Exhibition of Torture Instruments from the Middle Ages to the Industrial Era, Presented in Various European Cities in 1983-1987, Firenze, 1985“, e dà la misura delle conoscenze storiche del soggetto:

Tra il 1450 e il 1700 tra i due e i quattro milioni di donne finirono al rogo sia nell’Europa Cattolica che in quella Protestante.

Una cifra ridicola, equivalente a 45 donne al giorno per 250 anni consecutivi (1340 al mese!). Robert Held comunque (non so se sia il padre del bravo fumettista Joshua Held) deve essere stato a contatto con la fiction letteraria, visto che viene ringraziato da Thomas Harris nel libro “Hannibal” (Harris è l’autore de Il Silenzio degli Innocenti e seguiti). Di Tabatha Catte, che dovrebbe aver curato la sola impaginazione, non si sa nulla, così come di Delmolino.

Ovviamente, per amore della verità storica, saremmo felici di ricevere segnalazioni sulla presenza di queste torture in fonti originali, in modo da effettuare eventuali correzioni.

Vi starete chiedendo, a questo punto, quali fossero i veri strumenti di tortura dell’Inquisizione Romana. A questi dedicheremo un apposito articolo, per ora possiamo anticipare una porzione del capitolo dedicato alla tortura da Eliseo Masini nel Sacro Arsenale (1621). Da questo e da altri volumi si evince chiaramente come la tortura più praticata fosse quella della “corda” (o “strappado”), mentre per chi non era in grado di sostenerla per problemi fisici, poteva essere sottoposto alla (dolorosissima) fustigazione con bacchette di legno sui palmi delle mani o sulla pianta dei piedi.

Tra l’altro, in pochi sanno che la confessione sotto tortura doveva essere confermata ventiquattro ore dopo, altrimenti rimaneva inaccettabile. E che, ad esempio, si utilizzava la corda per evitare spargimenti di sangue, poiché si trattava di una delle proibizioni più stringenti tra quelle che gravavano in capo all’inquisitore.  Ma per una trattazione più completa dovrete aspettare ancora qualche giorno.

strumenti di tortura inquisizione

Bibliografia
  • Eliseo Masini, Sacro arsenale, ouero, Prattica dell’officio della Santa Inquisitione, 1621;
  • Philippus van Limborch, Philippi a Limborch Historia inquisitionis: cui subjungitur liber sententiarum inquisitionis tholosanae ab anno Christi MCCCVII ad annum MCCCXXIII, 1692;
  • Piazza, Girolamo Bartolomeo, A short and true account of the Inquisition and its proceedings, as it is practis’d in Italy, set forth in some particular cases : whereunto is added, an extract out of an authentick book of legends of the Roman Church, 1722;
  • Samuel Chandler, The history of persecution : in four parts. Viz. I. Amongst the heathens. II. Under the Christian emperors. III. Under the papacy and Inquisition. IV. Amongst Protestants, 1736;
  • Archibald Bower, Authentic Memoirs Concerning the Portuguese Inquisition, 1761;
  • Modesto Rastrelli, Fatti attenenti all’ Inquisizione e sua istoria generale, e particolare di Toscana, 1782;
  • Antonio Puigblanch, The Inquisition Unmasked: Being an Historical and Philosophical Account of that Tremendous…, 1816
  • Vari, Records of the Spanish Inquisition : translated from the original manuscripts, 1828;
  • C. H. Davie, History of the Inquisition, from its establishment to the present time, 1850;
  • Pietro Tamburini, Storia generale dell’Inquisizione, 1862;
  • Henry Charles Lea, A history of the Inquisition of the Middle Ages,1887;
  • George Lincoln Burr, Narratives of the witchcraft cases, 1648-1706, 1914;
  • Turberville, Arthur Stanley, Medieval heresy & the inquisition, 1920;
  • Alexander Herculano, History Of The Origin And Establishment Of The Inquisition In Portugal, 1926
  • Edward Peters, Inquisition, 1989;
  • Kamen Henry, The Spanish Inquisition: A Historical Revision, 1999;
  • E. Brambilla, Alle origini del Sant’Uffizio. Penitenza, confessione e giustizia spirituale dal medioevo al XVI secolo, 2000;
  • Franco Cardini, Marina Montesano, La lunga storia dell’inquisizione. Luci e ombre della «leggenda nera», 2005;
  • Andrea Del Col, L‘inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, 2007;

AGGIORNAMENTO

Santa Inquisizione: il materiale negli archivi non coincide con la leggenda nera

La percezione comune della gente è una mera caricatura, dice un ricercatore. La verità non è né nera né rosea…

La settimana scorsa si è concluso a Roma un simposio in occasione del 20° anniversario dell’apertura degli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede, che com’è noto contiene documenti storici dell’Inquisizione romana.

L’allora cardinale Joseph Ratzinger riteneva che l’apertura avrebbe segnato “una nuova tappa” nel dialogo tra la Chiesa e i fedeli di oggi.

Gli archivi, che coprono gli anni dal 1542 al 1903 – in 4.500 volumi –, ripercorrono quattro secoli di storia della Chiesa, anche se gran parte dell’archivio è scomparso.

Monsignor Alejandro Cifres, incaricato degli archivi, ha dichiarato che i documenti mostrano che l’Inquisizione non è all’altezza della sua “leggenda nera”. Lo abbiamo intervistato.

Cosa rivelano questi archivi sull’Inquisizione?

Gli archivi mostrano che la verità è diversa dall’immagine che si ha abitualmente dell’Inquisizione. La leggenda nera è appunto una leggenda, come lo sono quelle “rosa” che cercano di giustificare tutto. Dico sempre che non c’è ricercatore che non sia venuto per la prima volta nei nostri archivi e se ne sia andato con un’idea dell’Inquisizione peggiore di quella che aveva.

Questi archivi sottolineano che l’Inquisizione è stata un’istituzione creata dall’uomo in base a criteri diversi dai nostri, ma che cercava di applicare norme e regole con rigore e serietà. Al di sopra di tutto, l’Inquisizione non era solo un tribunale che giudicava e condannava – e spesso assolveva –, ma un luogo di dibattito in cui si studiavano idee e si spiegavano dottrine.

Le immagini di un tribunale a caccia di streghe sono caricature, e chiunque viene negli archivi se ne accorgerà. Gli storici seri non hanno dovuto aspettare che si aprissero gli archivi per rendersene conto.

Cos’è l’Inquisizione?

Innanzitutto bisogna sapere che sono esistite tre Inquisizioni diverse. In primo luogo c’era l’Inquisizione medievale, una prerogativa di vescovi o delegati papali per casi particolari. L’episodio più famoso è la crociata contro gli albigesi nel XIII secolo.

Ci sono poi state le Inquisizioni spagnola e portoghese, le prime a centrarsi su un Paese.

Infine c’è stata l’Inquisizione romana, fondata nel 1542 da Paolo III per essere un organo centrale della Santa Sede per controllare il dissenso religioso. Essendo pontificia, aveva giurisdizione universale, ovvero copriva il mondo intero. Non agiva nel territorio delle Inquisizioni spagnola e portoghese, e quindi non ha operato neanche nelle Americhe. Nel 1908, l’Inquisizione romana ha lasciato il posto al Sant’Uffizio, predecessore della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Perché il cardinale Joseph Ratzinger, all’epoca prefetto della Congregazione e futuro Papa Benedetto XVI, ha voluto aprire questi archivi?

Fino a vent’anni fa, i nostri archivi erano in larga misura chiusi alle consultazioni. Era l’ultima area degli archivi vaticani a non essere mai stata aperta; la maggior parte era stata aperta alla fine del XIX secolo. Nel 1998 il cardinale Ratzinger, dopo varie richieste, ha deciso che era il momento di aprire l’archivio ai ricercatori.

Chiunque abbia un diploma riconosciuto che certifichi la propria capacità di leggere questi documenti – e che non sia mosso da semplice curiosità – può venire negli archivi. Non ci sono discriminazioni per ideologia, religione o nazionalità.

Come archivista, posso dire che il bilancio è molto positivo, soprattutto per il clima di collaborazione che si è creato tra l’istituzione e il mondo accademico.


– Un altro falso sul medioevo: la cintura di castità!

Dalla stampa.it di alcuni anni fa riportiamo una notizia interessante a proposito di un famoso falso sul medioevo che è stato definitivamente smentito.

L’immagine del cavaliere che parte per le Crociate lasciando l’amata sotto la protezione di una cintura di castità è un falso storico. Questo è l’argomento della mostra “Storie segrete della cintura di castità. Mito e realtà” allestita a Budapest (Ungheria). Aperta ai maggiori di 16 anni, l’esposizione conta venti esemplari di cinture e altro materiale per spiegare questo mito nato durante l’Illuminismo e come si è evoluto.

Tra lucchetti e denti di metallo la domanda dei visitatori è: come si poteva sopravvivere a questi strumenti?

Katalin Végh, vicedirettrice del museo, spiega che fino agli Anni 90, sia nella cultura popolare sia negli studi scientifici, si pensava ancora che venissero usate per garantire la fedeltà delle mogli durante le Crociate dei mariti. Basta osservarle per capire come possano essere fonte di ferite e infezioni e abbiano serrature relativamente facili da aprire. Con l’arrivo del nuovo millennio gli studi si sono soffermati sui materiali scoprendo che questi oggetti erano tutti falsi del XIX secolo.

Il mito della cintura di castità risale al tempo dei Romani in cui si parlava di nastri e corde ma erano intesi come simboli di castità o verginità, non oggetti reali. Partendo da questo ragionamento alcuni studiosi sono arrivati alla conclusione che anche nel Medioevo (compresi nei testi di Boccaccio e Rabelais) le cinture di castità avevano un chiaro significato simbolico. (…). Ci sono brevetti di inizio ’900 che spiegano l’utilità di questi strumenti per evitare che i giovani si masturbassero. Queste cinture “moderne”, in cui il cuoio ha sostituito il metallo, vennero anche utilizzate per proteggere le donne dalle violenze sessuali in un periodo nel quale iniziavano ad affacciarsi a mondi ritenuti fino ad allora solo maschili come le fabbriche.

Il Cammino dei Tre Sentieri


SOSTA – 15 aprile 1792: viene collaudata la ghigliottina. Lo conosci il significato di questa macchina mortifera?

Se illuministicamente l’essere umano altro non sarebbe che una macchina (come disse l’illuminista La Mettrie), cioè pura materia, allora il Terrore non fu altro che pura tecnica di pulizia materiale, di quella materia “diversa” che “sporcherebbe” la società.

Fu dunque necessario rendere quanto più manifesto e innovativo il massacro.

Nel fatidico 10 agosto del 1792, Jean-Paul Marat ripeteva: “(…) sopprimete i vostri nemici, sterminate le vostre vittime. Colpite quelli che hanno carrozze, servitori, vestiti di seta. Visitate le prigioni, massacrate i nobili, i preti, i ricchi.  Non lasciate dietro a voi che cadaveri e sangue.[1]

E così fu necessario rendere quanto più efficiente, produttiva, questa tecnica di pulizia materiale. Ed ecco la ghigliottina, che prese il nome da Joseph Ignace Guillotin[2].

Insomma, la meccanica di questa nuova ed efficace macchina mortifera fu indiscutibilmente legata all’ideologia rivoluzionaria[3].

Essa doveva serviva a realizzare l’uguaglianza nella morte. A tal proposito ha scritto lo storico Marco Tangheroni: “(…) la proposta del dottor Joseph Ignace Guillotin (…) era ottima per far fronte al numero crescente delle esecuzioni e per garantire uniformità, ripetitività e uguaglianza a un atto altrimenti troppo individualizzato e troppo sottoposto al ruolo dell’agente umano.[4].

[1] P. Gaxotte, La Rivoluzione francese, cit., pp. 235-236.

[2] Joseph Ignace Guillotin é un ex-gesuita, uscito dalla Compagnia di Gesù nel 1763 per studiare medicina. A circa cinquant’anni, nel 1789, viene eletto, come rappresentante del Terzo Stato di Parigi, agli Stati Generali, che poi si trasformeranno in Assemblea Nazionale.

[3] Cfr. D. Arasse, La ghigliottina e l’immaginario del Terrore, tr. it., Milano 1988.

[4] (M. Tangheroni, Il binomio “Rivoluzione-ghigliottina”, in Cristianità, anno XVII, n. 165, Piacenza 1989, p. 3).

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


Che cosa era il “Malleus Maleficarum”?

I processi alle streghe si concentrarono soprattutto nell’area dell’attuale Germania, allora parte del Sacro Romano Impero, anche se si verificarono in tutta Europa. Più ci si trovava ai margini della società, maggiori erano le probabilità di essere accusati di stregoneria. Si stima che almeno 12.000 persone siano state giustiziate in Europa sulla base di accuse di stregoneria, con alcune stime che arrivano a 50.000.

Il Malleus Maleficarum non fu mai ufficialmente adottato dalla Chiesa cattolica, ma allo stesso tempo non venne mai inserito nell’Indice dei libri proibiti, diversamente da opere come il “Manuale dell’inquisitore” di Eliseo Masini o la successiva “Démonomanie des Sorciers” di Jean Bodin, che in parte si ispirava proprio al Malleus. 

Il Malleus Maleficarum, scritto da Heinrich Kramer nel 1486, nacque in un periodo di profondi cambiamenti e tensioni nell’Europa tardo-medievale, un’epoca segnata da trasformazioni sociali, politiche ed economiche che prepararono il terreno per l’Età Moderna. Un periodo che fu caratterizzato dalla crisi del sistema feudale, dalla crescita delle città, dalla comparsa di nuove correnti di pensiero e dalla crescente influenza della Chiesa cattolica, impegnata a mantenere il controllo spirituale e politico in un contesto di cambiamenti destabilizzanti. Nel XV secolo, la figura del diavolo assunse un ruolo centrale nell’immaginario collettivo. Non era più solo un simbolo del male, ma una presenza tangibile, un essere fisico con cui si potevano stabilire patti; una percezione alimentata da un clima di superstizione e paura, acuito da eventi come carestie, pestilenze e guerre. Le profonde trasformazioni economiche e sociali, inoltre, portarono alla marginalizzazione di alcune categorie di individui. Le donne, in particolare, furono le principali vittime di questo fenomeno: la crescente urbanizzazione e l’indebolimento delle strutture tradizionali lasciarono molte donne, come vedove e anziane, in condizioni di vulnerabilità.

Come si comportò, veramente, LA CHIESA?

SI LEGGA ANCHE QUI:

Bartolo Longo racconta la vera Inquisizione Spagnola e Domenicana


Papua Nuova Guinea, la Chiesa è l’unica che difende le streghe

Migliaia di donne accusate di essere streghe trovano protezione nella Chiesa cattolica. Accade oggi in Papua Nuova Guinea ma è ciò che è avvenne alle streghe che furono difese dall’Inquisizione.


La Chiesa cattolica in Papua Nuova Guinea si erge come l’ultimo baluardo di speranza per molte donne.

Nell’indifferenza spesso complice di tradizioni antiche, è l’unica istituzione che offre vicinanza, aiuto concreto e giustizia a chi viene accusato di stregoneria, una violenza che colpisce soprattutto le donne più fragili.

Il fenomeno — noto come SARV (“Sorcery Accusation Related Violence”) — vede ogni anno decine, se non centinaia, di accuse ingiustificate trasformarsi in torturelinciaggi o persino uccisioni verso donne anziane, vedove o madri senza appoggi familiari.

Diventano bersaglio e vengono private della loro dignità e spesso eliminate come capri espiatori.

Papua Nuova Guinea, la Chiesa unico scudo delle streghe

Lo ha denunciato l’agenzia Fides qualche tempo fa, informando anche dell’approccio pastorale forte e concreto voluto dall’arcivescovo di Madang, Anton Bal, durante il ritiro estivo con i catechisti di 22 parrocchie.

Mons. Bal ha sottolineato l’importanza di una presenza spirituale costante nei momenti di lutto, un sostegno materiale da parte dei sacerdoti che prevenga e impedisca che il dolore diventi strumento di accusa popolare, favorendo anche la richiesta di certificati medici o forensi per spiegare le cause naturali delle morti.

Dove la violenza è già scoppiata, invece, la Chiesa si muove per proteggere le “streghe”, spostandole in luoghi sicuri e collaborando con le autorità per riportare la pace.

Su questo fronte è la Caritas della Papua Nuova Guinea a giocare un ruolo decisivo. Nella diocesi di Kundiawa, soprattutto, molte vittime vengono assistite legalmente e protette da abusi da parte di parenti e vicini di casa.

La prevenzione, ancora una volta, passa anche attraverso la sensibilizzazione sulle cause reali delle morti e sullo smascherare i veri motivi delle accuse, dettate spesso da gelosie, invidie e desideri di riscatto.

Un’altra diocesi, quella Wabag, ha addirittura incluso l’”emergenza streghe” nella sua pianificazione pastorale pluriennale, offrendo rifugio e un percorso graduale di reintegrazione alle donne che vengono accusate.

L’Inquisizione e le streghe: moderazione e difesa

Se qualcuno si stupisce di ciò è perché, vittima della storiografia anticlericale, non sa che storicamente l’Inquisizione cattolica spesso agì proprio in difesa della streghe.

Lo ha spiegato in maniera chiara lo storico (laico) Adriano Prosperi, sottolineando la rarità e la moderazione dei casi di stregoneria nell’Inquisizione romana dove, tra l’altro, «ci sono processi a difesa delle streghe: in diversi casi troviamo persone processate per aver dato della “strega” a qualche donna» e il tribunale cattolico «interveniva per tutelare l’onorabilità delle donne offese da quel titolo»1.

Opinione condivisa da Christopher Black, docente di Storia d’Italia all’Università di Glasgow, per il quale era la magistratura secolare ad essere crudele contro le streghe, mentre «il Sant’Uffizio esortava con regolarità gli inquisitori ad adoperarsi per salvare chiunque fosse finito sotto accusa col solo supporto di simili prove, vittima dell’entusiasmo inquisitorio del popolo o dei magistrati secolari»2.

Dal canto suo, Giovanni Romeo, ordinario di Storia moderna all’Università Federico II di Napoli, attesta diversi casi in cui i giudici del «Sant’Ufficio bloccarono alcune iniziative spericolate di zelanti persecutori di streghe» e, oltre a mostrarsi preoccupato dai persecutori di streghe delle magistrature secolari, «si moltiplicarono gli interventi con cui essi presero le distanze dagli abusi e dagli errori commessi da singoli giudici locali nel corso di processi di stregoneria»3.

Senza contare che nell’Europa cattolica non vi fu alcuna cacce alle streghe simili a quelle dell’Europa centro-settentrionale e ciò, secondo lo specialista Andrea Del Col (Università di Trieste), fu dovuto «all’atteggiamento dei cardinali inquisitori, analogo a quello tenuto dall’Inquisizione spagnola ai primi del Seicento quando […] si manifestò un certo scetticismo nei poteri reali delle streghe diaboliche e una maggiore attenzione “razionale” al contenuto delle loro deposizioni»4.

Sempre Adriano Prosperi ha aggiunto che l’Inquisizione romana preferì di gran lunga intervenire sul fenomeno stregoneria tramite confessori e predicatori e, nei casi gravi, abiure pubbliche che contribuivano ad educare il popolo riguardo alle pratiche magiche, tant’è che «l’assoluzione era garantita a chiunque si pentisse»5.

E infine, spiega ancora Christopher Black (Università di Glasgow), «la relativa indulgenza con cui l’Inquisizione trattò le accuse di stregoneria può essere spiegata in parte con la preparazione giuridica degli inquisitori, che avevano appreso dai manuali come le denunce potevano nascere dall’animosità dei vicini, e che certe persone – in particolare le donne – potevano illudersi e inventarsi di aver vissuto davvero certe esperienze»6.

Così, dalla Papua Nuova Guinea all’Europa cattolica di diversi secoli fa, emerge una linea di continuità.

Laddove la superstizione si trasforma in violenza, la Chiesa è stata, e rimane, l’unica istituzione capace di opporsi, proteggere le vittime e riportare la ragione là dove prevaleva il sospetto.


Inquisizione e caccia alle streghe: l’Italia si salvò grazie alla Chiesa

Cosa dicono gli studiosi sulla caccia alle streghe e sull’Inquisizione? Quante streghe furono mandate al rogo in Italia? Dati e dichiarazioni che nessuno cita.

Inquisizione e streghe, un binomio che da sempre stuzzica anticlericali e storiografi dilettanti.

I quotidiani ci vanno a nozze, è accaduto ieri su “Il Fatto Quotidiano” con lo scrittore Massimo Novelli che, occupandosi di politica esterna è riuscito a parlare del «libro nero e criminale dell’Inquisizione».

Il motivo? La caccia alle streghescrive Novelli, che sarebbe avvenuta ai danni dei Valdesi: accuse che, «quasi sempre, portavano al rogo»Dati? Numeri? Statistiche? Ci mancherebbe altro!

Novelli si limita a dire che furono «tante» le donne condannate alla pena capitale per stregoneria. Ma l’unica che riesce a portare come esempio è Margherita di Saluzzo-Cardè che fu arrestata per idee eretiche e poi le fu «concessa la libertà».

Gli articoli che odorano di mitologia anticlericale si sentono da lontano, e non solo per l’assenza di fonti bibliografiche.

La Chiesa nel Medioevo negava la stregoneria

Non c’entra essere credenti o no, piuttosto conta essere preparati sul tema. E’ pieno di storici e studiosi (spesso rigorosamente laici) da consultare per avere un quadro reale su streghe e Inquisizione.

Si può partire da Adriano Prosperi, tra i maggiori esperti italiani, secondo cui «le autorità cattoliche non solo furono sollecite nel negare la realtà del sabba ma furono anche particolarmente miti nel trattare l’universo intero della superstizione e la stregoneria in specie»1.

Anzi, aggiunse l’eminente storico, «gli studi storici hanno mostrato senza ombra di dubbio che» se la caccia alle streghe in Italia e Spagna fu un fenomeno quasi inesistente lo si deve «proprio grazie all’atteggiamento assunto dalle autorità ecclesiastiche»2.

Già dalla fine del I secolo, con il Canon episcopi (906 d.C.), la Chiesa negava l’esistenza delle streghe sostenendo che «chiunque è così stupido e folle da credere a storie tanto fantasiose è da considerarsi un infedele, perché ciò deriva da un’illusione del demonio»3.

I vescovi salvavano la vita alle streghe

Marina Montesano, ordinario di Storia medievale all’Università di Messina, ha sottolineato infatti che la «posizione ufficiale della Chiesa» era «di considerare queste credenze come semplici “superstizioni” piuttosto che vere minacce»4.

Seguono varie documentazioni in cui la storica elenca gli interventi papali verso re e principi con la richiesta di salvaguardare la vita alle donne accusate di aver scatenato tempeste o diffuso pestilenze5.

Così anche i vescovi come Giovanni di Salisbury che nel “Policraticus” chiede di «rifiutarsi di ascoltare tali bugie e non pensare mai a follie e sciocchezze del genere»6.

Per tutto il Medioevo, scrive l’antropologo britannico Norman Cohn«fu l’élite colta che, in nome della dottrina cristiana, rifiutò l’esistenza delle streghe notturne mentre la gente comune continuava a credervi. La Chiesa negò questa credenza e la condannò come superstizione pagana».

L’inizio della caccia alle streghe

Il problema delle streghe nacque con l’avvento dell’umanesimo e con i grossi cambiamenti sociali ed economici alla fine del Medioevo. Le tesi dei catari sull’immenso potere di Satana e del suo controllo degli affari mondani, ha spiegato Brian Levack (University of Texas) 7, docente di Storia all’Università del Texas, condizionarono profondamente i popoli ma anche molti ecclesiastici.

Iniziò così a prendere piede il collegamento tra stregoneria e satanismo. Pur, specifica Andrea Del Col (Università degli Studi di Trieste), «senza il diretto avvallo di un documento papale»8.

Per Brian Levack la vera «condizione necessaria» per l’emergere delle caccia alle streghe in Europa fu la nascita dello Stato moderno«Se lo Stato non avesse acquisito un immenso potere giudiziario, che si manifestò con l’adozione del processo inquisitorio e che fu rivolto sia contro i traditori che contro le streghe con effetti ugualmente devastanti, la caccia non si sarebbe mai verificata»9.

Fu così che iniziarono i primi processi, a seguito di denunce di persone rimaste realmente danneggiate da rituali “magici”: «I malefici erano realmente praticati», ha spiegato Norman Cohn«alcune donne hanno davvero cercato di ferire o uccidere le persone o animali, distruggere raccolti o proprietà, con mezzi occulti»10.

Quante streghe morte per l’Inquisizione in Italia?

Ed eccoci ai casi di esecuzioni di “streghe”, in Europa eseguiti dai tribunali secolari e in Italia da quelli ecclesiastici.

Restando nel Belpaese, dal 1400 a parte del 1500 furono emesse circa 260 condanne di morte, il 38% di tutti i processi istituiti (22% degli uomini ed il 40% delle donne)11.

Lo storico Andrea Del Col precisa che «nonostante gli interventi e le inchieste da parte del nunzio pontificio, di altri vescovi e di commissari del papa, altri processi ebbero luogo fino al 1521»12.

Oggi riteniamo giustamente che anche una sola condanna a morte fosse troppa, ma i numeri indicano circa 2,5 esecuzioni all’anno nel secolo più cruento. Siamo lontanissimi dallo sterminio immaginato dalla cultura popolare.

Questi dati, ormai indubitabili, hanno spinto uno studioso notoriamente laico come Peter Godman (Università di Tubinga) a domandarsi:

«L’Italia fu risparmiata dalla caccia alle streghe che durante la Riforma infuriò nel Sacro Romano Impero e, più tardi, in Svezia, Polonia, Boemia e Ungheria. Ciò accadde forse perché la Chiesa cattolica, nonostante le critiche dei suoi detrattori, si rivelò più umana delle autorità dei Paesi nordici?»13.


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