«Gli effetti del peccato veniale nell’altra vita, ci mostrano quanto dobbiamo temerlo: infatti molte anime passano lunghi anni nel Purgatorio per espiarlo», scrive don Adolphe-Alfred Tanquerey nel suo capolavoro Compendio di Teologia ascetica e mistica.
La rovina delle anime viene sovente dal moltiplicarsi dei peccati veniali che cagionano la diminuzione dei lumi e delle ispirazioni divine, delle grazie e delle consolazioni interiori, del fervore e del coraggio per resistere agli assalti del nemico. Ne segue l’accecamento, la debolezza, le cadute frequenti, l’abitudine, l’insensibilità, perché, guadagnato che sia l’affetto, si pecca quasi senza aver sentimento del peccato.
Gli effetti del peccato veniale nell’altra vita, ci mostrano quanto dobbiamo temerlo: infatti molte anime passano lunghi anni nel Purgatorio per espiarlo. E che cosa soffrono in quel luogo di espiazione?
Vi soffrono il più intollerabile dei mali, la privazione di Dio. Non è certamente una pena eterna ed è appunto questo che la distingue dalle pene dell’inferno. Ma, per un tempo più o meno lungo, proporzionato al numero e alla gravità delle colpe, queste anime che amano Dio, che, separate da tutte le gioie e distrazioni della terra, pensano costantemente a Lui e bramano ardentemente di vederne la faccia, vengono private della sua vista e del suo possesso e patiscono ineffabili strazi. Capiscono ora che fuori di Lui non possono essere felici; ma ecco rizzarsi innanzi a loro, come insormontabile ostacolo, quella moltitudine di peccati veniali che non hanno sufficientemente espiati. Del resto sono tanto comprese della necessità della mondezza richiesta a contemplare la faccia di Dio che si vergognerebbero di comparire davanti a Lui senza questa mondezza e non consentirebbero mai di entrare in Cielo finché resta in loro qualche traccia del peccato veniale. Sono quindi in uno stato violento, che ben riconoscono d’aver meritato ma che non lascia per questo di torturarle.
Inoltre, secondo la dottrina di san Tommaso, un sottil fuoco le penetra, ne molesta l’attività, e fa loro provare fisici patimenti per espiare i colpevoli diletti a cui acconsentirono. Accettano certo di gran cuore questa prova, perché intendono bene che è necessaria per unirsi a Dio. “Vedendo — dice santa Caterina da Genova — il Purgatorio ordinato a levar via le sue macchie, l’anima vi si getta dentro e le par trovare una grande misericordia per potersi levare quell’impedimento”. Ma tale accettazione non toglie che queste anime soffrano molto: “L’amore di Dio, il quale ridonda nell’anima, le dà una contentezza sì grande che non si può esprimere, ma questa contentezza alle anime che sono in Purgatorio non toglie scintilla di pena, anzi quell’amore, il quale si trova ritardato, è quello che fa loro pena, e tanto fa pena maggiore quant’è la perfezione dell’amore del quale Dio le ha fatte capaci”.
Eppure Dio non è soltanto giusto ma anche misericordioso. Ama queste anime con amore sincero, tenero, paterno; desidera ardentemente di darsi ad esse per tutta l’eternità; e se non lo fa, è perché vi è incompatibilità assoluta tra la infinita sua santità e la minima macchia, il minimo peccato veniale. Non potremo dunque mai troppo abbominarlo, mai troppo schivarlo e mai troppo ripararlo con la penitenza.
Il Compendio di teologia ascetica e mistica è stato pubblicato la prima volta nel 1930 e da allora è stato usato nei seminari fino alla riforma degli anni ’60 del XX secolo.
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Quesiti diversi da parte di un nostro visitatore.
Quesito
Salve caro Padre,
ho dei dubbi, sono comunque Teista e credente in un Archè, ma il fatto che un Dio abbia bisogno di un Figlio in cui si incarna per il bene dell’umanità (tra l’altro soffriamo ancora) mi da dei dubbi come fosse un libro fantasy.
Io ho fatto cose brutte nella vita, sì, ma non il peccato originale.
Non l’ho fatto io, come tutti gli altri, e non capisco la demonizzazione del serpente. L’animale che colpa ne ha? Come noi?
Nel vangelo sta scritto che più o meno dopo l’assedio di Gerusalemme sarebbe avvenuta l’apocalisse o forse ho frainteso male.
Ho anche un terrore di finire all’Inferno ma non lo auguro nemmeno al
peggior nemico. Credo che Dio sappia equilibrare senza condannare per
l’eternità, perché sinceramente nemmeno a Giuda augurerei dal mio punto
di vista un’eternità nel fuoco.
Chiedo scusa se sono ripetitivo, la ringrazio e la benedico.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
nella mail che mi hai scritto ci sono alcune cose che hanno bisogno di essere precisate.
1. Innanzitutto, riguardo a Dio: Dio non ha bisogno di un Figlio per incarnarsi.
Il Figlio di Dio è la sapienza stessa di Dio, lo stesso unico Dio.
Viene chiamato Figlio perché come la sapienza viene generata nella mente, così anche la Sapienza di Dio è stata generata nella mente stessa di Dio. E questo dacché Dio è Dio, cioè dall’eternità.
2. Dio non si è incarnato per togliere la sofferenza. Anzi, l’ha assunta egli stesso prendendo la natura umana.
Ha dato alla sofferenza un valore salvifico, facendola diventare strumento di espiazione dei peccati e, nello stesso tempo, sorgente di merito di tante grazie per la vita presente e per quella futura.
3. Il peccato originale non ha corrotto del tutto l’uomo, che rimane sostanzialmente sano. Con il suo intelletto è capace di conoscere, con la sua volontà è capace di amare liberamente e con i sensi del corpo è capace di operare.
Il peccato originale ha lasciato un’inclinazione al male, ma non ha costretto a compiere il male. Il male lo si compie solo perché si decide di compierlo. La libertà, pur ferita, è rimasta.
4. Dio non ha demonizzato il serpente, che è rimasto una creatura buona.
Il serpente nella vicenda del peccato originale è solo un’immagine con cui viene presentato il demonio.
La Bibbia di Gerusalemme nota: “il serpente serve qui per mascherare un essere ostile a Dio e nemico dell’uomo, nel quale la Sapienza, poi il Nuovo Testamento e tutta la tradizione cristiana hanno riconosciuto l’avversario, il diavolo”.
5. È vero che nel Vangelo la descrizione della fine del mondo è associata alla fine di Gerusalemme.
Tuttavia questa associazione non è di ordine temporale, ma morale.
Senza dubbio vi sono delle somiglianze soprattutto per coloro che al termine della loro vita avranno come sorte ciò che si sono costruiti nella vita presente: l’autoseparazione da Dio.
Questa autoseparazione da Dio nella vita futura coincide con l’inferno.
6. Il timore di finire all’inferno ce l’hanno più o meno tutti, soprattutto coloro che sono all’inizio della vita spirituale.
Indubbiamente si tratta di un timore salutare. Il Signore stesso vi si appella quando dice: “Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui” (Lc 12,4,5).
7. Tuttavia in coloro che lo amano in maniera vera, vivono stabilmente nella grazia di Dio e vivono una comunione sempre più intensa con lui così da costituire una sola cosa, il timore dell’inferno viene meno.
Essi hanno sempre presente ciò che Gesù ha assicurato: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele” (Lc 22,28-30).
8. Per questo San Paolo dice: “Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,8-10).
E: “Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,8).
9. Circa il giudizio di Dio non si tratta tanto di equilibrare le cose, ma di essere rivestiti della grazia.
Nella vita presente si potrebbero anche aver compiuti i più grandi mali, ma se nel frattempo, ci si pente, ci si converte e ci si trova rivestiti della grazia santificante, si va in paradiso come il Signore ha garantito al buon ladrone: “In verità ti dico oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43).
Se c’è pentimento, non c’è nessun equilibrismo da fare, ma c’è solo da ricevere in abbondanza la sua misericordia.
Ti ringrazio di avermi dato l’occasione di precisare tante cose, molto importanti per la nostra vita presente e per quella futura
Augurandoti il più bel paradiso, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo
