Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo

Perché la Grazia è una forma di “partecipazione” alla stessa vita stessa della Trinità, da parte della nostra natura umana ricollocata nel “giusto rapporto” con Dio Creatore, e potenziata al di sopra delle sue capacità naturali. Tutto questo che qui ci viene dato in anticipo, sarà vissuto nella piena trasparenza nell’Eternità. Per questo lo sguardo fisso all’Eternità è il modo giusto per vivere nel tempo della storia della nostra vita personale.

Omelia di Don Alberto Strumia per la Solennità della Santissima Trinità

Solennità della SS. Trinità (Anno B)

(Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20)

Il Tempo Pasquale, attraverso le letture della liturgia, ci ha rimesso a fuoco il vero “perché” della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, se mai non lo avessimo avuto ben chiaro. Il Signore non si è lasciato crocifiggere per una sorta di strana volontà di esaltare il dolore fisico e morale, quasi per insegnarci a fare altrettanto. Quasi che il seguirlo fosse una strana quanto assurda forma di voglia di farsi del male. I cristiani non sono gli amanti della sofferenza per la sofferenza, così che l’essere credenti in Cristo debba essere considerato, da parte della maggioranza degli uomini e delle donne “normali”, come l’inutile facoltativa opzione di deboli di mente che pensano che la sofferenza sia l’unico modo per meritare di raggiungere un illusorio “aldilà felice”, di dubbia esistenza.

No! È tutto il contrario, perché coloro che credono in Cristo sono gli unici che hanno il coraggio di guardare in faccia alla realtà delle cose fino in fondo, senza fermarsi ai gradini più superficiali, o al più a quelli intermedi della scala della dura realtà della vita.

Il fatto è che la vita, prima o poi, si dimostra essere dura per tutti; la sofferenza dimostra di esserci, prima o poi, per tutti. E non solo per quelli che la vogliono stanare a tutti i costi e non hanno voluto imparare ad evitarla.

E questo accade, ti dice il cristianesimo, perché all’origine della sua esistenza l’umanità in blocco ha rifiutato la “giustizia originale”, scegliendo un modo non giusto di porsi in rapporto con Dio Creatore. Questo è il vero significato cristiano del “peccato originale”.

E poi in tutte le tappe storiche successive, ogni singolo essere umano, come singola persona, ripete volontariamente lo stesso errore ogni volta che contraddice nelle sue azioni i Comandamenti che Dio consegnò a Mosè. Questo è il vero significato dei “peccati attuali”, quelli nostri. Tutta la sofferenza, fisica e morale, è l’effetto di questo modo ingiusto di porsi nel rapporto con Dio Creatore.

Se non si rispettano le leggi oggettive, naturali, del mondo fisico, biologico, tutto smette di funzionare e si danneggia. Se non si rispetta la legge naturale codificata nei Comandamenti è l’essere umano come tale a non funzionare, entro se stesso e nei rapporti con gli altri, perché vive male il rapporto con Dio Creatore.

Il Tempo di Quaresima, prima e il Tempo di Pasqua, poi, ci hanno insegnato nuovamente, se lo avessimo dimenticato, che gli uomini, con le sole loro forze “personali” (genialità, denaro, potere, generosità, ecc.) non sono stati e non saranno mai in grado di ripristinare la “giustizia originale”, perché il danno che essa ha subito è troppo grande, è infinito. Solo l’Onnipotenza di Dio, che è infinita può riparare un danno infinito. Solo Gesù Cristo che è vero Dio ha il potere di farlo. E solo Lui che è anche vero uomo può essere anche dalla parte dell’uomo che è l’autore della rottura della giustizia e deve rimettersi nella giusta posizione davanti a Dio, per ritrovarsi nella giusta posizione davanti a se stesso e agli altri. E questa è la “conversione”, come ri-orientamento di se stessi verso Dio. Cristo ha preso su di sé tutto ciò che nell’uomo è stato compromesso, tutta la responsabilità della colpa e della pena che ne è conseguita, tutta la sofferenza umana nelle sue forme più estreme. Questo è il perché della Sua Passione e della Sua Crocifissione. Con la Sua Risurrezione ha vinto tutto questo male, riaprendo la porta agli uomini per accedere nuovamente, se liberamente lo vogliono, al giusto modo di rapportarsi con Dio e, di conseguenza, con se stessi e con il prossimo. In questa nuova “giusta posizione” il peso delle sofferenze e delle fatiche che rimangono transitoriamente in attesa della condizione di beatitudine eterna, servono alla nostra “memoria” per ricordarci di quello che il Signore ha fatto e, partecipare, in qualche misura, collaborando alla Sua stessa croce, perché non si dica che non ci è stata restituita anche la dignità di un posto di lavoro nella creazione e nella stessa opera di ricostruzione dell’essere umano. E questo è il lavoro per l’edificazione e della ricostruzione continua della Chiesa, là dove essa viene distrutta dall’ostinazione degli uomini che dal di fuori e dal di dentro di essa si ostinano a vivere contro la “giustizia originale”.

Questo quadro mentale di fronte alla realtà non va mai dimenticato, pena il non capire niente fino in fondo di se stessi, degli altri e della storia, del passato e del presente. E non essere preparati ad affrontare il futuro.

Le solennità che seguono il Tempo Pasquale sono le feste che descrivono la condizione dell’“uomo nuovo” che vive nello “stato di Grazia”, con lo sguardo fisso a Dio Creatore e Redentore, ricollocati, finalmente, nel “giusto modo” di stare davanti a Lui.

È lo sguardo dell’Apostolo Filippo che dice al Signore: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8) e si sente rispondere: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (v. 8).

Qui sta il primo grande insegnamento sulla Trinità. Dio è assolutamente “uno”, una sola natura divina, una sola sostanza divina accomuna il Padre e il Figlio, del quale Gesù ha parlato abitualmente rivelandolo come ciò che di più “naturale” esiste per Lui. Sono due Persone distinte dalle loro “relazioni” di eterna “generazione” (che definisce il Padre come relazione di paternità “generante”) e di “essere generato” (che definisce il Figlio come relazione di figliolanza “generata”).

E lo Spirito Santo viene descritto, rivelandolo, dallo stesso Gesù, anche questo come ciò che di più “naturale” esiste per Lui, al punto che: «prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16,14). C’è una relazione di scambio di “conoscenza” tra Cristo, il Figlio, e lo Spirito Santo che viene offerto attraverso la Rivelazione, ai credenti in Cristo che lo vogliono accogliere. È la descrizione dello “stato di Grazia” del credente, che si dispone a ricevere i Doni dello Spirito Santo, attraverso il Sacramento della Confermazione, in modo eminente, e attraverso gli altri Sacramenti in modo concomitante.

Perché la Grazia è una forma di “partecipazione” alla stessa vita stessa della Trinità, da parte della nostra natura umana ricollocata nel “giusto rapporto” con Dio Creatore, e potenziata al di sopra delle sue capacità naturali. Tutto questo che qui ci viene dato in anticipo, sarà vissuto nella piena trasparenza nell’Eternità. Per questo lo sguardo fisso all’Eternità è il modo giusto per vivere nel tempo della storia della nostra vita personale.

Maria Santissima che è vissuta anticipatamente come piena di Grazia ci accompagna e ci guida in questo straordinario cammino della vita perché possiamo raggiungere lo stato di beatitudine eterna per il quale siamo creati, voluti e amati da Dio.

Bologna, 26 maggio 2024


 

ALTRE QUESTIONI IMPORTANTI

 
DOMANDA
Quando parliamo di Dio con un ateo o un tiepido quali possono essere le argomentazioni o i comportamenti tali da suscitare in lui una piccolissima fiammella di interesse verso Dio?
 
RISPOSTA
Alcuni eventi della Scrittura, uno dell’Antico Testamento e due del Nuovo, possono aiutarci a vivere ogni incontro sia con chi crede e sia con chi non crede.
Basta osservare un principio di ordine universale. Se questo principio non viene osservato, la nostra parola rimane solo un soffio che si disperde nell’aria, mai entrerà in un cuore. Quale è questo principio di ordine universale? 
Chi parla di Cristo Gesù deve sempre parlare nello Spirito Santo. Deve parlare con lo Spirito del Signore che è nel suo cuore. Questo principio va osservato da tutti, sempre.
PRIMO EVENTO: “Anche la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un’angoscia mortale. Si tolse le vesti di lusso e indossò gli abiti di miseria e di lutto; invece dei superbi profumi si riempì la testa di ceneri e di immondizie. Umiliò duramente il suo corpo e, con i capelli sconvolti, coprì ogni sua parte che prima soleva ornare a festa.
Poi supplicò il Signore e disse: «Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all’infuori di te, perché un grande pericolo mi sovrasta. Non consegnare, Signore, il tuo scettro a quelli che neppure esistono. Non permettere che ridano della nostra caduta; ma volgi contro di loro questi loro progetti e colpisci con un castigo esemplare chi è a capo dei nostri persecutori. Ricòrdati, Signore, manifèstati nel giorno della nostra afflizione e da’ a me coraggio, o re degli dèi e dominatore di ogni potere. Metti nella mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone e volgi il suo cuore all’odio contro colui che ci combatte, per lo sterminio suo e di coloro che sono d’accordo con lui. La tua serva, da quando ha cambiato condizione fino ad oggi, non ha gioito, se non in te, Signore, Dio di Abramo.
O Dio, che su tutti eserciti la forza, ascolta la voce dei disperati, liberaci dalla mano dei malvagi e libera me dalla mia angoscia!». Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, ella si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi. Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura.
Alzato il viso, che la sua maestà rendeva fiammeggiante, al culmine della collera la guardò. La regina cadde a terra, in un attimo di svenimento, mutò colore e si curvò sulla testa dell’ancella che l’accompagnava.
Dio volse a dolcezza l’animo del re: ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia, fino a quando ella non si fu rialzata, e la confortava con parole rassicuranti, dicendole: «Che c’è, Ester? Io sono tuo fratello; coraggio, tu non morirai, perché il nostro decreto è solo per la gente comune. Avvicìnati!». Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!». Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto».
Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla. Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Aman al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Aman, per compiere quello che Ester ha detto»
( 4,17k-5,5).
 
SECONDO EVENTO: “In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante” (Lc 7,11-17).
In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante” (Lc 7,11-17).
 
TERZO EVENTO“La folla allora insorse contro di loro e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella parte più interna del carcere e assicurò i loro piedi ai ceppi. Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti. Il carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte del carcere, tirò fuori la spada e stava per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gridò forte: «Non farti del male, siamo tutti qui». Quello allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e disse: «Signori, che cosa devo fare per essere salvato?». Risposero: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia». E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio” (At 16,22-34).
 
OSSERVIAMO: Ester prega il Signore perché metta la giusta parola sulle sue labbra. Come parla lei al re? Quale giusta parola gli dice? Parla con il suo svenimento. Parola altamente efficace.
Gesù parla a quanti seguivano la madre che portava il figlio morto alla sepoltura. Come parla? Toccando la bara e risuscitando il giovane.
Paolo parla al carceriere dicendogli: “Non farti del male, siamo tutti qui”. Gli parla rimanendo lui e gli altri nel carcere senza fuggire.
Se ci inoltriamo sia in tutto l’Antico Testamento che nel Nuovo, allora i modi di parlare dello Spirito Santo sono innumerevoli. A volte è sufficiente uno sguardo. Spesso la sola presenza. Altre volte un segno. La Vergine Maria entra nella casa di Zaccaria piena di Spirito Santo. È bastato il solo saluto perché lo Spirito Santo dal suo cuore si riversasse nel cuore di Elisabetta e il mistero della Madre di Dio fu pienamente chiaro ai suoi occhi.
Come parlare? Non è domanda che si deve porre il cristiano, a patto che egli sia formato correttamente nella sana dottrina!
A volte non ci sono parole. Se lo Spirito del Signore è forte in noi e noi siamo in grazia di Dio, sa Lui come muoverci o quale parola fare uscire o non fare uscire dalla nostra bocca.
Ma qui siamo nel campo della fede, non di certo sul piano della pura razionalità dell’uomo.
Razionalità, intelligenza, accortezze dell’uomo a nulla servono. Serve invece la presenza dello Spirito Santo nel cuore di chi parla. Solo lo Spirito del Signore conosce la via perfetta per entrare in un cuore e attrarlo a Cristo Gesù.
Se siamo privi dello Spirito Santo (ossia non siamo in grazia di Dio e non abbiamo un cuore umile) possiamo anche dire fiumi di parole, possiamo anche scrivere chilometri e chilometri di libri, la parola umana attrae all’uomo, mai potrà attrarre a Cristo Gesù, perché a Cristo Gesù attrae solo la Parola di Verità detta nello Spirito del Signore.
La Madre di Dio ci aiuti a comprendere questo grande mistero. Metteremo ogni impegno perché lo Spirito Santo possa colmarci della sua pienezza. Ma lo Spirito può colmare solo un cuore senza peccato e senza vizi.
Mons. Costantino Di Bruno

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