Leone XIV un mese dopo. Che Papa sarà?

In questo primo mese, Leone XIV ha dimostrato un approccio misurato ma deciso. Il suo pontificato si annuncia come un periodo di riaffermazione della dottrina e della legge morale cattolica, attraverso un metodo di “giusto uso” e correzione delle ambiguità del pontificato precedente, piuttosto che di rottura frontale. Il suo pontificato è un ritorno a uno stile più tradizionale e dottrinale, incentrato sulla chiarezza e sul rispetto dell’autorità e della Tradizione della Chiesa.

Domenica 8 giugno 2025, solennità della Santa Pentecoste, sarà esattamente un mese dall’elezione al Trono di Pietro di Leone XIV. Ovviamente è troppo presto per sapere che tipo di Papa sarà, però nulla vieta di fare delle considerazioni in base a ciò che abbiamo visto e sentito da lui in questi primi 30 giorni di pontificato.

Le nostre prime impressioni sono molto positive: papa Leone XIV si è presentato urbi et orbi, alla Chiesa e al mondo, molto bene, dimostrando di aver rispetto dell’istituzione divina del munus petrino, Successore di San Pietro e Vicario di Cristo, titoli che egli ha pure ripreso ad usare.

Naturalmente vi sono, come si suol dire, dei “nodi da sciogliere” — dei dubia? — del pontificato precedente; ci riferiamo in modo particolare al dialogo inter-religioso (Dichiarazione di Abu Dhabi), alla teologia morale (Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans) e all’ecclesiologia (sinodalità).

In tempi non sospetti l’allora monsignor Prevost raccontò che, dopo l’elezione di papa Francesco, era sicuro che non sarebbe mai diventato vescovo, visti i disaccordi avuti duranti gli incontri con l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio. Fortunatamente — anzi, provvidenzialmente — Francesco apprezzò da subito la sincerità di padre Prevost e lo volle vescovo e cardinale, capendo che, nonostante i disaccordi sia teologici che pastorali, si poteva collaborare con lui.

Sia da vescovo prima che da cardinale dopo, Robert Francis Prevost, con mitezza e rispetto, non ha mancato di far rilevare al Papa le sue riserve riguardi quei “nodi” che abbiamo detto in precedenza. Come li “scioglierà” adesso che è lui il Papa?

Se qualcuno auspica un “sinodo cadaverico” — forse mosso più da livore personale che per zelo per la Chiesa — è in grande errore. Sia per indole personale che per procedura ecclesiale, l’atteggiamento di Leone XIV nei confronti del predecessore non sarà di condanna — lo ha dimostrato ricordandolo varie volte — bensì di correzione delle ambiguità teologiche e pastorali.

«Nelle analisi che molti osservatori stanno facendo dei primi passi del pontificato di Leone XIV, pare che prevalga finora l’uso della categoria di continuità e discontinuità, applicata al confronto con il pontificato precedente», ha scritto il prof. Leonardo Lugaresi, studioso di patristica, in un lugo articolo dedicato al concetto di “Tradizione”, pubblicato sul blog Settimo Cielo di Sandro Magister lo scorso 2 giugno. «Tale criterio, tuttavia, risulta largamente inadeguato — continua il prof. Lugaresi — a comprendere il senso di ciò che sta accadendo nella Chiesa, e in particolare non aiuta a cogliere un aspetto dello stile di pensiero e di governo di papa Leone XIV, che pare stia invece già emergendo con nettezza, soprattutto sul piano del metodo».

Secondo il prof. Lugaresi uno dei più grandi danni è certamente «stato quello di pensare che spettasse al Papa “avviare i processi” di un cambiamento senza che fosse chiaro in quale direzione andare», ma «sarebbe altrettanto sbagliato pretendere che spetti al Papa compiere una sorta di “controriforma”» riguardo il pontificato precedente. «Penso invece che da Leone XIV — continua il prof. Lugaresi — possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro “giusto uso” che, se così posso esprimermi, li “rimetta al loro posto”».

Su questo concordiamo pienamente con Leonardo Lugaresi e pensiamo che Leone XIV abbiamo già iniziato a farlo. È vero che il nuovo Papa ha citato alcuni documenti discussi e discutibili di Francesco (tra i quali la Fratelli Tutti e l’Amoris Laetitia), ma si trattava di frasi non scorrette, estrapolandole dal contesto originario del suo autore, volte ad un altri fini, non più teologici o dottrinali, bensì diplomatici o pastorali.

Del resto, la prima grande correzione fatta da papa Leone XIV, benché indirettamente e implicitamente, riguarda proprio l’esortazione apostolica Amoris Laetitia.

All’omelia del 1° giugno, Giubileo delle famiglie, papa Leone, rifacendosi all’enciclica Humanae Vitae, ha solennemente affermato:

«A voi sposi dico: il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo (cfr S. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, 9). Mentre vi trasforma in una carne sola, questo stesso amore vi rende capaci, a immagine di Dio, di donare la vita».

«Il significato di questa frase non deve sfuggireha scritto il prof. Roberto de Mattei —, perché oggi troppo spesso la legge morale viene ridotta a un ideale che può essere difficilmente raggiunto. La parola “canone”, nel linguaggio religioso, indica una regola ufficiale della Chiesa, una norma giuridica e morale, una legge oggettiva, che tutti i cristiani sono tenuti ad osservare. (…) L’idea, invece, che “il matrimonio è un ideale” percorre l’esortazione apostolica Amoris Laetitia, del 2016, nella quale Papa Francesco ha insistito sul fatto che questo ideale va proposto gradualmente, accompagnando le persone nel loro cammino. Ma la morale cattolica non è graduale e non ammette eccezioni: o è assoluta o non è. La possibilità di “eccezioni” alla legge nasce proprio dall’idea di un ideale impraticabile».

Va rilevato che il doppio-sinodo sulla famiglia del 2014-15 era stato impostato proprio per giungere — sinodalmente? — ad un tale errore teologico. Al briefing dell’8 ottobre 2014 l’allora mons. Victor Manuel Fernandez, oggi cardinal-prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede, disse che il matrimonio è un “bellissimo ideale”, ma quando si parla di “gradualità” si intende che bisogna prendere in considerazione “la realtà concreta delle persone che non possono arrivare a quell’ideale”, rimandando alla categoria di “bene possibile” evocata nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ovvero il grande “manifesto” di Francesco non della nuova evangelizzazione, ma del cambiamento della Chiesa.

Ma, quella delle esortazioni Evangelii Gaudiam e Amoris Laetitia, «era la tesi di Lutero», avverte il prof. de Mattei, «il quale sosteneva che Dio ha dato all’uomo una legge impossibile da seguire. Lutero elaborò perciò il concetto di un “fede fiduciale”, che salva senza le opere, proprio perché i comandamenti non possono essere osservati».

Questo è stato confermato — con approvazione, non con riprovazione — da Luciano Moia, il noto giornalista del quotidiano della CEI, Avvenire, che il 13 dicembre 2024, recensendo un libro del teologo progressista brasiliano Francesco Pesce sull’argomento, scrisse che il pensiero dell’eresiarca tedesco era quasi un’anticipazione dell’Amoris Laetitia.

«Alla concezione luterana dell’impraticabilità della legge, il Concilio di Trento replicò che ci si salva attraverso la fede e le opere. (…) “Dio infatti non comanda l’impossibile; ma quando comanda ci ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché Tu possa” (Denz.H, n. 1356). (…)», replica il prof. Roberto de Mattei. E il Concilio di Trento, tanto vituperato dai periti progressisti del Vaticano II e dai loro “eredi”, è dogmatico, dunque infallibile.

Purtroppo, vi è molto del pensiero di Lutero anche nella dichiarazione Fiducia Supplicans.

Dio, invece, non ci ha dato “ideali” da testare, ma Comandamenti da vivere.

«Ecco la parola “ideale”, ripresa ora da Leone XIV per essere negataha scritto il prof. Stefano Fontana —, un termine-chiave di Amoris laetitia allora fortemente contrastato dal cardinale Caffarra (che) aveva osservato, tra il pianto e l’ironia: “L’indissolubilità, più in generale il matrimonio inteso cristianamente, non è un ideale, una sorta di meta da raggiungere e verso cui tendere. Vorrei vedere la reazione di una sposa a cui il marito dicesse: “Guarda che la fedeltà a te è per me un ideale verso cui cerco di tendere, ma che non posseggo ancora”. Quando si presentano le situazioni irregolari come tappe positive verso il matrimonio, si afferma che è possibile vivere come marito e moglie senza esserlo. Il cardinale Velasio de Paolis aveva scritto durante il doloroso confronto di ormai dieci anni fa: “Ciò che non è ammissibile per la legge morale e divina è proprio che due persone che non sono coniugi vivano come tali … Sarebbe la distruzione totale del rapporto matrimoniale e della famiglia e cadrebbe tutta la legge morale sulla sessualità”. (…)».

Secondo il prof. Fontana, con quella breve frase, Leone XIV, ha avviato «la revisione dell’intera Esortazione apostolica che su quello si fondava, e rappresenta anche, implicitamente, una risposta sintetica ai famosi Dubia dei Cardinali. (…) Se cade il principio della legge morale divina come “ideale” e si ritorna alla Veritatis splendor può anche essere ripresa la dottrina delle azioni intrinsecamente cattive (intrinsece mala e, sul piano politico, principi non negoziabili) e, auspicabilmente, si potrà tornare a parlare di “natura” e di legge morale naturale, espressioni di cui si era persa ogni traccia».

Il giornalista spagnolo Jaime Gurpegui ha infatti rilevato che «(…) con una semplice frase, Leone XIV ha fatto più per il ripristino della teologia morale che interi anni di dibattiti accademici. (…) Una frase. È bastata una sola frase al Papa Leone XIV per disinnescare la spinosa eredità del “cambiamento di paradigma” nella teologia morale che tanti hanno addotto per giustificare l’ingiustificabile. (…) ».

È verissimo, al Papa è sufficiente una breve e concisa frase. Il Papa, qualunque papa, infatti, non deve parlare troppo e ambiguamente, ma il giusto e chiaramente. Papale papale, insomma.

Questo ci riporta all’inizio, ovvero che Papa sarà Leone XIV? Ancora Jaime Gurpegui scrive che «una (sola) frase del Papa mostra come Leone intenda restaurare la fede nella Chiesa».

«A differenza del suo predecessore, Leone non ci darà da temere che faccia il papa “di testa sua”», scrive il prof. Leonardo Lugaresi nell’articolo citato precedentemente. «È in questo senso che mi azzarderei a prevedere che lo stile del suo pontificato sarà ratzingeriano e patristico».

E noi ce lo auguriamo, affidando papa Leone XIV alla Beata Vergine Maria di Fatima, patrona di questi tempi.

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