Trento, il concilio che il Demonio non voleva

Il famoso detto ecclesia semper reformanda è stato più volte maldestramente attribuito alla lotta protestante, alla sua riforma che dall’inizio del XVI secolo sconvolse l’unità della Chiesa e gli ambienti politici del suo tempo, volendo per altro imporre non una naturale riforma, ma dei propri e veri stravolgimenti dottrinali, unendoci anche quelli scaturiti dalla scoperta dell’America e dalla rivoluzione avutasi con la diffusione della stampa a caratteri mobili.

Il 4 dicembre 1563 si chiudeva il Concilio Ecumenico di Trento indetto da Paolo III il 13 dicembre 1545.
Lo stesso cardinale di Lorena diè fine con un applauso a’ decreti del Concilio dicendo: “Questa è la Fede dei Padri e degli Apostoli; questa la Fede degli Ortodossi”. Tutti professarono la fede, e l’osservanza dei decreti tridentini. Invocarono Cristo supremo sacerdote, la inviolata Madre di Dio, e tutti i santi; e si dissero “Anatema” agli eretici … Il cardinal Morone, primo legato, intuonò il cantico Te Deum, finito il quale, rivoltosi ai padri, diè la benedizione, e disse: “Andate, in pace”.

00-legati-pontifici_55a0f3bb85786In verità, questa famosa locuzione latina, è sempre stata una convinzione della Chiesa, decisamente la sua carta di battaglia, ma per controbattere le eresie.

Diciamolo onestamente, il colpo che il protestantesimo inferse alla Chiesa sarebbe riuscito davvero mortale, se la Chiesa non fosse un’istituzione divina! E per certi versi paghiamo ancora oggi le conseguenze di quell’eresia oramai penetrata nel cuore della vita ecclesiale.

Le riforme non sono mai state un monopolio protestante, al contrario, sempre dagli ambienti ecclesiastici, dai monasteri, dagli Ordini religiosi, ma anche dalle comunità dei fedeli, sempre si sono levate suppliche, appelli, incoraggiamenti ed auspici ad insistenti richieste di riformare la Chiesa in ogni tempo. Possiamo citare davvero tante persone che a queste riforme si sono prodigate come, per fare qualche nome, Santa Ildegarda, San Francesco d’Assisi, San Domenico di Guzman, Santa Caterina da Siena, l’insuperato San Tommaso d’Aquino, San Filippo Neri con i suoi Oratori, San Bosco con la riforma degli oratori, Santa Teresa d’Avila con la riforma del Carmelo, e Santa Brigida di Svezia e Sant’Alfonso Maria de Liguori, e davvero tanti altri, così come anche molti Papi sono stati definiti grandi riformatori.

QUI IL VIDEO-CATECHESI del testo

Non dimentichiamo neppure il domenicano Girolamo Savonarola (1452-1468) il quale si è speso fino all’ultimo respiro per combattere la corruzione negli ambienti ecclesiastici e nella Curia romana, egli pur pagando con la propria vita un esasperato fondamentalismo apocalittico, non esagerava e non mentiva a riguardo degli scandali e della corruzione che andava denunciando e condannando.

A riguardo appunto del concetto di Riforma, lo storico Hubert Jedin commentando il V concilio lateranense (1512-1517), scriveva: “L’aspirazione della cristianità alla riforma della Chiesa era la fonte alla quale l’idea conciliare attingeva sempre nuova forza. La questione del concilio ed il problema della riforma erano talmente intrecciati da non poter venire separati l’uno dall’altro”.

E ancora, il vescovo di Bressanone Nicolò Cusano (1401-1464) auspicava già ai suoi tempi una riforma intesa come “ritorno alla forma Christi”. In sostanza, tale riforma, avrebbe dovuto rendere “cristi-formi” tutti i credenti, a cominciare dal Papa.

Ora noi qui, non intendiamo avanzare con le tante vicende storiche che hanno caratterizzato il Concilio di Trento durato per altro molti anni, ci basti ricordare che lo stesso Martin Lutero (vedi qui) auspicava non tanto un concilio in sè (infatti rifiutò l’invito anche se poi morì nell’anno della sua apertura), ma pretendeva che un concilio potesse riformare la Chiesa avendo essa – secondo lui naturalmente – smarrito la missione assegnatale dal Cristo. Perciò Lutero sosteneva che “unica fonte di verità è la Scrittura e non i papi o i concili”, per lui “riformare la Chiesa” significava semplicemente cambiarle dottrina, ovviamente dal suo punto di vista della Scrittura.

Vogliamo piuttosto offrirvi uno spaccato, degli aneddoti e alcune curiosità di eventi che bloccarono l’inizio dei lavori del concilio tanto da far pensare davvero che neppure il Demonio voleva questa assise della cattolicità.

01-legati-pontifici_55a0f4754de37Un tempo avvincente ma anche tormentato del quale ebbe a scrivere lo storico Adriano Prosperi: “… Ma il prossimo concilio non si terrà a Roma e non ci sarà il papa. Però, prima che il nome di Trento sia inserito nella serie dei luoghi conciliari dovranno accadere cose nuove e sconvolgimenti inauditi, certo non prevedibili dall’osservatorio lateranense…”

Infatti, mentre il concilio lateranense chiudeva i battenti, l’ex monaco agostiniano Lutero alzava la sua voce contro il Papa, il papato e la dottrina della Chiesa.

L’8 aprile del 1536 papa Paolo III affidava ad otto cardinali, tra i quali Bernardo Cles, l’incarico di preparare la bolla pontificia per la convocazione del concilio. Così forse pochi sanno che nel giugno dello stesso anno, con la bolla Ad dominici cura, Paolo III convocava il concilio non a Trento ma a Mantova.

Tuttavia il progetto mantovano venne subito abbandonato a causa delle esose pretese economiche del Duca Gonzaga.

La sede conciliare fu allora spostata a Vicenza e la data di apertura venne fissata per il primo maggio 1538. Ma dopo alterne vicende anche questo progetto fallì, andando a gravare pesantemente sui lavori conciliari.

Sembrava proprio che questo concilio non dovesse farsi, tanti furono i bastoni fra le ruote che ne impedivano l’inizio.

Persino la morte improvvisa del vescovo di Trento, il quale fu tra i grandi artefici dei lavori preparatori del concilio, destò smarrimento e confusione.

Intanto però, Papa Paolo III giunti al 1542 era davvero preoccupato per il ritardo del concilio a causa del quale l’eresia protestante, invece, prolificava e dilagava indisturbata nella piena confusione che regnava dentro la Chiesa. Il Papa allora inviò suo delegato il cardinale Giovanni Morone il quale riuscì a convincere i rappresentanti degli stati e dei ceti tedeschi che la città di Trento sarebbe stata in grado di ospitare il concilio e a provvedere all’ospitalità dei suoi illustri ospiti.

Così sembra la volta buona e parte la prima bolla pontificia ufficiale il 22 maggio 1542. Ma a quanto pare il Demonio questo concilio proprio non lo voleva!

La bolla infatti rimase senza esito perchè Francesco I di Francia non trovò altro da fare se non il dichiarare guerra, nuovamente, a Carlo V. Solo con la pace di Crepy nel settembre del 1544, si potè ritornare a parlare del concilio.

La nuova bolla di convocazione del concilio (Laetare Jerusalem) letta nei concistori del 9 e del 22 novembre, fissava finalmente l’apertura dei lavori per il 15 marzo del 1545. Tra le accoglienze varie e dei primi tre legati pontifici: Marcello Cervini (futuro Papa Marcello II); Giovanni Maria del Monte (futuro Papa Giulio III) e Reginald Pole (teologo umanista inglese, esiliato per non aver aderito alla supremazia imposta da Enrico VIII ed anche per averla duramente criticata), la vera apertura avvenne il 13 dicembre 1545 con una solenne celebrazione nella cattedrale di Trento alla presenza di 4 cardinali, 21 vescovi, 5 generali di Ordini religiosi, 42 teologi, 8 giuristi, 2 ambasciatori e molti fedeli.

Per tutta la durata del Concilio (ben diciotto anni con due interruzioni) i lavori ebbero questo svolgimento:

le conferenze teologiche: nelle quali venivano ascoltati famosi predicatori anche per approfondire i vari temi proposti nelle discussioni;

le congregazioni generali: per consentire agli aventi diritto (vescovi, generali di Ordini religiosi, rappresentanti di monasteri ed altro) di esprimere il proprio voto sulle proposte emerse in campo dogmatico o di riforma.

Tutto ciò comportava un continuo scambio di corrispondenza e di informazioni tra Roma e Trento e il relativo servizio postale fu davvero all’altezza dell’immane compito.

07-legati-pontifici_55a0f4e8886eeLa funzione di segretario del concilio fu consegnata e mantenuta fino alla conclusione dal vescovo Angelo Massarelli, i cui accurati e preziosi diari sono ancora oggi conservati e consultabili nella Biblioteca Vaticana, nell’archivio dell’Università Gregoriana di Roma e, naturalmente, nella Biblioteca Comunale di Trento.

Le prime otto sessioni si svolsero a Trento (1545-1547) le altre due si svolsero a Bologna (1547-1549) a causa di una epidemia di tifo petecchiale, ma anche per sottrarre i padri dall’eccessiva ingerenza dell’imperatore. Nella terza sessione del 4 febbraio 1546 i Padri del concilio prestarono giuramento secondo la formula del Concilio Niceno e nella quarta dell’8 aprile fu pubblicato il decreto circa i due documenti della Divina Rivelazione, la Santa Scrittura e la Tradizione e furono fissate le regole per l’interpretazione cattolica delle Scritture.

Dopo altre vicende più o meno sgradevoli, la minaccia dell’avanzata armata dei principi protestanti e la morte stessa di Papa Paolo III, dopo altre tribolazioni per il nuovo conclave che lascerà la Chiesa senza il Papa per un lungo trimestre (dal 29 novembre 1549 all’8 febbraio 1550), sale sul Trono petrino Giovanni del Monte col nome di Giulio III che fa ripartire immediatamente il concilio riportandolo a Trento, aprendo la XII sessione nel maggio del 1551 col nuovo presidente il cardinale legato Crescenzi, assistito da due vescovi: Pighino e Lippomano.

Nella XII riunione dell’11 ottobre fu definito il canone sulla Presenza reale di Gesù Cristo nella Eucaristia, ribadendo una volta per tutte la condanna e l’anatema contro ogni eresia sulla dottrina, specialmente contro le errate affermazioni protestanti.

A Papa Giulio III (cinque anni di pontificato) successe nel frattempo Marcello III (1555) il quale però morì dopo solo 23 giorni di pontificato. Venne eletto allora Papa Paolo IV Carafa, ma non è finita, a causa delle burrascose vicende politiche di questo pontificato e la morte del Papa dopo quattro anni di regno, il concilio non si potè riaprire che ben dieci anni dopo con l’elezione di Papa Pio IV Medici (1559-1565) che finalmente riuscì anche a chiuderlo.

Il 29 novembre 1560 Pio IV firmò la bolla di “riconvocazione del concilio” a Trento. Lo scenario era il seguente: i protestanti rifiutarono l’invito, i vescovi tedeschi disertarono per non urtare i principi protestanti e ai vescovi inglesi fedeli al Papa fu vietato di varcare i confini. Ma il Papa non si scoraggia e il 18 gennaio del 1562, attraverso il cardinale legato Girolamo Seripando, apre la terza ed ultima fase del concilio alla presenza di 113 vescovi, nominando presidente il cardinale Ercole Gonzaga.

Come se non bastasse, all’inizio del mese di marzo 1563, mentre l’atmosfera si faceva pesante nei circoli conciliari, arriva improvvisa la morte di ben due legati pontifici: il presidente cardinale Gonzaga e il cardinale legato Seripando. Il Papa temendo una nuova paralisi dei lavori, nomina in tutta fretta i sostituti con i cardinali legati Bernardo Novagero e Giovanni Morone, una scelta illuminata.

La situazione era davvero quella di un campo di battaglia tanto che il vescovo di Cajazzo Fabio Mirto ebbe a scrivere: ” Come mai prima, il concilio, è un focolaio di intrighi, da ogni parte vengono create difficoltà e la gente è così ostinata….”, ne fu prova quando ben tredici vescovi della delegazione francese abbandonarono il concilio per protesta e fu solo grazie alla strategia diplomatica del Morone se l’assise potè ugualmente continuare i lavori e giungere a conclusione.

L’ultima sessione del concilio, la XXV, avvenne tra il 3 e il 4 dicembre 1563. Qui vennero riconfermati i decreti sulla dottrina del Purgatorio, sul culto dei Santi e delle immagini sacre, infine venne riconfermato il valore dogmatico delle indulgenze.

(cliccare sulle immagini per ingrandirle e per vedere l’album delle immagini del Concilio di Trento, cliccare qui)

012-legati-pontifici_55a0f5840d38bLa grande opera era compiuta.

” Il concilio – scriveva il Ranke – così violentemente dimandato, così lungamente evitato, poi diviso, due volte disciolto, battuto da tante tempeste del mondo, e nel riunirsi per la terza volta trovatosi da capo fra mille pericoli, era terminato fra l’universale concordia del mondo cattolico…”

Il cattolicesimo si era eretto contro gli errori del protestantesimo, e con nuovo vigore ed energia raddoppiata si rifaceva alle sue pure fonti, al Vangelo che Gesù Cristo  aveva consegnato alla Sua Chiesa.

La solenne cerimonia di chiusura del XIX Concilio ecumenico fu celebrata nel Duomo di Trento il 4 dicembre 1563, le cronache descrivono la commozione, gli occhi pieni di lacrime ma non di tristezza,  di gaudio, di abbracci solenni tra vescovi e cardinali dimenticando le battaglie svolte, di abbracci tra i fedeli e i vescovi che uscivano dalle file della solenne processione.

Il cardinale di Lorena, Carlo di Guisa, pronunciò insieme a tutti gli altri presenti le seguenti parole: “Questa è la fede di noi tutti, questa l’unanime nostra persuasione, tutti ci sottoscriviamo. Questa è la fede di S. Pietro e degli Apostoli, questa è la fede dei Padri, questa è la fede ortodossa. Così crediamo, così giudichiamo, così sottoscriviamo…. anatema a tutte le eresie”.

Una curiosità: i migliori teologi al Concilio di Trento e per la sua applicazione erano Gesuiti. Tra i tanti nomi ricordiamo il cardinale Bellarmino, Pietro Canisio che con la stesura del “suo” catechismo sulla scia dei decreti di Trento, divenne il primo compendio ufficiale della dottrina cattolica, Troviamo anche Possevino in Svezia per riportare il cattolicesimo; Rodriguez in Portogallo; Salmeron in Irlanda; Lefebvre a Madrid; Bodadilla a Vienna dove smascheravano gli eretici che tentavano di infiltrarsi nelle membra della Chiesa.

E’ curioso che i peggiori teologi dell’ultimo concilio Vaticano II erano altrettanto Gesuiti, clicca qui per lo studio sul gesuitismo dagli Anni Cinquanta, nulla a che vedere con i loro confratelli, del grande concilio dell’epoca tridentina.

Dopo il Concilio di Trento il Pontificato romano ridiventa il centro unificatore e vivificatore dell’Urbe e dell’Orbe, incomincia una nuova epoca per la Chiesa e per il papato: “Sotto la guida di valorosi Pontefici – scrive l’Hergenrother – con l’aiuto di vescovi eminenti e di zelanti religiosi, la Chiesa venne attuando contro la falsa riforma protestantica la vera Riforma cattolica, e contrappose al protestantesimo un così valido riparo, che non fu più potuto superare; anzi, giunse fino a riconquistare molti dei paesi perduti. Ella si rivelò da capo, cinta di nuova bellezza, fresca di novella vita, feconda di grandi santi, di apostoli, di dotti, di artisti; Ella introdusse una grande  mutazione di costumi e questa si estese in breve con la più larga efficacia. L’albero che a molti pareva morto, liberavasi dei rami e dei tralci inariditi; rimetteva nuovi fiori e nuovi frutti a maturanza. Nuove e grandi Istituzioni sorgevano; una scienza schiettamente cattolica rifioriva, e a lei l’arte religiosa si ravvivava” (Vol. VI, pag 269).

Sia lodato Gesù Cristo

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Bibliografia:

1) da Storia dei Papi, vol.II – Carlo Castiglioni  prefetto dell’ambrosiana-

2) La Chiesa nella storia di Padre Raimondo Spiazzi O.P. –

3) Il Concilio di Trento i fatti i luoghi e i protagonisti – di Adriana Maurina ed. Curcu&genovesi 2013.


Il “cavallo di Troia” dei mali della Chiesa secondo il “Consilium de emendanda Ecclesia” del 1536

24 Aprile 2023  Blog dell’Editore

di Vik van Brantegem

– Don Claudio Centa ha ricordato in un recente post su Twitter «un brano da un notevole documento: il memoriale che la commissione cardinalizia istituita da Paolo III e presieduta da Contarini consegnò al papa (1536). N.B cosa è indicato come cavallo di Troia dei mali della Chiesa. Per aver testi così ci vogliono cardinali come Contarini e…».

Ecco il brano:

  • «E poiché la Santità tua, ammaestrata dallo spirito di Dio, che, come dice Agostino, parla nei cuori senza risonanti parole, ben sapeva che l’origine di questi mali deriva dal fatto che alcuni Pontefici tuoi predecessori, per prurito di udire, come dice l’apostolo Paolo, adottarono maestri in quantità per soddisfare le loro voglie, non per conoscere da essi cosa dovessero fare, ma affinché, attraverso lo studio e le sottigliezze escogitate da tali maestri, si trovassero i pretesti che rendessero lecito ciò che loro piacesse, di conseguenza, oltre al fatto che l’adulazione va sempre dietro ad ogni potere, come l’ombra al corpo, e che sempre con difficoltà la verità arriva alle orecchie di coloro che comandano, avvenne che all’improvviso sorsero dei dottori che insegnarono che il Pontefice è padrone di tutti i benefici e poiché a pieno diritto chi possiede può vendere ciò che è di sua proprietà, necessariamente ne segue che l’accusa di simonia non può riguardare il Pontefice, ne deriva che la volontà del Pontefice, qualunque essa sia, è la norma che dirige ogni azione, per cui ne viene che qualunque cosa si voglia, per il fatto stesso che si vuole, diviene lecita.
    Da questa causa, Padre santo, come dal famoso cavallo di Troia, sono dilagati nella Chiesa di Dio un così grande numero di abusi e di gravi mali da cui, noi lo vediamo, è afflitta in maniera quasi disperata, e la risonanza di tali mali è arrivata anche alle orecchie degli infedeli. Creda la Santità tua a chi ne ha cognizione di causa, ed essi, soprattutto per questo motivo, deridono la religione cristiana tanto che, per causa nostra, proprio per causa nostra, viene vituperato il nome di Cristo tra le genti».

Si tratta della traduzione italiana di uno stralcio dalle prime due pagine del Consilivm delectorvm cardinalivm et aliorvm praelatorum, de emendanda Ecclesia (Romae, apud Antonium Bladum, 1538). È il documento redatto dall’apposita commissione Consilium de emendanda Ecclesia nominata nel 1536 da Papa Paolo III per analizzare la situazione della Chiesa del tempo, per riflettere sugli abusi e sulla corruzione, ed elaborare proposte di riforma. La commissione era presieduta dal Cardinale Gasparo Contarini e ne fecero parte: Cardinale Giovanni Pietro Carafa (poi Papa Paolo IV), Cardinale Jacopo Sadoleto, Cardinale Reginald Pole, Arcivescovo Federigo Fregoso (poi creato cardinale nel 1539 da Papa Paolo III), Arcivescovo Girolamo Aleandro (nominato cardinale in pectore nel 1536 e poi pubblicato cardinale nel 1539 da Papa Paolo III), Vescovo Gian Matteo Giberti, Abate Gregorio Cortese (poi creato cardinale nel 1541 di Papa Paolo III), Padre Tommaso Badia (poi creato cardinale nel 1542 dal Papa Paolo III). Il testo venne presentato a Paolo III nel concistoro del 9 marzo 1537.

Nel memoriale del Consilium de emendanda Ecclesia si espone con schiettezza assolutamente insolita un decisivo programma di riforma “nel capo e nelle membra” e si traccia, dal punto di vista della responsabilità pastorale, il quadro di una Chiesa rinnovata, indicando le vie ed i mezzi per eliminare un gran numero di abusi: “Con un attacco di inaudita audacia il Consilium apriva l’offensiva del movimento riformista contro la roccaforte della Curia romana, dalla cui conquista dipendevano i destini della Chiesa” (H. Jedin).

Papa Paolo III accettò le raccomandazioni ma non si impegnò a sufficienza per ottenere cambiamenti immediati. Il rapporto confidenziale fu pubblicato illegalmente nel 1538 e godette di un’ampia diffusione (un “Vatileaks” ante litteram, non c’è niente di nuovo sotto il sole). Martin Lutero pubblicò una versione tedesca, completata da sarcastiche annotazioni ai margini. Johannes Sturm analizzò più seriamente il Consilium de emendanda Ecclesia, plaudendo allo sforzo compiuto dalla Chiesa Cattolica per risolvere alcune delle sue più evidenti problematiche, ma mostrando grande preoccupazione nel caso la Chiesa avesse potuto riformarsi senza dare una maggiore importanza al Vangelo. La seconda parte del testo entra nel cuore del problema, esaminando nei dettagli i “mali” che affliggono la Chiesa: le ordinazioni sacerdotali, celebrate con molta superficialità, ammettendo all’ordine uomini indegni e di “cattivi costumi”; l’attribuzione delle diocesi, da molti vescovi individuate come fonte continua di cespiti e “giovamento delle proprie utilità”, non disdegnando tanto il cumulo di altri benefici, tanto il commercio degli stessi in funzione del “mero guadagno”. Le proposte contenute nel Consilium de emendanda Ecclesia non trovarono subito attuazione, sebbene molti dei suggerimenti furono alla base delle successive riforme.

Il Cardinale Gasparo Contarini nacque il 16 ottobre 1483 a Venezia. Fu ordinato presbitero in giugno 1537, eletto vescovo il 23 ottobre 1536 da Papa Paolo III e da lui consacrato il 17 febbraio 1538. Quindi, la sua genealogia episcopale risale al Cardinale Guillaume d’Estouteville, O.S.B.Clun. Il 95,6% di tutti i vescovi della Chiesa Occidentale (Cattolica Romana e Veterocattolica) di oggi proviene dalla linea Rebiba, cioè lo pongono al vertice della propria genealogia episcopale, inclusi Papa Francesco e tutti i suoi predecessori ininterrottamente a partire da Papa Benedetto XIII (1600-1669). Un altro 3,3 % appartiene a una delle numerose linee orientali. Il restante 1,1% dei vescovi hanno la loro origine tra le altre quattro linee latine, quindi, con pochissimi esponenti viventi: linea d’Estouteville, che ha inizio nel 1440, anche denominata linea Francesco della Rovere, con riferimento al capostipite Papa Sisto IV, che fu consacrato vescovo dal Cardinale cluniacense francese Guillaume d’Estouteville; linea Ravizza, che ha inizio nel 1667, anche denominata linea de Lencastre, a motivo della scoperta del capostipite, essa parte da Monsignor Francesco Ravizza, Vescovo titolare di Sidone e Nunzio apostolico in Portogallo; linea von Bodman, che ha inizio nel 1686 con Wolfgang von Bodman, Vescovo titolare di Dardano e Vescovo ausiliare di Costanza; linea de Bovet, che ha inizio dal 1789 con Monsignor François de Bovet, Arcivescovo di Tolosa. Esistono altre linee, ma estinte in quanto prive di esponenti in vita

Gasparo Contarini era il primogenito di Alvise di Federico Contarini, del ramo della Madonna dell’Orto, e di Polissena di Tommaso Malipiero. Apparteneva a una delle più antiche, più potenti e più ricche famiglie del patriziato veneziano: la famiglia Contarini.

Dopo gli studi, lavorò per la Serenissima fino a diventare ambasciatore presso la corte dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo e poi presso la Santa Sede. La sua storia personale si intreccia con quella del Concilio di Trento: ai tempi in cui soggiornava in Germania capì, come pochi, che la ribellione di Lutero non poteva essere risolta con bolle papali o reprimende. Lucidamente avvertiva l’esigenza di una seria riforma della curia romana.
Papa Paolo III Farnese lo creò cardinale nel concistoro del 21 maggio 1535 – senza averlo preventivamente avvertito di tale scelta – insieme ad un’altra importante figura come Giampietro Carafa, divenuto in seguito egli stesso pontefice (Paolo IV – 1555-1559). Eletto nel frattempo Vescovo di Belluno, Contarini, una mente illuminata nella Curia pontificia, fu il più autorevole esponente del movimento di riforma interno al cattolicesimo. Rappresentava l’ala riformatrice più moderata del collegio cardinalizio. Nel 1536 era stato messo a presiedere la commissione Consilium de emendanda Ecclesia) e, forse per questo, Contarini venne inviato a Regensburg nel 1541 per trovare un accordo con i rappresentanti dei Luterani: Melantone e Bucero.

Contarini tentò con Melantone, la vera mente del luteranesimo, il primo – e rimasto per secoli l’unico – tentativo serio di conciliazione tra le due fedi. Si trattò in gran parte di un’opera personale del Contarini, legato di Paolo III in Germania, che andò molto oltre il mandato della Curia ed arrivò anche ad un primo accordo su una serie di importanti concetti teologici. Sul problema della giustificazione Lutero era convinto che per salvare l’anima era necessaria la fede data da Dio. I Cattolici difendevano le preghiere e le opere buone, oltre che la fede, come viatico per la salvezza. Il Contarini cercò di affilare le armi della diplomazia ma, ritornato a Roma si dovette difendere dall’accusa di essere in odore di eresia. Purtroppo, sulla “Santa Cena” e sui sacramenti si arrivò alla rottura. L’incontro con Melantone fallì, giacché tra protestanti e cattolici cominciava oramai ad aprirsi un baratro sempre più profondo, destinato a provocare uno scisma. L’anno dopo, Paolo III istituisce il Sant’Uffizio, potenziando così l’inquisizione e togliendo ogni speranza di dialogo. I riformatori cattolici si limiteranno a considerare solo gli aspetti di moralizzazione e di disciplina nella Chiesa. In questo clima, nel 1545, Paolo III indice il Concilio di Trento. Uno dei tre Presidenti è il Cardinal Pole, grande amico di Contarini, legato pontificio in Inghilterra, ma rimane poco in carica e così l’ala conservatrice prende il sopravvento. Con il fallimento dell’incontro di Regensburg e la vittoria dell’ortodossia cattolica al concilio tridentino si apriva la strada ad una politica papale di chiusura verso tutti i potenziali nemici, protestanti ma anche eretici.

Contarini morì all’età di 58 anni a Bologna, ove era stato inviato come legato pontificio e incaricato del governo civile.

Foto di copertina: ritratto del Cardinale Gasparo Contarini, National Museums, Liverpool.