.. pensiamo a come parliamo, oggi, della causa di Dio… Ci sono quelli che cercano di “interpretare” Dio in chiave moderna, facendogli dire cose che non ha mai detto… E ci sono quelli che, ammantati di zelo per la verità, sembrano parlare al posto suo, come se ne fossero gli avvocati, pronti a minacciare sdegno e vendetta divina contro chi non aderisce al loro linguaggio o alla loro dottrina…
(riflessioni di Don Mario Proietti cpps )
IO TI METTERÒ TUTTO DAVANTI AGLI OCCHI
Cari amici, questa mattina, mentre ero in adorazione davanti a Gesù, nella cripta di san Felice, la mia mente si è come arrestata su una frase della Scrittura che mi ha letteralmente assorbito e che neanche era oggetto della Parola di oggi. Una espressione del Samo 50: «Hai fatto queste cose e io ho taciuto. Pensavi che io fossi come te? Io ti riprenderò e ti metterò tutto davanti agli occhi.»
Non avevo in mente quel salmo, eppure quella domanda emergeva come luce tagliente. Avevo appena finito di rileggere il Vangelo di oggi, dove Pietro confessa a Gesù: «Tu sei il Cristo di Dio» (Lc 9,20). Una proclamazione solenne, bellissima, vera. Eppure subito dopo Gesù impone il silenzio e annuncia la croce. Come a dire: sì, sono il Cristo, ma non come tu pensi.
Allora ho capito perché quella frase mi inseguiva. Perché era legata non solo a Pietro, ma a noi. A me. Alla Chiesa. A tanti pensieri che mi abitano. Ho pensato a come parliamo oggi della causa di Dio. I toni sono tanti, le prospettive diverse, i cuori spesso divisi. Ci sono quelli che, con buona volontà, cercano di “interpretare” Dio in chiave moderna, facendogli dire cose che forse non ha mai detto, ma che oggi sembrano più accettabili, più dolci, più gestibili. E ci sono quelli che, con zelo per la verità, sembrano parlare al posto suo, come se ne fossero gli avvocati, pronti a minacciare sdegno e vendetta divina contro chi non aderisce al loro linguaggio o alla loro dottrina.
Poi ci sono i pastori, i vescovi, il Papa. Come Pietro con i gentili, spesso si trovano a cercare equilibri, ad aggiustare situazioni complesse, a non spegnere il lucignolo fumigante, a tenere insieme ciò che umanamente non sta più insieme. E tutto questo, nel bene e nel limite, accade nel corpo della Chiesa, sotto lo sguardo del Signore. Ma poi, in quel silenzio adorante, quella voce: Pensavate che io fossi come voi? E mi sono sentito trafitto.
Perché sì, spesso lo pensiamo. Pensiamo che Dio sia come noi, che ragioni come noi, che approvi i nostri piani, che benedica le nostre intenzioni solo perché sono sincere, o perché sembrano giuste. Pensiamo che Egli tolleri tutto ciò che è difficile da cambiare, o che premi ogni forma di rigore purché coerente. Lo pensiamo vicino, e lo è, ma lo pensiamo a nostra immagine, ed è qui che sbagliamo.
Quel salmo non parla solo a Israele, parla anche alla Chiesa. Ci avverte che Dio non si piega ai nostri schemi. Non si lascia ridurre ai nostri criteri. Il suo silenzio non è assenso. Il suo agire non è mai prevedibile. Il suo pensiero non è mai quello dell’uomo.
E allora ho capito che quella domanda non era solo una correzione, ma un invito. Un invito a lasciare che Dio sia Dio. A non manipolarlo, a non spiegarlo troppo, a non rappresentarlo secondo i nostri confini. Un invito a smettere di parlare di Lui, per tornare a parlare con Lui.
Allora, come se ne esce? Non con una nuova strategia ecclesiale. Non con un’ideologia opposta. Non con un silenzio rassegnato. Si esce solo in un modo: tornando a inginocchiarci. Davanti alla Parola che giudica anche i pensieri del cuore. Davanti al Mistero che non si impone ma si rivela nella Croce. Davanti all’Eucaristia, dove Dio si nasconde non perché fugge, ma perché vuole essere accolto, non posseduto. La verità è che tutti abbiamo bisogno di lasciarci riformare da Lui. E anche quando sbagliamo, e sbagliamo, tutti, c’è più gloria in chi si lascia cambiare da Dio, che in chi difende Dio senza lasciarsi toccare.
Ho voluto condividere questo con voi, amici cari, perché forse anche a voi, in questi tempi così strani, è capitato di pensare, anche senza volerlo, che Dio fosse come noi. Magari un po’ più buono, un po’ più saggio, un po’ più lontano, ma tutto sommato simile. E invece no. Egli è il Santo. È il Giudice. È il Salvatore. È l’Altro. E proprio perché non è come noi, può redimerci, perdonarci, ricrearci.
In tutto questo resta ciò che non passerà mai: “Io ti metterò tutto davanti agli occhi”. Una espressione che rimanda alla realtà del giudizio che avremo da Dio e non come condanna, ma come uno svelamento del cuore.
Il giudizio di Dio non sarà un atto d’ira. Sarà uno specchio limpido. Sarà il momento in cui Dio ci mostrerà la verità su di noi. E sarà quella verità a giudicarci. Non Dio che infierisce. Ma la nostra coscienza che finalmente vede. E non regge più.
Ci verrà messo davanti tutto: Il pianto delle ingiustizie a cui siamo rimasti indifferenti, l’ipocrisia di certi tradimenti camuffati da prudenza, l’angoscia dei giudizi dati a cuor leggero, senza misericordia, i volti sfigurati di chi, nostro malgrado, è stato colpito dai nostri gesti, i doni ricevuti e male amministrati, fino a diventare danni.
Ci sarà mostrato il falso bene: quello che sembrava lucentezza, ma era solo bigiotteria dell’anima. Quella giustizia urlata senza amore, quella misericordia venduta senza verità, quella carità praticata senza preghiera. E in quel momento il cuore non potrà più mentire a sé stesso.
Forse è proprio questa la dannazione: non potersi più sfuggire. Guardare il proprio male senza più sconti. Sperimentare il tormento di ciò che poteva essere amore e non lo è stato. La pena non sarà un fuoco che brucia fuori. Sarà un fuoco che nasce dentro: come quando ci si accorge troppo tardi di aver fatto del male a qualcuno che amavamo, ma non potremo più chiedere perdono.
Gesù lo chiama pianto e stridore di denti. Non è un castigo esterno: è l’insopportabile peso della verità non vissuta. È come se l’anima dicesse: “Se avessi saputo! Se avessi capito prima!”. Ma Dio non risponderà con durezza. Sarà la Sua luce a parlare. E nella luce non c’è violenza, ma chiarezza.
Allora si capirà che l’Inferno non è Dio che respinge, ma l’uomo che non sopporta più sé stesso nella verità. E si capirà anche che il Paradiso non è un premio per i bravi, ma la gioia di chi ha lasciato che Dio lo trasformasse prima che fosse troppo tardi.
Per questo oggi, qui, davanti a Gesù, ho chiesto solo una cosa:
Fammi vedere, Signore. Anche ora. Anche se fa male.
Metti davanti ai miei occhi ciò che sono.
Non per perdermi, ma per cominciare a guarire.
Che io non debba attendere il giudizio per piangere il mio peccato.
Che io possa piangere ora, e ricevere da Te il perdono che salva.
