Beato Papa Pio IX

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Beato Pio IX Quanto conficiamur, contro il liberalismo e cosa è l’Extra Ecclesiam nulla salus

Attualità del “Sillabo – Quanta Cura” del Beato Pontefice Pio IX

7 febbraio Memoria del Beato Pontefice Pio IX

Pastor Aeternus la dottrina sulla vera infallibilità del Pontefice

Ineffabilis Deus: l’Immacolata Concezione

Qui pluribus e Dei Filius: il Beato Pio IX in difesa della dottrina Cattolica

IN REGALO QUI il libro del professor Roberto de Mattei sul beato Pio IX (e sulla Questione Romana e del Risorgimento) della edizione Piemme 2000, in occasione della sua beatificazione. E qui il testo: Pio IX e la Questione Romana “Iamdudum cernimus” del 18 marzo 1861


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Pio IX e il patrocinio di San Giuseppe
Nel mercoledì della seconda domenica dopo l’Ottava di Pasqua la Chiesa celebra il Patrocinio di san Giuseppe. La festa è legata alla proclamazione da parte di Pio IX di san Giuseppe patrono della Chiesa, in seguito all’occupazione sacrilega di Roma. In onore di san Giuseppe segnaliamo l’enciclica “Inclytum Patriarcham” del 1871, che segue il decreto “Quemadmodum Deus” del 1870.
 
LETTERA APOSTOLICA DI SUA SANTITA’ PAPA PIO IX
– INCLYTUM PATRIARCHAM-
 
La Chiesa Cattolica giustamente onora con un culto sempre più diffuso e venera con un sentimento di profondo affetto, l’illustre benedetto patriarca Giuseppe, ora coronato di gloria e di onore in Cielo.
Sulla terra, l’Onnipotente Dio, preferendolo a tutti i Suoi Santi, lo destinò ad essere il casto e vero sposo dell’Immacolata Vergine Maria  così come il padre putativo del Suo Unigenito Figlio
Egli certamente lo arricchì e lo colmò di grazie uniche e sovrabbondanti, rendendolo capace di eseguire più fedelmente i doveri di un così sublime stato.
 
Perciò, i Romani Pontefici, Nostri Predecessori, al fine di incrementare e stimolare ardentemente sempre più nel cuore dei fedeli Cristiani l’affetto e la devozione verso il santo patriarca, e di esortarli ad implorare la sua intercessione presso Dio con la massima confidenza, non hanno mancato di decretare nuove e sempre maggiori espressioni di venerazione pubblica verso di lui in tutte le occasioni propizie.
Fra questi è sufficiente richiamare alla mente i Nostri predecessori di felice memoria, Sisto IV, che desiderò che la festa di San Giuseppe fosse inserita nel Messale Romano e nel breviario;
Gregorio XV, che per mezzo di un decreto dell’8 maggio 1621, ordinò che la festa fosse celebrata in tutto il mondo con rito doppio di precetto;  
Clemente X, che il 6 dicembre 1670,  accordò alla festa il rito di doppia di seconda classe;
Clemente XI, che con decreto del 4 febbraio 1747, adornò la festa con Messa e ufficio interamente propri;
e finalmente Benedetto XIII, che. con un decreto pubblicato il 19 dicembre 1726, ordinò che il nome del santo patriarca fosse aggiunto alle Litanie dei Santi.
Anche noi, elevati alla suprema Cattedra di Pietro per gli imperscrutabili disegni di Dio, e mossi dall’esempio dei Nostri illustri Predecessori, così come dalla particolare devozione che da giovani noi stessi abbiamo nutrito verso il santo patriarca, abbiamo con grande gioia dell’anima, con un decreto del 10 ettembre 1847, esteso all’intera Chiesa, con un rito di doppia di seconda classe, la a festa del Suo Patrocinio,  una festa che era già celebrata in molti luoghi grazie ad uno speciale indulto della Santa Sede.
 
Tuttavia, in questi ultimi tempi nei quali una mostruosa e abominevole guerra è stata dichiarata contro la Chiesa di Cristo, la devozione dei fedeli verso San Giuseppe è cresciuta e progredita con tale estensione che da tutte le direzioni, innumerevoli e ferventi richieste ci hanno raggiunto.
Queste furono recentemente rinnovate durante il Sacro Ecumenico Concilio Vaticano da gruppi di fedeli, e, cosa più importante, da molti dei Nostri venerabili confratelli, i cardinali e vescovi della Santa Romana Chiesa.
 
Nelle loro petizioni ci chiesero che in quei radiosi giorni, a salvaguardia dai mali che ci minacciano da ogni lato, Noi potessimo implorare più efficacemente la compassione di Dio per mezzo dei meriti e dell’intercessione di San Giuseppe, dichiarandolo Patrono della Chiesa Universale.
Mossi da tale richiesta ed in accordo ad essa, e dopo aver invocato la luce divina, ritenemmo giusto che fosse accolto questo desiderio di pietà di così tante persone.
 
Perciò, con uno speciale decreto della Nostra Congregazione dei Sacri Riti (che disponemmo fosse proclamato durante la Solenne Messa nelle Nostre Basiliche patriarcali, il Laterano, il Vaticano e la Liberiana, l’8 dicembre dello scorso anno, il 1870, festa dell’Immacolata Concezione, sua Sposa) Noi solennemente dichiarammo il beato Patriarca Giuseppe Patrono della Chiesa Universale, e ordinammo che la sua festa del 19 marzo fosse celebrata da quel momento in poi, in tutto il mondo come rito di doppia di prima classe, tuttavia senza ottava, a motivo della Quaresima,
 
Adesso, dopo la nostra dichiarazione del Santo Patriarca come patrono della Chiesa Universale, pensiamo sia corretto che nella pubblica venerazione delle Chiesa, gli vengano accordati i privilegi ed onori che spettano agli speciali santi patroni, secondo le rubriche generali del Breviario e Messale Romano.
Inoltre, dopo esserci consultati con i nostri venerabili confratelli, i cardinali della Santa Romana Chiesa, incaricati di occuparsi dei sacri riti, Noi confermiamo ed anche accresciamo con la Nostra presente lettera la predetta regolazione di quel decreto, e comandiamo e ordiniamo quanto segue:
 
Desideriamo che il Credo sia sempre aggiunto nella Messa della festa natale di San Giuseppe, come anche nella festa del suo patrocinio, sebbene queste feste debbano cadere in giorni diversi dalla Domenica.
Inoltre, desideriamo che nell’orazione A Cunctis, sebbene vada recitata, la commemorazione di San Giuseppe sia aggiunta con le seguenti parole, “Con il benedetto Giuseppe”, parole che debbono essere introdotte dopo l’invocazione alla Beata Vergine Maria e prima di tutti i santi patroni, con l’eccezione degli angeli e di San Giovanni Battista.
Infine, desideriamo che, mentre questo ordine sia osservato in omaggio ai santi ogni volta in cui siano prescritti dalle rubriche, la seguente commemorazione sia aggiunta in onore di San Giuseppe:

L’antifona dei Vespri:
Ecco il fedele e prudente servo che il Signore ha posto a capo della sua famiglia.
V. Gloria e ricchezza nella sua casa.
R. E la sua giustizia duri per sempre
 
L’antifona alle Lodi: 
Gesù stesso, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni, ed era considerato il figlio di Giuseppe.
V. La bocca dell’uomo giusto deve meditare la  sapienza.
R. La  sua lingua pronuncerà giusti giudizi
 
L’orazione: 
O Dio, che nella tua ineffabile provvidenza ti sei compiaciuto di scegliere il beato Giuseppe come sposo della tua santissima Madre, ottienici, ti imploriamo, che possiamo essere degni di averlo per nostro intercessore in Cielo, lui che veneriamo come nostro protettore in terra….
 
Dato a Roma  presso la cattedra di San Pietro, il 7 luglio 1871, nell’ anno ventiseiesimo del Nostro Pontificato
 
 
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Nei giorni – 1846
Praedecessores Nostros – 25 marzo 1847
Ubi primum /1 – 17 giugno 1847
Romani, e quanti – 14 marzo 1848
Nelle istituzioni – 14 marzo 1848
Non semel – Allocuzione – 29 aprile 1848
Da questa pacifica – 1 gennaio 1849
Ubi primum /2 – 2 febbraio 1849
La serie – 14 febbraio 1849
Quibus, quantisque – 20 aprile 1849
Noscitis et Nobiscum – 1849
Si semper antea – 1850
Exultavit cor nostrum – 1851
Ex aliis nostris – 1851
Nemo certe ignorat – 1852
Probe noscitis – 1852
Inter multiplices – 1853
Neminem vestrum – 1854
Optime noscitis /1 – 1854
Apostolicae nostrae – 1854
Inter graves – 1854
Ineffabilis Deus – 1854
Singulari quadam – Allocuzione – 9 dicembre 1854
Optime noscitis /2 – 1855
Cum saepe – 1855
Singulari quidem – Lettera Enciclica – 17 marzo 1856
Cum nuper – 1858
Amantissimi Redemptoris – 1858
Cum Sancta Mater – 1859
Qui nuper – 1859
Ad gravissimum – 1859
Maximo animi – 1859
Nullis certe – 1860
Cum catholica Ecclesia – 1860
Novos et ante – 1860
Multis gravibusque – 1860
Iamdum cernimus – 1861
Amantissimus humani – 1862
Maxima quidem – Allocuzione – 9 giugno 1862
Quanto conficiamur – Lettera Enciclica – 17 agosto 1863
Incredibili afflictamur – 1863
Tuas libenter – 1863
Multis gravissimis – 1864
Ubi Urbaniano – 1864
Maximae quidem – 1864
Quanta cura – Syllabus – Lettera Enciclica – 8 dicembre 1864
Multiplices inter /1 – 1865
Meridionali Americae – 1865
Levate – 1867
Ex quo infensissimi – 1867
Aeterni Patris – 1868
Arcano divinae – 1868
Iam vos omnes – 1868
Religiosas regularium – 1870
Non sine gravissimo – 1870
Multiplices inter /2 – 1870
Apostolici ministerii – 1870
Dei Filius – 1870
Quo impensiore – 1870
Pastor aeternus – 1870
Respicientes ea – 1870
Ecclesia Dei – 1871
Ubi prima – 1871
Ubi nos – 1871
Beneficia Dei – 1871
Saepe, Venerabiles – 1871
Ordinem vestrum – 1871
Costretti nelle – 1872
Quartus supra – 1873
Etsi multa – 1873
In magnis illis – 1873
Vix dum a nobis – 1874
Omnem sollicitudinem – 1874
Gravibus Ecclesiae – 1874
Quod nunquam – 1875
Graves ac diuturnae – 1875
Quae in Patriarchatu – 1875
Dives in misericordia – 1877


  Magistero pontificio – Copertina 

RICORDA CHE:


18 Giugno 1871: Regalo di una Tiara al mitico Papa Re il Beato Pio IX dai fedeli belgi
“Voi mi offrite dei doni: un Triregno, simbolo della mia tripla dignità regale nel Cielo sopra la terra e nel Purgatorio. E il mio regno non perirà, perché il Papa sarà, come fu sempre, Papa dovunque egli sia: una volta nei suoi Stati, oggi al Vaticano, un altro giorno forse in prigione”

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Dal discorso tenuto da Pio IX il 21 giugno 1864 nella sacrestia della Cappella Sistina ai Cardinali dopo la messa per il XVIII anniversario della sua incoronazione.

«La corona che Dio depose sopra il capo di questo umile suo servo ha molti nemici, che non cessano, cesseranno mai d’invidiarla. Si adoperano a quest’uopo tutte le armi, le menzogne, le calunnie, le arti più inique per parte d’uomini, parte de quali nacquero fuori della nostra fede e parte la ebbero nascendo, ma la perdettero. V’ha chi rinnova il discorso di Assalonne sotto le porte di Gerusalemme, e ripete che se questa corona posasse sovr’altro capo, tutto andrebbe assai meglio, il popolo sarebbe più felice e tornerebbe l’età dell’oro. Io non ho bisogno di ricordare la fine funesta che fece quel figlio sciagurato; voi sapete come mori infelicemente.
A coloro che muovono guerra alla Chiesa, che tentano di assalire e prendere la Gerusalemme del mondo cristiano, io desidero la fine d’Assalonne, non pero fisicamente ma spiritualmente. Assalonne ebbe nel corpo tre colpi di lancia, ed io tre colpi di lancia colla grazia di Dio desidero nell’animo dei nemici della Chiesa: il primo colpo che sia il pentimento del male, che hanno fatto; il secondo, il pensiero e la considerazione di quello che fanno; il terzo, il timore degli eterni castighi, che Dio ha loro riserbato se non si emendano.
Preghiamo, fratelli, preghiamo per essi; e sia voi, miei carissimi, che mi giovate, sia nel governo di questo frammento di Stato, che mi lasciarono, nel governo ancora più grave della Chiesa, continuate ad assistermi con fermezza, costanza e coraggio.
Innalziamo sempre più fervide le nostre preghiere a Dio, confidiamo in lui. Se mancano aiuti umani, non verrà meno il suo, perché sua è la nostra causa. La preghiera, la sofferenza, la fede viva otterranno quelle misericordie ch’egli ritarda, ma non nega giammai a chi lo serve».

(La Parola di Pio IX, ossia, raccolta di discorsi e detti di Sua Santità dal principio del suo pontificato sino ai nostri giorni. Pel sacerdote A. Marcone, Serie Seconda, Genova, 1871, pp. 3-4.)
Fonte RS: https://www.radiospada.org/2021/12/i-nemici-della-tiara/


“Il Papa è, e dev’essere, perché è, e dev’essere la Chiesa cattolica per ordinamento divino. Ciò posto, esso non può essere che suddito, o sovrano: suddito nessun lo vuole, dunque bisogna che sia sovrano. Il conciliare la sua indipendenza senza la sovranità è un assurdo”

Bonfiglio (al secolo Leonardo) Mura nacque a Cuglieri il 6 agosto 1810. Nel 1824 decise di entrare fra i Servi di Maria: compiuto il noviziato a Sassari, nel 1827, a Firenze, vestì il nero abito. Nel 1830 fu trasferito a Genova e due anni dopo a Torino dove, nel 1833, ricevette il sacerdozio. Si addottorò in Filosofia a Roma ed in Teologia a Sassari. Esercitò il governo di molti conventi italiani, fino a diventare Priore Generale dell’Ordine nel 1859. Occupò varie cattedra da Roma a Perugia, dimostrandosi ottimo filosofo, indagatore dei mali della modernità e rappresentante della rinascita del Tomismo. Apprezzato già da Gregorio XVI, che tentò invano di assegnargli l’Arcivescovado Arborense; Pio IX, che amava definirlo il “Muro della Chiesa”, lo volle fra i suoi principali collaboratori nominandolo membro di varie Congregazioni. Partecipò alla compilazione del Sillabo e si spese fortemente per la definizione dogmatica dell’Infallibilità del Papa. Ultimo Rettore della Sapienza prima della occupazione di Roma, il 20 settembre scampò per miracolo ad alcuni studenti che lo cercavano a morte, rifugiandosi nell’Isola Tiberina. Tornato in Sardegna partecipò alla costituzione della Facoltà Teologiche di Cagliari e Sassari. Leone XIII, che stimava il frate sardo dai tempi della fondazione a Perugia dell’Accademia di San Tommaso, nel 1879 lo elesse Arcivescovo d’Oristano. Il Mura questa volta accettò la nomina e governò quella Chiesa con gran profitto del gregge fino alla morte che lo colse nella natia Cuglieri il 18 luglio 1882.
Nell’imminenza del nefasto anniversario ventisettembrino, offriamo ai Lettori il seguente testo, tratto da uno dei suoi scritti: Sulla quistione romana. Scritti di Bonfiglio Mura (Roma, 1862).


Testo raccolto da Giuliano Zoroddu – un grazie a Radio Spada


Nella quistione romana da noi esaminata nei precedenti articoli nel senso del diritto e del fatto, v’ha un lato al quale il Pontefice prende vivo interesse, che la domina tutta, e senza il quale cesserebbe di avere l’importanza europea e mondiale che ha veramente. È questa la quistione cattolica. Non è un trono che alletti, od illuda il Pontefice. Noi lo vedemmo coi nostri occhi salirvi piangendo, e siam certi che, ove non si trattasse d’altro che della sua persona, ne scenderebbe i gradini cantando il Te Deum.
Il diritto però della Chiesa, l’indipendenza della medesima e del suo capo, il bene e la salute delle anime, ecco la gran quistione che merita per eccellenza il nome di quistione romana. No, il Pontefice ed il mondo cattolico non sarebbero sì tenaci propugnatori del dominio temporale come tale, se il medesimo non servisse all’indipendenza del potere spirituale.

La providenza ed i secoli hanno creato questa indipendenza a bene della Chiesa universale, e guai all’Eliodoro che oserà stender la mano a questo sacro deposito, o all’Antioco che proponga d’involarlo! Si ride dell’antico cesarismo pagano, e si tace dei principi eterodossi che in mezzo all’Europa civile esercitano i due poteri: ma quando si parla del potere del Papa allora tutto si crede lecito dalla vile calunnia e dalla menzogna, fino alla violenza brutale e sacrilega, fino al parricidio morale. Il Papa è, e dev’essere, perché è, e dev’essere la Chiesa cattolica per ordinamento divino. Ciò posto, esso non può essere che suddito, o sovrano: suddito nessun lo vuole, dunque bisogna che sia sovrano. Il conciliare la sua indipendenza senza la sovranità è un assurdo che non vale ad abbattere l’esempio dei primi secoli, nei quali non era ancor pienamente sviluppato l’organamento divino ed eminentemente unitario della Chiesa cattolica, né questa aveva da combattere, come al presente, l’esigenze della potestà laica, né abbisognava perciò di ricorrere sì spesso al centro dell’unità, ed agli oracoli del suo capo. L’esistenza dei patriarchi e dei primati, la frequenza dei Concili, la concessione di privilegi, ritirati dietro l’abuso fatto ne o il pericolo sperimentato, l’ortodossia delle leggi civili, e la religione dei principi risparmiavano al Capo della Chiesa un numero stragrande d’affari e di cure che presentemente chiedono tutta la sua attenzione, che si estende dal vecchio al nuovo mondo.
Tutti convengono col mondo cattolico che per soddisfare a tante, sì varie e delicate cure, esso debba essere indipendente.

La diplomazia volteriana e rivoluzionaria si propose di conciliare la sua indipendenza senza la sovranità, ma mentre la medesima studiò a nascondere con oracoli sibillini l’impotenza di sciogliere l’arduo problema, il Piemonte studiò a troncarlo colla sua spada. Colle vittorie sue e non sue, colle sue usurpazioni andò di pari passo la sua guerra più spietata alla Chiesa, alla Religione, che giurò nel suo Statuto. Dopo Nerone e Diocleziano, dopo Enrico VIII, Lutero e Calvino, dopo il terrorismo della gran rivoluzione francese, la storia segnerà il governo del Piemonte tra i più fieri persecutori della Chiesa. Chi ci legge fuor d’Italia crederà che scriviam delle favole, mentre ci mancano i colori per toccar di volo il vero. Il Piemonte non fu pago di carcerare, di processare ed esiliare Cardinali, Vescovi c Sacerdoti; di distruggere l’immunità ecclesiastica; di portare in mostra, legati come malfattori, i ministri del santuario; di spogliarli di tutto; di loro attribuire delitti e congiure che non poté provare; di sorvegliarli nell’amministrazione dei sagramenti, nella predicazione della divina parola, nelle lettere che scrivono o ricevono, negli scritti che conservano, e fin nelle parole che dicono, e nelle persone colle quali parlano; di usurpare, o lasciar vacanti i benefici ecclesiastici e le stesse mense vescovili; di volere Papa, Vescovi e Clero servi ai suoi capricci; di estendere alla Chiesa l’onnipotenza dello stato moderno; di restaurare l’antico cesarismo; di patrocinare ebrei e valdesi, di stabilire in paesi cattolici la scandalosa pubblicità dei riti, e dei templi protestanti; di permettere parodie sacrileghe nei teatri; di perseguitare gli onesti, e di tollerare l’immoralità nei costumi, la licenza negli scritti, l’empietà nei giornali, l’impunità della calunnia, e l’arbitrio più sfrenato in tutto che oltraggia la Chiesa, il suo Capo augusto, i suoi ministri, i suoi veri, i riti, la morale; no, di tutto ciò non fu pago il Piemonte.

Esso vide nella Chiesa, nel Papa, nei Vescovi, nel Clero gente poco arrendevole al suo libito, ai suoi divisamenti ed alle opere, e giurò di vendicarsi riducendo tutti in servitù, in miseria ed in angustie indegne d’un governo civile, e sconosciute all’Italia dopo i primi tre secoli. La Chiesa abbisogna d’indipendenza nei suoi membri, e singolarmente nel Capo, ed il Piemonte ne usurpò lo Stato; il Pontefice abbisogna d’una sede, ed il Piemonte vuol Roma per se, e la tiene assediata quasi sua preda; la Chiesa ed il Pontefice abbisognan di mezzi per soddisfare alle esigenze della vita umana, allo splendore del culto, agli uffici della gerarchia ecclesiastica, all’educazione dei giovani leviti, a sollievo dei bisognosi, ai rapporti colle nazioni e coi popoli cattolici, ed ai doveri tutti del pastorale e civil ministero, ed il Piemonte spogliò di tutti questi mezzi l’una e l’altro, e sperò di vincere il clero, ed in in ispecie la coscienza dell’invitto Pontefice con gli orrori della miseria e della fame; la Chiesa ed il Pontefice abbisognan di sana dottrina, ed il Piemonte o secolarizzò l’insegnamento, o ne intralciò la libertà per escluderne il clero; il Pontefice abbisogna d’uomini dotti che lo servano nelle svariate incombenze dell’apostolato universale, e nei dicasteri ecclesiastici destinati a coadiuvarlo in siffatte incombenze, ed il Piemonte vessò il clero, lo impoverì, creò mille inciampi alla libertà della sua vocazione, e con leggi draconiane annientò nei chiostri gli asili della virtù, le culle del sacro sapere, il sussidio più potente dello zelo del Pontefice, e dell’episcopato cattolico; l’uno e l’altro clero devon vivere col decoro, e colla convenienza rispondente al sacro ministero che esercitano, ed il Piemonte gli ha spogliati entrambi, ne ha gittato gran parte per le piazze e per le vie, e nega a questa il tozzo di pane che le promise per salvare le apparenze e per renderne più dipendente ed abborrita la condizione; la Chiesa abbisogna di pace, ed il Piemonte le fa guerra; di libertà, ed il Piemonte la incatena in ogni dove; di ordine, ed il Piemonte fomenta la discordia ed onora i disordinati; di morale, ed il Piemonte favorisce chi la contamina; di pietà, ed il Piemonte sparge la corruzione; di virtù, ed il Piemonte propaga, o lascia impunito il vizio; di Religione, ed il Piemonte tollera l’errore, crea professori protestanti, stipendia maestri di menzogna e lascia insultare alla Fede d’Italia; d’unità, ed il Piemonte la scinde a tutt’uomo, ed onora i traditori che s’inchinano all’unità politica; di rispetto, ed il Piemonte la disprezza ogni giorno; di famiglia cristiana, ed il Piemonte la vuole bastarda; di cristiana educazione, ed il Piemonte le ha sostituito nelle sue scuole magistrali l’idolo della patria, la scuola del soldato e l’amore della materia; il Piemonte a dir breve, in nome del Dio-Stato e della forza brutale cresce di nuovi volumi la storia dei persecutori della Chiesa, e per vendicarsi del Papa e del clero, vuol Roma per farne una Roma pagana, o protestante, non per lasciarla Roma cattolica che non piegherà mai il ginocchio ai Neroni di Spinello, ed ai discepoli d’Enrico VIII e di Robespierre.

È questa, o lettori, la vera quistione romana, la quistione cattolica, la quistione in che il Piemonte, o a dir meglio, il suo governo protetto dalla rivoluzione, dalla frammassoneria e da tutti gli scredenti d’Italia e d’Europa intima al Papato, e per esso alla Chiesa Cattolica d’arrendersi, o di perire; di preferire il Dio di Garibaldi, il vangelo della rivoluzione, al Dio di Pio IX, al vangelo di Cristo, alle verità del dogma e della morale cattolica, o dl subire le conseguenze della sua fermezza ritornando alle catacombe, ai patiboli, ed ai roghi. Si spogli questa quistione del colore politico e territoriale, del diluvio di paroloni, di sofismi, d’ingiurie, d’insolenze e di calunnie in che l’avvilupparono gli scrittori, ed i giornalisti prezzolati della rivoluzione e del Piemonte, e si vedrà che la medesima è una nuova edizione ed un plagio delle rivoluzioni, e delle persecuzioni precedenti contro la Chiesa Cattolica. La tirannia politica e sociale, che il Piemonte detesta in astratto, è da lui abbracciata ed esercitata con tutto il rigore a danno del diritto cattolico, della Fede, della coscienza, della libertà e della logica cattolica.
l ministri, i generali, i magistrati, i giornali, gli amici del Piemonte, dopo aver dichiarato solennemente che cospirano da dodici anni, che son tutti rivoluzionari, non arrossiscono di scrivere che Roma Papale cospira contro di loro. L’iniquità mentisce chiaramente a se stessa per trovar pretesti a nuove ingiurie, a nuove violenze, a nuovi miracoli della forza contro il diritto, della rivoluzione contro la Chiesa. È tempo ormai di finirla colle calunnie cui non credono quegli stessi che hanno interesse ad inventarle, e che disonorano un popolo civile.

No, a Roma non si cospira contro chiunque, se cospirazione non si vuol chiamare la riverenza al diritto legittimo, ai veri della morale e del diritto cattolico, ai principii eterni del giusto e dell’onesto. Roma non professa i principii del Piemonte, non riconosce i diritti usurpati dal Piemonte, non approva le violenze del Piemonte, non loda, ma condanna la tirannia, e la persecuzione del Piemonte contro la Chiesa, contro i suoi ministri, le persone e le cose: ma Roma ha detto queste cose in faccia all’Europa, non nelle tenebre e nel segreto dei cospiratori. Doveva forse Roma rendersi complice, e laudatrice dell’assassinio della Chiesa, della sua spogliazione, della persecuzione che soffre, della miseria, delle catene e delle umiliazioni che le vennero imposte colla forza, e dei tranelli che insidiano alla sua vita, ed alle sue dottrine?
Stando le cose in questi termini, la quistione romana perde le dimensioni di quistione volgare, o d’interessi puramente materiali per appartenere alla serie delle quistioni religiose più importanti, benché velata da speciose, e ben calcolate apparenze d’un materialismo politico che si risolve per ora nel panteismo italiano, per farsi strada in appresso al panteismo europeo che è l’anima di tutto il baccano rivoluzionario dell’éra moderna. Dessa è un duello terribile, un duello di vita o di morte tra la Chiesa, ed i suoi eterni nemici.

Mentre gli scredenti di tutta l’Europa applaudiscono con frenesia ad un governo cattolico, che per ambizione politica si gloria del parricidio della madre, la Chiesa; Roma Papale esistente ancor per miracolo, che non si spiega senza la mano di Dio, sa tutto ciò, e non essendo in suo potere il ricevere lezione dai suoi discepoli, legge dai suoi sudditi, o l’obbedire all’uomo più che a Dio, si prepara a combattere le battaglie del Signore, e gridando da un lato ai principi d’Europa il divino et nunc reges intelligite, piange dall’altro, e prega perché Dio salvi l’Italia e l’Europa minacciate nella fede, nel diritto, e nell’ordine privato e pubblico, e ricordando al medesimo le sue promesse divine spera, e spera in esso solo, e spera di vincere come vinse in passato, perché Dio non menti giammai, né mentirà in eterno.


 

Il Patrocinio di San Giuseppe

Pio IX è il papa dell’Immacolata, ma è anche il papa di San Giuseppe: fu lui infatti che, col decreto di seguito riportato, lo dichiarò Patrono della Chiesa Universale nel 1870, mentre la Rivoluzione entrava in Roma sulla punta delle baionette “italiane”. Questo patronato o patrocinio si celebra il mercoledì (giorno dedicato a San Giuseppe) dopo la seconda domenica di Pasqua e San Pio X volle solennizzarlo talmente che lo innalzò a rito doppio di prima classe con ottava.

Nella stessa maniera che Dio aveva costituito quel Giuseppe, procreato dal patriarca Giacobbe, soprintendente a tutta la terra d’Egitto, per serbare i frumenti al popolo, così, imminendo la pienezza dei tempi, essendo per mandare sulla terra il suo Figlio Unigenito Salvatore del mondo, scelse un altro Giuseppe, di cui quello era figura, e lo fece Signore e Principe della casa e possessione sua e lo elesse Custode dei precipui suoi tesori.
Di fatto, egli ebbe in sua sposa l’Immacolata Vergine Maria, dalla quale nacque di Spirito Santo il Signor Nostro Gesù Cristo che presso gli uomini degnossi di essere riputato figlio di Giuseppe, e gli fu soggetto. 
E Quegli, che tanti re e profeti bramarono vedere, Giuseppe non solo Lo vide, ma con Lui ha dimorato e con paterno affetto L’ha abbracciato e baciato; e per di più ha nutrito accuratissimamente Colui che il popolo fedele avrebbe mangiato come pane disceso dal cielo, per conseguire la vita eterna.
Per questa sublime dignità, che Dio conferì a questo fedelissimo suo Servo, la Chiesa ebbe sempre in sommo onore e lodi il Beatissimo Giuseppe, dopo la Vergine Madre di Dio, sua sposa, e il suo intervento implorò nei momenti difficili.
Ora, poiché in questi tempi tristissimi la stessa Chiesa, da ogni parte attaccata da nemici, è talmente oppressa dai più gravi mali, che uomini empi pensarono avere finalmente le porte dell’inferno prevalso contro di lei, perciò i Venerabili Eccellentissimi Vescovi dell’universo Orbe Cattolico inoltrarono al Sommo Pontefice le loro suppliche e quelle dei fedeli alla loro cura commessi chiedendo che si degnasse di costituire San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. Avendo poi nel Sacro Ecumenico Concilio Vaticano più insistentemente rinnovato le loro domande e i loro voti, il Santissimo Signor Nostro Pio Papa IX, costernato per la recentissima e luttuosa condizione di cose, per affidare Sé e i fedeli tutti al potentissimo patrocinio del Santo Patriarca Giuseppe, volle soddisfare i voti degli Eccellentissimi Vescovi e solennemente lo dichiarò Patrono della Chiesa Cattolica, ingiungendo che la sua festa, cadente nel 19 di marzo, per l’avanti fosse celebrata con rito doppio di prima classe, senza ottava pero, a motivo della Quaresima.
Egli stesso inoltre ha disposto che tale dichiarazione, a mezzo del presente Decreto della Sacra Congregazione dei Riti, fosse resa di pubblica ragione in questo giorno sacro all’Immacolata Vergine Madre di Dio e Sposa del castissimo Giuseppe.

Non ostante qualsivoglia cosa in contrario.

Il dì 8 dicembre 1870.

Card. PATRIZI
Prefetto della S. C. dei RR.
Vescovo di Ostia e Velletri.

DOMENICO BARTOLINI
Segretario della S. C. dei RR.


PREGHIERA PARTICOLARE RECITATA DA S.S. PAPA PIO IX
A GAETA NEL DUOMO
ALLA PRESENZA DEL POPOLO E DELLA FAMIGLIA REALE
IL 27 NOVEMBRE 1848.

Eterno Dio, nostro augusto Padre e Signore, ecco ai Vostri piedi il Vicario del Vostro Figlio Gesù, il quale benché indegno, vi supplica con tutta la sua anima a diffondere su di esso, dall’alto del trono su cui siete assiso, la vostra benedizione. Gran Dio! Dirigete i suoi passi, santificate le sue intenzioni, accompagnate il suo spirito, governate le sue opere. Possa egli nelle vie ammirabili in cui lo avete condotto ed in ogni altra parte del vostro ovile in cui dovrà trovarsi, possa esser degno strumento della vostra gloria e di quella della Chiesa, fatta segno, ohime! ai colpi dei vostri nemici.
Signore, se per calmare la vostra collera eccitata da tante iniquità che si commettono con la parola, con la stampa, con le azioni, la stessa vita del vostro ultimo servo può essere un’olocausto gradevole al vostro cuore, fin da questo momento io ve la consacro; voi gliela avete data, ed a Voi appartiene di togliergliela quando vi piaccia. Ma, Dio Creatore, la vostra gloria trionfi, la vostra Chiesa sia vittoriosa! Mantenete i buoni, sostenete i deboli, ed il braccio della vostra onnipotenza risvegli coloro che sono immersi nelle tenebre e nell’ombra della morte!
Benedite coi Cardinali tutti i Vescovi dell’universo, affinché tutti compiano, nelle vie cosi dolci della vostra legge, l’opera salutare della santificazione dei popoli. Allora noi potremo sperare non solo di essere salvi in questo mortale pellegrinaggio, dalle insidie dell’empio e dagli agguati del tentatore, ma eziandio di poter mettere il piede nel soggiorno dell’eterna felicità; ut hic in aeternum, te auxiliante, salvi et liberi esse mereamur.

Da Preghiere composte dal sommo pontefice Pio IX (Roma, 1880)

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Il “caso Mortara”, la verità cattolica e il relativismo contemporaneo

Corrispondenza Romana ha pubblicato un interessante articolo di Cristina Siccardi (https://www.corrispondenzaromana.it/rapito-un-film-di-propaganda-anticristiana/), che denuncia la propaganda anticristiana orchestrata dai mass media in occasione di un pessimo film di Marco Bellocchio. Questo film, dal titolo “Rapito”, ricostruisce in maniera falsa e tendenziosa il cosiddetto “caso Mortara” come esempio di un grave sopruso e addirittura di antisemitismo che sarebbe stato commesso dal Papa Pio IX. Sotto accusa è, naturalmente, la Chiesa. 

La storia è quella di Edgardo Mortara Levi, nato il 26 agosto 1851 da una famiglia ebraica di Bologna, che nell’agosto 1852, ad  un anno di età, cadde gravemente ammalato. Una domestica cristiana lo battezzò segretamente  in articulo mortis. Il bambino però, una volta ricevuto il battesimo, guarì. La vicenda restò ignota fino a quando venne a conoscenza dell’arcivescovo di Bologna, Michele Viale Prelà, il quale incaricò il padre domenicano Pier Gaetano Feletti, Inquisitore cittadino, di svolgere indagini. Feletti stabilì che il battesimo era stato validamente effettuato; con questo atto il piccolo Edgardo era giuridicamente incorporato nella Chiesa cattolica e diveniva soggetto di diritti e di doveri regolati dal diritto canonico, tra i quali l’obbligo di garantirgli una educazione cristiana. Il 24 giugno 1858 l’Inquisitore ordinò al tenente colonnello Luigi De Dominicis, della Gendarmeria Pontificia, di sottrarre alla famiglia il piccolo, pur permettendo ai genitori di fargli visita. Edgardo venne trasferito al Catecumenato di Roma, sotto la protezione del Papa.

Le polemiche immediatamente esplosero e, sulla stampa liberale internazionale, il Papa fu accusato di aver violato i diritti dell’uomo. Nel 1859, dopo l’invasione piemontese dello Stato pontificio, il nuovo governo liberale fece arrestare e processare sia l’Inquisitore Feletti che il colonnello De Dominicis, con l’accusa di « abuso di potere » e « sottrazione violenta». Alla fine del processo, nel 1860, Feletti e De Dominicis furono assolti, mentre il piccolo Mortara completò la sua educazione cattolica. Nel 1870, quando anche la città di Roma venne conquistata, il prefetto di polizia cercò il giovane Edgardo per « liberarlo », ma nel frattempo egli aveva già raggiunto la maggiore età e la sua fede era ormai così solida che aveva deciso di farsi sacerdote. Nel 1912 depose come testimone al processo di beatificazione di Pio IX, elogiandone la figura paterna e la missione provvidenziale. Pio Edgardo Mortara, divenuto monsignore, morì in Belgio, l’11 marzo 1940, a 89 anni.

Fin qui la vicenda storica che merita però un articolato commento.

Il primo punto da chiarire è che, secondo la dottrina della Chiesa, ma anche semplicemente secondo la legge naturale, i genitori hanno il diritto primario e irrinunciabile ad educare i loro figli. Questo la Chiesa lo ha sempre insegnato, praticato e rivendicato contro le pretese laiciste di affidare allo Stato l’educazione dei bambini.  Per questa ragione il Codice di Diritto canonico, antico e nuovo, stabilisce che è vietato battezzare a forza un infedele e perfino battezzare un infante contro la volontà di entrambi i genitori. Questa era la pratica che vigeva anche nello Stato pontificio ai tempi di Pio IX. Il fatto che la storia ricordi solo il caso Mortara dimostra che nello Stato pontificio gli ebrei non erano forzatamente né battezzati né educati cristianamente, cioè esattamente il contrario di quanto vorrebbero gli anticlericali. Avvenne un solo caso, non per iniziativa dello Stato pontificio, ma di una domestica e fu evidentemente un’eccezione e non la regola. Altrimenti ci sarebbero stati nel corso del pontificato di Pio IX, non uno, ma migliaia casi di sottrazione alle famiglie, visto che erano decine di migliaia gli ebrei che vivevano nello Stato pontificio.

Sorge una seconda domanda: questa eccezione può essere considerata un abuso da parte della Chiesa? Anche in questo caso va ricordata la dottrina cattolica che nell’antico e nel nuovo codice,  insegna che l’unico caso in cui si possa somministrare il battesimo indipendentemente dalla volontà dei genitori è quello del pericolo di morte (Codex Juris Canonici Benedicti Papae XV auctoritate promulgatus, Romae 1917, can. 750 § 1; Codex Juris Canonici auctoritate Papae Ioannis Pauli II promulgatus, Città del Vaticano 1989, can. 868 § 2).

La Chiesa, infatti, rispetta la legge naturale, che attribuisce l’educazione dei figli ai genitori, ma ha prima di tutto una missione soprannaturale. L’ordine soprannaturale, instaurato da Gesù Cristo con la redenzione dell’umanità è superiore all’ordine naturale. La legge di Dio Creatore viene inglobata e superata da quella di Dio Redentore, che si realizza nella Chiesa. E per la Chiesa la salvezza delle anime prevale su ogni altra considerazione.

La domestica che battezzò il piccolo Mortara infranse la legge del tempo, che proibiva a una cristiana di lavorare in una famiglia israelitica, ma non infranse la legge della Chiesa che la autorizzava ad amministrare il battesimo in questo caso eccezionale. 

E arriviamo a un terzo punto. Che cosa accade se un bimbo a cui è stato amministrato il battesimo in punto di morte, non muore, ma si salva? La risposta della Chiesa è che, in questo caso. essendo entrato a far parte con il battesimo del Corpo Mistico di Cristo, che è una società visibile, con le sue leggi, i suoi doveri e i suoi diritti, il bambino ha il diritto ad essere educato nella fede che ha ricevuto. E poiché, una volta battezzato, è diventato figlio della Chiesa, questa ha il dovere di assicurargli una educazione conforme alla Fede cattolica che egli ha ricevuto. Se i suoi genitori si rifiutano di assicurargliela, la Chiesa ha diritto di sostituirsi alla famiglia nel ruolo educativo, perché i diritti della famiglia (che appartengono all’ordine naturale) vengono surclassati dal superiore diritto della Chiesa (che appartiene all’ordine soprannaturale).

C’è ancora qualcosa da aggiungere. Il caso Mortara accadde all’interno di uno Stato integralmente cattolico. Oggi viviamo in una società totalmente secolarizzata. La società cattolica di un tempo rispettava il diritto dei genitori ad educare i loro figli e solo eccezionalmente permetteva che potesse essere usata la forza per garantire la salvezza delle anime. La società moderna, che si pretende libera e democratica, sottrae ai genitori l’educazione dei figli e impone loro una vera e propria contro-educazione, antitetica a quella cristiana, come sono le teorie del gender e altre forme di “indottrinamento sessuale”, che corrompono l’innocenza dei bambini. Edgardo Mortara non fu rapito, ma vengono rapiti e violentati intellettualmente e moralmente i piccoli di oggi, che crescono nella più totalitaria società che la storia abbia mai conosciuto, perché è una società che esercita la sua coercizione non sui corpi ma sulle anime. Il caso Mortara va ricordato proprio perché ci ricorda la verità della dottrina cattolica di fronte alle devastazioni del relativismo contemporaneo. (Roberto de Mattei)

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