Catechist’s mail: Risposte sul sacerdozio

Perché la Chiesa “impone” il celibato ai preti e perché non ordina le donne?

… gli apostoli erano quasi tutti sposati, gli evangelisti ci parlano persino della suocera di Simon Pietro, il primo papa. Ho letto che nel primo secolo molti vescovi e sacerdoti erano sposati, addirittura alcuni papi. Allora perché la Chiesa impone il celibato ai suoi sacerdoti? Non sarebbe meglio che fosse una scelta personale anziché un obbligo, così molti preti ci penserebbero due volte a lasciare l’abito. E poi cos’è peggio, un buon prete sposato o un cattivo prete celibe? Meglio il primo, non credi? Ti ringrazio.

Nicola P.

***

01-prima-serie-risposte-5a_54ccb526d0962Gentile Nicola,

innanzi tutto non c’è alcuna “imposizione”. Nella scelta della Chiesa, che predilige il celibato, il seminarista ha ben cinque anni di tempo per fare la sua scelta, non c’è alcuna imposizione, a meno che non vuole, pretende, di avere tutto o la botte piena e la moglie ubriaca. La scelta è infatti personale perché nessuno è obbligato o costretto.

L’obbligo se lo è imposto la Chiesa perché ha ritenuto che questa fosse la strada giusta come del resto la storia ci insegna nei suoi tanti Santi Sacerdoti. Si chiama infatti “scelta” della Chiesa che un domani potrebbe anche cambiare ma che per ora non intende, giustamente, modificare. I perché sono tanti e non ci è possibile affrontarli tutti qui, suggerisco per l’approfondimento la lettura di questo spazio web.

Nella Chiesa Ortodossa, presa erroneamente a modello, avviene in questo modo: se uno vuol farsi prete può sposarsi prima di diventarlo, ma una volta prete non può sposarsi; il prete sposato non può diventare Vescovo.

Nella Chiesa Cattolica c’è anche il clero ortodosso sposato, quella parte ortodossa in comunione con Roma, perciò se uno vuole  diventare prete nella Chiesa di rito latino (Roma) deve accettare la disciplina che ha scelto, altrimenti può sempre diventare prete cattolico ma di rito orientale. Come vediamo la scelta c’è.

Ora le farò un esempio forse un pò stupido ma che aiuta a comprendere: ha mai sentito qualcuno pretendere di cambiare le regole durante la partita a scacchi, alle carte, al golf, a calcio e quant’altro?

La vita è come una partita le cui regole del gioco sono state ricavate dai Vangeli, il celibato è un consiglio tratto dal Vangelo che la Chiesa ha scelto di perseguire.

E’ vero, nei Vangeli si parla dei Discepoli sposati, ma non risulta che il Signore abbia fuso insieme i due Sacramenti, anzi in Matteo 19 li leggiamo separatamente: il Sacramento del Matrimonio e l’invito a farsi eunuchi per il regno dei Cieli, che diventerà il Sacramento dell’Ordine.

In tutto il primo millennio e anche dopo, nella Chiesa il celibato del clero era propriamente inteso come “continenza”. Cioè come completa rinuncia, dopo l’ordinazione, alla vita di matrimonio, anche per chi si fosse precedentemente sposato. L’ordinazione di uomini sposati, infatti, era una prassi comune, documentata anche dal Nuovo Testamento. Ma nei Vangeli si legge che Pietro dopo la chiamata ad apostolo “lasciò tutto” (Matteo 19, 27). E Gesù disse che per il Regno di Dio c’è chi lascia anche “moglie o figli” (Luca 18, 29).

Dalla percezione che i preti cattolici sono tutti celibi si è diffusa l’idea corrente che il celibato del clero consista nella proibizione di sposarsi. E quindi che il “superamento” del celibato consista sia nell’ordinare preti degli uomini sposati consentendo loro di continuare a vivere la vita matrimoniale, sia nel permettere ai preti celibi di sposarsi.

Ma questo è un equivoco enorme per non dire che ha una motivazione falsa e deformata, non si entra nel seminario solo per restare celibi! Il celibato ha senso in una prospettiva più vasta, il servizio alla Chiesa, l’amore per Cristo, il seminarista “sposa” la Chiesa come Cristo è Sposo della Chiesa.

L’equivoco è lo stesso che sta causando da anni il crollo e il fallimento dei matrimoni: non ci si sposa per fare sesso! Non è perché si è sacerdoti che non si ha una sessualità! È una scelta di vita e un modo per dare un senso alla propria sessualità in un progetto che la trascende senza negarla. A essere in gioco è il fatto di vivere la propria sessualità in modo liberatorio:  nella scelta del celibato c’è una dimensione di libertà. Ma attenzione, la sessualità, sia per una persona celibe sia per l’uomo e la donna uniti sacramentalmente nel vincolo del matrimonio, è un equilibrio sempre da costruire, nel corso dell’intera vita.

Alle domande: “E poi cos’è peggio, un buon prete sposato o un cattivo prete celibe? Meglio il primo, non credi?”

Non dobbiamo rispondere con il concetto del male minore e neppure associare il fallimento di un prete al suo essere celibe, sarebbe come incolpare altri – o la vita sessuale – quando un matrimonio fallisce.

Se uno non sa mantenere delle promesse, non sarà cambiando il ruolo che imparerà a rispettarle e a viverle. Si potrebbe solo affermare che in quella persona non c’era una vera vocazione, per questo la Chiesa prepara il candidato al sacerdozio per ben cinque lunghi anni aiutandolo a fare discernimento sulla propria scelta personale. La Chiesa Ortodossa che ammette i preti sposati da sempre riconosce che questa scelta non è mai diventata la maggioranza, non è mai cresciuta e non è mai dilagata, deve farci pensare il fatto che questa discussione è esplosa soltanto nell’ultimo secolo e – guarda il caso – dalla rivoluzione sessuale del sessantotto!

Spiega il cardinale Walter Brandmüller : “…. quando Marco (10,29) scrive: “In verità, vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia che non riceva cento volte tanto…”.

Ancora più preciso è Luca (18,29 ss): “In verità, io vi dico: chiunque abbia abbandonato per il Regno di Dio casa o moglie, fratelli, genitori o figli, riceverà già ora, in cambio molto di più, e nel mondo futuro la vita eterna”, Gesù non rivolge queste parole alle grandi masse, bensì a coloro che manda in giro “ai suoi”, affinché diffondano il suo Vangelo e annuncino l’avvento del Regno di Dio.

Per adempiere a questa missione è necessario liberarsi da qualsiasi legame terreno e umano. E visto che questa separazione significa la perdita di ciò che è scontato, Gesù promette una “ricompensa” più che appropriata.

A questo punto viene spesso rilevato che il “lasciare tutto” si riferiva solo alla durata del viaggio di annuncio del suo Vangelo, e che una volta terminato il compito, i discepoli sarebbero tornati alle loro famiglie. Ma di questo non c’è traccia.

Il testo dei Vangeli, accennando alla vita eterna, parla peraltro di qualcosa di definitivo.”

Per concludere:

«Il celibato sacerdotale, che la Chiesa custodisce da secoli come fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche nel nostro tempo, caratterizzato da una profonda trasformazione di mentalità e di strutture. Ma nel clima dei nuovi fermenti si è manifestata anche la tendenza, anzi l’espressa volontà di sollecitare la Chiesa a riesaminare questo suo istituto caratteristico, la cui osservanza secondo alcuni sarebbe resa ora problematica e quasi impossibile nel nostro tempo e nel nostro mondo.

Noi dunque riteniamo che la vigente legge del sacro celibato debba ancora oggi, e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico; essa deve sorreggere il ministro nella sua scelta esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo e della consacrazione al culto di Dio e al servizio della Chiesa, e deve qualificare il suo stato di vita, sia nella comunità dei fedeli, che in quella profana». (Paolo VI – Lettera enciclica “Sacerdotalis Caelibatus”, 10 ottobre 1965)

La Chiesa si realizza pienamente in tutti i suoi Sette Sacramenti, basta nasconderne uno solo per non essere più seriamente cattolici, insegna Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis, e il Matrimonio e l’Ordinazione sacra sono due Sacramenti ben distinti, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, o l’uno o l’altro, il sacerdozio è una vocazione così come è vocazione la vita matrimoniale, vocazione e doni distinti.

Mi creda, lasciamo che queste ideologie restino all’interno di certe pellicole di questo tempo inquieto e confuso nel mentre noi, figli della Luce mediante il Battesimo e i Sacramenti, ci impegniamo piuttosto alla realtà del Vangelo usando anche la ragionevolezza.

Con la speranza di esserle stata di aiuto, incontriamoci nella preghiera quotidiana, specialmente del Rosario.

Fraterni saluti, sia lodato Gesù Cristo.


…. e allora non capisco perché le donne non possono diventare preti? La chiesa non sarebbe meno maschilista con le donne ai vertici e, perché no, un domani anche una donna papa? che male ci sarebbe?

Alessandra N.

***

01-prima-serie-risposte-5_54ccb72598fccGentile Alessandra,

per l’approfondimento all’argomento suggerisco questo link che raccoglie argomenti ufficiali sul tema, qui cercherò di sintetizzare la risposta.

Innanzi tutto la Chiesa non è maschilista ma è già essa stessa una sposa, la Sposa del Cristo, cerchiamo quindi di avere l’umiltà nell’usare termini e concetti verso la Chiesa di Cristo trattandola con decoro e la dignità che Dio le ha dato, in questo modo sarà anche più facile comprendere il suo ruolo e dunque anche le sue leggi le quali non provengono dai capricci umani, ma dalla Bibbia. Non nascondo io stessa che in molti casi le membra gerarchiche della Chiesa hanno avuto atteggiamenti misogini nei confronti delle donne, ma questi sono peccati umani, delle membra e non peccati della Chiesa in quanto tale: una, santa, cattolica ed apostolica.

Se noi donne avessimo avuto l’autorità di raggiungere i vertici della Chiesa, l’avremmo trasformata in una lobby femminista! Ringraziamo Iddio che sa quello che fa e ben sapeva cosa faceva quando consegnava le chiavi a Pietro!

Lasciamo alla fanta-religione e ai film mitologici, come agli ambienti protestanti il vedere una donna papa o papessa o vescovessa, o pretessa, per parlare di questi argomenti è necessario vivere con i piedi per terra e la testa ben salda sul collo, assicurandosi che la testa sia collegata al cervello, ossia alla ragione. Non si tratta di pensare che sarebbe “un male” una donna nelle vesti del sacerdote, del vescovo o del papa, ma più semplicemente che esistono ragioni teologiche perchè ciò non avvenga.

Il fatto che questa idea malsana diventi “il male” è invece la concreta risposta a quanti vorrebbero imporre questi cambiamenti nella Chiesa, e questo perchè ciò implicherebbe un cambiamento teologico e dottrinale al significato che, tali incarichi affidati agli uomini, comporterebbe.

Cio’ che e’ certo e’ che la questione non puo’ essere facilmente risolta attraverso un compromesso con un femminismo che si polarizza lungo linee aspre e ideologiche. Non e’ solo il fatto che alcune persone reclamano un diritto per le donne di essere ammesse al sacerdozio nella sua forma estrema. E’ la stessa fede cristiana che rischia di essere compromessa – ha sottolineato Papa Wojtyla – Sfortunatamente questo tipo di femminismo e’ incoraggiato da alcune persone nella Chiesa, comprese alcune religiose i cui atteggiamenti, convinzioni e comportamenti non corrispondono a cio’ che il Vangelo e la Chiesa insegnano” (San Giovanni Paolo II – 1993 in visita negli Stati Uniti).

“…i Vangeli e gli Atti degli Apostoli attestano che questa chiamata è stata fatta secondo l’eterno disegno di Dio: Cristo ha scelto quelli che egli ha voluto , e lo ha fatto in unione col Padre, «nello Spirito Santo» , dopo aver passato la notte in preghiera.

Pertanto, nell’ammissione al sacerdozio ministeriale, la Chiesa ha sempre riconosciuto come norma perenne il modo di agire del suo Signore nella scelta dei dodici uomini che Egli ha posto a fondamento della sua Chiesa.Essi, in realtà, non hanno ricevuto solamente una funzione, che in seguito avrebbe potuto essere esercitata da qualunque membro della Chiesa, ma sono stati specialmente ed intimamente associati alla missione dello stesso Verbo incarnato.Gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori  che sarebbero ad essi succeduti nel ministero. In tale scelta erano inclusi anche coloro che, attraverso i tempi della Chiesa, avrebbero proseguito la missione degli Apostoli di rappresentare Cristo Signore e Redentore.D’altronde, il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all’ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti, ma l’osservanza fedele di un disegno da attribuire alla sapienza del Signore dell’universo…” (Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis di Giovanni Paolo II – 22 maggio 1994)

I primi a cedere alle lusinghe del mondo in questa materia sono stati gli anglicani – rispetto ai quali esiste peraltro il problema della validità di tutte le loro ordinazioni – che già a partire dagli anni Settanta discutevano animatamente se ammettere le donne al sacerdozio. Il 30 novembre 1975 Paolo VI scrisse una lettera all’arcivescovo di Canterbury Coggan, esortandolo a non erigere un nuovo ostacolo – oltre ai molti già esistenti – sul cammino verso l’unità dei cristiani.

Purtroppo, nel 1992 il sinodo anglicano – sempre più terrorizzato dalla fuga di fedeli che ha colpito i protestanti inglesi – è capitolato e ha votato a favore delle ordinazioni femminili. li primo effetto della decisione è stata un’immediata fuga di sacerdoti e laici anglicani, intere parrocchie con il relativo clero, che hanno chiesto e ottenuto di farsi cattolici.

Ma se Londra piange, Roma non ride.

Nel senso che anche fra i cattolici – come ammette esplicitamente Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis – “la questione è stata messa in discussione”. Questo stato di cose indusse già Paolo VI a incaricare la Congregazione per la Dottrina della Fede affinché si pronunciasse chiaramente in materia. Ne scaturì la Dichiarazione Inter Insignores, del 15 ottobre 1976, in cui veniva ribadita la dottrina tradizionale.

Nel rispondere a questi parametri non pochi sostengono che la scelta maschilista del Cristo fu necessaria per quei tempi andati. Ma è proprio così? No, e lo chiarisce sempre Giovanni Paolo II:

“Chiamando solo uomini come suoi apostoli, Cristo ha agito in un modo del tutto libero e sovrano. Ciò ha fatto con la stessa libertà con cui, in tutto il suo comportamento, ha messo in rilievo la dignità e la vocazione della donna, senza conformarsi al costume prevalente e alla tradizione sancita anche dalla legislazione del tempo. Pertanto, l’ipotesi che egli abbia chiamato come apostoli degli uomini, seguendo la mentalità diffusa al suoi tempi, non corrisponde affatto al modo di agire dl Cristo”. (Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, n. 26).

Per concludere: le donne non possono diventare preti semplicemente perchè hanno un’altra missione ed un altro ruolo che è diverso da quello dato all’uomo nella Chiesa come nel mondo laico.

Le imposizioni culturali che vorrebbero oggi negli aggiornamenti della Chiesa, scaturiscono dalle nuove ideologie del nostro tempo e che stanno anche distruggendo la Famiglia intesa dalla legge naturale: uomo e donna = figli.

La distruzione della famiglia e del ruolo genitoriale, dei termini Madre e Padre che si vogliono abolire, si ripercuote anche all’interno della Chiesa. L’uguaglianza che si vuole imporre è, in verità, una devastazione della dignità specifica del ruolo sia della donna quanto dell’uomo. L’uguaglianza sta nella dignità delle persone, non nei ruoli che ognuno di essi deve svolgere.

Sicuramente si possono approfondire ancora di più i motivi per cui la chiesa non ha la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale; motivi già esposti, ad esempio, nella dichiarazione Inter insigniores (15 ottobre 1976), della Congregazione per la dottrina della fede, approvata da Paolo VI, e in vari documenti di Giovanni Paolo Il (come l’esort. ap. Christi fideles laici, 51, e la lett. ap. Mulieris dignitatem, 26). nonché nel Catechismo della chiesa cattolica, n. 1577.

Ma in ogni caso non si può dimenticare che la chiesa insegna, come verità assolutamente fondamentale dell’antropologia cristiana, la pari dignità personale tra uomo e donna, e la necessità di superare ed eliminare “ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali” (Cost. past. Gaudium et spes, 29).

Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa.”  (Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis di Giovanni Paolo II – 22 maggio 1994)

Alla luce di questa verità si può cercare di capire meglio l’insegnamento secondo il quale la donna non può ricevere l’ordinazione sacerdotale. Una corretta teologia non può prescindere né dall’uno né dall’altro insegnamento, ma deve tenerli insieme; soltanto così potrà approfondire i disegni di Dio circa la donna e circa il sacerdozio – e quindi, circa la missione della donna nella chiesa, così come il suo ruolo materno anche nel mondo laico. Se invece si dovesse asserire l’esistenza di una contraddizione tra le due verità, lasciandosi condizionare troppo dalle mode o dallo spirito del tempo, si verrebbe a smarrire il cammino del progresso nell’intelligenza della fede e della ragione stessa.

ad maiorem Dei gloriam.

Sia lodato Gesù Cristo 


Il celibato ecclesiastico: novità medievale o tradizione apostolica?

Il problema dell’origine del celibato ecclesiastico

La questione del celibato ecclesiastico nella Chiesa è oggi motivo di grande interesse, è pertanto indispensabile richiamarne le origini soprattutto per comprendere quale sia il problema reale di fondo, ovvero la continenza. In quest’obbligo si realizza il vero senso del celibato, oggi dimenticato ma che nel primo millennio era noto: la completa continenza non solo dalla generazione di figli, ma anche dal matrimonio. I candidati sposati potevano accedere ai sacri ordini e rinunciare all’uso del matrimonio soltanto con il consenso della moglie, perché il matrimonio, in quanto sacramento, conferiva alla moglie un diritto. Tale obbligo, non è stato subito riportato per iscritto, ma ciò non vuol dire che non sia stato osservato sin dall’inizio.

In merito, Hans Kelsen ha affermato essere errata l’identificazione tra ius et lex. È infatti una caratteristica propria del diritto che l’origine di ogni ordinamento giuridico consista nelle tradizioni orali e poi consuetudinarie, che assumono lentamente forma scritta[1]. È nota, a tal proposito, la discussione tra due giuristi sull’origine del celibato: Gustav Bickell assegnava l’inizio ad una disposizione apostolica, mentre Franz X. Funk sosteneva invece che la prima legge è ravvisabile solo nel IV secolo; questa seconda tesi è prevalsa sulla prima[2].

Lo sviluppo storico della continenza nella Chiesa Latina

Fatte queste premesse, segue un rapido excursus storico circa lo sviluppo della norma sul celibato nella Chiesa latina. La prima disposizione scritta risale al IV secolo al concilio di Elvira (Spagna) dove vescovi e sacerdoti si erano radunati presso Granada per redigere una regolamentazione comune per gli ecclesiali spagnoli. Sotto la rubrica «Sui vescovi e i ministri (dell’altare) che devono cioè essere continenti dalle loro consorti», il can. 33 contiene la prima norma scritta sul celibato[3]. Già il can. 27 aveva insistito sulla proibizione che donne estranee potessero abitare con vescovi ed ecclesiastici, limitando tale facoltà solo ad una sorella o ad una consacrata[4]. È importante precisare che questi due canoni non stabiliscono una legge nuova, bensì, è una reazione contro una non-osservanza di un obbligo tradizionale ben conosciuto, al quale ora si aggiunge anche la sanzione.

Dopo questa norma importante ne segue un’altra della stessa rilevanza: si tratta del can. 2 del secondo Concilio Africano del 390 sotto la rubrica «Che la castità dei Leviti e sacerdoti deve essere custodita». Da questa dichiarazione si deducono tre osservazioni. La prima che nei primi secoli molti ecclesiastici erano sposati e ad essi viene imposto il dovere della continenza perfetta; la seconda che si tratta di un insegnamento degli apostoli e non di una disciplina nuova; infine, che un tale obbligo discende dall’ordine sacro ricevuto e dal servizio dell’altare. Nel maggio del 419 si tenne a Cartagine un Concilio generale in occasione del quale fu pubblicato il Codex canonum Ecclesiae Africanae con il quale s’impose ai suddiaconi lo stesso obbligo. Queste norme erano altresì in perfetta intesa con la Chiesa di Roma come può essere testimoniato da quattro papi: Siricio, Innocenzo I, Leone e Gregorio Magno.

Il Magistero e i Padri della Chiesa

Papa Siricio scrisse due decretali: la prima Directa del 385 al vescovo Imerio di Tarragona dove vengono confutate le obiezioni che alcuni vogliono trarre dall’esempio dei Leviti nell’Antico Testamento, la seconda Cum in unum con la quale prescrive l’obbligo della continenza per i ministri superiori come un obbligo non nuovo ma un punto saldo della fede. Dello stesso parere sono anche altri pontefici: Innocenzo I che scrive la decretale Dominus iter sulla castità e sulla purezza dei sacerdoti, Leone Magno che in una lettera al vescovo Rustico parla del passaggio dal matrimonio carnale a quello spirituale per i ministri dell’altare, che lo avevano contratto prima dell’ordinazione, e infine Gregorio Magno che fa comprendere, nelle sue lettere, come la continenza venisse osservata nella Chiesa latina.

Da queste testimonianze si può comprendere come due erano gli obblighi principali: per i non sposati il dovere di conservare il celibato dopo l’ordinazione o “legge del celibato in senso stretto”, per gli sposati il dovere di vivere la continenza con la coniuge o “legge del celibato-continenza”. Anche la testimonianza dei Padri della Chiesa si orienta in tal senso: Sant’Ambrogio, eletto vescovo di Milano, afferma che i ministri dell’altare che erano sposati dovevano vivere l’assoluta continenza nel matrimonio in quanto i sacerdoti sono obbligati ad una preghiera e ad un ministero santo[5]. Lo stesso San Girolamo ribadisce che i candidati all’ordine sacro dovevano sempre dedicarsi alla preghiera e al servizio divino, e non per ultimo Sant’Agostino, che, avendo partecipato ai Concili di Cartagine, conosceva bene l’obbligo del clero alla continenza, lo riconduceva agli stessi apostoli e ad una tradizione del passato[6].

Il fondamento giuridico del celibato

Le radici giuridiche del celibato sono ravvisabili nella Sacra Scrittura dalla quale si evince la sostanziale differenza tra il sacerdozio dell’Antico e quello del Nuovo Testamento. Il sacerdozio del VT era affidato ad una tribù la quale doveva essere conservata e ciò poteva avvenire solo con il matrimonio, quello del NT è invece configurato senza successione di sangue e senza una discendenza familiare. Inoltre, mentre i sacerdoti del VT avevano un servizio al Tempio limitato, quelli del NT hanno un servizio ininterrotto[7]. Benedetto XVI parla di un passaggio da un’astinenza sessuale funzionale a un’astinenza ontologica; per il sacerdote la celebrazione dell’Eucarestia non consiste in un compiere dei riti, ma è entrare con tutto il proprio essere nella grande offerta di Cristo al Padre, nel suo “sì” definitivo: «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46)[8].  

Si può dedurre un’immagine del sacerdote del NT modellata sulla volontà di Cristo, totalmente differente rispetto a quella del VT limitata alla sua funzione: Cristo dal suo sacerdote vuole tutto anima, cuore e corpo e in tutto il suo ministero la purezza e la continenza come testimonianza che vive non più nella carne ma secondo lo Spirito (Rm 8,8). Ef 5, 23-32 elabora la profonda mistica di Cristo-Chiesa in relazione al sacerdote e ripresa da Giovanni Paolo II: «La volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata»[9].

Considerazioni conclusive

Il celibato è una norma di diritto ecclesiastico (non di diritto divino) ma che trova delle motivazioni teologiche nella tradizione apostolica del Vangelo, pertanto, è stata positivizzata definitivamente nel Concilio Lateranense IV del 1215 dove si sottolinea lo stretto legame tra sacerdote ed Eucaristia. Infatti una delle ragioni per cui viene imposto il celibato nella Chiesa latina è proprio grazie alla transustanziazione dove viene ribadita l’identificazione del sacerdote a Cristo. È per questo che il celibato è un dono da custodire ed alimentare con «l’amore che Dio ha riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5), affinché tutto il nostro essere sia un’Eucaristia vivente con cui lo spirito e il corpo si uniscono totalmente a Cristo per il perdono dei peccati.

Note 

[1] San Paolo scrive nella seconda lettera ai Tessalonicesi (2,15): «Orsù dunque, o fratelli, state saldi e tenete le tradizioni che avete imparate sia a viva voce sia per la nostra lettera».

[2] Cf. A. M. Stickler, Il celibato ecclesiastico. La sua storia ed i suoi fondamenti teologici, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, 8-9.

[3] «Si dichiara con fermezza che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, una volta assunta la carica, si devono tener lontano dalle loro mogli e non generare figli; Chi lo avrà fatto, sia escluso dalla condizione di ecclesiastico». Concilio di Elvira, can 33 (Martínez Díez e Rodríguez 1966, vol. IV, 253)

[4] Cf. B. Herm. Theod, Canones Apostolorum et Conciliorum saec. IV-VII, II, Berolini 1939, 5-6.

[5] Cf. C. Perini, Il celibato ecclesiastico nel pensiero di S. Ambrogio, Divus Thomas 66, no. 4 (1963): 432-50.

[6] Cf. A. M. Stickler, Il celibato ecclesiastico. La sua storia ed i suoi fondamenti teologici, 20-21.

[7] Cf. ivi, 54.

[8] Cf. R. Sarah – J. Ratzinger, Dal profondo del nostro cuore, Cantagalli, Siena 2020, 63.

[9] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, n. 29.

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

I commenti sono chiusi.

Crea un sito web o un blog su WordPress.com

Su ↑