J.Ratzinger-Benedetto XVI Riflessioni sulla creazione e il peccato (1)

In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato  (*)

Premessa

La minaccia alla vita da parte dell’azione dell’uomo, di cui oggi tanto si parla, ha conferito nuova urgenza al tema della creazione. Nello stesso tempo, però, assistiamo paradossalmente alla scomparsa quasi totale dell’annuncio della creazione dalla catechesi, dalla predicazione e perfino dalla teologia (1). I racconti della creazione vengono taciuti; le loro affermazioni non sembrano più proponibili.

Di fronte a questa situazione, nella primavera del 1981 mi decisi a tenere quattro prediche quaresimali nella Cattedrale di Nostra Signora di Monaco e a tentare così una catechesi per adulti sulla creazione. Allora non potei venire incontro al desiderio, avanzato da molti, di pubblicare le prediche in forma di libri perché non avevo il tempo di rielaborare le trascrizioni da registratore gentilmente effettuate da vari fedeli. Negli anni successivi, dal punto di osservazione della mia nuova carica, mi è tuttavia diventata ancora più evidente la situazione di abbandono di questo argomento nell’annuncio dei nostri giorni. Mi sono sentito perciò spinto a riprendere i vecchi manoscritti e a rielaborarli per la stampa, senza peraltro modificarne il loto carattere di prediche, con i limiti che tale genere comporta.

Spero che queste pagine stimoleranno altri a fare meglio in modo da restituire al messaggio di Dio creatore il posto che gli spetta nella nostra predicazione.

Roma, festa di Sant’Agostino 1985

Joseph Ratzinger


  1. Dio creatore

Nel principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era deserta e disadorna e v’era tenebra sulla superficie dell’oceano e lo spirito di Dio era sulla superficie delle acque.

Dio allora ordino: «Vi sia luce». E vi fu luce. E Dio vide che quella luce era buona e separò la luce dalla tenebra. E Dio chiamò la luce giorno e la tenebra notte. Poi venne sera, poi venne mattina: primo giorno.

Dio disse ancora: «Vi sia un firmamento in mezzo alle acque che tenga separate le acque dalle acque». E avvenne così. Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E Dio chiamò il firmamento cielo. Di nuovo venne sera, poi mattina: secondo giorno.

E Dio ordinò: «Le acque che sono sotto il cielo si accumulino in una sola massa ed appaia l’asciutto». E avvenne così. Dio chiamò l’asciutto terra e alla massa delle acque diede il nome di mari. E Dio vide che questo era buono.

Dio comandò ancora: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che producano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. La terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, ed alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie. Poi Dio vide che questo era buono. Così venne sera, poi mattina: terzo giorno.

Di nuovo Dio ordinò: «Vi siano delle lampade nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni, e facciano da lampade nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E avvenne così. Dio fece le due lampade maggiori, la lampada grande per il governo del giorno, e la lampada piccola per il governo della notte, e le stelle. Poi Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra, per governare il giorno e la notte e per la separazione tra la luce e tra la tenebra. E Dio vide che era buono. E venne sera, poi mattina: quarto giorno (Gn 1, 1-19).

Queste parole iniziali della Sacra Scrittura risuonano sempre al mio orecchio come il rintocco festoso di una vecchia grande campana che, stupendo e solenne, tocca il cuore e fa presagire qualcosa del mistero dell’eterno.

Queste parole ricordano inoltre a molti tra di noi il primo incontro con il libro sacro di Dio, la Bibbia, che ci venne presentata, la prima volta, a questa pagina. Ci fece uscire subito dal nostro piccolo mondo infantile, ci conquistò con la sua poesia e ci fece presagire qualcosa dell’immensità della creazione e del suo Creatore.

Eppure proviamo una specie di dissociazione di fronte a queste parole. Esse sono belle e familiari, ma sono anche vere? Tutto sembra indicare il contrario, perché le scienze naturali da lungo tempo hanno fatto piazza pulita delle idee che abbiamo or ora letto: l’idea di un mondo spazialmente e cronologicamente misurabile, l’idea di un creato costruito pezzo dopo pezzo in sette giorni. Oggi ci troviamo di fronte a misure che superano ogni immaginazione. Sentiamo parlare del «big bang», dell’esplosione iniziale verificatasi oltre dieci miliardi di anni fa, con cui ebbe inizio l’espansione dell’universo, che continua ancora adesso. Le stelle non vennero «appese» al cielo l’una dopo l’altra né la vegetazione fu creata in ordine successivo, bensì la terra e l’universo hanno assunto la forma che conosciamo nel corso di un periodo lunghissimo e per vie quanto mai complicate.

Le parole che abbiamo appena letto non hanno dunque più alcun valore? In effetti qualche tempo fa un teologo ha scritto che la creazione è diventata un concetto irreale. Per essere intellettualmente onesti non dovremmo più parlare di creazione, bensì solo di mutazione e di selezione. Le parole iniziali della Bibbia non sono dunque vere? Insieme con la parola di Dio, con tutta la tradizione biblica, sono forse regredite tra i sogni dell’infanzia dell’umanità, quei sogni di cui sentiamo magari la nostalgia ma che non possiamo condividere, perché non possiamo vivere di nostalgia? Oppure esiste una risposta positiva, che possiamo responsabilmente sostenere in questo nostro tempo?

– La distinzione tra forma e contenuto del racconto della creazione

Una prima risposta venne elaborata già molto tempo fa, quando andava a poco a poco cristallizzandosi l’idea scientifica del mondo; molti di voi ne hanno probabilmente sentito parlare quando frequentavano le lezioni di religione a scuola. Essa dice: la Bibbia non è e non vuole essere un manuale di scienze naturali. È un libro religioso, per cui non possiamo attingere da essa delle nozioni scientifiche né sapere come il mondo ha avuto scientificamente origine. Immagini, che servono a far capire all’uomo verità autentica e profonda.

Bisogna distinguere tra forma e contenuto. La forma fu scelta tra gli elementi che in quel tempo risultavano comprensibili, tra le immagini in cui gli uomini di allora vivevano, pensavano e parlavano, tramite le quali riuscivano a capire realtà autentiche superiori.

Solo il contenuto autentico, che traspare attraverso le immagini, è l’elemento permanente, quello che la Bibbia intende affermare.

Secondo questa concezione la Bibbia non intende raccontarci come sono sorte a poco a poco le specie vegetali, come il sole, la luna e le stelle si sono formati, bensì ci dice solamente: Dio ha creato il mondo. Il mondo non è un affastellamento di forze tra loro contrastanti, come pensavano molto uomini di allora, non è la sede delle potenze demoniache da cui l’uomo deve difendersi. Il sole e la luna non sono divinità che regnano sopra di lui, e questo cielo disteso sul nostro capo non è popolato di divinità inquietanti e tra loro nemiche; tutto questo proviene piuttosto da un’unica potenza, dalla ragione eterna di Dio, che nella parola divenne forza creatrice.

Tutto questo proviene dalla parola di Dio, da quella medesima parola che noi incontriamo nell’evento di fede. E così non solo venne tolta agli uomini, che appresero che il mondo è dalla parola, l’angoscio di fronte agli dèi e ai demoni; ma il mondo stesso divenne libero grazie alla ragione, che si eleva a Dio, e l’uomo fu reso capace di incontrare senza paura Dio. L’uomo sperimentò in queste parole il vero «illuminismo», che spazza via gli dèi e le potenze nascoste e gli fa riconoscere che solo una potenza «è al fondo di tutto e noi nelle sue mani»: il Dio vivo. L’uomo sperimento, inoltre, che questa medesima potenza, che ha creato la terra e le stelle, è quella stessa che sorregge tutto l’universo, quella che incontriamo nella parola della Sacra Scrittura. In tale parola noi tocchiamo la potenza originario del mondo, la potenza vera che sta al di sopra di tutte le potenze (1).

Penso che questa spiegazione sia giusta. Però non è ancora sufficiente.

Infatti, quando ci viene detto che dobbiamo distinguere tra le immagini e il contenuto che le immagini intendono esprimere, possiamo a nostra volta domandare: Perché questo non fu detto nei tempi passati? È infatti chiaro che una volta si insegnava diversamente, altrimenti non ci sarebbe stato il processo a Galileo Galilei.

Nasce così il sospetto che in fondo questa distinzione sia solo un espediente della Chiesa e dei teologi, che giunti alla stretta con il loro latino non vogliono arrendersi ed escogitano così un artificio dietro cui trincerarsi. Del resto si ha l’impressione generale che negli ultimi quattro secoli la storia del cristianesimo sia stata una continua battaglia di ripiegamento, nel corso della quale sono state dismesse, una dopo l’altra, molto affermazioni della fede e della teologia. Naturalmente si è trovato ogni volta qualche sotterfugio per potersi ritirare. Ma è quasi impossibile sottrarsi al timore che a poco a poco veniamo sospinti nel vuoto e che arriverà il momento in cui non avremo più nulla da difendere e nulla dietro cui trincerarci; il momento in cui tutto il terreno della Scrittura e della fede sarà occupato da una ragione che non lascerà più sussistere alcunché di tutto questo.

A ciò va unito un altro disagio: se i teologi, o anche la Chiesa, possono in tal modo spostare il confine tra immagine e asserzione, il confine fra quanto appartiene al passato e quanto rimane valido, perché non potranno farlo anche altrove, ad esempio per i miracoli di Gesù? E se già lo fanno qui, perché non al centro, per la croce, per la risurrezione del Signore?

Una operazione di questo tipo, che intende difendere la fede dicendo che dietro quello che c’è qui, e che noi non possiamo più difendere, c’è qualcosa di più autentico, ebbene è un’operazione che si trasforma spesso in un autentico attacco alla fede, perché accantona subito la domanda sulla correttezza degli interpreti, trascura subito la domanda se esiste veramente qualcosa di solido.

Molti, di fronte a simili procedimenti teologici, sono rimasti con l’impressione che la fede della Chiesa sia come una medusa, che non si sa bene da che parte afferrare e in cui non si riesce a individuare un nucleo sul quale basarsi. Il malessere di un cristianesimo che non ha più il coraggio di essere se stesso, e che di conseguenza non può irradiare fiducia ed entusiasmo, deriva da sommesse interpretazioni della parola, oggi di moda, le quali somigliano più a scappatoie che a spiegazioni. Il cristianesimo fa piuttosto l’impressione di una associazione che continua a parlare benché non abbia più nulla da dire, perché i suoi discorsi artificiosi non trasmettono convinzione ma cercano solo di mascherare la sconfitta.

– L’unità della Bibbia come criterio di interpretazione

Perciò dobbiamo domandarci ancora una volta: la distinzione tra immagine e affermazione vera e propria è solo una scappatoia, perché non riusciamo più a comprendere il testo e tuttavia vogliamo continuare a farlo, oppure la Bibbia stessa ci fornisce dei criteri che ci indicano questa strada e avallano perciò tale  distinzione? E ancora: essa stessa ci mette a disposizione delle distinzioni di questo tipo? La fede della Chiesa conosceva e aveva già operato queste distinzioni?

Dopo aver posto queste domande, riapriamo di nuovo la Sacra Scrittura! Per prima cosa constatiamo che il racconto della creazione appena letto non è un blocco erratico, definito e compatto fin dall’inizio. Anzi, l’intera Scrittura non è stata scritta semplicemente dal principio alla fine come un romanzo o come un manuale: essa è piuttosto l’eco della storia di Dio con il suo popolo; è il frutto delle lotte e degli itinerari di questa storia; attraverso di essa possiamo riconoscere gli slanci, le depressioni, le sofferenze, le speranze, la grandezza e poi di nuovo i fallimenti di questa storia.

La Bibbia è quindi l’espressione della lotta di Dio con l’uomo per farsi a poco a poco da lui capire, ma è anche l’espressione della lotta dell’uomo per capire a poco a poco Dio.

Per questo il tema della creazione non viene proposto  tutto in una volta, ma attraversa con Israele la storia, anzi tutta l’antica alleanza è un cammino compiuto insieme con la parola di Dio.

Solo in questo cammino l’affermazione autentica della Bibbia si è formata passo dopo passo. Perciò anche noi possiamo riconoscere la sua vera direzione solo nella totalità di tale cammino. In questo modo – in qualità di cammino – Antico e Nuovo Testamento sono tra loro collegati. L’Antico Testamento appare nel suo insieme al cristiano come marcia di avvicinamento a Cristo; solo quando perviene a Cristo, diventa chiaro quel che intendeva propriamente dire, quel che passo dopo passo significava. Così i singoli elementi ricevono il loro senso dal tutto, e il tutto riceve il suo significato dal fine a cui tende, da Cristo.

_08 Dio Creò Cielo e terra Ratzinger 2Perciò noi interpretiamo teologicamente nella maniera giusta il singolo testo – come i Padri e la fede della Chiesa ha sempre insegnato in tutti i tempi – solo se lo comprendiamo come tratto di un cammino progressivo, solo se riconosciamo in esso la tendenza, l’orientamento intrinseco di questo cammino (2).

Che significa ora quanto detto per l’intelligenza del racconto della creazione?

Facciamo una prima constatazione: Israele ha sempre creduto nel Dio creatore, e questa fede la condivideva con tutte le grandi culture del mondo antico. Infatti, pur tra gli offuscamenti del monoteismo, tutte le grandi culture hanno sempre riconosciuto un Creatore del cielo e della terra, con sorprendenti elementi comuni anche tra civiltà che non poterono mai incontrarsi esteriormente. In questi elementi comuni possiamo senz’altro vedere qualcosa del contatto profondissimo, mai completamente perduto, dell’umanità con la verità di Dio.

Nello stesso Israele il tema della creazione è passato attraverso varie vicende. Esso non fu mai del tutto assente, ma non fu neppure sempre importante allo stesso modo. Ci furono periodi in cui Israele era così preso dalle sofferenze o dalle speranze della sua storia, così direttamente legato al presente da non sentire il bisogno, da non essere capace di spingere il suo sguardo fino alla creazione.

L’ora veramente grande, in cui il tema della creazione divenne il tema dominante, fu l’esilio babilonese. Durante quel periodo anche il racconto che abbiamo appena ascoltato trovò – ovviamente sulla base di antichissime tradizioni – la sua formulazione attuale e autentica. Israele aveva perso il suo paese e il suo  tempio. Per la mentalità di allora ciò era incomprensibile, poiché significava che il Dio d’Israele era stato vinto, che era stato possibile sottrargli il suo popolo, la sua terra e i suoi adoratori. Un Dio che non era capace di difendere i propri adoratori e la propria adorazione dimostrava di essere un Dio debole, anzi di non essere Dio. Perciò la deportazione dal proprio paese e l’eliminazione dalla carta geografica rappresentavano una terribile tentazione per la fede d’Israele: il nostro Dio è ormai vinto, la nostra fede vana?

Proprio in quest’ora i profeti aprirono una nuova pagina insegnando a Israele che solo ora si stava manifestando il vero volto del loro Dio, che non era legato ad un fazzoletto di terra. Anzi, non lo era mai stato: aveva promesso quel pezzo di terra ad Abramo prima che egli vi risiedesse; poi aveva liberato il suo popolo dall’Egitto: ambedue queste imprese aveva potuto compierle perché non era il Dio di un paese, ma colui che disponeva del cielo e della terra. Per questo poteva ora disperdere il suo popolo infedele in un altro paese, per dare testimonianza di sé.

Ora si capiva finalmente che questo Dio non era un Dio come gli altri dèi, bensì il Dio che disponeva di tutti i paesi e di tutti i popoli. Tutto questo poteva farlo perché lui stesso aveva creato tutto, il cielo e la terra. L’esilio, l’apparente sconfitta di Israele, permettono di giungere alla conoscenza del Dio che ha in mano tutti i popoli e tutta la storia, il Dio che sorregge tutto, perché è il Creatore di tutto e ha il potere su tutto.

Questa fede doveva ora trovare una sua fisionomia proprio di fronte alle tentazioni della religione, apparentemente vincitrice, di Babilonia. Questa si esprimeva in liturgie solenni, ad esempio nella liturgia della festa di capodanno, in cui veniva celebrata e vissuta liturgicamente la creazione del mondo. Doveva trovare una sua fisionomia di fronte all’Enuma elish, il grande racconto babilonese della creazione, che descrive a modo suo l’origine del mondo.

Vi si dice che il mondo ebbe origine dalla lotta fra potenze contrapposte e che prese la sua forma attuale quando entrò in scena Marduk, il dio della luce, che aveva tagliato in due il corpo del drago originario. Le due parti del corpo sarebbero diventate il cielo e la terra. Il firmamento e la terra sarebbero quindi il corpo lacerato del drago ucciso, mentre dal sangue Marduk avrebbe creato gli uomini.

Ci troviamo quindi di fronte a un’immagine inquietante del mondo e dell’uomo: il mondo è propriamente il corpo di un drago; nelle vene dell’uomo scorre sangue di drago. Al fondo del mondo è in agguato una potenza inquietante e nel più profondo dell’uomo si annidano la ribellione, il demoniaco e il male. Si tratta di una visione secondo la quale solo il rappresentante di Marduk, il dittatore, il re di Babilonia, può soggiogare il demoniaco e mettere ordine nel mondo (3).

Tali idee non erano semplici favole: esse riflettono le esperienze inquietanti dell’uomo col mondo e con se stesso. Spesso abbiamo infatti davvero l’impressione che il mondo sia una caverna di draghi e il sangue dell’uomo sangue di drago. Ma di fronte a tutte queste esperienza opprimenti il racconto della Sacra Scrittura dice: non è stato così.

Tutta la storia delle potenze inquietanti si riduce a una mezza frase: «La terra era deserta e disadorna». I termini ebraici corrispondenti echeggiano ancora le espressioni che avevano rappresentato il drago, la potenza demoniaca. Ora esso è solo il nulla, di fronte a cui sta Dio, l’unico potente.

E alla nostra paura di fronte a queste potenze demoniache viene detto: Dio soltanto, la ragione eterna che è l’amore eterno, ha creato il mondo e lo tiene nelle sue mani. Solo su questo sfondo comprendiamo la polemica che si cela dietro il testo biblico, il suo significato drammatico, che consiste nell’eliminare tutti quei miti confusi e nel ricondurre il mondo alla ragione e alla parola di Dio.

Lo potremmo dimostrare passo dopo passo col nostro testo, ad esempio quando il sole e la luna vengono definiti come lampade che Dio appende al cielo per misurare i tempi. Agli uomini di allora doveva apparire un’enorme empietà dichiarare le grandi divinità del sole e della luna due lampade per misurare il tempo. È questo l’ardimento, il realismo della fede, che in polemica con i miti pagani fa brillare la luce della verità, mostra che il mondo non è l’arena dei demoni bensì proviene dalla ragione, dalla ragione di Dio, e poggia sulla parola di Dio.

In tal modo il racconto della creazione si rivela come l’«illuminismo» decisivo della storia, l’esodo dalle paure che avevano attanagliato l’uomo. Significa la consegna del mondo alla ragione, il riconoscimento della sua razionalità e libertà.

Dimostra di essere il vero illuminismo, anche per il fatto che àncora la ragione umana al fondamento originario della ragione creatrice di Dio, per mantenerla così nella verità e nell’amore, senza le quali l’illuminismo diviene sregolato ed alla fine stolto.

Un’altra cosa dobbiamo aggiungere.

Ho detto poco fa che questo popolo sperimenta che cos’è la «creazione» lentamente, in polemica con l’ambiente pagano, in polemica con il proprio cuore. Ciò implica che il racconto classico della creazione non è l’unico racconto di creazione che troviamo nel libro sacro. Subito dopo ne troviamo un altro, composto antecedentemente con altre immagini.

Nei Salmi ne troviamo altri ancora, e dopo di essi il tentativo di chiarire la fede nella creazione continua: nell’incontro con la grecità, la letteratura sapienziale riprende di nuovo questo tema, senza ritenersi legata alle vecchie immagini come quella dei sette giorni etc. Vediamo così come la stessa Bibbia modifichi di continuo le immagini e le adatti alle successive mentalità; essa le trasforma di continuo per testimoniare in maniera sempre nuova l’unica verità, che le è stata veramente comunicata dalla parola di Dio, cioè il messaggio che Dio è il creatore.

Nella stessa Bibbia le immagini sono libere, si correggono continuamente e mediante questo lento e faticoso progresso ci fanno capire che sono solo immagini, che rivelano qualcosa di più profondo e grande.

– Il criterio cristologico

Dobbiamo ancora aggiungere un particolare decisivo: con l’Antico Testamento il cammino non è arrivato alla meta. I temi dibattuti nella cosiddetta letteratura sapienziale sono l’ultimo ponte di una lunga strada, un ponte che immette nel messaggio di Gesù Cristo e nella nuova alleanza. Solo qui troviamo il racconto definitivo e normativo della Sacra Scrittura a proposito della creazione.

Esso suona: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo […]. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto assolutamente nulla» (Gv 1, 1.3). Giovanni ha qui ripreso ancora una volta con piena consapevolezza le parole iniziali della Bibbia e ha riletto il racconto della creazione con Cristo, per dire in maniera nuova e definitiva qual è la parola con cui Dio vuole scuotere i nostri cuori.

Una cosa ci diventa chiara: noi cristiani non leggiamo l’Antico Testamento in se stesso e per se stesso, ma lo leggiamo sempre con Cristo e per mezzo di Cristo.

Per questo non siamo tenuti a osservare la legge di Mosè, le prescrizioni relative alla purezza e all’alimentazione e tante altre cose ancora: la parola biblica non diventa per questo priva di senso e di significato.

Noi leggiamo tutto questo non come un qualcosa in sé compiuto e a sé stante, ma lo leggiamo con Colui nel quale tutto è compiuto e in cui tutto rivela la sua autentica validità e verità. Perciò leggiamo con Lui, oltre alla legge, anche il racconto della creazione e da lui sappiamo – da Lui e non da un espediente escogitato successivamente – quel che Dio a voluto infondere a poco a poco, attraverso i secoli, nel cuore e nell’anima dell’uomo.

Cristo ci libera dalla schiavitù della lettera e proprio in questo modo ci restituisce la verità delle immagini.

Questo lo sapevano anche la Chiesa antica e la Chiesa medievale. Sapevano che la Bibbia è un tutto e che noi la ascoltiamo nella maniera vera solo se la ascoltiamo partendo da Cristo, se la ascoltiamo partendo dalla libertà che Egli ci ha dato, se la ascoltiamo partendo dalla profondità con cui Egli ci rivela, attraverso il rivestimento delle immagini, la realtà permanente, il terreno solido su cui possiamo poggiare in tutti i tempi.

Soltanto a partire dall’inizio dell’evo moderno si è dimenticata a poco a poco questa dinamica, l’unità viva della Scrittura, che possiamo capire solo e sempre con Cristo nella libertà che Egli ci dà e, quindi, nella certezza che da tale libertà deriva.

La mentalità storica emergente voleva leggere ogni testo solo in se stesso, nella sua nuda letteralità. Cercò di spiegare in maniera precisa solo il singolo passo e dimenticò che la Bibbia è un tutto. In breve, lesse i testi non più guardando in avanti, bensì indietro, cioè non più alla luce di Cristo, bensì solo alla luce della loro presunta origine. Non volle più riconoscere quel che un testo dice o quel che una cosa è a partire dalla loro forma compiuta, bensì considerandone solo l’inizio, l’origine. Da questo isolamento dal tutto, da questa letteralità del singolo passo, che contraddice l’essenza intrinseca dei testi biblici ma che era considerata l’unico approccio scientifico, è insorto quel conflitto tra scienza naturale e teologia, che rappresenta ancora oggi un peso per la fede.

Tale peso non ha ragione di essere, perché fin dall’inizio la fede è stata superiore, più ampia e profonda. La fede nella creazione non è neppure oggi irreale. Essa è tutt’oggi ragionevole e, anche alla luce dei risultati delle scienze naturali, è l’«ipotesi migliore», quel che spiega di più e meglio di tutte le altre teorie. La fede è ragionevole. La ragione della creazione deriva dalla ragione di Dio. Non esiste altra risposta realmente convincente.

Ancora oggi rimane valido quel che il pagano Aristotele disse quattrocento anni prima di Cristo a coloro i quali affermavano che tutto è nato dal caso, ek t’automatou; egli fece questa affermazione, anche se personalmente non conosceva la fede nella creazione (4).

La ragione del mondo ci permette di riconoscere la ragione di Dio, la Bibbia è e rimane il vero illuminismo che ha affidato il mondo alla ragione e non allo sfruttamento dell’uomo, perché essa ha dischiuso la ragione alla verità e all’amore di Dio.

Per questo non abbiamo bisogno di nascondere la fede nella creazione neppure oggi. Non ci è lecito nasconderla, perché solo se il mondo deriva dalla libertà, dall’amore e dalla ragione, solo se queste sono le potenze propriamente portanti, possiamo aver fiducia gli uni negli altri, possiamo andare incontro al futuro, possiamo vivere come uomini. Solo perché Dio è il Creatore di tutte le cose ne è anche il Signore e noi possiamo pregarlo. Questo infatti significa che la libertà e l’amore non sono idee impotenti, bensì le potenze fondamentali della realtà.

Perciò possiamo e vogliamo recitare anche oggi pieni di gratitudine e di gioia la professione di fede della Chiesa: «Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra».

Amen.

clicca qui per il secondo capitolo

______________

NOTE

(*) tratto da Joseph Ratzinger – Benedetto XVI – In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato –  Lindau, Torino 2006

dalla copertina retro:

«È compito delle scienze naturali chiarire attraverso quali fattori l’albero della vita si differenzia e si sviluppa, mettendo nuovi rami. Non spetta alla fede. Però possiamo e dobbiamo avere il coraggio di dire che i grandi progetti della vita non sono un prodotto del caso e dell’errore né sono il prodotto di una selezione, cui si attribuiscono predicati divini che in questa sede appaiono illogici, a-scientifici, un mito moderno. I grandi progetti della vita rimandano a una ragione creatrice, ci indicano lo Spirito creatore e lo fanno oggi in maniera più chiara e splendente che mai. Oggi pertanto possiamo dire con una certezza e una gioia nuove: Sì, l’uomo è un progetto di Dio» (J. Ratzinger)

(nota 1 alla Premessa) Mi limito a citare due esempi, che dimostrano come la dottrina della creazione venga accantonata e dimenticata da una corrente influente della teologia moderna. Un noto manuale (J. Feiner, L. Vischer, Neues Glaubensbuch. Der gemeinsame christliche Glaube, Basel-Zürich 1973) relega il tema della creazione in un capitolo intitolato «Storia e cosmo», inserito nella quarta parte del manuale, intitolata «Fede e mondo».

Prima della quarta parte ci sono: «La questione di Dio» (prima parte), «Dio in Gesù Cristo» (seconda parte), «L’uomo nuovo» (terza parte).

Se già questa collocazione non lascia sperare molto di positivo, il testo, di A. Dunas e O. H. Pesch, è peggiore di ogni previsione. Il lettore viene a sapere che «concetti come “selezione” e “mutazione” sono intellettualmente molto più onesti del concetto di “creazione”» (p. 433), che «la “creazione” come piano cosmico è un’idea ormai finita» (p. 433),  che «il concetto di “creazione” è perciò un concetto irreale» (p. 435), che « “creazione” significa “vocazione” per l’uomo: quanto altro viene ancora detto, anche nella stessa Bibbia, non è il messaggio della creazione in quanto tale, bensì la sua formulazione in parte mitologica e apocalittica» (pp. 435-436).

È forse un giudizio troppo severo affermare, dopo queste premesse, che continuare a usare il termine «creazione» equivale a una truffa semantica? La stessa posizione riduzionistica la troviamo, formulata in termini meno perentori, in M. Legrain (a cura di), La foi des catholiques. Catéchèse fondamentale, Le Centurion, Paris 1984. L’opera (736 pagine) dedica al tema della creazione solo cinque pagine, collocate nella terza parte, intitolata «Una umanità secondo il Vangelo» (parte prima: «Una fede viva»; parte seconda: «La rivelazione cristiana»).

La creazione viene definita in questi termini: «Così, parlando di Dio come creatore, affermiamo che il senso primo e ultimo della vita si trova in Dio stesso, presente nel più intimo del nostro essere» (p. 356). Anche qui il termine «creazione» perde il suo senso letterale originario. Inoltre, con dei caratteri diversi dal testo corrente, usati di solito per riportare citazioni o testi complementari, vengono presentate in quattro punti le «obiezioni correnti contro la creazione».

Ma il lettore normale (tra cui mi annovero) non trova nel testo alcuna risposta, se non che la creazione deve essere interpretata in senso esistenziale. Questa riduzione «esistenziale» del tema della creazione comporta però un’enorme (se non totale) perdita di realtà da parte della fede, il cui Dio non ha più nulla a che fare con la materia.

________________

Note al testo I. Dio creatore

(1) Una buona esposizione dell’esegesi di questo racconto della Genesi, la si trova in M. Schmaus, Dogmatica cattolica, Marietti – Tostino 1959 – vol.1 pp. 472-482.

(2) Per questo e per quel che segue, cfr. C. Westermann, Genesis, vol. I, Neukircher-Vluyn 1974, pp. 1-103; per la lettura della Bibbia alla luce dell’unità della storia in essa descritta, cfr. H. Gese, Zur biblischen Theologie. Alt-testamentliche Vorträge, München 1977, pp. 9-30 [34].

(3) Il testo dell’Enuma elish lo si può trovare in C. Schedl, Storia dell’Antico Testamento, Roma 1959, vol. I, pp. 38-42. [35]

(4) Aristotele, Metafisica, Laterza, Bari 1971, pp. 197-201.