J.Ratzinger-Benedetto XVI Riflessioni sulla creazione e il peccato (2)

In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato  (*)

Vedi qui primo capitolo – Dio Creatore –

II. Il senso dei racconti biblici della creazione

Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie”. E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era buono.

E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Quindi Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”.

Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era molto buono. E venne sera, poi mattina: sesto giorno. […] Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno, portò a termine il lavoro che aveva fatto e si astenne nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Quindi Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. (Gn 1, 24-31. 2, 1-4)

La nostra prima riflessione sulla fede nella creazione, da parte della Bibbia e della Chiesa, ha messo in luce soprattutto due aspetti.

Il primo lo possiamo riassumere così: come cristiani leggiamo la Sacra Scrittura con Cristo; Egli è la nostra guida; Egli ci indica in maniera affidabile che cosa è semplice immagine e dove sta il contenuto autentico e permanente delle affermazioni bibliche; Egli è contemporaneamente la liberazione da una falsa schiavitù alla lettera ed il garante della verità solida e reale della Bibbia, che non si dissolve in una nube di pii postulati ma rimane il fondamento chiaro su cui possiamo poggiare.

Il secondo aspetto è: la fede nella creazione è ragionevole; forse la ragione non può giungere da sola a tale fede, tuttavia aspira ad essa e trova in essa la risposta che cercava.

– La ragionevolezza della fede nella creazione

Dobbiamo ora approfondire quest’idea in due direzioni.

Per prima cosa vogliamo trattare il semplice «dato» della creazione. Tale dato esige una causa; essa rinvia a quella potenza, che era all’inizio e che poté dire: Sia fatto!

Nel secolo XIX poteva sembrare che le cose stessero diversamente. Le scienze naturali erano caratterizzate dalle due grandi leggi della conservazione della materia e dell’energia. Sembrava così che questo mondo fosse un cosmo eternamente sussistente e dominato dalle leggi perenni della natura, un cosmo esistente in sé e per sé, che non bisognava di nulla al di fuori di sé. Esso appariva come un tutto di cui Laplace poteva dire: «Non ho più bisogno dell’ipotesi Dio».

Ma poi sopraggiunsero nuove conoscenze. Si scoprì la legge dell’entropia, la quale dice che l’energia viene consumata e trasformata in uno stato da cui non può più essere fatta retrocedere. Questo però significa che il mondo vive un processo di divenire e di passaggio. Esso porta in sé inscritta la temporalità.

Poi si scoprì che la materia si trasforma in energia, ciò che modificò automaticamente le due leggi della conservazione.

Quindi sopraggiunsero le teorie della relatività e altre conoscenze, le quali mostrarono che il mondo porta in se stesso i propri orologi che ci permettono di riconoscere un principio e una fine, un cammino che va dal principio alla fine.

Anche se i tempi si allungarono immensamente, tuttavia attraverso l’oscurità dei miliardi di anni la conoscenza della temporalità dell’essere fece di nuovo intravvedere quell’istante che la Bibbia chiama il principio, quel principio che rimanda a Colui che ebbe il potere di porre l’essere, il potere di dire: sia fatto – e fu fatto.

Una seconda riflessione non si riferisce più solamente al dato dell’essere.

Essa prende per così dire in considerazione il disegno del mondo, il modello secondo cui è costruito. Da quel «sia fatto» non derivò infatti un magma informe. Più conosciamo il mondo più vediamo balenare in esso una intelligenza, di cui possiamo ripercorrere pieni di stupore le vie. Attraverso di esse riconosciamo in maniera completamente nuova quello Spirito creatore cui anche la nostra ragione deve sé stessa.

Albert Einstein disse una volta che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (1). Riconosciamo come nel macrocosmo, nel mondo delle stelle, si rivela una ragione potente, che tiene insieme l’universo. Sempre più però impariamo a guardare anche nel microcosmo, nelle cellule, nelle unità originarie della vita; pure qui scopriamo una razionalità stupefacente, che ci induce a dire con san Bonaventura: «Colui che qui non vede, è cieco. Colui che qui non ode, è sordo. Colui che qui non comincia ad adorare e a lodare il Creatore, è muto».

Jacques Monod, che respinse ogni genere di fede in Dio come non scientifica e ricondusse tutto il mondo al gioco del caso e delle necessità, nell’opera in cui cerca di esporre e di giustificare sinteticamente questa visione della realtà racconta che François Mauriac, dopo aver ascoltato le conferenza poi raccolte nel libro, avrebbe detto: «Quanto dice questo professore è ancora più incredibile di quel che crediamo noi poveri cristiani» (2). Monod non contesta questa affermazione. La sua tesi è che tutto il concerto della natura è frutto di errori e stonature.

Egli non può fare a meno di dire spontaneamente che una simile concezione è davvero assurda. Ma il metodo scientifico – così prosegue – ci costringe a non ammettere una domanda cui è necessario rispondere con la parola «Dio». Quale misero metodo, possiamo solo dire!

Attraverso la ragione della creazione, Dio stesso ci guarda. La fisica, la biologia, le scienza naturali in genere, ci hanno fornito un racconto della creazione nuovo, inaudito, con immagini grandiose e nuove, che ci permettono di riconoscere il volto del Creatore e ci fanno di nuovo sapere: sì, all’inizio e al fondo di tutto l’essere c’è lo Spirito creatore.

_09 Dio Creò Cielo e terra Ratzinger 2Il mondo non è il prodotto dell’oscurità e dell’assurdo. Esso deriva da un’intelligenza, deriva da una libertà, da una bellezza che è amore. Riconoscere questo ci infonde il coraggio di vivere, il coraggio che ci rende capaci di affrontare fiduciosi l’avventura della vita.

– Il significato permanente degli elementi simbolici del testo

Dopo queste due riflessioni, con cui abbiamo approfondito le nozioni fondamentali della prima meditazione, dobbiamo fare un passo avanti.

Finora abbiamo visto che i racconti biblici della creazione sono un modo di parlare della realtà diverso da quella proprio della fisica e della biologia. Essi non descrivono il processo del divenire e la struttura matematica della materia, ma dicono in molteplici modi che esiste un unico Dio e che il mondo non è l’arena di potenze oscure, ma la creazione della sua parola. Questo però non significa che le singole disposizione del testo biblico perdano ora qualsiasi significato e che rimanga per così dire valido solo questo nucleo.

Anch’esse sono un’espressione di verità, anche se naturalmente in modo diverso dalla fisica e dalla biologia. Esse sono verità nella maniera del simbolo, nella maniera in cui, per esempio, una vetrata gotica ci permette di conoscere qualcosa di molto profondo mediante il gioco delle sue luci e dei suoi segni.

Mi limiterò a illustrare due elementi.

Primo. Il racconto biblico della creazione è contraddistinto da numeri che esprimono non la struttura matematica del mondo bensì, per così dire, il modello intrinseco del suo tessuto, l’idea secondo cui è costruito. I numeri dominanti sono il 3, il 4, il 7, il 10.

Dieci volte leggiamo nel racconto della creazione: «Dio disse». In tal mondo esso prelude già alle dieci parole, ai dieci comandamenti. Ci fa capire che i dieci comandamenti sono l’eco della creazione, non regole arbitrarie con cui si limita la libertà dell’uomo; sono introduzione allo spirito, al linguaggio e al senso della creazione; sono linguaggio tradotto del mondo, logica tradotta di Dio, che ha costruito il mondo.

Il numero dominante è il 7; con lo schema dei sette giorni dà una caratterizzazione tipica al tutto. Si tratta del numero di una fase lunare; questo racconto ci dice allora che il ritmo dell’astro a noi vicino ci indica anche il ritmo della vita umana.

Veniamo così a sapere che noi uomini non siamo prigionieri del nostro piccolo io ma siamo immersi nel ritmo dell’universo; che possiamo apprendere dal cielo anche il ritmo, il movimento della nostra vita e possiamo così inserirci nel movimento razionale dell’universale. Nella Bibbia questo pensiero avrà un ulteriore sviluppo nell’affermazione che il ritmo degli astri è in senso più profondo espressione del ritmo del cuore, del ritmo dell’amore di Dio che ivi si manifesta (3).

– Creazione e culto

Siamo così giunti al secondo elemento figurativo del racconto della creazione, su cui voglio dire qualcosa. In esso non incontriamo infatti solamente il ritmo settennale e il suo significato cosmico; questo ritmo sta piuttosto al servizio di un’affermazione che ci spinge ancor più a fondo: la creazione è orientata al sabato, che è il segno dell’alleanza di Dio con l’uomo.

Dovremo ritornare su questo punto in maniera ancor più precisa. Per il momento possiamo trarne questa conseguenza: la creazione è edificata in modo da tendere all’ora dell’adorazione. Il creato venne fatto per essere un luogo di adorazione. Esso giunge al proprio compimento, diventa quello che deve essere, se viene continuamente vissuto in ordine all’adorazione. Il creato esiste per adorare.

«Operi Dei nihil praeponatur», scrisse san Benedetto nella sua regola: «Nulla si anteponga al culto di Dio». Queste parole non sono l’indice di una pietà esaltata, ma la traduzione pura e oggettiva del racconto della creazione, del suo messaggio per la nostra vita. Il centro autentico, la forza che muove e ordina dall’interno il ritmo delle stelle e della nostra vita è l’adorazione. Solo quando ne è permeato, il ritmo della nostra vita trova il suo giusto equilibrio.

In fondo tutti i popoli lo hanno sempre saputo. In tutte le culture i racconti della creazione tendono ad affermare che il mondo esiste per il culto, per la glorificazione di Dio. Questa unità delle culture, circa le domande più profonde che agitano l’uomo, è qualcosa di molto prezioso. Conversando con i vescovi africani e asiatici, in modo particolare nel corso dei Sinodi dei vescovi, mi rendo continuamente conto, e spesso in maniera sorprendente, che le grandi tradizioni dei popoli presentano una unità profonda con la fede biblica. Esse racchiudono un sapere umano originario che è aperto anche nei confronti di Cristo.

Il pericolo delle nostre civiltà tecniche risiede nell’aver tagliato i ponti con questo sapere originario, nella saccenteria di una scientificità malintesa che ci impedisce di ascoltare le direttive della creazione. Esiste un sapere originario comune, che indica la strada e unisce le grandi culture.

Naturalmente dobbiamo aggiungere con onestà: questo sapere è stato di continuo deformato. Le religioni del mondo conoscono una grande idea: il mondo esiste per l’adorazione. Tale idea è però in larga misura deformata dalla convinzione che  nell’adorazione l’uomo dà agli dei qualcosa di cui essi hanno bisogno.

Si pensa che la divinità abbia bisogno di questo servizio da parte degli uomini e che in tal modo il culto sostenga il mondo. Questo però apre le porte alla speculazione sul potere. L’uomo può dire ora: gli dèi hanno bisogno di me, quindi posso esercitare una pressione su di loro e in caso di necessità ricattarli. La pura relazione d’amore, quale l’adorazione dovrebbe sempre essere, si trasforma nel tentativo ricattatorio di impossessarsi del mondo. Così il culto finisce per falsare il mondo e l’uomo.

Perciò la Bibbia poté sì riprendere l’idea fondamentale dell’orientamento del mondo all’adorazione, ma nello stesso tempo dovette purificarla.

In essa, come abbiamo detto, questa idea compare nell’immagine del sabato. La Bibbia dice: il creato ha la struttura dell’ordinamento del sabato. A sua volta il sabato è la sintesi della Torah, la legge d’Israele. Ciò significa: l’adorazione porta in sé dei tratti morali. In essa è contemporaneamente racchiuso tutto l’ordinamento morale di Dio. Solo così essa è veramente adorazione.

Un secondo elemento interviene qui: la Torah, la legge, è espressione della storia che Israele vive con Dio, è espressione dell’alleanza; ma questa è a sua volta espressione dell’amore di Dio, del sì da lui detto all’uomo che ha creato, affinché questi ami e sia amato.

Così possiamo ora afferrare meglio quest’idea e dire: Dio ha creato il mondo per iniziare una storia di amore con l’uomo. Egli lo ha creato perché ci fosse l’amore. Dietro questa concezione emergono parole d’Israele, che passano direttamente nel Nuovo Testamento. A proposito della Torah, che incarna il mistero dell’alleanza, della storia di amore di Dio con gli uomini, leggiamo negli scritti giudaici: Essa era in principio, era presso Dio; per mezzo suo è stato fatto tutto ciò che fu fatto; essa era la luce, essa era la vita degli uomini.

Giovanni ebbe soltanto bisogno di applicare queste formule a colui che è la Parola viva di Dio, per dire: tutto è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1, 3). E già Paolo aveva detto: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1, 16; cfr. Col 1, 15-23).

Dio ha creato il mondo per poter diventare uomo e effondere il suo amore, per poi riversarlo anche su di noi e invitarci a corrispondere a tale amore.

– La struttura sabbatica della creazione (4)

Facciamo un altro passo ancora e domandiamoci: Come dobbiamo intendere più precisamente questo fatto? Il racconto della creazione presenta il sabato come il giorno in cui l’uomo, libero di adorare, partecipa alla libertà, al riposo e così anche alla pace di Dio. Celebrare il sabato significa celebrare l’alleanza, significa tornare all’origine ed eliminare tutte le impurità che la nostra opera vi ha introdotto.

Significa contemporaneamente anticipare un mondo nuovo, in cui non ci saranno più schivi né padroni ma solo figli liberi di Dio, un mondo in cui l’uomo, l’animale e la terra parteciperanno insieme fraternamente alla pace e alla libertà di Dio.

Da questa riflessione si è sviluppata la legislazione sociale dell’Antico Testamento basata sul fondamento che il sabato opera l’uguaglianza di tutti. Ciò viene esteso al di là del sabato settimanale, nel senso che ogni sette anni subentra un anno sabbatico, in cui la terra e gli uomini possono riposare. Quindi ogni sette volte sette anni ricorre il grande anno giubilare, in cui vengono condonati tutti i debiti e si rescindono compere e vendite. Ognuno si ritrova di nuovo all’inizio, il mondo si riceve nuovamente dalle mani di Dio.

L’importanza di questo ordinamento, purtroppo mai tradotto in pratica, risulta forse nel modo migliore da una breve osservazione del libro delle Cronache. Già nel corso della prima meditazione avevo ricordato quanto Israele avesse sofferto per l’esilio, un evento in cui Dio aveva come rinnegato sé stesso cancellando il proprio paese, il proprio tempo e il proprio culto. Dopo l’esilio la riflessione continuò.

Perché Dio ha potuto farci una cosa del genere? Perché questa punizione durissima, con cui Dio castiga quasi sé stesso? (Naturalmente nessuno poteva ancora presagire in quale misura egli si sarebbe accollata ogni punizione sulla croce e si sarebbe lasciato ferire dalla sua storia di amore con l’uomo). come è potuto accadere tutto questo?

La risposta del libro delle Cronache suona: i moltissimi peccati, contro cui erano insorti i profeti, non possono essere stati in ultima analisi un motivo sufficiente per una pena tanto smisurata. Il motivo deve risiedere in qualcosa di ancora più profondo, di ancora più radicale. Il libro delle Cronache risponde: «Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà durante tutto il tempo della desolazione fino al termine di settanta anni» (2Cr 36, 21).

Ciò significa: l’uomo ha ricusato il riposo di Dio, l’ozio davanti a lui, l’adorazione e la conseguente pace e libertà, ed è così caduto nella schiavitù del fare. Ha trascinato il mondo nella schiavitù del proprio attivismo e si è reso così schiavo. Perciò Dio è stato costretto a imporgli il sabato, ch’egli non voleva più. Con il rifiuto del ritmo della libertà e dell’ozio davanti a Dio l’uomo si è allontanato dalla propria somiglianza con lui e ha così calpestato il mondo. Per questo doveva essere staccato con la forza dall’ottuso attaccamento alla propria opera: per questo Dio doveva riportarlo al suo senso più autentico e liberarlo dal dominio dell’azione. «Operi Dei nihil praeponatur»: prima l’adorazione, la libertà e la pace di Dio. Solo così l’uomo può veramente vivere.

_09 Dio Creò Cielo e terra Ratzinger 3– Sfruttamento della terra?

Così siamo giunti a un’ultima considerazione. Una proposizione del racconto della creazione ha ancora bisogno di essere spiegata in maniera particolareggiata. Penso al celebre versetto 28 del primo capitolo della Genesi, all’ordine impartito da Dio agli uomini: «Soggiogate la terra!».

Da un po’ di tempo questa frase è diventata il punto di partenza degli attacchi al cristianesimo. A causa delle terribili conseguenze di questo imperativo, il cristianesimo si sconfesserebbe sa solo, sarebbe il responsabile di tutta la miseria dei nostri giorni.

Il Club di Roma, che una decina d’anni fa scosse dalle fondamenta la fede nel progresso del periodo postbellico denunciando con accenti apocalittici i limiti della crescita, ha sviluppato la sua critica della civiltà, divenuta nel frattempo una corrente culturale, anche come critica del cristianesimo, che sarebbe la radice di questa civiltà dello sfruttamento. Il compito assegnato agli uomini di sottomettere la terra avrebbe avviato quel cammino funesto di cui oggi cominciamo a vedere l’amara conclusione.

Nella scia di queste idee uno scrittore di Monaco di Baviera parlò di «conseguenza funeste del cristianesimo», un’espressione che da allora viene volentieri ripetuta. Quel che abbiamo appena esaltato: il mondo divinizzato e razionalizzato con la fede nella creazione; il sole, la luna e le stelle non più divinità grandi e inquietanti, ma semplici lampade; gli animali e le piante private del loro carattere mitico, tutto questo diviene ora capo d’accusa del cristianesimo.

Proprio il cristianesimo avrebbe degradato le grandi potenze fraterne del mondo al rango di semplici oggetti d’uso e avrebbe così indotto ad abusare delle piante, degli animali, delle energie del mondo in genere, alimentando una ideologia della crescita, che pensa e si interessa solo a sé stessa.

Che dire al riguardo?

Il compito affidato dal Creatore all’uomo dice che questi deve prendersi cura del mondo come creazione di Dio, seguendone il ritmo e la logica. Il senso di tale compito è precisato nel capitolo successivo della Genesi con la parole «lavorare e custodire» (Gn 2, 15).

Tende dunque a introdurre nel linguaggio stesso della creazione, significa che la creazione è portata ad essere ciò di cui è capace e a cui è chiamata, ma non che essa è stravolta contro sé stessa. La fede biblica comporta soprattutto che l’uomo non si chiuda in sé stesso, che sia consapevole di trovarsi inserito nel grande corpo della storia, che deve alla fine diventare il corpo di Cristo. Il passato, il presente e il futuro devono incontrarsi e compenetrarsi in ogni vita umana. Soltanto il nostro tempo doveva cadere in quel tormento di narcisismo che taglia in uguale misura i ponti con il passato e con il futuro e vuole soltanto il presente.

Ora, però, dobbiamo domandarci: come si è giunti a questa esasperata mentalità attivistica e assetata di dominio, che oggi ci minaccia tutti?

Un primo bagliore della nuova mentalità si manifesta nel corso del Rinascimento, ad esempio in Galileo, quando afferma: qualora la natura non risponda spontaneamente alle nostre domande e non disveli i proprio segreti, la metteremo alla tortura e con un doloroso interrogatorio le strapperemo le risposte che non vuol darci di sua spontanea volontà.

La costruzione degli strumenti delle scienze naturali è per lui come la preparazione di strumenti di tortura, con cui l’uomo, in qualità di signore assoluto, si procura le risposte che vuole avere da questa accusata.

La nuova mentalità ha naturalmente assunto forme concrete e storicamente efficaci solo più tardi e, in misura piena, con Karl Marx. Fu lui a dire all’uomo di non occuparsi più della sua origine e della propria derivazione, in quanto si tratterebbe di una questione insulsa.

Con questo Marx intende eliminare la questione razionale dell’origine e del progetto del mondo di cui abbiamo parlato all’inizio, perché la creazione con la sua intrinseca razionalità è il messaggio più forte e invincibile del Creatore, da cui non possiamo mai emanciparci.

Poiché la questione della creazione non può essere ultimamente risolta se non rifacendosi allo Spirito creatore, la questione stessa viene dichiarata assurda. Ciò che conta non è la creazione creata; solo l’uomo deve produrre la vera creazione, quella che poi servirà a qualcosa. La trasformazione è perciò il compito fondamentale dell’uomo, il progresso è la verità autentica, mentre la materia è il materiale con cui l’uomo crea quel mondo in cui varrà la pena di vivere(5). È stato Ernst Bloch a portare quest’idea a una forma inquietante.

Secondo lui la verità non è quel che conosciamo; la verità sta solo nel cambiamento. Di conseguenza la verità è ciò che si impone e la realtà è coerentemente una «guida all’intervento e un addestramento all’attacco» (6). Essa ha bisogno di un «polo concreto di odio» (7), affinché troviamo lo slancio necessario per cambiare. Così per Bloch il bello non è lo splendore della verità delle cose, bensì il preludio del futuro verso cui andiamo e che noi stessi fabbrichiamo.

Perciò, così egli conclude, la cattedrale del futuro sarà il laboratorio, le chiese di San Marco della nuova era saranno le centrali elettriche. Allora non avremo più bisogno di distinguere fra domenica e giorni feriali, non avremo più bisogno di sabati, perché l’uomo sarò in tutto il creatore di sé; allora smetterà anche di affaticarsi solo per dominare o plasmare la natura; rappresenterà la natura stessa come cambiamento (8).

Qui troviamo formulato con chiarezza difficilmente reperibile altrove il tormento del nostro tempo. Prima l’uomo poteva trasformare solo determinate cose della natura. La natura in quanto tale non era oggetto, bensì presupposto della sua azione. Ora la natura stessa nel suo complesso è nelle sue mani, ma in questo modo egli si vede esposto improvvisamente al pericolo più grave per la sua esistenza.

Il punto di partenza sta in quell’atteggiamento che vede la creazione solo come un prodotto del caso e della necessità. La creazione non ha di per sé alcun diritto e non può fornire alcuna indicazione. È messo a tacere il ritmo intrinseco, di cui parla il racconto della Sacra Scrittura, il ritmo dell’adorazione, che è il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo.

Oggi evidentemente tocchiamo con mano i risultati spaventosi di un simile atteggiamento. Percepiamo una minaccia che non è un futuro lontano, ma ci riguarda direttamente e personalmente.

L’umiltà della fede è scomparsa; l’orgoglio del fare ha fatto fallimento; così va prendendo piede un nuovo atteggiamento non meno deleterio, un atteggiamento che vede l’uomo come un guastafeste che rompe tutto e che è il vero parassita e la vera malattia della natura. L’uomo non ha più simpatia per se stesso, preferirebbe ritirarsi, affinché la natura ritorni sana.

Ma neppure così ripristiniamo il mondo, perché contraddiciamo il Creatore anche quando non vogliamo più essere gli uomini che egli ha voluto. In questo modo non guariamo la natura, bensì distruggiamo noi e con noi il creato. Lo priviamo della speranza, che è in esso insita, e della grandezza a cui è chiamato.

Pertanto la via cristiana rimane l’unica che veramente salva. In essa è presente la convinzione che possiamo essere realmente «creativi» solo in unità con il Creatore del mondo. Possiamo servire veramente la terra solo se ci poniamo di fronte a essa secondo le indicazioni della parola di Dio. Allora possiamo realmente far progredire noi stessi e il mondo.

«Operi Dei nihil praeponatur»: non bisogna preferire nulla all’opera di Dio, non bisogna anteporre nulla al culto di Dio. Questa frase è la vera legge della conservazione della creazione contro la falsa adorazione del progresso, contro l’adorazione del cambiamento che calpesta il mondo e il creato allo stesso tempo, impedendo loro di raggiungere il proprio fine.

Soltanto se il Creatore è il vero redentore dell’uomo, solo se abbiamo fiducia nel Creatore camminiamo verso la redenzione del mondo, dell’uomo e delle cose.

Amen.

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NOTE

(*) tratto da Joseph Ratzinger – Benedetto XVI – In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato –  Lindau, Torino 2006

Note al testo II Il senso dei racconti biblici della creazione

(1) A. Einstein – ED. Il mondo come lo vedo io, Newton Compton, Roma 2005; cfr J. Ratzinger – Introduzione al cristianesimo – Queriniana, Brescia  1969 pag.112

(2)  J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano 1971

(3) Per l’esegesi del racconto della Genesi, oltre al commento fondamentale di Westermann, ricordiamo: G. von Rad, Des erstre Buch Mose (ATD 2-4), Göttingen 19647; J. Scharbert, Genesis 1-11, Würzburg 1983.

(4) Osservazioni importanti al riguardo in K.-H. Schwarte, Die Vorgeschichte dei augustinischen Weltalterlehre, Bonn 1966, pp. 220-256.

(5) Cfr. Joseph Ratzinger, Conseguenze della fede nella creazione. Lectio Magistralis tenuta il 14 marzo 1979 in occasione della festività di San Tommaso d’Aquino presso la Facoltà di teologia cattolica dell’Università di Salisburgo, in Idem, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, pp. 107-136.

(6) Desumo le citazioni seguenti dall’illuminante libro di F. Hartl, Der Begriff des Schöpferischen. Deutungsversuche der Dialektik durch Ernst Bloch und Franz von Baader, Frankfurt 1979; cfr. Prinzip Hoffnung, Frankfurt 1959, vol. V, pp. 74-80, 319.

(7) «Senza scissione nell’amore, mediante un polo di odio altrettanto concreto, non si dà amore autentico; senza la parzialità del punto di vista rivoluzionario classista si dà solo un idealismo rivolto al passato anziché una prassi rivolta al futuro» (E. Bloch, Prinzip Hoffnung cit., p. 318; F. Hartl, Der Begriff cit., p. 80).

(8) «Markuskirche und Elektrizitätswerke»: Prinzip Hoffnung cit., p. 928 ss.; «Verzicht auf abgetrennte Sonn-und Feiertage», ivi, p. 1071 ss.; cfr. Hartl, Der Begriff cit., pp. 109-146, specialmente le pp. 130 e 142. Altro materiale interessante dall’area del pensiero marxista in J. Pieper, Zustimmung zur Welt. Eine Theorie des Festes, München 19642, p. 133 ss

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INDICE

Premessa di Joseph Ratzinger – p. 7

I. Dio creatore – p. 13

La distinzione tra forma e contenuto del racconto della creazione – p. 17

L’unità della Bibbia come criterio di interpretazione – p. 21

Il criterio cristologico – p. 30

II. Il senso dei racconti biblici della creazione – p. 37

La ragionevolezza della fede nella creazione – p. 39

Il significato permanente degli elementi simbolici del testo – p. 43

Creazione e culto – p. 45

La struttura sabbatica della creazione – p. 50

Sfruttamento della terra? – p. 52

III. La creazione dell’uomo – p. 61

L’uomo tratto dalla terra – p. 62

Immagine di Dio – p. 65

Creazione ed evoluzione – p. 71

IV. Peccato e redenzione – p. 83

Sul tema del peccato – p. 85

Limiti e libertà dell’uomo – p. 89

Il peccato originale – p. 97

La risposta del Nuovo Testamento – p. 101

Conseguenze della fede nella creazione – p. 107

 

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