Un sacerdote compie lo studio più approfondito su come si è arrivati a concedere la distribuzione della comunione in mano che Paolo VI e la maggioranza dei vescovi bocciò. Anzitutto con un indulto che doveva essere rivolto solo a quelle diocesi dove si commettevano abusi. Ma poi la “moda” è dilagata. Resta il fatto che la ricezione della comunione in ginocchio e in bocca sia legge universale della Chiesa, la forma consuetudinaria attuale sia solo frutto di una concessione.
di Luisella Scrosati (25-03-2018)
Don Federico Bortoli è attualmente parroco della parrocchia Sant’Andrea Spostolo in Acquaviva, Diocesi di San Marino Montefeltro. È inoltre Cancelliere vescovile, Vicario giudiziale e consulente ecclesiastico dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti. Presso il Tribunale Ecclesiastico Flaminio di Bologna è Difensore del Vincolo. Il libro La distribuzione della Comunione sulla mano, pubblicato lo scorso 22 febbraio è la sua tesi di Dottorato in Diritto Canonico. È su questo importante tema che lo abbiamo intervistato.
Il documento di riferimento relativamente alla distribuzione della S. Comunione sulla mano è l’Istruzione della Sacra Congregazione per il Culto Divino Memoriale Domini (29 maggio 1969, d’ora in avanti MD), voluta da Paolo VI. Sinteticamente, ci può dire perché nasce questo documento e quali indicazioni contiene?
Il documento nasce perché, negli anni immediatamente successivi al Vaticano II, si era diffuso in alcuni paesi l’uso di ricevere la Comunione sulla mano. Si trattava evidentemente di un abuso liturgico, che metteva le sue radici proprio in quei paesi in cui già si erano registrate problematiche dottrinali relative al mistero della Santa Eucaristia: Belgio, Olanda, Francia e Germania. La Santa Sede, non riuscendo a fermare questo abuso, decise di consultare tutti i vescovi sulla questione. Questa decisione di Paolo VI permette già di capire l’importanza dell’argomento. Lo dico, perché diverse persone ritengono che si tratti di un aspetto marginale, non importante.
E cosa risultò da questa consultazione?
La maggioranza dei vescovi espresse la propria contrarietà nei confronti dell’introduzione di questa pratica. MD recepì l’esito della consultazione e confermò che la norma universale per ricevere la Comunione è appunto quella di riceverla direttamente sulla lingua, dandone profonde argomentazioni. Nel contempo, però, consentiva alle Conferenze Episcopali di quei territori in cui l’abuso si era già verificato di poter chiedere un indulto per la Comunione sulla mano, se il proprio episcopato, riunito per votare sulla questione, avesse raggiunto la maggioranza dei due terzi.
MD conferma quindi che le due modalità di ricevere l’Eucaristia non sono sullo stesso piano?
Assolutamente. Nel libro riporto integralmente l’Istruzione, dalla cui lettura si comprende chiaramente che la disciplina ritenuta tradizionale e universale è quella della Comunione in bocca, perché “poggia su di una tradizione plurisecolare, ma specialmente perché esprime e significa il riverente rispetto dei fedeli verso la santa Eucaristia”. Inoltre perché “si evita il pericolo di profanare le specie eucaristiche”. Il documento non equipara le due forme. La Comunione sulla lingua è raccomandata ed è considerata il modo più consono per ricevere l’Eucaristia, mentre la Comunione sulla mano è consentita, a patto che si osservino certe precauzioni, come quello di controllare se rimangono dei frammenti sul palmo della mano.
L’altro aspetto dell’Istruzione che lei mette in risalto nel suo libro è il fatto che l’indulto non doveva essere concesso a chiunque lo chiedesse, ma solo a quelle Conferenze Episcopali nel cui territorio si erano già verificati degli abusi.
Esatto. La richiesta poteva essere fatta solo in quelle situazioni in cui c’era l’abuso di ricevere la Comunione sulla mano. Dove questo non c’era, l’indulto non poteva essere richiesto. Cos’è accaduto, però? Che all’inizio si è osservato questo criterio; poi, quasi tutte le Diocesi hanno chiesto e ottenuto l’indulto, anche dove non c’era questa necessità. Il cardinal Knox, che era allora Prefetto del Culto Divino, accolse anche le domande di altre conferenze episcopali. E’ un fatto che l’interpretazione della MD da parte del Cardinale non è stata corretta.
Nel suo libro, lei fa notare che nel gennaio 1977, Paolo VI, tramite il cardinal Villot, chiese al cardinal Knox di rendergli nota la situazione relativa alla concessione degli indulti, alla modalità della loro applicazione ed anche di verificare se, in seguito all’applicazione dell’indulto, si fossero verificati abusi, profanazioni, o se fosse diminuita la devozione dei fedeli verso l’Eucaristia. Ma il Cardinale sembrò minimizzare molto i problemi reali…
I papi, Paolo VI prima e Giovanni Paolo II poi, avevano colto la problematica, anche grazie alle segnalazioni del cardinal Bafile. Nonostante ciò, il cardinal Knox ha proseguito per la sua strada, sminuendo quanto il cardinal Bafile aveva chiaramente messo in evidenza. Paolo VI non chiese a Knox di valutare i suggerimenti del cardinal Bafile, ma di pensare a come applicarli concretamente. Questi suggerimenti erano in sostanza la sospensione della concessione di nuovi indulti, la necessità di ricordare che la pratica della Comunione sulla mano è comunque sconsigliata dalla Chiesa e che, laddove l’indulto non era stato concesso, essa costituiva anche un abuso.

Quello che passa di fatto, soprattutto a partire dall’articolo pubblicato da padre Annibale Bugnini sull’Osservatore Romano (1973), da lei segnalato, è che la nuova prassi sia addirittura migliore, più fedele al modo antico di ricevere l’Eucaristia…
L’idea di MD era quella di legalizzare l’abuso, laddove non si riusciva a sconfiggerlo; ma veniva comunque richiesta una catechesi secondo il testo dell’Istruzione, una catechesi che cioè doveva mettere in luce i pregi della pratica di ricevere la Comunione in bocca ed i rischi che si correvano con la nuova prassi, in primis la dispersione dei frammenti. Le catechesi non dovevano promuovere la Comunione sulla mano, come di fatto si è verificato, ma in qualche modo sconsigliarla, pur senza proibirla. Ancora oggi, si parla della Comunione sulla mano come il modo migliore, fedele alle origini e fedele alla Riforma liturgica. Un punto fondamentale del libro è quello di dimostrare che invece Sacrosanctum Concilium non ne parla affatto. E neppure ne parlano i documenti successivi, né il nuovo Messale Romano, ma solo MD, che la pone nei termini di indulto. Certamente l’articolo di Bugnini ha dato una direzione, ma estranea ai testi del Concilio.
Dopo MD, non ci sono stati altri documenti espliciti. Allo stato attuale, quali sono allora le disposizioni della Chiesta relativamente alla distribuzione della Comunione?
Risulta particolarmente esemplificativo il documento che riporto in Appendice di mons. Bialasik, Vescovo della Diocesi di Oruro, che afferma chiaramente che la Comunione in bocca è la legge universale della Chiesa, come stabilisce la MD. Quindi la Comunione sulla lingua è legge universale, mentre quella sulla mano è un indulto, un’eccezione. L’altro riferimento fondamentale, oltre a MD, è Redemptionis Sacramentum, 92, che parla del diritto del fedele di ricevere la Comunione sulla lingua, ed anche in ginocchio
Anche nella catechesi, soprattutto ai bambini, bisognerebbe insegnare il modo proprio di ricevere l’Eucaristia, cioè quello sulla lingua…
Esatto. Si dovrebbe chiaramente dire che il modo migliore per ricevere l’Eucaristia è in bocca e se proprio si vuole ricevere la Comunione sulla mano, di farlo con la maggior attenzione possibile. Io, come parroco, chiaramente non posso proibire, ma posso sconsigliare, far presenti le problematiche ed educare. Va però anche detto che la stessa Redemptionis Sacramentum, 91, stabilisce che “se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli”.
Un altro aspetto che lei mette bene in luce è il fatto che l’ottenimento dell’indulto da parte di una Conferenza Episcopale non comporta l’obbligo, da parte dei singoli Vescovi, di applicarlo.
Questo è un altro aspetto fondamentale. L’ottenimento dell’indulto da parte della Conferenza episcopale non comporta la sua automatica applicazione nelle singole diocesi. Semplicemente esso è il presupposto per cui un vescovo possa decidere di avvalersi o meno dell’indulto. In Italia è invece avvenuto il contrario: si è pensato che l’indulto concesso alla CEI autorizzasse la recezione della Comunione sulla mano in tutte le diocesi d’Italia. Ma non è così. Ogni vescovo può decidere se applicarlo e in quale modalità. Il Vescovo di Oruro, per esempio, nel gennaio del 2016 ha emanato un decreto con il quale ha proibito sul territorio della sua diocesi che si ricevesse la Comunione sulla mano. Questo potrebbe farlo ogni vescovo; anzi, a rigor di logica, senza un decreto dei singoli vescovi con cui si dichiara di voler recepire l’indulto ottenuto dalla Conferenza episcopale, la Comunione sulla mano non è lecita. Anche mons. Laise, in Argentina, non ha recepito l’indulto. È stato accusato dagli altri vescovi di non essere in comunione con loro; lui, allora si è rivolto alla Santa Sede, che gli ha dato ragione.

Il suo libro è impreziosito dalla pubblicazioni di inediti…
Senza dubbio, la novità principale e più importante del libro è quella di far conoscere la documentazione inedita del Fondo Ghiglione, dove si descrivono le dinamiche con cui è stata introdotta la Comunione sulla mano. Si tratta di comunicazioni epistolari tra i vari Dicasteri della Curia romana, di segnalazioni pervenute alla Santa Sede e soprattutto la parte più corposa di queste comunicazioni riguarda gli scritti del cardinal Domenico Bafile, che è stato prima Nunzio in Germania – e quindi proprio in uno di quei luoghi in cui l’abuso si è presentato precocemente, rendendosi conto di tutte le problematiche connesse -, e poi Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Nel libro riporto gli scritti inviati a Paolo VI e a Giovanni Paolo II, che manifestano la sua preoccupazione per la diffusione della Comunione sulla mano, le problematiche connesse, ed indicano anche dei passi concreti da mettere in atto. La preoccupazione maggiore del Cardinale era la dispersione dei frammenti, pressoché inevitabile con la Comunione sulla mano. E poi il fatto di favorire irriverenze verso l’Eucaristia, nonché l’indebolimento della fede nella Presenza reale. Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II hanno dato ampio credito alle segnalazioni di Bafile. Ne è prova il fatto che il Santo Pontefice, il 24 febbraio 1980, pubblicò la Lettera Dominicae Cenae, dove parlava esplicitamente di “deplorevoli mancanze di rispetto nei confronti delle specie eucaristiche”, legate alla pratica della Comunione sulla mano. Un mese dopo Giovanni Paolo II prese la grave e importante decisione di sospendere la concessione di nuovi indulti, considerando seriamente l’ipotesi di non concederne più in avvenire, anche se poi dal 3 aprile 1985 viene ripresa la concessione di nuovi indulti.
Forse la possibilità di concedere indulti, pur avendo Paolo VI espresso chiaramente l’insegnamento della Chiesa sulla modalità di ricevere l’Eucaristia e pur avendo indicato le limitazioni con cui dovevano essere concessi tali indulti (poi non rispettate), è stata comunque una porta aperta…
In effetti la possibilità di indulto è stata forse una debolezza. C’è una parte del libro in cui parlo del ruolo dell’autorità ecclesiastica, dove cerco di mostrare – col senno di poi – che la concessione dell’indulto ha in qualche modo permesso di arrivare alla situazione che è sotto gli occhi di tutti. Se si fosse semplicemente recepita la contrarietà della maggioranza dei vescovi consultati alla possibilità di ricevere la Comunione sulla mano, forse le cose sarebbero andate diversamente. E’ necessario tener presente la priorità di custodire nel miglior modo possibile l’Eucaristia dalla possibilità di dispersione dei frammenti e da altre possibili profanazioni, che sono chiaramente facilitate dalla nuova modalità concessa. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia, ha insegnato che “non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero” (n. 61). Quest’affermazione è decisiva.
Fonte: lanuovabq.it
LA DISTRIBUZIONE DELL’EUCARISTIA: DISCIPLINA DELLA CHIESA PRIMA E DOPO IL CONCILIO VATICANO II E GLI ABUSI DI INTERPRETAZIONE
Poche ore fa ho pubblicato un post che ha suscitato numerosi commenti sul tema della distribuzione dell’Eucaristia. Alcuni lettori hanno chiesto chiarimenti sulla presenza di laici, uomini o donne, incaricati di distribuire la Comunione durante la Messa, come nel caso osservato da Giacomo, che si domandava se fosse lecito per un fedele toccare il Corpo di Cristo. Maria Silvia ha giustamente ricordato la figura del ministro straordinario della Comunione, prevista dalle norme attuali ma legata a situazioni di vera necessità, purtroppo non sempre rispettate. Ugo ha posto la questione in termini più ampi, distinguendo tra la responsabilità dei pastori e quella delle pecore, e domandandosi quanto questa prassi sia coerente con la natura dell’Eucaristia. In filigrana è emersa una domanda di fondo: nella dottrina cattolica esiste, o è mai esistito, un divieto assoluto per i laici di toccare l’Eucaristia?
Prima del Concilio Vaticano II la regola era chiara e senza eccezioni ordinarie: solo i ministri ordinati, cioè vescovi, sacerdoti e diaconi, potevano distribuire la Comunione e toccare il Corpo di Cristo. Lo stabiliva il Codice di Diritto Canonico del 1917 (can. 845 §1) e la prassi liturgica lo confermava in ogni aspetto. La Comunione si riceveva in ginocchio e sulla lingua, dalle mani consacrate del sacerdote. Il contatto diretto dell’Ostia da parte di un laico era vietato, salvo rarissimi casi autorizzati dalla Santa Sede per indulto speciale. Ad esempio, in missioni isolate alcune religiose potevano portare la Comunione ai malati in assenza prolungata di sacerdoti, ma mai distribuirla pubblicamente nella Messa. Il fondamento teologico era semplice e profondo: il sacerdote, in forza dell’Ordine sacro, è configurato a Cristo Capo e Pastore e in questo ministero non solo consacra ma nutre il popolo di Dio con il Corpo del Signore.
Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa ha introdotto una possibilità nuova, regolata e limitata. Con l’istruzione Immensae caritatis (Paolo VI, 29 gennaio 1973), è stata istituita la figura del ministro straordinario della Comunione. È un fedele laico, uomo o donna, ritenuto idoneo e incaricato dal vescovo, che può distribuire l’Eucaristia in casi di vera necessità: assenza o impedimento del sacerdote e del diacono, numero molto elevato di comunicandi, malattia del celebrante. Si tratta di un ministero straordinario, cioè eccezionale, che non può diventare prassi abituale. Questa norma è ribadita oggi nell’Institutio Generalis Missalis Romani (n. 162) e nella Redemptionis Sacramentum (2004), che al n. 88 ammonisce: “L’uso di ministri straordinari della sacra Comunione non può mai diventare abituale”.
Parallelamente, a partire dal 1975, con indulti nazionali, si è diffusa la possibilità di ricevere la Comunione sulla mano. Anche in questo caso non si tratta di un obbligo ma di una facoltà concessa alle Conferenze Episcopali che ne hanno fatto richiesta, con precise norme di decoro e di fede.
Gli abusi di interpretazione nascono quando la norma viene piegata al giudizio soggettivo o alla comodità organizzativa. Alcuni esempi:
1. Ritenere che il mandato del vescovo equivalga a una ordinazione che rende il laico simile al sacerdote. Non è così: il mandato è un incarico temporaneo di supplenza, non un sacramento.
2. Usare i ministri straordinari come ordinari, anche quando il sacerdote è presente e in grado di distribuire la Comunione.
3, Giustificare l’uso dei ministri straordinari per motivi di rapidità, come se la velocità fosse il criterio principale nella liturgia.
4. Trascurare il significato teologico del gesto, riducendo la questione a un problema di logistica.
Il punto non è “chi può” in senso tecnico, ma come la Chiesa vuole che sia vissuto questo ministero: custodendo il legame tra il Sacramento dell’Ordine e l’Eucaristia, e assicurando che anche in casi straordinari il Mistero sia trattato con il massimo rispetto.
La disciplina cattolica è dunque chiara: ordinariamente la Comunione è distribuita solo dai ministri ordinati; i laici possono farlo in casi eccezionali, su mandato del vescovo, e per il tempo o la circostanza stabiliti. Qualunque uso diverso non è fedeltà al Concilio ma sua distorsione.
Al di là delle mani che la porgono, non dimentichiamo mai che nell’Eucaristia è Cristo stesso che si dona. E davanti a Lui, chiunque sia il ministro, il nostro posto resta sempre quello dell’adorazione e della gratitudine. Non è questione di mani che toccano, ma di cuori che adorano.
