L’icona della Madre di Dio “Salus Populi Romani” costituisce una delle immagini più venerate della Capitale. Custodita nella basilica di Santa Maria Maggiore, è meta incessante di pellegrinaggi.
«Un’icona non è mai riconducibile ad un quadro pittorico, quale che sia stato il genio artistico che lo ha prodotto, perché – a differenza di un semplice quadro, che sollecita lo sguardo dello spettatore a verificarne l’armonia e la bellezza – l’icona rende presente, a suo modo, la persona stessa che viene rappresentata. Non solo. Ma essendo l’icona carica dell’energia di fede che le è stata consegnata da tutti coloro che di fronte ad essa, e grazie ad essa, hanno rivolto il loro cuore al Signore, essa distribuisce, a tutti coloro che l’accostano con fede, ciò che essa stessa ha ricevuto. In particolare l’icona, questa icona – riconosciuta dalla Chiesa come occasione di particolari “mirabilia Dei” che noi chiamiamo abitualmente “miracoli” – riflette, riproduce e riversa nel cuore di chi le si rivolge con semplicità e con totale disponibilità alla volontà di Dio quelle stesse grazie delle quali fu pienamente gratificata la Vergine Madre di Dio, secondo la misura della fede di ciascuno.
L’icona autentica della “Salus Populi Romani” – e dunque non una riproduzione qualsiasi, come quelle che si portano spesso nei nostri portafogli – è carica di tutto questo. Infatti essa porta con sé l’eredità di fede delle generazioni cristiane che, sollecitate dall’archetipo al quale questa icona stessa rimanda, cioè alla Vergine Madre di Dio, hanno chiesto e ottenuto per fede: pace, sicurezza e salute come caparra della salvezza promessa a tutti da Gesù Suo Figlio, il Salvatore» (Innocenzo Gargano).
Con questi presupposti leggiamo un’icona molto cara ai romani, nella speranza che anche i visitatori e turisti possano conoscerla, ammirarla, magari pregarla.
L’ICONA
Si tratta di un’icona bizantina, ospitata, fin dal 1611, nella cappella Paolina, per volere di Paolo V, che fece edificare appositamente questa cappella – detta anche “Borghese” – per custodirvi la preziosa e venerata icona mariana. Essa rappresenta Maria che reca in braccio il Bambino Gesù, il quale con una mano benedice, e con l’altra sorregge un libro, probabilmente quello dei Vangeli. La Madre è raffigurata nel compimento dello stesso gesto, con la mano destra che tuttavia non è sollevata, ma si ricongiunge all’altra – nella quale tiene una pergamena arrotolata -, incrociando le braccia sulle piccole ginocchia del Figlio. Entrambi guardano nella stessa direzione, o meglio, è Maria che guarda nella medesima direzione indicata da Gesù. Si tratta di una Madonna “Odigitria”, ossia di “colei che indica la via”. In effetti la Salus Populi Romani presenta elementi tipici dell’iconografia dell’Odigitria, ossia:
– la stella a forma di croce, con quattro punti tra gli spazi. Essa è simbolo di verginità e si trova sul velo che avvolge il capo della Vergine;
– i colori delle vesti: la Madonna indossa un manto molto scuro, al di sotto del quale si intravede una tunica blu, mentre il Figlio indossa una veste gialla, simbolo della sua regalità;
– la posizione delle gambe del Bambino, che sono incrociate per indicarne la morte di Croce;
– le lettere greche che indicano la Divina Maternità di Maria, ossia “MP” e “OY”, abbreviazione di «Mater Theou», Madre di Dio.
L’icona è caratterizzata anche da alcune divergenze, rispetto all’iconografia classica dell’Odigitria.
In primo luogo, ella indica la via non con il gesto delle mani, ma stringendo a sé il Figlio. È proprio Gesù la via, per il credente. Non è allora casuale che le mani della Vergine siano disposte “a croce” (incrociate) sulle ginocchia del piccolo Gesù.
L’opera è di datazione incerta, collocabile tra l’VIII e il XII secolo, periodo, quest’ultimo, per il quale si ha la più antica menzione storica. La Salus Populi Romani (“Salvezza del popolo romano”) è considerata la principale patrona della città; il suo nome deriva dalla consuetudine di portarla in processione per le vie romane per scongiurare pericoli e disgrazie, o per porvi fine, come nel caso delle pestilenze. Un documento del 1240 attesta che essa era nota in passato con il titolo di Regina Coeli.
Nell’antico rituale romano, l’icona, in occasione della festa dell’Assunzione di Maria al Cielo, veniva portata sulla porta della Basilica, per accogliere l’icona di Cristo “acheropita” (non dipinta da mano d’uomo), che era conservata nel “Sancta Sanctorum” della residenza papale al Laterano e che veniva, in quella stessa circostanza, portata processionalmente fino alla Basilica lateranense. In tal modo, simbolicamente, il Figlio rendeva omaggio alla Madre.
La tradizione vuole che l’icona sia stata dipinta da san Luca, ma sono due le versioni della “storia” di questa immagine tanto cara ai romani.
Le due versioni della tradizione sulla storia dell’icona
L’evangelista Luca avrebbe realizzato l’icona quale copia di un’immagine “acheropita” – che si trovava a Lidda, in Palestina – conosciuta come “La Madre di Dio di Lidda”. In quella città, Pietro e Giovanni, dopo aver convertito un numero considerevole di persone, avrebbero eretto una chiesa, dedicandola alla Madre di Dio e chiedendole di visitarla. La Madonna avrebbe detto «Andate con gioia, perché io sarò con voi». Al loro arrivo, gli Apostoli avrebbero trovato – su una delle colonne della chiesa – un’immagine della Vergine, non realizzata da mani d’uomo. In seguito la Vergine avrebbe visitato la chiesa, conferendo alla sua immagine la grazia di essere miracolosa. Secondo un’altra versione della tradizione, dopo la crocifissione di Cristo, la Vergine avrebbe portato con sé, nella casa di Giovanni, tutti i suoi beni, e, tra questi, anche una tavola di legno realizzata da Gesù nella bottega di san Giuseppe. Alcune pie vergini di Gerusalemme, successivamente entrate in possesso della tavola, avrebbero convinto san Luca a dipingervi il ritratto della Madre di Dio.
Le vicende “miracolose” legate all’immagine e il suo arrivo a Roma, sospeso tra leggenda e verità
Nel IV secolo, Giuliano l’Apostata, entrato a conoscenza della presenza di questa immagine, avrebbe minacciato di rimuoverla, ma essa sarebbe risultata resistente a ogni tentativo di rimozione, come se il colore della pittura avesse penetrato la stessa pietra della colonna.Questo prodigio avrebbe attirato attorno all’immagine un gran numero di fedeli. L’icona viene ricollegata, dalla tradizione, alla lotta iconoclasta contro le immagini sacre. Agli inizi del 700, proprio per tale motivo, essa sarebbe stata custodita da san Germano (particolarmente devoto a Maria Santissima), che l’avrebbe portata di nascosto a Costantinopoli, città in cui realmente egli fu proclamato Patriarca. Minacciata nuovamente sotto l’imperatore Leone l’Isaurico, che aveva destituito ed esiliato il patriarca, l’immagine, corredata di una lettera destinata al papa san Gregorio Magno, venne affidata alle acque del mare, che la condussero – in un giorno solo – a Roma. Qui sarebbe stata accolta proprio dal papa che, avvisato da un sogno premonitore, si sarebbe recato lungo le rive del Tevere, assieme al clero romano. Giunto sul luogo e postosi in preghiera, l’immagine sarebbe emersa dalle acque, e si sarebbe portata miracolosamente tra le sue mani.
In realtà, il Pontificale Romano lega l’immagine alla figura di sant’Elena, madre di Costantino, che l’avrebbe portata a Roma di ritorno da un viaggio in Terra Santa.
LA VENERAZIONE DEI PAPI
La leggenda che vincola l’icona alla figura di san Gregorio Magno sottolinea un legame realmente esistente tra questo papa e l’immagine mariana: fu proprio sotto il pontificato di Gregorio che ebbe luogo uno dei più grandi prodigi accaduti a Roma. La peste, scoppiata in città, aveva mietuto numerose vittime. «Il cardinale Cesare Baronio, storico della Chiesa, scrisse che fu papa Gregorio a portare l’icona nella basilica di Santa Maria Maggiore, nel 590, al termine di una processione per invocare la cessazione di una delle più gravi pestilenze dell’urbe. In quell’occasione fu visto sopra la Mole Adriana l’arcangelo Michele che riponeva la spada nel fodero.
La peste cessò e la Mole prese il nome di Castel Sant’Angelo» (Sandro Magister). In seguito, nel XVI secolo, la città fu sconvolta da un’altra pestilenza che ebbe fine – ancora una volta – per intercessione della Salus Populi Romani, portata in processione – da san Pio V – fino alla basilica di san Pietro. L’icona divenne così amata e venerata che i primi gesuiti missionari partirono recando con loro una riproduzione di questa immagine. La devozione dei papi per la Salus Populi Romani si è espressa anche attraverso un gesto simbolico, quello dell’incoronazione della rappresentazione della Vergine. Fu Papa Clemente VIII (1592-1605) il primo papa ad avviare questa tradizione.
Pio XI (1922-1939), in occasione del XV anniversario del Concilio di Efeso (1931) volle onorare solennemente la Theotokos, la “Madre di Dio” e, a seguito della pubblicazione dell’enciclica “Lux Veritatis” (1931), indisse a Roma un Congresso mariano, nel maggio dello stesso anno. In quell’occasione, l’icona venne solennemente portata in processione lungo via Merulana, da Santa Maria Maggiore a San Giovanni in Laterano. Proprio in piazza san Giovanni, accanto alla Scala Santa, si svolse l’incontro con l’immagine acheropita del Salvatore, come avveniva in passato, nell’antico rituale romano.
In seguito le due immagini fecero il loro ingresso nella Basilica Lateranense, dopo la recita della preghiera del Credo Niceno-costantinopolitano. All’interno della Basilica venne cantato il Magnificat, simbolo del gaudio della Vergine dinanzi al compimento – attraverso l’Incarnazione del Verbo Eterno – della salvezza promessa da Dio. Pio XII rese particolare omaggio alla Salus Popoli Romani in due grandi occasioni. In primis, egli volle che il 1 novembre 1950, allorché fu definito il dogma dell’Assunzione di Maria al Cielo, l’icona della fosse portata nella Basilica di San Pietro. Inoltre «la tradizione di onorare la statua della Madonna a Piazza di Spagna, il giorno dell’8 dicembre, per poi recarsi a venerare la Salus Populi Romani a Santa Maria Maggiore – tradizione rispettata da Giovanni XXIII in poi, ancora oggi – risale in realtà a Pio XII, che compì per la prima volta quell’omaggio, per inaugurare l’anno mariano, nel 1953. Racconta Suor Pascalina: “Il Santo Padre aveva una profonda e filiale fiducia nell’intercessione della Madonna, e appunto per questo proclamò l’Anno Mariano.
L’apertura di questo Anno Mariano ebbe luogo nella basilica di Santa Maria Maggiore l’8 dicembre 1953, e questo fu per lui un giorno di intensa gioia. Il pellegrinaggio sostò in Piazza di Spagna e poi il Santo Padre, nel rispettoso silenzio di una immensa folla di fedeli, recitò la preghiera per l’Anno Mariano, da Lui stesso composta. Il corteo proseguì, quindi, verso la Basilica, ove, innanzi all’immagine della Salus Populi Romani, ripeté la preghiera, alla quale, tra la commozione generale, seguì la Benedizione Urbi et Orbi” (Positio, pag. 90)» (Sito ufficiale della causa di canonizzazione di Pio XII).
In seguito, il Papa incoronò l’icona, in san Pietro, nel 1954, anno centenario della proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione di Maria. Giovanni Paolo II, nel 1987 indisse un anno mariano, in preparazione al Giubileo del 2000. In occasione della vigilia, che coincideva con la veglia di Pentecoste, il pontefice pregò il Rosario dinanzi all’icona della Salus Popoli Romani. in seguito, occasione della Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, ne affidò ai giovani una copia, che avrebbe accompagnato la Croce nel suo pellegrinaggio. Poi, a partire dalla GMG celebrata da Benedetto XVI nel 2005, l’icona è diventata una presenza “fissa” nel pellegrinaggio dei giovani.
L’IMPORTANZA DELLA “SALUS POPULI ROMANI” NELL’ARTE
La Salus Popoli Romani ha avuto grande influenza sull’iconografia e sull’arte cristiana in generale. Pur non potendo essere copiata, nel Medioevo, senza un permesso speciale, essa funse da modello per l’iconografia italiana fino al XV secolo e venne reinterpretata molto spesso anche in seguito, dagli artisti rinascimentali. Essa godette, inoltre, di particolare diffusione in Occidente, in modo speciale tra i Gesuiti, che furono promotori della sua riproduzione negli ambienti degli ordini mariani e che la diffusero anche in Cina, dove giunsero per primi quali missionari. Proprio nel Paese del Sol Levante, la Salus Popoli Romani rappresenta la più antica rappresentazione mariana conosciuta.
Ad attestare la diffusione dell’icona sono le cronache del gesuita Matteo Ricci, così come pure le lettere dei suoi compagni di missioni. Nel 1602, proprio Matteo Ricci donò una copia dell’icona all’imperatore Uanli, che ne rimase così tanto ammirato da prorompere in un’espressione riportata dallo stesso gesuita in una sua missiva: «Questa è madre di un Dio vivo!». L’imperatore volle che l’icona fosse collocata all’interno del suo palazzo e la onorò quotidianamente offrendole profumi e incensi, come attesta sempre la cronaca di padre Ricci. Una riproduzione della Salus Popoli Romani proveniente dalla missione del gesuita, si trova oggi al Field Museum di Chicago.
In Etiopia, l’icona divenne l’immagine standard della Vergine Maria, a partire dal XVI secolo. L’Etiopia era già un Paese dalla forte spiritualità mariana – tanto da essere definito “il feudo di Maria in Africa” – ma la diffusione dell’icona si originò, ancora una volta, grazie all’arrivo dei missionari gesuiti.
In Russia, la Salus Popoli Romani fu dipinta da Teofane il Greco, e fino al XVI secolo l’immagine rimase nella chiesa della Trasfigurazione a Novgrod, per esserne poi rimossa, cosa che si suppone dall’assenza di dati a essa relativi, all’interno delle pubblicazioni moderne su questa chiesa.
(fonte: Maria Rattà)
Benedetto XVI prende possesso della Basilica di San Giovanni
di Alessandro Renzo – Simona Santi/ 07/05/2005
Oggi pomeriggio alle ore 17.30, nella basilica di San Giovanni in Laterano, il papa presiede la celebrazione dell’Eucaristia in occasione dell’Insediamento sulla Cattedra di vescovo di Roma.
Concelebrano la Santa Messa con il Santo Padre 40 cardinali, 9 membri del Consiglio episcopale della diocesi, 16 canonici della basilica lateranense e 65 membri del Consiglio dei parroci prefetti. I canti saranno animati dai cori della Cappella musicale pontificia Sistina e della diocesi di Roma.
Tutti i fedeli romani potranno partecipare alla celebrazione, entrando in basilica dalla facciata principale di piazza di Porta San Giovanni, fin dalle ore 15 e senza necessità di biglietto. All’esterno della basilica, su piazza di Porta S. Giovanni dal Comune di Roma sono stati predisposti alcuni maxi-schermi per consentire anche a chi non avrà possibilità di accedere all’interno, di seguire la cerimonia.
La comunità ecclesiale della diocesi di Roma accoglie con questo rito il suo nuovo vescovo, successore dell’apostolo Pietro, che nella basilica cattedrale dedicata al Santissimo Salvatore e ai Santi Giovanni Battista ed Evangelista al Laterano, “madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”, si insedia sulla Cattedra dell’apostolo sul quale è stata fondata la Chiesa. Durante le intenzioni, una preghiera particolare verrà rivolta a Benedetto XVI perché “riceva in abbondanza lo spirito di sapienza e guidi la Chiesa a lui affidata”.
Spetterà al vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma, il card. Camillo Ruini, il compito di accogliere il pontefice ed esprimere la gioia della Chiesa di Roma per la presa di possesso di Benedetto XVI. “La Chiesa che è in Roma gioisce mentre sali per la prima volta alla tua Cattedra, che è la Cattedra romana di Pietro, sul quale è fondata la Chiesa”. Con questa formula il cardinale vicario accompagna il solenne atto di insediamento del nuovo papa. Successivamente il pontefice sale e siede alla sua Cattedra, vestito con gli abiti sacri, con la mitra e il pastorale.
Con l’ingresso del nuovo pontefice nella sua Cattedrale, si compiono i riti precedenti del solenne annuncio dell’Elezione e per il Solenne Inizio del ministero petrino del vescovo di Roma che hanno accentuato l’aspetto interecclesiale del ministero del papa come successore di Pietro nel governo della Chiesa. Con questa celebrazione conclusiva se ne pone in luce la radice ecclesiologica posta dalla Provvidenza di Dio nella Chiesa che è in Roma, da cui germina il “ministero petrino”.
Il rito si svolge nella basilica lateranense del Santissimo Salvatore, per antica consuetidudine additata quale “madre e capo di tutte le chiese della Città di Roma e del mondo”. Come ogni cattedrale, essa è tale per il riferimento alla Cattedra, il seggio episcopale dal quale il vescovo esercita il suo servizio dottrinale e liturgico.
La Cattedra attuale è stata realizzata nel secolo XIX, al tempo di papa Leone XIII che fece ampliare il presbiterio davanti all’abside.
Nel chiostro adiacente alla basilica cattedrale sono conservati i resti della Cattedra che risale al secolo XIII, al tempo di papa Nicolò IV, con la sedia pontificale del secolo V.
La “presa di possesso” della Cattedra significa emblematicamente il compito del vescovo nella Chiesa a lui affidata come Pastore, ma con una sollecitudine che lo fa attento a tutte le Chiese, in quanto membro del collegio episcopale, che succede in solidum al collegio apostolico per l’Ordinazione episcopale. Questo vale a maggior ragione e in senso più specifico per il papa. A motivo della peculiarità della sua successione apostolica, in quanto successore di Pietro, preposto da Cristo sugli altri Apostoli. L’esercizio del suo ministero episcopale si connota pertanto in senso precipuamente primaziale, con potestà pastorale su tutti i fedeli, senza che ciò nulla tolga al servizio che deve prestare alla Chiesa romana di cui è vescovo locale.
Come il rito dell’imposizione del Pallio e la consegna dell’Anello del Pescatore ha una connotazione cristologica, così l’insediamento sulla Cathedra Romana ha una dimensione pneumatologica. L’insediamento sulla Cattedra del Vescovo di Roma celebra lo Spirito di Dio che dà inizio e compimento a ogni cosa nella Chiesa e nel mondo.
All’inizio del rito di insediamento, al papa presta “obbedienza” una rappresentanza della Chiesa romana, composta da dodici persone: il cardinale arciprete della basilica lateranense, il card. Camillo Ruini; l’arcivescovo vicegerente, mons. Luigi Moretti, arcivescovo tit. di Mopta; un parroco, don Michele Baudena; un vice parroco, don Cristian Colella; un diacono permanente, don Luigi Bencetti; un diacono del seminario, don Giovanni Rezzesi; un religioso, fr. Lucio Galbersanini, s.m.; una religiosa, sr. Lorenzina Colosi, f.m.a.; una famiglia, Laura e Pietro Mariani con i figli Fabrizio e Sara; un ragazzo cresimato, Valerio Artusi; una ragazza cresimata; Fabiana Pagliacci.
Nello stesso giorno della “presa di possesso” della Cattedra nella basilica lateranense, nel percorso che lo riconduce in Vaticano, il Santo Padre compie una statio nella basilica liberiana di Santa Maria Maggiore.
Con questo ulteriore gesto, all’inizio del suo ministero, il Santo Padre rende omaggio all’Icona della Beata Vergine, Sancta Maria Salus Populi Romani, custodita nella cappella Borghesiana della basilica mariana all’Esquilino. È omaggio dovuta alla Madre del Signore, prima discepola e credente, supplice materne e potente. In forza del suo sì, sono state possibili le nozze tra il Verbo e l’umanità. Da sempre la comunità cristiana la venera e la invoca perché interceda a suo favore. L’atto di venerazione del nuovo papa – che nella breve sosta presenta un omaggio floreale all’Icona – si collega alla ininterrotta tradizione del devoto appellarsi del popolo di Roma alla Madre del Salvatore.
L’insediamento come Vescovo di Roma in San Giovanni in Laterano
Il Papa: «La libertà di uccidere è tirannia»
Benedetto XVI: « La parola di Dio non si può adattare o annacquare. L’uomo è inviolabile dal concepimento alla morte»
ROMA – Le parole più dure sono quelle raccolgono gli applausi più scroscianti: «La libertà di uccidere non è vera libertà ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù». Nel giorno del suo insediamento in San Giovanni in Laterano come Vescovo di Roma, Papa Benedetto XVI, nell’omelia, insiste sul ruolo preminente della fede sulla scienza, compresa quella dei teologi. E il messaggio sulla difesa della vita, anche senza riferimenti espliciti a casi concreti è facilmente interpretabile: «Il Papa deve vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e annacquamento. Lo fece Giovanni Paolo II quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabilie l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale». E quindi la conclusione: «La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù»
LIBERTA’ – Come aveva già fatto prima di diventare Papa, Ratzinger insiste sulla difesa della fede e delle sue verità rispetto alle mode, sia quelle apparentemente inoffensive sia a quelle che fondano vere e proprie scuole di pensiero. «La nostra capacità di comprendere è limitata – afferma -. Perciò la missione dello Spirito è di introdurre la Chiesa in modo sempre nuovo, di generazione in generazione, nella grandezza del mistero di Cristo». Benedetto XVI precisa che il Papa «non è un sovrano assoluto» e la sua «potestà di insegnamento» non è una minaccia alla «libertà di coscienza» né «una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero». Il potere conferito al Papa è un «mandato per servire ed essere testimone di Cristo risorto» . Ratzinger tende la mano alle aspirazioni ecumeniche di tutte le chiese cristiane e anche ai cattolici più riottosi verso il magistero pontificio. Riconosce l’importanza degli «esperti» e della ricerca biblica e teologica, ma sottolinea il «mandato più grande» che ha il Papa nell’insegnare la fede. «E’ responsabilità del Pontefice che la Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode».
«SIAMO TUTTI ROMANI» – Non mancano parole di ringraziamento ai fedeli presenti in chiesa: «Cari romani, adesso sono il vostro vescovo, grazie per la vostra generosità e grazie per la vostra simpatia, grazie per la vostra pazienza. In quanto cattolici, in qualche modo tutti siamo anche romani. In quanto cattolici, in qualche modo siamo tutti nati a Roma».
07 maggio 2005
Preghiera di Benedetto XVI alla Salus Polpuli Romani, 7 maggio 2005
Tutta Santa, degna di ogni onore,
Tu sei la migliore offerta
che l’umanità possa offrire a Dio.
Vergine Madre, sempre vergine Madre,
rivolgi una supplica materna al Tuo Figlio.
Porta la barca della Chiesa al porto,
evitando le insidie e superando le onde.
Proteggi questa città;
Confortate coloro che la raggiungono,
senza riparo o difesa,
ed estendono il Vostro sostegno a tutti.
Con fede Ti veneriamo, Madre di Dio;
Con amore Ti onoriamo;
speriamo di venire da Te
e per Te proclamare ogni beatitudine.
Tu, mia Signora, la Mia consolazione di Dio,
aiuto della mia inesperienza,
accogli la supplica che rivolgo a Te.
Tu, che per tutti sei fonte di gioia,
rendimi degno di esultare insieme a Te.
Guarda l’assemblea dei credenti,
Madre del Salvatore;
rimuovi disgrazie e afflizioni da loro;
liberali dal male e dal maligno;
proteggili con l’abbondanza della Tua benevolenza.
Al ritorno glorioso del Tuo Figlio, nostro Dio,
difendi con la Tua materna intercessione
la nostra fragilità umana
e accompagnaci alla vita eterna
con la Tua mano amorevole,
Tu che sei potente, per essere Madre.
Amen
Ave Maria.