“Responsum” CdF ad un dubbio sulla validità del Battesimo – 6.10.2020

“Responsum” della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubbio sulla validità del Battesimo conferito con la formula “Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, 06.08.2020
 
 
 


Recentemente la Congregazione per la Dottrina della Fede ha trattato alcuni casi di amministrazione del sacramento del Battesimo nei quali è stata arbitrariamente modificata la formula sacramentale stabilita dalla Chiesa nei libri liturgici.

Per tale motivo, il Dicastero ha preparato “Risposte a quesiti proposti”, con relativa “Nota dottrinale” che ne spiega il contenuto, per richiamare la dottrina circa la validità dei sacramenti connessa alla forma stabilita dalla Chiesa con l’uso delle formule sacramentali approvate, al fine di sottrarre la questione ad interpretazioni e prassi devianti e offrire un chiaro orientamento.

Testo in lingua italiana

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Traduzione in lingua portoghese

Testo in lingua italiana

RISPOSTE A QUESITI PROPOSTI

sulla validità del Battesimo conferito con la formula

«Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»

QUESITI

Primo: È valido il Battesimo conferito con la formula: «Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»?

Secondo: Coloro per i quali è stato celebrato il Battesimo con la suddetta formula devono essere battezzati in forma assoluta?

RISPOSTE

Al primo: Negativamente.

Al secondo: Affermativamente.

Il Sommo Pontefice Francesco, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, in data 8 giugno 2020, ha approvato queste Risposte e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 giugno 2020, nella Solennità della Natività di san Giovanni Battista.

Luis F. Card. Ladaria, S.I.
Prefetto

✠ Giacomo Morandi
Arcivescovo tit. di Cerveteri
Segretario

* * *

NOTA DOTTRINALE
circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo

Recentemente vi sono state celebrazioni del Sacramento del Battesimo amministrato con le parole: «A nome del papà e della mamma, del padrino e della madrina, dei nonni, dei familiari, degli amici, a nome della comunità noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». A quanto sembra, la deliberata modifica della formula sacramentale è stata introdotta per sottolineare il valore comunitario del Battesimo, per esprimere la partecipazione della famiglia e dei presenti e per evitare l’idea della concentrazione di un potere sacrale nel sacerdote a discapito dei genitori e della comunità, che la formula presente nel Rituale Romano veicolerebbe[1]. Riaffiora qui, con discutibili motivazioni di ordine pastorale[2], un’antica tentazione di sostituire la formula consegnata dalla Tradizione con altri testi giudicati più idonei. A tale riguardo già San Tommaso d’Aquino si era posto la questione «utrum plures possint simul baptizare unum et eundem» alla quale aveva risposto negativamente in quanto prassi contraria alla natura del ministro[3].

Il Concilio Vaticano II asserisce che: «Quando uno battezza è Cristo stesso che battezza»[4]. L’affermazione della Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, ispirata a un testo di sant’Agostino[5], vuole ricondurre la celebrazione sacramentale alla presenza di Cristo, non solo nel senso che egli vi trasfonde la sua virtus per donarle efficacia, ma soprattutto per indicare che il Signore è il protagonista dell’evento che si celebra.

La Chiesa infatti, quando celebra un Sacramento, agisce come Corpo che opera inseparabilmente dal suo Capo, in quanto è Cristo-Capo che agisce nel Corpo ecclesiale da lui generato nel mistero della Pasqua[6]. La dottrina dell’istituzione divina dei Sacramenti, solennemente affermata dal Concilio di Trento[7], vede così il suo naturale sviluppo e la sua autentica interpretazione nella citata affermazione di Sacrosanctum Concilium. I due Concili si trovano quindi in complementare sintonia nel dichiarare l’assoluta indisponibilità del settenario sacramentale all’azione della Chiesa. I Sacramenti, infatti, in quanto istituiti da Gesù Cristo, sono affidati alla Chiesa perché siano da essa custoditi. Appare qui evidente che la Chiesa, sebbene sia costituita dallo Spirito Santo interprete della Parola di Dio e possa in una certa misura determinare i riti che esprimono la grazia sacramentale offerta da Cristo, non dispone dei fondamenti stessi del suo esistere: la Parola di Dio e i gesti salvifici di Cristo.

Risulta pertanto comprensibile come nel corso dei secoli la Chiesa abbia custodito con cura la forma celebrativa dei Sacramenti, soprattutto in quegli elementi che la Scrittura attesta e che permettono di riconoscere con assoluta evidenza il gesto di Cristo nell’azione rituale della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha inoltre stabilito che nessuno «anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica»[8]. Modificare di propria iniziativa la forma celebrativa di un Sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un vulnus inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell’azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il Sacramento stesso, perché la natura dell’azione ministeriale esige di trasmettere con fedeltà quello che si è ricevuto (cfr. 1 Cor 15, 3).

Nella celebrazione dei Sacramenti, infatti, il soggetto è la Chiesa-Corpo di Cristo insieme al suo Capo, che si manifesta nella concreta assemblea radunata[9]. Tale assemblea però agisce ministerialmente – non collegialmente – perché nessun gruppo può fare di se stesso Chiesa, ma diviene Chiesa in virtù di una chiamata che non può sorgere dall’interno dell’assemblea stessa. Il ministro è quindi segno-presenza di Colui che raduna e, al tempo stesso, luogo di comunione di ogni assemblea liturgica con la Chiesa tutta. In altre parole, il ministro è un segno esteriore della sottrazione del Sacramento al nostro disporne e del suo carattere relativo alla Chiesa universale.

In questa luce va compreso il dettato tridentino sulla necessità del ministro di avere l’intenzione almeno di fare quello che fa la Chiesa[10]. L’intenzione non può però rimanere solo a livello interiore, con il rischio di derive soggettivistiche, ma si esprime nell’atto esteriore che viene posto, con l’utilizzo della materia e della forma del Sacramento. Tale atto non può che manifestare la comunione tra ciò che il ministro compie nella celebrazione di ogni singolo Sacramento con ciò che la Chiesa svolge in comunione con l’azione di Cristo stesso: è perciò fondamentale che l’azione sacramentale sia compiuta non in nome proprio, ma nella persona di Cristo, che agisce nella sua Chiesa, e in nome della Chiesa.

Pertanto, nel caso specifico del Sacramento del Battesimo, il ministro non solo non ha l’autorità di disporre a suo piacimento della formula sacramentale, per i motivi di natura cristologica ed ecclesiologica sopra esposti, ma non può nemmeno dichiarare di agire a nome dei genitori, dei padrini, dei familiari o degli amici, e nemmeno a nome della stessa assemblea radunata per la celebrazione, perché il ministro agisce in quanto segno-presenza dell’azione stessa di Cristo che si compie nel gesto rituale della Chiesa. Quando il ministro dice «Io ti battezzo…» non parla come un funzionario che svolge un ruolo affidatogli, ma opera ministerialmente come segno-presenza di Cristo, che agisce nel suo Corpo, donando la sua grazia e rendendo quella concreta assemblea liturgica manifestazione «della genuina natura della vera Chiesa»[11], in quanto «le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi»[12].

Alterare la formula sacramentale significa, inoltre, non comprendere la natura stessa del ministero ecclesiale, che è sempre servizio a Dio e al suo popolo e non esercizio di un potere che giunge alla manipolazione di ciò che è stato affidato alla Chiesa con un atto che appartiene alla Tradizione. In ogni ministro del Battesimo deve essere quindi radicata non solo la consapevolezza di dover agire nella comunione ecclesiale, ma anche la stessa convinzione che sant’Agostino attribuisce al Precursore, il quale «apprese che ci sarebbe stata in Cristo una proprietà tale per cui, malgrado la moltitudine dei ministri, santi o peccatori, che avrebbero battezzato, la santità del Battesimo non era da attribuirsi se non a colui sopra il quale discese la colomba, e del quale fu detto: “È lui quello che battezza nello Spirito Santo” (Gv 1, 33)». Quindi, commenta Agostino: «Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza»[13].

_________________________

[1] In realtà, un’attenta analisi del Rito del Battesimo dei Bambini mostra che nella celebrazione i genitori, i padrini e l’intera comunità sono chiamati a svolgere un ruolo attivo, un vero e proprio ufficio liturgico (cfr. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Praenotanda, nn. 4-7), che secondo il dettato conciliare comporta però che «ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia soltanto e tutto quello che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»: Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 28.

[2] Spesso il ricorso alla motivazione pastorale maschera, anche inconsapevolmente, una deriva soggettivistica e una volontà manipolatrice. Già nel secolo scorso Romano Guardini ricordava che se nella preghiera personale il credente può seguire l’impulso del cuore, nell’azione liturgica «deve aprirsi a un altro impulso, di più possente e profonda origine, venuto dal cuore della Chiesa che batte attraverso i secoli. Qui non conta ciò che personalmente gli piace o in quel momento gli sembra desiderabile…» (R. Guardini, Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich, 19482, p. 258; trad. it.: Introduzione alla preghiera, Brescia 2009, p. 196).

[3] Summa Theologiae, III, q. 67, a. 6 c.

[4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 7.

[5] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.

[6] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 5.

[7] Cfr. DH, n. 1601.

[8] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 22 § 3.

[9] Cfr. Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 1140: «Tota communitas, corpus Christi suo Capiti unitum, celebrat» e n. 1141: «Celebrans congregatio communitas est baptizatorum».

[10] Cfr. DH, n. 1611.

[11] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 2.

[12] Ibidem, n. 26.

[13] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.

[00923-IT.01] [Testo originale: Italiano]


 

video catechetico sui tre testi:

Ricordiamo di visualizzare anche il seguente articolo:

Benedetto XVI racconta i retroscena della “Dominus Iesus”

Quicúmque vult salvus esse, chiunque voglia salvarsi: Simbolo Atanasiano


 

In che condizioni è valido il battesimo fuori dalla Chiesa cattolica? (Documento 2015 CdF)

La comprensione del battesimo è fondamentale nel dialogo ecumenico

Il Battesimo è un sacramento istituito da Cristo con il quale la persona rinasce spiritualmente mediante l’abluzione con acqua e l’invocazione delle tre persone divine. Questo sacramento è alla base del movimento ecumenico, visto che è attraverso di esso che diventiamo cristiani.
Per la Chiesa cattolica romana, per movimento ecumenico “si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze” [1].
Il movimento ecumenico cerca l’unità dei cristiani intorno alla dottrina, ai sacramenti e al ministero. Ricordiamo che Gesù, il Cristo, voleva una sola Chiesa, e l’unità dei credenti è condizione affinché il mondo creda che Egli è il Messia [2].
Chiesa e sacramenti
La costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II afferma che “i sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati ‘sacramenti della fede’. Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità” [3].
Esiste uno stretto rapporto tra la Chiesa e i sacramenti, visto che sono atti della Chiesa e al di fuori di essa non ci sono sacramenti.
Il Direttorio Ecumenico del 1967 ribadiva quanto detto, dicendo che la celebrazione dei sacramenti è l’azione della comunità celebrante, che si realizza nella comunità in quanto tale e che manifesta la sua unità nella fede, nel culto e nella vita [4].
Il Battesimo riguarda la salvezza. È il modo ordinario di incorporarsi a Cristo e alla sua Chiesa. Dall’altro lato, è un mezzo di unione, una base di comunione tra tutti i cristiani [5].
Di fronte al Battesimo di altri cristiani, il Concilio Vaticano II dice: “Coloro (…) che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica… Giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore” [6].
Chi è cristiano?
La fede cristiana del Nuovo Testamento è la buona notizia per Israele e per le Nazioni [7], di modo che in Gesù Cristo si compie la promessa sul Servo di Yahvè, che era destinato ad essere Alleanza per Israele e luce per le Nazioni [8].
Gesù è più del Messia di Israele: è il vero profeta e mediatore della salvezza, visto che è il nuovo Adamo, di cui parla Paolo [9]. Per questo la Chiesa deve proclamare il seguente messaggio riconciliatore: che in Gesù, il Cristo, inizia la nuova creazione e che il mondo trova la sua unità, la sua salvezza e la sua pienezza in Lui [10].
Ai nostri giorni, di fronte alla proliferazione di gruppi che si definiscono “cristiani” e grazie agli accordi raggiunti dal movimento ecumenico, troviamo un consenso tra le varie Chiese e confessioni cristiane nel considerare i seguenti aspetti dottrinali come requisiti minimi perché un gruppo possa essere considerato cristiano:
1. Credere che Dio è Uno e Trino, ovvero Padre, Figlio e Spirito Santo.
2. Accettare Gesù Cristo come la seconda persona della Trinità e come Dio e vero uomo, che è morto e risorto per la nostra salvezza come espresso nella Bibbia.
3. Confessare che Gesù Cristo è il Mediatore tra Dio e le persone ed è il Signore Glorificato.
4. Confessare lo Spirito Santo come consustanziale al Padre e al Figlio e che è presente con la sua azione nella comunità cristiana.
5. Accettare che la Bibbia, sia l’Antico che il Nuovo Testamento, è la rivelazione di Dio al suo Popolo. Non esiste altro libro che sia uguale o superiore alla Bibbia.
6. Accettare e praticare il battesimo cristiano [11] come sacramento di iniziazione cristiana e mezzo di incorporazione alla Chiesa di Cristo.
7. Commemorare l’Ultima Cena o Eucaristia [12].
8. Credere e proclamare la fede nella resurrezione dei morti.
9. Non deve mancare una testimonianza di vita in base al Vangelo di Gesù Cristo [13].
Questa dottrina di base del cristianesimo si trova nei tre credo storici: quello degli apostoli, quello del primo Concilio di Nicea (325) e quello di Sant’Atanasio (“Quicumque”, V secolo).
Norme di cui tener conto per la validità del battesimo
Il Direttorio Ecumenico del 1993 spiega che “il battesimo per immersione, o per infusione, con la formula trinitaria è, in sé, valido. Di conseguenza, se i rituali, i libri liturgici o le consuetudini stabilite da una Chiesa o da una comunità ecclesiale prescrivono uno di questi modi di battezzare, il sacramento deve essere ritenuto valido, a meno che si abbiano fondate ragioni per mettere in dubbio che il ministro abbia osservato le norme della propria comunità o Chiesa” [14].
Dobbiamo dubitare del battesimo amministrato per aspersione collettiva. Non c’è sicurezza del fatto che il soggetto riceva l’acqua (la materia).
Il Codice di Diritto Canonico dice che “i battezzati in una comunità ecclesiale non cattolica non vanno battezzati sotto condizione, a meno che, esaminata la materia e la forma verbale usata nel conferimento del battesimo, considerata inoltre l’intenzione del battezzato adulto e del ministro battezzante” [15].
Il sacramento del battesimo non si può ripetere, visto che imprime carattere. È un sigillo spirituale e incancellabile che si imprime nel soggetto che lo riceve. Possiamo concludere che se il battesimo viene amministrato con acqua e in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è valido.
Quanto a chi amministra il battesimo, “la fede insufficiente di un ministro in ciò che concerne il battesimo, di per sé non ha mai reso invalido un battesimo. L’intenzione sufficiente del ministro che battezza deve essere presunta, a meno che non ci sia un serio motivo di dubitare che egli abbia voluto fare ciò che fa la Chiesa” [16]. Questo atteggiamento è sulla linea tradizionale della Chiesa cattolico-romana e si ritrova in Sant’Agostino, Innocenzo III…
Di fronte al battesimo sotto condizione
Dopo che un esame ha dimostrato che esiste un motivo serio per dubitare sulla materia, la formula indicata per il battesimo, l’intenzione del battezzato adulto e il ministro che ha battezzato, il rito deve essere compiuto in privato e spiegando le ragioni per realizzarlo [17].
Lo stesso Codice di Diritto Canonico dice che se ci sono seri dubbi sulla validità del battesimo si potrebbe battezzare sotto condizione [18].
I padrini
Come afferma giustamente F. Sampedro, in genere i padrini devono essere membri della Chiesa o comunità ecclesiale nella quale si celebra il battesimo, visto che sono rappresentanti di una comunità di fede, garanti di quella fede e del desiderio di comunione ecclesiale del candidato [19].
Quanto detto non toglie che, per legami familiari, un membro di un’altra Chiesa o comunità ecclesiale, ma insieme a un padrino cattolico, possa essere testimone del battesimo, e un cattolico può fare lo stesso in un’altra Chiesa o comunità ecclesiale [20].
Per via della stretta comunione tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse, è permesso che per una giusta ragione un fedele di quelle Chiese possa essere padrino allo stesso tempo di un padrino (o una madrina) cattolico del battesimo di un bambino o di un adulto cattolico. La condizione è assicurare l’educazione del battezzato e la riconosciuta idoneità del padrino [21].
Chiese e comunità ecclesiali con battesimo valido
1. Chiese orientali.
2. Chiese ortodosse.
3. Chiesa Evangelica Luterana.
4. Chiese presbiteriane.
5. Chiesa Anglicana (Episcopali).
6. Metodisti.
7. Battisti.
8. Congregazionalisti.
9. Discepoli di Cristo.
10. Avventisti.
11. Pentecostali [22].

Bisogna fare attenzione ad alcuni gruppi pentecostali, in particolare in America Latina, che possono realizzare il battesimo in modo inadeguato. In caso di dubbio, è meglio analizzare caso per caso.

Non hanno battesimo valido:

1. Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.
2. Testimoni di Geova.
3. Esercito della Salvezza [23].
4. Sette pseudocristiane.

 


[1] UR, 4 (Decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, “Unitatis Redintegratio”).
[2] Cfr. Gv 17,20-23.
[3] SC, 59 (Costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II, “Sacrosanctum Concilium”).
[4] DE (1967), 55 (Direttorio Ecumenico (1967), prima parte, Nº 55).
[5] Cfr. F. Sampedro, Ecumenismo y Tercer Milenio (Bogotá, CELAM, 2003), 381-382.
[6] UR,3.
[7] Lc 2, 29-32.
[8] Is 42,6.
[9] 1 Cor. 15,45.
[10] Cfr. J. Escobar, El carácter absoluto de la revelación cristiana y el Cristo desconocido de las religiones según Raimundo Panikkar, in Diálogo Ecuménico XXXI (1996) 99, 11-12.
[11] Esistono interpretazioni diverse tra i cristiani. La teologia sacramentale protestante non è uguale a quella cattolica romana.
[12] Accade lo stesso che con il battesimo. Grazie al dialogo teologico ecumenico, sono stati raggiunti importanti accordi tra le Chiese.
[13] Cfr. J. Escobar, Sectas, cristianismo y catolicismo. Análisis eclesiológico, in Medellín 87 XXIII (1996), 34-35.
[14] DE, 95. Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme sull’Ecumenismo.
[15] CDC, 869, 2. Codice di Diritto Canonico.
[16] DE, 95 b.
[17] Cfr. DE, 99d. F. Sampedro, O.cit., 384.
[18] CDC, 869,20.
[19] F. Sampedro, O.cit., 384.
[20] Cfr. DE, 98 a.
[21] Cfr. DE, b.
[22] Una lista simile viene fornita da F. Sampedro, O. Cit., 388. H. Muñoz, Validez del Bautismo, en Servicio 71 (1983), 28-29. J. Escobar, O.cit., 31-42.

[23] L’Esercito della Salvezza non è una setta. Non ha sacramenti, visto che è un Movimento Sociale Cristiano. Il fondatore William Booth (1829 -1912) pensava che le persone che aiutava sarebbero tornate alla propria Chiesa d’origine. Il problema è che molte non hanno voluto tornare e altre non sono state accolte.





Un sacerdote risponde

Perché un laico in caso di necessità può conferire il Battesimo (che rimette i peccati) e non può fare la stessa cosa per la confessione se manca il sacerdote?

Quesito

Caro Padre Angelo,
le sottopongono il seguente quesito, con una breve premessa. Dunque, in caso di morte imminente e qualora la persona non sia battezzata (se non si fa in tempo a chiamare un prete) è non solo lecito, ma anzi doveroso che un laico amministri (a chi lo chieda) il sacramento del Battesimo. Su questo non ci sono dubbi. Il quesito, invece, e’ un altro: dal momento che il Battesimo oltre a incorporare il battezzato alla Chiesa e soprattutto in Cristo, ha anche l’effetto di rimettere i peccati, allora per quale motivo un laico (qualora il moribondo lo chieda e non si possa chiamare subito un prete) non può anche amministrare il sacramento della Riconciliazione? La mia è una sorta di “provocazione teologica” poiché sono perfettamente conscio che solo il ministro ordinato può’ legittimamente assolvere dai peccati. Pero’, resta la mia “provocazione”: se un laico (poste le condizioni di cui sopra) può amministrare il Battesimo che rimette tutti i peccati, a maggior ragione potrebbe amministrare la Riconciliazione (poste sempre le condizioni di cui sopra). Concludo menzionando parecchi dipinti medievali (presenti anche in alcune chiese) in cui i soldati in guerra in punto di morte confessavano i propri peccati al compagno soldato. Grazie anticipatamente per la sua risposta. 
Giuseppe


Risposta del sacerdote

Caro Giuseppe,
1. sono diversi gli esempi che mi hai portato per il Battesimo e per la confessione.
Innanzitutto perché il battesimo è de necessitate salutis, vale a dire è necessario per la salvezza.
La confessione invece non ha altrettanta urgenza: “la penitenza non è di tanta necessità quanto il battesimo; si può infatti supplire con la contrizione la mancanza dell’assoluzione sacerdotale, che non libera da tutta la pena né si dà ai bambini. Quindi non c’è parità con il battesimo, il cui effetto non si può supplire con nessun altro mezzo” (Somma teologica, III, 67, 3, ad 2).

2. Invece “di tutti i sacramenti è di massima necessità il battesimo, che è la rigenerazione dell’uomo alla vita soprannaturale, perché ai bambini non si può provvedere altrimenti, e gli adulti non possono in nessun altro modo che con il battesimo conseguire la piena remissione, sia della colpa, che della pena. 
E quindi, perché l’uomo non venga a mancare di un rimedio tanto necessario, fu istituito in modo che la sua materia fosse comune, cioè l’acqua che tutti possono avere, e che il ministro potesse essere chiunque, anche chi non è ordinato, affinché nessuno rischi la sua salvezza per mancanza del battesimo” (Somma teologica, III, 67, 3).

3. Normalmente battezzano i sacerdoti perché sono il simbolo dell’unità della Chiesa.
Ma in caso di necessità tutti battezzano validamente e lecitamente, purché abbiano intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

4. Occorre ricordare poi che il sacramento della confessione è stato istituito per la remissione dei peccati di chi è già incorporato a Cristo (potrei dire per chi è già stato liberato dal naufragio) e a motivo dei peccati si è reso infermo, malato.

5. E come ai malati non basta dare qualsiasi medicina ma è necessario valutare le loro condizioni per dare un farmaco appropriato, così vale ugualmente per la confessione.
Questo è il motivo per cui la confessione è stata istituita da Gesù Cristo a modo di giudizio. La sera del giorno della sua risurrezione ha detto infatti agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,22-23).
Non ha detto semplicemente: perdonate i peccati, ma a chi e a chi

6. Poiché il Signore ha istituito il sacramento della penitenza con una natura giudiciale, è necessario che questo giudizio venga emesso da chi ha il potere di emettere tale giudizio.
Ora Gesù Cristo non ha dato questo potere a tutti, ma solo agli apostoli la sera del giorno della sua risurrezione.
Inoltre tale giudizio può essere espresso autorevolmente solo su coloro che appartengono alla Chiesa.
Ma chi riceve il Battesimo non appartiene ancora alla Chiesa. Ecco perché il Battesimo non ha natura giudiziale, ma solo salvifica.

7. Il potere giudiciale sul corpo mistico di Cristo (e cioè sui fedeli) ce l’hanno solo coloro che hanno potere sul corpo fisico di Cristo, e cioè solo coloro che hanno il potere di consacrare il pane, di celebrare l’Eucaristia.

8. La Sacra Scrittura ricorda che per nutrirsi dell’Eucaristia è necessario essere in grazia di Dio. Dice infatti: “Chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (1 Cor 11,27).

9. Ora è il sacerdote e solo il sacerdote, a motivo del potere delle chiavi datogli dal Signore, che rende degno (puro) chi non è degno (impuro).
Solo il sacerdote infatti è ministro del Sangue. Ed egli lo prende e lo versa sull’anima del penitente che è disposto a riceverlo per purificarlo.

10. Se poi un morente, di spontanea volontà e mancando il sacerdote per la confessione, volesse confessare i propri peccati ad un laico che per lui in quel momento rappresenta la Chiesa, è libero di farlo.
Quest’accusa può avere il merito di accrescere il pentimento e cioè la contrizione, ma non è un’accusa sacramentale, né il laico può assolvere dai peccati. Al laico infatti manca quel divino potere che viene conferito ai soli sacerdoti nell’ordinazione sacerdotale.
Il Signore gli accorderà la grazia in virtù del pentimento, che è sempre richiesto, ma non in virtù dell’accusa fatta ad un laico, che neanche in questo caso non è richiesta.

Ti benedico e ti ricordo al Signore.
Padre Angelo


 

SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali
circa alcune sentenze ed errori insorgenti
sull’interpretazione dei decreti
del Concilio Vaticano II

Giacché il Concilio Ecumenico Vaticano II, da poco felicemente concluso, ha promulgato sapientissimi Documenti, sia in materia dottrinale sia in materia disciplinare, allo scopo di promuovere efficacemente la vita della chiesa, a tutto il popolo di Dio incombe il grave dovere di impegnarsi con ogni sforzò alla attuazione di quanto, sotto l’influsso dello Spirito Santo, è stato solennemente proposto o decretato da quella universale assemblea di vescovi presieduta dal sommo pontefice.

Spetta alla Gerarchia il diritto e il dovere di vigilare, guidare e promuovere il movimento di rinnovamento iniziato dal Concilio, in maniera che i Documenti e i Decreti conciliari siano rettamente interpretati e vengano attuati con la più assoluta fedeltà al loro valore ed al loro spirito. Questa dottrina, infatti, deve essere difesa dai Vescovi, giacché essi, con a Capo Pietro, hanno il mandato di insegnare con autorità. Lodevolmente molti Pastori hanno già cominciato a spiegare come si conviene la dottrina del Concilio.

Tuttavia bisogna confessare con dolore che da varie parti son pervenute notizie infauste circa abusi che vanno prendendo piede nell’interpretare la dottrina conciliare, come pure di alcune opinioni peregrine ed audaci qua e là insorgenti, con non piccolo turbamento di molti fedeli. Sono degni di lode gli studi e gli sforzi per investigare più profondamente la verità, distinguendo onestamente tra ciò che è materia di fede e ciò che è opinabile; ma dai documenti esaminati da questa Sacra Congregazione risulta trattarsi di non poche affermazioni, le quali oltrepassando facilmente i limiti dell’ipotesi o della semplice opinione, sembrano toccare in certa misura lo stesso dogma ed i fondamenti della fede.

Conviene, a titolo di esempio, accennare ad alcune di tali opinioni ed errori, così come risultano dai rapporti di persone competenti e da scritti pubblicati.

1) In primo luogo circa la stessa Sacra Rivelazione: ci sono alcuni, infatti, che ricorrono alla Sacra Scrittura lasciando deliberatamene da parte la Tradizione, ma poi restringono l’ambito e la forza della ispirazione biblica e dell’inerranza, né hanno una giusta nozione del valore dei testi storici.

2) Per quanto riguarda la dottrina della fede, viene affermato che le formule dogmatiche sono soggette all’evoluzione storica al punto che anche lo stesso loro significato oggettivo è suscettibile di mutazione.

3) Il Magistero ordinario della Chiesa, particolarmente quello del Romano Pontefice, è talvolta così negletto e sminuito, fino a venir relegato quasi nella sfera delle libere opinioni.

4) Alcuni quasi non riconoscono una verità oggettiva assoluta, stabile ed immutabile, e tutto sottopongono ad un certo relativismo, col pretesto che ogni verità segue necessariamente il ritmo evolutivo della coscienza e della storia.

5) La stessa Persona adorabile di Nostro Signore Gesù Cristo è chiamata in causa, quando, nell’elaborazione della dottrina cristologia, si adoperano, circa la natura e la persona, concetti difficilmente conciliabili con le definizioni dogmatiche. Serpeggia un certo umanesimo cristologico che riduce Cristo alla condizione di un semplice uomo, il quale un po’ per volta acquistò la consapevolezza della sua filiazione divina. Il suo concepimento verginale, i miracoli, la stessa Risurrezione vengono ammessi solo a parale, ma vengono ridotti al puro ordine naturale.

6) Similmente nella teologia sacramentaria alcuni elementi o vengono ignorati o non sono tenuti nel debito conto, specialmente per quanto riguarda l’Eucaristia. Circa la presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino non mancano alcuni che ne parlano inclinando ad un esagerato simbolismo, quasi che, in forza della transustanziazione, il pane e il vino non si mutassero in Corpo e Sangue di N.S. Gesù Cristo, ma fossero semplicemente trasferiti ad una determinata significazione. Ci sono alcuni che, a proposito della Messa, insistono troppo sul concetto di agape a scapito del concetto di Sacrificio.

7) Alcuni vorrebbero spiegare il Sacramento della Penitenza come un mezzo di riconciliazione con la Chiesa, non esprimendo sufficientemente il concetto di riconciliazione con Dio offeso. Affermano pure che nella celebrazione di questo Sacramento non è necessaria l’accusa personale dei peccati, sforzandosi di esprimere unicamente la funzione sociale della riconciliazione con la Chiesa.

8) Né mancano alcuni che o non tengono in debito conto la dottrina del Concilio Tridentino circa il peccato originale, o la spiegano in modo che la colpa originale di Adamo e la trasmissione del suo peccato ne restano perlomeno offuscate.

9) Né minori sono gli errori che si vanno propagando nel campo della teologia morale. Non pochi, infatti, osano rigettare il criterio oggettivo di moralità; altri non ammettono la legge naturale, affermando invece la legittimità della cosiddetta etica della situazione. Opinioni deleterie vanno propagandosi circa la moralità e la responsabilità in materia sessuale e matrimoniale.

10) A quanto s’è detto bisogna aggiungere alcune parole circa l’ecumenismo. La Sede Apostolica loda, indubbiamente, coloro che nello spirito del Decreto conciliare sull’ecumenismo promuovono iniziative destinate a favorire la carità verso i fratelli separati e ad attirarli all’unità della Chiesa; ma si duole del fatto che non mancano alcuni i quali, interpretando a modo proprio il Decreto conciliare, propugnano un’azione ecumenica tale da offendere la verità circa l’unità della fede e della Chiesa, favorendo un pernicioso irenismo e un indifferentismo del tutto alieno dalla mente del Concilio.

Questi pericolosi errori, diffusi quale in un luogo quale in un altro, sono stati sommariamente raccolti in sintesi in questa Lettera agli Ordinari di luogo, affinché ciascuno, secondo la sua funzione ed il suo ufficio, si sforzi di sradicarli o di prevenirli.

Questo Sacro Dicastero prega vivamente i medesimi Ordinari, riuniti in Conferenze Episcopali, di farne oggetto di trattazione e di riferirne opportunamente alla Santa Sede inviando i propri pareri prima del Natale dell’anno in corso.

Gli Ordinari e quanti altri ai quali per giusta causa essi riterranno opportuno mostrare questa Lettera, la custodiscano sotto stretto segreto, giacché una evidente ragione di prudenza ne sconsiglia la pubblicazione.

Roma, 24 luglio 1966.

A. Card. Ottaviani

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Documento originale in latino:

SACRA CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI

EPISTULA *
AD VENERABILES PRAESULES
CONFERENTIARUM EPISCOPALIUM **

Cum Ocumenicum Concilium Vaticanum II, nuper feliciter absolutum, sapientissima documenta promulgaverit, sive in re doctrinali, sive in re disciplinari, ad Ecclesiae vitam efficaciter promovendam, grave populo Dei universo incumbit onus, nempe omni nisu satagendi ut ad actum perducatur quidquid, Spiritu Sancto afflante, in amplissimo illo Episcoporum cœtu, Praesidente Summo Pontifice, sollemniter propositum vel decretum fuit.

Ad Hierarchiam vero spectat ius et officium vigilandi, dirigendi, promovendi renovationis motum a Concilio inchoatum, ita ut eiusdem Concilii Documenta et Decreta rectam interpretationem accipiant et ad effectum deducantur secundum propriam ipsorum vim et mentem adamussim servatam. Haec enim doctrina ab Episcopis est tuenda, quippe qui sub Petro capite munere auctoritative docendi pollent. Laudabiliter vero multi Pastores Concilii doctrinam apte explicandam iam susceperunt.

Dolendum attamen est ex variis partibus nuntios non faustos pervenisse de abusibus in doctrina Concilii interpretanda invalescentibus, necnon de peregrinis et audacibus opinionibus hic illic insurgentibus quae plurium fidelium animos non parum perturbant. Laudanda sunt studia et conamina ad veritatem penitius investigandam, probe distinguendo inter id quod est credendum et id quod est opinabile; at ex documentis ab hac Sacra Congregatione examinatis constat de non paucis sententiis quae limites simplicis opinionis vel hypotheseos facile praetergredientes ipsum dogma et fidei fundamenta aliquatenus afficere videntur.

Aliquot ex istis sententiis et erroribus, per modum exempli, expedit tangere prout ex relationibus virorum doctorum necnon ex editis scriptis innotescunt.

1) Imprimis occurrit ipsa Sacra Revelatio: sunt etenim qui ad Sacram Scripturam recurrunt Traditione consulto seposita, sed Biblicae inspirationis et inerrantiae ambitum et vim coartant et de historicorum textuum valore non recte sentiunt.

2) Quod autem attinet ad doctrinam Fidei, formulae dogmaticae dicuntur ita historicae evolutioni subesse ut etiam ipsarum sensus obiectivus mutationi obnoxius sit.

3) Magisterium ordinarium Ecclesiae, praesertim Romani Pontificis ita interdum negligitur et parvipenditur, ut ad regionem rerum opinabilium fere relegetur.

4) Veritatem obiectivam absolutam, firmam et immutabilem, quidam fere non agnoscunt omniaque cuidam relativismo obnoxia faciunt, et quidem ea fucata ratione secundum quam veritas quaecumque rythmum evolutionis conscientiae et historiae necessario sequatur.

5) Ipsa D.N. Iesu Christi adorabilis Persona impetitur, cum in recogitanda christologia tales de natura et persona conceptus adhibeantur qui cum dogmaticis definitionibus vix componi possunt. Serpit quidam humanismus christologicus ob quem Christus ad condicionem simplicis hominis reducitur, qui sensim suae divinae Filiationis conscientiam acquisierit. Eius virginalis conceptio, miracula, ipsa Resurrectio verbotenus conceduntur sed reapse ad merum ordinem naturalem reducuntur.

6) Itidem in Sacramentorum theologica tractatione quaedam elementa vel ignorantur vel non sufficienter attenduntur, maxime quod ad Ss.mam Eucharistiam attinet. De praesentia reali Christi sub speciebus panis et vini non desunt qui disputent exaggerato symbolismo faventes perinde ac si panis et vinum non per transubstantiationem converterentur in Corpus et Sanguinem D. N. Iesu Christi, sed mere transferentur ad quamdam significationem. Sunt etiam qui conceptum agapes quoad Missam plus aequo urgent prae idea Sacrificii.

7) Sacramentum Paenitentiae quidam explicare malunt tamquam medium reconciliationis cum Ecclesia, non satis exprimendo reconciliationem cum ipso Deo offenso. Contendunt etiam huic Sacramento celebrando necessariam non esse personalem confessionem peccatorum, sed solam functionem socialem reconciliationis cum Ecclesia exprimere satagunt.

8) Nec desunt qui doctrinam Concilii Tridentini de peccato originali vel parvipendunt vel ita commentantur ut originalis culpa Adami et ipsius peccati transmissio saltem obfuscentur.

9) Nec minores circumferuntur errores in ambitu theologiae moralis. Etenim non pauci obiectivam rationem moralitatis reicere audent; alii legem naturalem non accipiunt, asserunt vero legitimitatem moralis situationis quam dicunt. Perniciosae opiniones propagantur de moralitate ac responsabilitate in re sexuali et matrimoniali.

10) His omnibus addenda est nota de Œcumenismo. Laudat profecto Sedes Apostolica eos qui in spiritu Decreti Conciliaris de œcumenismo incepta promovent ad caritatem cum seiunctis fratribus fovendam eosque ad unitatem Ecclesiae attrahendos, sed dolet non deesse qui Decretum Conciliare suo modo interpretantes talem actionem oecumenicam urgent quae veritatem offendat de Fidei et Ecclesiae unitate, favendo periculoso irenismo et indifferentismo, quod quidem a mente Concilii omnino alienum est.

Huiusmodi errores et pericula, singula quidem hic illic sparguntur, summaria vero synthesi collecta hac epistula locorum Ordinariis exhibentur, ut pro suo quisque munere et officio satagat ad ea compescenda vel praecavenda.

Enixe autem hoc Sacrum Dicasterium rogat ut iidem locorum Ordinarii in propriis Conferentiis Episcopalibus adunati de illis agant et ad Sancta Sedem opportune referant suaque pandant consilia ante festum Nativitatis D.N.I.Ch. anni currentis.

Has Litteras quas publici iuris fieri patens ratio prudentiae vetat, Ordinarii aliique quibuscum ipsi eas communicare iusta de causa censuerint, sub stricto secreto tegant.

Roma, 24 iulii 1966.

+ A. Card. Ottavini


* AAS 58 (1966), 659-661.

** Has litteras edendi nobis licentia facta est, ut earum genuinus tenor innotescat, quia folia quaedam diurna, quamvis earumdem litterarum natura omnimodam discretionem postularet, partes nonnullas textus publici iuris facere non dubitaverunt, non tamen servata propria documenti indole. Ita factum est ut circa ea quae reapse in litteris continentur et circa finem per eas a Sancta Sede intentum dubia exorirentur (N.R.).

[SM=g1740771]  ricordiamo che questa Lettera è sempre valida…… voluta da Paolo VI

 


 

Un errore di un sacerdote invalida i Battesimi impartiti per 20 anni

I Battesimi non validi invalidano anche i sacramenti ricevuti in seguito, come la Cresima e il matrimonio

P.Andres Arango, della diocesi di Phoenix (Stati Uniti), ha rinunciato al suo incarico di parroco dopo che è stato scoperto che ha sbagliato la formula del Battesimo per più di vent’anni.

Il vescovo Thomas J. Olmstead ha dichiarato che tutti i Battesimi realizzati da p. Arango sono invalidi, il che invaliderebbe anche gli altri sacramenti ricevuti in seguito dalle persone che erano state battezzate da lui in modo errato.

Ordinato nel 1995

Dopo aver frequentato il seminario a Salvador (Brasile), p. Arango è stato ordinato nel 1995. Nei 27 anni successivi, il sacerdote ha ricoperto vari incarichi come chierico in Brasile e negli Stati Uniti, tra cui pastore, professore, amministratore parrocchiale e direttore del Newman Center della San Diego State University

I problemi sono sorti quando si è scoperto che p. Arango usava la formula non corretta per il Battesimo. Diceva infatti “NOI ti battezziamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. La diocesi ha spiegato:

“Il problema in questione è l’uso del ‘noi’ anziché dell”io’. Non è la comunità che battezza una persona e la inserisce nella Chiesa di Cristo; è Cristo, e soltanto Cristo, che presiede tutti i sacramenti. È quindi Cristo che battezza. La formula battesimale (le parole usate nel rito) è sempre stata mantenuta per questa ragione. È quindi chiaro che riceviamo il nostro Battesimo per mezzo di Gesù e non della comunità”.

Sacramenti non validi

Uno degli aspetti più preoccupanti di questo scenario è il modo in cui un Battesimo invalido influisce sugli altri sacramenti. Aleteia ha parlato con p. Pius Pietrzyk, avvocato canonico e civile e docente di Diritto Canonico presso la Casa di Studi Domenicana, che ha spiegato:

“Il Battesimo è la porta d’ingresso nella Chiesa; senza Battesimo non si è cristiani. Essendo il primo sacramento, è necessario per tutti gli altri. Se le persone hanno ricevuto altri sacramenti, come la Cresima o il matrimonio, sono invalidi. Vent’anni di vita sacramentale di centinaia di persone sono stati così invalidati per via di una grave negligenza pastorale”.

Prima Comunione

Il sito della diocesi di Phoenix, in cui c’è una pagina di domande frequenti per ottenere informazioni sulla situazione, rende noto che la Prima Comunione non è tecnicamente invalida senza un Battesimo. Può esserci solo una “Prima Comunione”, e quindi se si è ricevuta l’Eucaristia, pur senza essere battezzati, si è ricevuta la santa Comunione. Il sito, ad ogni modo, avverte i fedeli di non continuare a ricevere la santa Comunione prima di essere battezzati con la formula corretta.

Cresima e matrimonio

Quanto alla Cresima, le cose non sono così semplici. Questo sacramento richiede un Battesimo valido, e quindi qualsiasi persona il cui Battesimo è stato considerato invalido deve rifare la Cresima.

Lo stesso accade con il matrimonio, ma la diocesi ammette che “ci sono molte variabili quando si tratta di matrimoni validi”. Il sito afferma che le questioni relative ai matrimoni realizzati dopo un Battesimo invalido saranno analizzate caso per caso.

La diocesi informa anche che chi si è visto invalidato il Battesimo non ha necessariamente bisogno di confessarsi.

La nuova missione di p. Arango

Anche se p. Arango ha rinunciato all’incarico di parroco della sua parrocchia, è ancora considerato un sacerdote in buone condizioni davanti alla Chiesa. Il presbitero sta lavorando in stretta collaborazione con la diocesi per identificare tutti coloro a cui ha amministrato Battesimi in modo sbagliato.

In una lettera di scuse diffusa dalla diocesi di Phoenix ha scritto:

“Mi intristisce sapere che ho amministrato Battesimi invalidi durante tutto il mio ministero sacerdotale usando regolarmente una formula scorretta. Lamento profondamente il mio errore e come questo ha influito su molte persone nella parrocchia e in altri luoghi. Con l’aiuto dello Spirtio Santo e in comunione con la diocesi di Phoenix, dedicherò totalmente le mie energie e il mio ministero ad aiutare a rimediare a tutto questo e a curare le persone interessate”.

Anche molti Brasiliani potrebbero vedere invalidato il proprio Battesimo, perché prima di trasferirsi negli Stati Uniti p. Arango ha lavorato a Salvador (Bahia) alla fine degli anni Novanta. La diocesi di Salvador non si è ancora pronunciata sulla questione. (vedi qui la fonte)


Un prete «spretato» può amministrare i sacramenti?

Se si resta sacerdote per tutta la vita, questo vale anche se un prete si sposa?

Èvero che il sacerdote, anche se «spretato», può comunque amministrare i Sacramenti? Se si resta sacerdote per tutta la vita, questo vale anche se un prete si sposa? Lo stesso principio vale anche per le suore?
Lettera firmata

Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.

Le domande del nostro Lettore richiedono prima di tutto alcuni necessari ed elementari chiarimenti. Esse richiamano per alcuni aspetti il quesito dal titolo «Il prete rimane sacerdote per sempre?», che fu posto al P. Valerio Mauro in questa rubrica dell’11 giugno 2008.

L’ordine è il sacramento che per istituzione divina segna con carattere indelebile alcuni tra i fedeli costituendoli ministri sacri, consacrati e deputati a pascere il popolo di Dio, adempiendo ciascuno nel suo specifico grado le funzioni di insegnare, santificare e governare (can. 1008). Gli ordini sono l’episcopato, il presbiterato e il diaconato (can. 1009 §1).

La differenza di significato tra ordine sacro e stato clericale è sostanziale. L’ordine sacro introduce il fedele in una condizione sacramentale trasformandolo ontologicamente, cioè in modo soprannaturale nel suo stesso essere, costituendolo «ministro sacro» e abilitandolo ad agire in persona Christi nel caso dell’episcopato e del presbiterato, mentre i diaconi vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità (can. 1009 §3). Lo stato clericale, al contrario, determina una condizione giuridica che deriva dalla sacra ordinazione comportando per il chierico diritti e obblighi secondo l’ordinamento ecclesiastico.

Abbiamo detto che l’ordine sacro è un sacramento indelebile perché imprime il carattere. Su questa motivazione teologica nessuno potrà mai essere privato della potestà d’ordine (can. 1338 §2), che per la stessa ragione mai potrà essere dichiarata nulla se è stata validamente conferita (can. 290).

Pertanto, lo stato clericale è una conseguenza del sacramento dell’ordine, ma i due elementi sono distinti anche se correlati: un chierico può decadere dallo stato clericale, ma non potrà mai essere privato dell’ordine sacro, anche se spontaneamente lo chiedesse.

Il Legislatore ha previsto tre casi in cui il chierico può perdere lo stato clericale: invalidità della sacra ordinazione dichiarata per sentenza giudiziaria o per decreto amministrativo (can. 290 n. 1); dimissione legittimamente imposta a causa di un delitto che prevede una specifica sanzione (can. 290 n. 2); rescritto della Sede Apostolica con cui viene concessa la dispensa al diacono per cause gravi e al presbitero per cause gravissime (can. 290 n. 3).

In conclusione, la sacra ordinazione validamente amministrata ha un carattere permanente e la sua irreversibilità non cadrà mai nella disponibilità di alcuno, neppure della suprema autorità della Chiesa. Anche il peggiore comportamento delittuoso che venisse commesso dal chierico non produrrebbe effetti penali da annullare o invalidare la sacra ordinazione e la sua intrinseca potestà d’ordine.

Se il sacramento dell’Ordine conferito validamente è intangibile, come pure la relativa potestà d’ordine, una sorte diversa potrà toccare all’esercizio di questa sacra potestà. La competente autorità ecclesiastica, di fronte alla commissione di uno specifico delitto, potrà irrogare al chierico nei modi previsti dal diritto una censura come per esempio la sospensione parziale o totale dall’esercizio dell’ordine sacro, quella che abitualmente viene chiamata sospensione «a divinis», definita anche «pena medicinale» in quanto mira a ottenere la correzione del reo, e quindi non potrà essere una pena perpetua perché attraverso di essa se ne auspica il suo ravvedimento.

In alcuni casi la pena massima prevista per il chierico è la dimissione dallo stato clericale (can. 1336 §1 n. 5), ma serve ancora sottolineare che essa non potrà mai comportare anche la privazione della potestà di ordine in quanto strettamente connessa al carattere sacramentale. L’effetto che produce la dimissione dallo stato clericale comporta la proibizione (quindi la liceità) di esercitare la potestà d’ordine (can. 1338 §2) perché nella decadenza dallo stato clericale, oltre alla perdita dei diritti e doveri di tale stato, è insita la proibizione di esercizio della potestà di ordine (can. 292).

La «proibizione» di esercitare l’ordine sacro è altro rispetto al concetto di «privazione» (che nel caso comporterebbe l’invalidità degli atti conseguenti) perché, per il carattere indelebile che imprime questo sacramento, il presbitero validamente ordinato non potrà mai esserne privato. Per questo, in dette circostanze anche il sacramento della penitenza e della confermazione potrebbero essere celebrati validamente in forza della intangibile potestà d’ordine se il Legislatore non vi avesse apposto una clausola invalidante a loro tutela in assenza della debita facoltà (cann. 966 §1; 882). Così avviene in caso di «errore comune» in cui la sola mancanza della facoltà di assolvere, ma non della potestà d’ordine, viene supplita dalla Chiesa ope legis, purché ricorrano le condizioni previste dal can. 144 §2. Per lo stesso motivo, l’assoluzione del complice nel peccato turpe è invalida per la clausola inabilitante espressamente apposta dal Legislatore (can. 977) e non per difetto della potestà d’ordine. Infatti, in pericolo di morte il presbitero assolve validamente e lecitamente il complice anche qualora sia presente un sacerdote approvato (can. 976).

Il sacerdote privo solo della debita facoltà, oppure dimesso dallo stato clericale per qualsiasi ragione, possedendo inalterata la potestà d’ordine, viene integrato ipso iure, quindi senza ricorso all’autorità ecclesiastica, nella facoltà di amministrare il sacramento della penitenza e della confermazione in caso di pericolo di morte del penitente anche quando sia presente un sacerdote approvato (cann. 976; 986 §2; can. 883 n. 3).

Alla prima domanda del lettore «se un prete spretato può comunque amministrare i sacramenti», ma aggiungo io, anche semplicemente sospeso a divinis, dobbiamo richiamare quanto è stato appena detto, cioè che la potestà d’ordine rimane intangibile per tutta la vita del presbitero, mentre può essergli proibito di esercitarla (cann. 292; 1338 §2). Questo ha come conseguenza che un presbitero in qualsiasi maniera decaduto dallo stato clericale (o «spretato», per dirla con il nostro Lettore) sia come pena che per indulto concesso dal Romano Pontefice, potrebbe in modo gravemente illecito, ma validamente, celebrare la messa in forza della inalienabile potestà d’ordine, sempre se conserva l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anche se in quelle circostanze non gli è lecito farlo a nome di essa. In altre parole, in questo caso, l’aspetto disciplinare non diminuisce l’efficacia degli atti che può validamente realizzare per la sua intramontabile condizione ontologica dovuta al sacramento dell’ordine.

Altra cosa è, invece, la validità della celebrazione della penitenza e della confermazione condizionata per legge canonica sempre alla concessione, da parte della competente autorità o per il diritto stesso, della facoltà di poterli amministrare (cann. 966 §1; 882). La concessione di questa fa
coltà è necessaria anche per il presbitero che conserva lo stato clericale, sotto pena di nullità dell’assoluzione o della confermazione, a meno che non ricorra il caso di «errore comune» (can. 144 §2).

Un’ulteriore dimostrazione ci viene ancora dallo stesso Codice di Diritto Canonico quando si riferisce al delitto di attentata azione liturgica del Sacrificio eucaristico.

L’invalidità è prevista solo per il caso di mancanza dell’ordine sacerdotale, senza citare e quindi includere come causa invalidante anche la sola eventuale decadenza dallo stato clericale (can. 1378 §2, n. 1). Al contrario, nello stesso contesto del canone, nel considerare il sacramento della confessione, la commissione del delitto di usurpazione dell’ufficio ecclesiastico riguarda l’attentato alla valida assoluzione nel suo complesso, cioè non solo la mancanza dell’ordine sacerdotale, ma anche, pur essendoci questa, la sola assenza della debita facoltà di amministrarla (cann. 1378 §2, n. 2; 966 §1).

Riguardo alla seconda domanda sul «prete che si sposa», come è noto nella Chiesa cattolica latina il presbitero è tenuto al celibato per accedere alla sacra ordinazione e anche successivamente. La sola perdita dello stato clericale, mentre fa venire meno gli obblighi e i diritti del chierico, «non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato, la quale è di esclusiva competenza del Romano Pontefice» (can. 291).

Un chierico, sia che si sposi lecitamente dopo aver ottenuto la dispensa dagli oneri sacerdotali e dall’obbligo del celibato, oppure senza la necessaria dispensa attentando così il matrimonio anche solo civilmente, rimane integralmente depositario della potestà d’ordine. In questo secondo caso incorre nella sanzione della sospensione latae sententiae fino ad arrivare gradualmente alla dimissione dallo stato clericale (can. 1394 §1).

In entrambi i casi, venendo meno non la potestà d’ordine, ma soltanto il suo esercizio insieme alla decadenza dallo stato clericale, vale quanto abbiamo diffusamente detto prima circa la validità o meno della celebrazione dei sacramenti.

La proibizione di esercitare una potestà, una facoltà, un ufficio ecc. non è mai sotto pena di nullità (can. 1336 §1, n. 3), a meno che il Legislatore non vi apponga una clausola invalidante come nel caso della facoltà concessa per amministrare il sacramento della penitenza, quale requisito richiesto sempre ad validitatem (can. 969 §1), eccetto il caso di pericolo di morte del penitente (can. 976). Oppure, la facoltà dell’Ordinario del luogo e del parroco di assistere ai matrimoni validamente, a meno che (clausola inabilitante, cf. can. 10) non siano stati scomunicati, sospesi o interdetti dall’ufficio o dichiarati tali (can. 1109).

Un esempio abbastanza recente lo troviamo nel motu proprio Ecclesiae unitatem del 2 luglio 2009 con cui Benedetto XVI stabilisce che i ministri della Fraternità Sacerdotale San Pio X non possono esercitare in modo «legittimo» (sic!) alcun ministero. Come si vede, la legittimità consiste solo in una disposizione disciplinare che non comporta la nullità in caso di trasgressione, altrimenti la clausola invalidante sarebbe stata apposta «espressamente» (can. 10).

La sopravvivenza della valida sacra ordinazione rispetto a qualunque contingenza umana è esemplificata dal can. 293 che prevede la riammissione allo stato clericale per mezzo del rescritto della Sede Apostolica – quindi senza dover ripetere la sacra ordinazione per il carattere indelebile che imprime questo sacramento – oppure dalla sospensione per motivi pastorali del divieto della celebrazione dei sacramenti o dei sacramentali per esempio in pericolo di morte del fedele (can. 1338 §3).

Circa la terza domanda, pare d’intendere che il Lettore voglia sapere se una suora rimanga tale per tutta la vita. Su questo argomento ci sarebbe materia per scrivere almeno l’intero capitolo di un libro. Ci limitiamo a dire che tra il sacramento dell’ordine e la consacrazione religiosa attraverso la professione dei consigli evangelici non esiste neppure un lontano rapporto di analogia. Anche se il candidato all’ordine sacro e il religioso professo di voti perpetui manifestano entrambi l’intenzione di perseverare per tutta la vita, gli effetti giuridici in ordine alla perpetuità del loro stato di vita sono differenti. Il chierico riceve un sacramento che gli imprime il carattere in modo permanente, anche se dovesse decadere dallo stato clericale, conservando inalterata la potestà d’ordine. Il religioso, invece, che ottiene la dispensa dai voti, decade totalmente dalla vita consacrata tornando allo stato secolare.

Ultima precisazione. Se il religioso è anche chierico, con la dispensa dai tre voti decade dallo stato di vita consacrata, ma rimane presbitero o diacono con la facoltà di essere accolto e incardinato in una diocesi ed di esercitare l’ordine sacro divenendo presbitero o diacono diocesano.

È chiaro che una suora, non potendo ricevere l’ordine sacro, sarà sempre e comunque solo una fedele laica e una volta ottenuta la dispensa dai voti resterà solo una persona nubile che potrà tornare a progettare la sua vita ripartendo da questa nuova condizione secolare.