Quicúmque vult salvus esse, chiunque voglia salvarsi: Simbolo Atanasiano

Con queste parole inizia il “Simbolo di Fede Atanasiano”, un simbolo della fede che prende questo nome perché attribuito dalla tradizione cristiana a Sant’Atanasio (295-373), arcivescovo di Alessandria d’Egitto. È significativo soprattutto per la dottrina trinitaria espressa in maniera forte per combattere la crisi dell’eresia ariana.

Nella liturgia della Chiesa occidentale, cioè da noi, era recitato nell’ufficio domenicale e nella Solennità della SS.ma Trinità, soppresso poi con la Riforma Liturgica dopo l’ultimo concilio. La Chiesa orientale, invece non l’ha mai usato.

È stato tramandato in greco e in latino. La maggioranza dei critici ritiene che sia stato scritto originariamente in latino e non in greco; e non nel IV secolo, ma almeno un secolo più tardi. La teologia che ne traspare è molto vicina a quella di sant’Ambrogio da Milano, al quale altri lo attribuiscono.

I critici attuali che non si accordano sull’attribuzione al grande Padre della Chiesa sono: Karl Künstle che lo attribuisce a un vescovo spagnolo antipriscillanista;  L. G. Morin che lo ritiene opera del secolo VI, probabilmente di San Martino di Braga; H. Brewer che lo attribuisce a sant’Ambrogio; J. Stiglmayr che lo ritiene di San Fulgenzio di Ruspe.

Comunque  e chiunque ne sia l’Autore è certo che il testo – davvero ispirato – esiste ed è stata una delle pietre miliari per la difesa della Dottrina della Fede. Noi ve lo proponiamo trascritto da un Breviario del 1898 che si diceva per la Solennità della Santissima Trinità, e dunque anche con la Preghiera finale.

La severità del linguaggio che riscontriamo nel testo, non deve essere “giustificata” in alcun modo perché, oggi, un linguaggio simile sarebbe incomprensibile e persino offensivo! «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro.  Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti…. »(Is.5,20-21). L’atteggiamento corretto è quello di fare uno sforzo, noi oggi, per comprendere la gravità dei nostri peccati, per pentirci subito e liberarcene immediatamente, per comprendere quale è, davvero, la nostra Fede contro l’annacquamento di oggi… si legga anche qui.

SIMBOLO ATANASIANO, in latino e italiano

Ant. Glória tibi, Trinitas* aequális, una Déitas, et ante ómnia saecula, et nunc, et in perpétuum (T.P.: Alleluia).
– Ant. Gloria a te, Trinità uguale, unico Dio, prima di tutti i secoli, ora e sempre
(Tempo pasquale: Alleluia)

1. Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem.
– Chiunque voglia salvarsi* deve anzitutto possedere la fede cattolica.

2. Quam nisi quisque íntegram inviolatámque se1váverit, * absque dúbio in Ïtérnum peribit.
– Colui che non la conserva integra ed inviolata* perirà senza dubbio in eterno.

3. Fides autem cathólica hÏc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
– La fede cattolica è questa:* che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell’unità.

4. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
– Senza confondere le persone* e senza separare la sostanza.

5. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spiritus Sancti.
– Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio* ed altra quella dello Spirito Santo.

6. Sed Patris, et Fílii, et Spiritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coatérna maiéstas.
– Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divinità,* uguale gloria, coeterna maestà.

7. Qualis Pater, talis Filius,* talis Spiritus Sanctus.
– Quale è il Padre, tale è il Figlio,* tale lo Spirito Santo.

8. Increátus Pater, increátus Fílius,* increátus Spíritus Sanctus.
– Increato il Padre, increato il Figlio,* increato lo Spirito Santo.

9. Imménsus Pater, imménsus Filius, * imménsus Spíritus Sanctus.
– Immenso il Padre, immenso il Figlio,* immenso lo Spirito Santo.

10. Aetérnus Pater, atérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
– Eterno il Padre, eterno il Figlio,* eterno lo Spirito Santo.

11. Et tamen non tres atérni, * sed unus ætérnus.
– E tuttavia non vi sono tre eterni, * ma un solo Eterno.

12. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus immensus.
– Come pure non vi sono tre increati né tre immensi,* ma un solo Increato e un solo Immenso.

13. Simíliter omnipotens Pater, omnípotens Fílius,* omnipotens Spíritus Sanctus.
– Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio,* onnipotente lo Spirito Santo.

14. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
– Tuttavia non vi sono tre onnipotenti,* ma un solo Onnipotente.

15. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
– Il Padre è Dio, il Figlio è Dio,* lo Spirito Santo è Dio.

16. Et tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
– E tuttavia non vi sono tre Dei,* ma un solo Dio.

17. Ita Dóminus Pater, Dóminus Filius, * Dóminus Spiritus Sanctus.
– Signore è il Padre, Signore è il Figlio,* Signore è lo Spirito Santo.

18. Et tamen non tres Dómini,* sed unus est Dóminus.
– E tuttavia non vi sono tre Signori,* ma un solo Signore.

19. Quia, sicut singillátim unamquamque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur:* itatres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibemur.
– Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore,* così pure la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori.

20. Pater a nullo est factus:* nec creátus, nec génitus.
– Il Padre non è stato fatto da alcuno:* né creato, né generato

21. Fílius a Patre solo est:* non factus, nec creátus, sed génitus.
– Il Figlio è dal solo Padre:* non fatto, né creato, ma generato

22. Spiritus Sanctus a Patre et Fílio:* non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
– Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio:* non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente.

23. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Filii:* unus Spíritus Sanctus, non tres Spiritus Sancti.
Vi è dunque un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli, * un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi.

24. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus:* sed totÏ tres persónÏ coÏtérnÏ sibi sunt et coæquáles.
– E in questa Trinità non v’è nulla che sia prima o poi, nulla di maggiore o di minore:* ma tutte e tre le Persone sono l’una all’altra coeterne e coeguali.

25. Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est,* et únitas in Trinitáte, et Trinitas in unitáte veneránda sit.
– Cosicché in tutto, come già è stato detto,* va venerata l’unità nella Trinità e la Trinità nell’unità.

26. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
– Chi dunque vuole salvarsi, * pensi in tal modo della Trinità.

27. Sed necessárium est ad ætérnam salútem,* ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Iésu Christi fidéliter credat.
– Ma per l’eterna salvezza* è necessario credere fedelmente anche all’Incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo.

28. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur,* quia Dóminus noster Iésus Christus, Dei Filius, Deus et homo est.
– La retta fede vuole, infatti, che crediamo e confessiamo* che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo.

29. Deus est ex substántia Patris ante sæcula génitus:* et homo est ex substántia matris in sæculo natus.
– È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall’eternità;* è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre.

30. Perféctus Deus, perféctus homo:* ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
– Perfetto Dio, perfetto uomo:* sussistente dall’anima razionale e dalla carne umana.

31. Aequális Patri secúndum divinitátem;* minor Patre secúndum humanitátem.
– Uguale al Padre nella divinità,* inferiore al Padre nell’umanità.

32. Qui, licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
– E tuttavia, benché sia Dio e uomo,* non è duplice ma è un solo Cristo.

33. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
– Uno solo, non per conversione della divinità in carne,* ma per assunzione dell’umanità in Dio.

34. Unus omníno, non confusióne substántiÏ, * sed unitáte persónæ.
– Totalmente uno, non per confusione di sostanze,* ma per l’unità della persona.

35. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo:* ita Deus et homo unus est Christus.
– Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo,* così Dio e uomo sono un solo Cristo

36. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos:* tértia die resurréxit a mórtuis.
– Che patì per la nostra salvezza, discese agli inferi,* il terzo giorno è risuscitato dai morti.

37. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis:* inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.
– È salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, * e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti.

38. Ad cuius advéntum omnes homines resurgere habent cum corpóribus suis:* et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
– Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere nei loro corpi* e dovranno rendere conto delle proprie azioni.

39. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam:* qui vero mala, ingnem ætérnum.
– Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna:* coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno.

40. Hæc est fides cathólica,* quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.
– Questa è la fede cattolica,* e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente.

41. Glória Patri, et Fílio, * et Spiritui Sancto.
– Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.

42. Sicut erat in principio, et nunc, et semper,* et in sæcula sæculórum. Amen.
– Come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Glória tibi, Trinitas aequális, una Déitas, et ante ómnia saecula, et nunc, et in perpétuum (T.P.: Alleluia)
– Ant. Gloria a te, Trinità uguale, unico Dio, prima di tutti i secoli, ora e sempre
(Tempo pasquale: Alleluia).

V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
V. Signore, ascolta la mia preghiera.

R. Et clamor meus ad te véniat.
R. E il mio grido giunga a te.

Sacerdotes addunt:
(il sacerdote aggiunge)

V. Dóminus vobíscum.
V. Il Signore sia con voi.

R. Et cum spiritu tuo.
R. E con il tuo spirito.

Oremus.
Omnipotens sempitérne Deus, qui dedisti fámulis tuis, in confessióne veræ fidei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia maiestátis adoráre unitátem: quæsumus; ut, eiúsdem fidei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis.
Per Dóminum nostrum IesumChristum Fìlium tuuum: qui tecum vivit et regnat in unitàte Spìritus Sancti Deus, per òmia sæcula seculorum.
Amen

PREGHIAMO
Dio onnipotente ed eterno, che hai concesso ai tuoi servi, nella confessione della vera fede, di conoscere la gloria della Trinità eterna, e di adorare l’unità nella potenza della maestà, ti chiediamo, per la fermezza di questa stessa fede, di essere sempre protetti da ogni avversità. Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio: che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

Laudetur Jesus Christus

 


295 – 2 maggio 373
Atanasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto, fu l’indomito assertore della fede nella divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325). Per questo soffrì persecuzioni ed esili. Narrò la vita di Sant’Antonio abate e divulgò anche in Occidente l’ideale monastico.

L’epoca in cui visse sant’Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della Dottrina autentica. Siamo intorno al 360. In quel periodo (così come oggi) la Verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di san Girolamo che descriveva quei tempi: «E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano».
In tale contesto, sant’Atanasio non si piegò. Egli era un giovane vescovo di Alessandria d’Egitto. Rimase talmente solo a difendere la purezza della Dottrina che per quasi mezzo secolo la sopravvivenza della Fede autentica in Gesù Cristo si trasformò in una diatriba tra chi era per e chi non per Atanasio.
Qualche cenno biografico. Egli nacque ad Alessandria nel 295. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro ch’era vescovo di Alessandria. Concilio famoso quello di Nicea perché fu lì che venne solennemente proclamata la Fede nella Divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. Fu lì che fu stabilita la definizione per intendere l’uguaglianza del Figlio con il Padre: homoousius, che vuol dire “della stessa sostanza”. Attenzione a questa definizione (homoousius) perché questa sarà la sostanza del contendere.
Torniamo alla vita di sant’Atanasio. Il 17 aprile del 328 morì il vescovo Alessandro e il popolo di Alessandria d’Egitto chiese a gran voce Atanasio come vescovo. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono 46 anni durissimi, 46 anni di lotta contro l’eresia ariana e contro gli ariani. Questi ovviamente rifiutavano proprio ciò che il Concilio di Nicea aveva detto di Gesù, il termine homoousius, che, come ho già ricordato, vuol dire: della stessa sostanza del Padre.
Il comportamento degli ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a sant’Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant’Ilario di Poitiers (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero sant’Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all’unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D’altronde il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.
Gli ariani però non si limitarono a questo. Operarono anche con grande astuzia. Prima di tutto cercarono di occupare quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Altra tecnica tipica delle eresie: una volta condannate, riemergono proponendo un compromesso tra la verità e l’errore. Gli ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza di una sola lettera, minimale, ma che cambiava tutto. Infatti, il primo termine (homoousion) significa “della stessa sostanza”, il secondo termine (homoiousion) significa “simile in essenza”. Traducendo si capisce quanto la differenza non sia di poco conto.
Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla Dottrina, sant’Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l’esilio per almeno cinque volte, ma non cedette. E – come si suol dire – non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: «Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portate il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo».
Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un sinodo per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava sant’Atanasio. Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: “arrogante”, “superbo” e “uomo che vuole la discordia”. Il papa Giulio I (?-352) cercò di difenderlo, ma poi di lì a non molto morì e il povero sant’Atanasio fu nuovamente attaccato.
Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui: l’imperatore Costanzo l’odiava. Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere una condanna di sant’Atanasio. Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice.
Fu allora che accadde ciò che viene ricordato come “caduta” di un Papa. Liberio, per ottenere il potere e tornare a Roma come papa legittimo, decise anch’egli di accettare l’ambigua definizione semiariana, eppure fino ad allora si era distinto per una convinta definizione dell’homoousius del Concilio di Nicea.
Altri concili segnarono il trionfo dell’eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359. Ma era prevedibile che per come era stato trattato sant’Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera Fede il castigo fosse alle porte. All’imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto “l’apostata” (330-363), che arrivò a ripudiare il Battesimo cercando di restaurare il paganesimo.
Non passò molto tempo e il nuovo imperatore Valente, così come il nuovo papa Damaso, capirono che sant’Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L’intrepido difensore della Fede cattolica morì il 2 maggio del 373.
Ancora due cose vanno messe in rilievo. La prima: ai tempi di sant’Atanasio a difendere la Fede ci fu solo lui e una piccola comunità, i vescovi dell’Egitto e della Libia. Solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede. La seconda: è significativo che colui che combatté da solo contro l’eresia ariana, non fu mai un teologo. La sua grande sapienza teologica, più che dagli studi, gli venne dall’incontro con i suoi maestri cristiani che testimoniarono il martirio durante le persecuzioni di Diocle­ziano; e soprattutto dall’incontro con il grande sant’Antonio. Ario, invece, raccoglieva grande consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi. Atanasio però sapeva quanto qui stesse l’insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio egli riporta un insegnamento del suo grande maestro: «[…] i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scrittura. […]. A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni».

Autore: Corrado Gnerre

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Questo Padre e Dottore della Chiesa è il più celebre dei vescovi alessandrini e il più intrepido difensore della fede nicena contro l’eresia di Ario. Costui, siccome faceva del Verbo un essere di una sostanza diversa da quella del Padre e un semplice intermediario tra Dio e il mondo, praticamente negava il mistero della SS. Trinità.
S. Atanasio nacque verso il 295 ad Alessandria d’Egitto da genitori cristiani i quali gli fecero impartire un’educazione classica. Discepolo di S. Antonio abate nella gioventù, si consacrò per tempo al servizio della Chiesa, Nel 325 accompagnò come diacono e segretario il suo vescovo Alessandro al Concilio di Nicea radunato dall’imperatore Costantino, nel quale fu solennemente definita la consostanzialità del Figlio con il Padre. S. Atanasio nel 328 fu acclamato dagli alessandrini loro pastore. Di lui dicevano: “E’ un uomo probo, virtuoso, buon cristiano, un asceta, un vero vescovo”.
La chiesa di Alessandria si trovava divisa dallo scisma non solo di Ario, ma anche di Melezio di Licopoli. Durante la persecuzione di Diocleziano (305-306), costui, approfittando dell’assenza del vescovo Pietro di Alessandria, si era arrogato il diritto di ordinare e scomunicare secondo il suo arbitrio. Nonostante fosse stato deposto da un sinodo, buona parte del clero lo aveva seguito nello scisma. In mezzo a tante divisioni il compito del giovane Atanasio si presentava quanto mai difficile.
Ben presto cominciarono difatti gli intrighi contro di lui dei vescovi di corte ariani, capeggiati da Eusebio di Cesarea, per indurlo a ricevere nella sua comunione i vescovi amici di Ario. Atanasio vi si oppose energicamente. I meleziani a loro volta l’accusarono presso Costantino di aver imposto agli egiziani un tributo di pezze di lino e di aver fatto rompere il calice di un loro vescovo. Citato al tribunale dell’imperatore a Nicomedia, non fu difficile al santo discolparsi. Accusato ancora di aver fatto assassinare Arsente, vescovo meleziano di Ipsele, non fu difficile al medesimo accrescere lo scorno dei suoi nemici facendoglielo comparire davanti vivo.
L’accusato fu di nuovo riabilitato, ma gli ariani non si diedero per vinti. Essi persuasero Ario a sottoscrivere una formula di fede equivoca. Costantino se ne accontentò e intimò a tutti i vescovi di riceverlo nella loro comunione. Essendosi Atanasio ancora una volta rifiutato, fu deposto dal concilio di Tiro (335) e relegato a Treviri, nelle Gallie, dove rimase fino alla morte dell’imperatore (337). Gli eusebiani non potendo per allora sperare nulla dal potere civile, portarono davanti al papa Giulio I l’affare di Atanasio. Furono citate le due parti ad un concilio plenario, ma gli ariani, sicuri dell’appoggio di Costanzo II, imperatore d’Oriente, invece di presentarsi, posero sulla sede di Alessandria Gregorio di Cappadocia. Il secondo esilio di Atanasio durò sei anni. A Roma (341) e a Sardica (343) fu riconosciuta la sua innocenza. Durante il soggiorno romano egli viaggiò molto, e iniziò la chiesa latina alla vita monastica quale si praticava in Egitto. Nella Pasqua del 345 si recò ad Aquileia presso Costante, imperatore d’occidente, che gli ottenne dal fratello Costanzo il permesso di tornare alla sua sede dopo la morte del vescovo intruso (345).
Seguirono per il santo dieci anni di pace relativa, di cui approfittò non solo per comporre opere dogmatiche, o di apologia personale, ma per proseguire una politica di vigile controllo e di prudente conciliazione, i cui effetti furono disastrosi per il partito ariano. Difatti, due o tre anni dopo, egli era in comunione con più di 400 vescovi, e seguito dalla massa dei fedeli. In questo periodo egli consacrò vescovo di Etiopia S. Frumenzio, vero fondatore della chiesa cristiana in quel paese.
Alla morte del suo protettore Costante (350) e del papa Giulio I (352), i nemici di Atanasio tanto brigarono da riuscire a sollevargli contro anche l’episcopato d’Occidente nel Concilio di Arles (354) e in quello di Milano (355).
L’intrepido vescovo, ripieno di amarezza, fuggì allora nel deserto, dove i monaci per otto anni lo sottrassero con cura a tutte le ricerche. Dalla solitudine egli continuò a governare la sua chiesa e scrisse i Discorsi contro gli Ariani e le 4 Lettere a Serapione che formano la sua gloria come dottore della SS. Trinità. Poté ritornare in sede nel 362 dopo la morte di Costanzo, il massacro del vescovo intruso Giorgio dì Cappadocia e la salita al trono di Giuliano, il cui primo atto fu di richiamare i vescovi esiliati dal suo predecessore.
Fu cura di Atanasio ristabilire l’ortodossia nicena e combattere l’arianesimo ufficiale che aveva trionfato nei concili di Seleucia e di Rimini (359). Riunito un concilio, prese decisioni improntate a misericordia verso coloro che si erano dati all’eresia per ignoranza, e anche sul terreno dogmatico fu largo e tollerante per quello che potevano sembrare quisquiglie o pura terminologia. Tanta attività diretta a consolidare l’unità cattolica non tornò gradita a Giuliano, intento solo a ristabilire il paganesimo. Nel 363 S. Atanasio per la quarta volta lasciò la sua sede, ma solo per pochi mesi perché, morto l’imperatore nella spedizione contro i persiani, gli successe il cristiano Gioviano, che lo richiamò. Nel 365 il Santo dovette eclissarsi alla periferia della città per la sesta volta, perseguitato dall’imperatore d’Oriente, Valente, amico degli ariani. Dopo soli quattro mesi però fu richiamato perché gli egiziani minacciavano rivolte. Non lasciò più la sua sede fino alla morte avvenuta il 2 maggio 373 dopo 45 anni di governo forte e alle volte anche duro contro i suoi avversari.
Egli meritò a buon diritto il titolo di “grande” per l’indomabile fermezza di carattere dimostrata contro gli ariani e la potenza imperiale, sovente ad essi eccessivamente ligia. A ragione fu detto che in lui, “padre dell’ortodossia”, combatteva tutta la Chiesa.
Finché visse sostenne ovunque con un’attività traboccante i propugnatori della vera fede. Così impedì che i vescovi dell’Africa latina sostituissero il simbolo compilato a Nicea con quello di Rimini; spinse papa Damaso ad agire contro Ausenzio, vescovo ariano di Milano, e incoraggiò S. Basilio, che cercava un appoggio per la pacificazione religiosa dell’oriente.
Della produzione letteraria di Atanasio non esiste ancora un’edizione critica. Nelle sue opere si nota limpidezza e acutezza di pensiero, ma la materia trattata manca di ordine ed è resa pesante dalle frequenti ripetizioni e dalla prolissità.

Autore: Guido Pettinati


2 maggio: Sant’Atanasio. Un santo che visse una crisi della Chiesa molto simile a quella attuale
Il 2 maggio la Chiesa ricorda sant’Atanasio (295-373), una grandissimo santo, vescovo e dottore della Chiesa, che solitamente non viene ricordato nella sua completezza.
Sant’Atanasio fu colui che difese il mistero dell’Incarnazione dalle minacce dell’Arianesimo, eresia che negava la divinità di Cristo.
Ma –dicevamo- si tratta di un santo grande, anche famoso, ma di cui non si sa completamente tutto. Ed è proprio ciò che solitamente non si ricorda che rende questo santo molto attuale.
L’epoca in cui visse sant’Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della dottrina autentica. Siamo intorno al 360. In quel periodo (così come oggi) la verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di San Girolamo che descriveva quei tempi: “E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano.”
In tale contesto, sant’Atanasio non si piegò. Egli era un giovane vescovo di Alessandria d’Egitto. Rimase talmente solo a difendere la purezza della dottrina che per quasi mezzo secolo la sopravvivenza della fede autentica in Gesù Cristo si trasformò in una diatriba tra chi era per e chi non per Atanasio.
Qualche cenno biografico. Egli nacque ad Alessandria nel 295. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro che era vescovo di Alessandria. Concilio famoso quello di Nicea perché fu lì che venne solennemente proclamato la fede nella divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. E’ lì che fu stabilita la definizione per intendere l’uguaglianza del Figlio con il Padre: homoosius, che vuol dire “della stessa sostanza”. Attenzione a questa definizione (homoosius) perché questa sarà una questione importante del contendere.
Torniamo alla vita di sant’Atanasio. Il 17 aprile del 328 morì il vescovo Alessandro e il popolo di Alessandria d’Egitto chiese a gran voce Atanasio come vescovo. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono 46 anni durissimi, 46 anni di lotta contro l’eresia ariana e contro gli ariani. Questi ovviamente rifiutavano proprio ciò che il Concilio di Nicea aveva detto di Gesù, il termine homoosius, che, come abbiamo già ricordato, vuol dire: della stessa sostanza del Padre.
 
Il comportamento degli ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a sant’Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant’Ilario di Poiters (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero sant’Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all’unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D’altronde, il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.
Gli ariani però non si limitarono a questo. Operarono anche con grande astuzia. Prima di tutto cercarono di occupare quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Altra tecnica tipica delle eresie: una volta condannate, riemergono proponendo un compromesso tra la verità e l’errore. Gli ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza di una sola lettera, minimale, ma che cambiava tutto. Infatti, il primo termine (homoousion) significa “della stessa sostanza”, il secondo termine (homoiousion) significa “simile in essenza”. Traducendo, si capisce quanto la differenza non sia di poco conto.
 
Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla dottrina, sant’Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l’esilio per ben cinque volte, ma non cedette. E –come si suol dire- non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva in dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: “Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo.”
 
Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un sinodo per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava sant’Atanasio. Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: “arrogante”, “superbo” e “uomo che vuole la discordia”. Il papa Giulio I (?-352) cercò di difenderlo, ma poi di lì a non molto morì e il povero sant’Atanasio fu nuovamente attaccato.
 
Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui: l’imperatore Costanzo l’odiava. Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere una condanna di sant’Atanasio. Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice.
Fu allora che accadde ciò che viene ricordato come “caduta” di un papa. Liberio, per ottenere il potere e tornare a Roma come papa legittimo, decise anch’egli di accettare l’ambigua definizione semiariana, eppure fino ad allora si era distinto per una convinta definizione dell’homoosius del Concilio di Nicea.
Altri concili segnarono il trionfo dell’eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359. Ma era prevedibile che per come era stato trattato sant’Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera fede il castigo fosse alle porte. All’imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto “l’apostata” (330-363), che arrivò a ripudiare il battesimo cercando di restaurare il paganesimo.
Non passò molto tempo e il nuovo imperatore Valente, così come il nuovo papa Damaso, capirono che sant’Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L’intrepido difensore della fede cattolica morì il 2 maggio del 373.
 
Ancora due cose vanno messe in rilievo.
La prima: ai tempi di sant’Atanasio a difendere la fede ci fu solo lui e una piccola comunità, i vescovi dell’Egitto e della Libia. Solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede.
La seconda: è significativo che colui che combatté da solo contro l’eresia ariana, non fu mai un teologo. La sua grande sapienza teologica, più che dagli studi, gli venne dall’incontro con i suoi maestri cristiani che testimoniarono il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano; e soprattutto dall’incontro con il grande sant’Antonio. Ario, invece, raccoglieva grande consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi. Atanasio però sapeva quanto qui stesse l’insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio riporta un insegnamento del suo grande maestro: “(…) i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scritture. (…). A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni.”
 
 

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