Negli Stati Uniti d’America è nata una discussione fra alcuni cattolici fedeli alla Tradizione circa la causa dei cambiamenti imposti dai “papi conciliari”, in particolare dall’ultimo. Secondo alcuni la “colpa” è dell’ultramontanisimo, ovvero quella “corrente” che si batté affinché al Concilio Vaticano I fosse proclamato il dogma dell’infallibilità pontificia in materia fede e morale. Tale strenua difesa del potere del papato, essi sostengono, ha portato alla papolatria e al “magisterialismo”, facendo del papa il padrone assoluto della Chiesa. Anche il prof. Roberto de Mattei ha voluto partecipare a questo dibattito — in un articolo sul blog americano Rorate Caeli che proponiamo in una nostra traduzione (confermataci dall’Autore stesso che ringraziamo di cuore) –, difendendo l’ultramontanismo, spiegando invece che è vero il contrario: la papolatria e il “magisterialismo” vengono dal Concilio Vaticano II, idolatrando la persona privata del papa e redendo il magistero non strumento della Tradizione, ma addirittura fonte della Rivelazione.
di Roberto de Mattei

Negli ultimi mesi si è aperto un dibattito sull’ultramontanismo su Rorate Coeli e OnePeterFive, con interessanti interventi di Stuart Chessman, Peter Kwanieswski e José Antonio Ureta.
Conosco personalmente questi autori e nutro per loro stima e amicizia, ma per essere fedele all’adagio latino Amicus Plato, sed magis amica veritas (Platone mi è amico, ma più amica mi è la verità), più che all’amicizia, mi attengo a ciò che mi sembra essere la verità.
A questo proposito, devo dire che condivido la posizione dottrinale di José Antonio Ureta, anche se forse ciò che divide me e Ureta dagli altri autori è soprattutto un problema semantico, relativo all’uso del termine “ultramontanesimo”. Per questo vorrei spiegare, a livello storico, chi erano gli ultramontani e perché mi considero un loro ammiratore ed erede intellettuale.
Il termine “ultramontanismo” fu creato e usato in senso negativo nel XIX secolo, per designare l’atteggiamento di fedeltà dei cattolici “d’oltralpe” alle dottrine e alle istituzioni del Papato. Il padre Richard Costigan S.J., nel suo libro Rohrbacher and the Ecclesiology of Ultramontanism (Gregoriana, Roma 1980, pp. XIV-XXVI) ha spiegato bene questo concetto.
Gli ultramontani erano contrari alle dottrine del gallicanesimo, del febronianesimo e del giuseppinismo, che sostenevano la restrizione del potere del papato a favore di quello dell’episcopato. Più in generale, gli ultramontani combattevano contro i cattolici liberali, che rifiutavano l’opposizione alla Rivoluzione francese e cercavano di stabilire forme di adattamento della Chiesa con il mondo moderno.
Esponenti di questa scuola ultramontana — o controrivoluzionaria — furono il filosofo politico francese, conte Joseph de Maistre (1753-1821), lo statista spagnolo Juan Donoso Cortés, marchese di Valdegamas (1809-1853) e molti altri.
De Maistre è autore del libro Du Pape (1819), opera che ebbe centinaia di ristampe, e che anticipava il dogma dell’infallibilità papale. Donoso Cortés denunciò l’antagonismo assoluto tra la società moderna e il cristianesimo nel suo Ensayo sobre el Catolicismo, el liberalismo y el socialismo (Madrid 1851). Ricordo anche l’ influenza esercitata nel corso del XIX secolo, della monumentale Histoire universelle de l’Église catholique di René François Rohrbacher (1789-1856), in 28 volumi, che ebbe sette edizioni tra il 1842 e il 1901 e fu tradotta in italiano, inglese e tedesco. Quest’opera influenzò il pensiero cattolico del diciannovesimo secolo non meno delle opere di Joseph de Maistre e Juan Donoso Cortés.
La lotta tra cattolici ultramontani e cattolici liberali si sviluppò soprattutto in Francia nella seconda metà dell’Ottocento. I paladini del fronte liberale furono il conte Charles Renée de Montalembert (1810-1870), con la sua rivista Le Correspondant, e mons. Félix-Antoine Philibert Dupanloup (1802-1878), vescovo di Orléans. I capi ultramontani furono il cardinale Louis Pie (1815-1880), vescovo di Poitiers, definito “il martello del liberalismo”, e Louis Veuillot (1813-1883) con il suo giornale L’Univers.
Papa Pio IX sostenne il movimento ultramontano e condannò il liberalismo cattolico con l’enciclica Quanta cura e il Sillabo o sintesi dei principali errori del nostro tempo, pubblicato l’8 dicembre 1864, decimo anniversario della promulgazione del dogma dell’Immacolata. Mons. Pie, Louis Veuillot e Donoso Cortés furono consultati durante la redazionrdi questi documenti. Da allora, il Sillabo sarebbe divenuto il manifesto dei cattolici “ultramontani” o “integrali”, contro il relativismo dei cattolici liberali.
Cinque anni dopo, quando Pio IX annunciò il Concilio Vaticano (I), i cattolici liberali decisero di uscire allo scoperto. Il primo a dare battaglia fu mons. Dupanloup, che pubblicò una breve opera sull’infallibilità, sostenendo che era “inopportuno” proclamarla. In Germania Ignaz von Döllinger (1799-1890), rettore dell’Università di Monaco, accusò Papa Pio IX di preparare “una rivoluzione ecclesiastica” per imporre l’infallibilità come dogma. In Inghilterra le tesi di Döllinger e Dupanloup furono diffuse da Lord John Emerich Acton (1834-1902).
I cattolici ultramontanisi batterono invece per l’approvazione del dogma del primato di Pietro e dell’infallibilità papale. Alla testa di questo fronte fu il cardinale Henry Edward Manning (1808-1892), arcivescovo di Westminster, che occupò una posizione nel Concilio Vaticano I paragonabile a quella di san Cirillo al Concilio di Efeso. Alcuni anni prima, insieme a mons. Ignaz von Senestrey (1818-1906), vescovo di Ratisbona, aveva emesso il voto, redatto da padre Matteo Liberatore (1810-1892), di fare tutto quanto era in suo potere per ottenere la definizione dell’infallibilità papale.
Ad essi si affiancarono eminenti personalità, come il padre gesuita, poi cardinale, Johann Baptist Franzelin (1816-1886), teologo pontificio nel Concilio, Dom Prosper Guéranger (1805-1875), fondatore della Congregazione francese di Solesmes che ricostituì la vita monastica benedettina in Francia, e sant’Antonio Marie Claret (1807-1870), arcivescovo di Trajanópolis, leader spirituale dei vescovi spagnoli, che costituiva la “Guardia Imperiale del Papa” al Vaticano I (cfr. la sua Lettera a Madre María Antonia, del 17 giugno 1870).
I liberali, facendo eco alle tesi conciliariste e gallicane, ritenevano che l’autorità della Chiesa risiedesse nel Papa unito ai Vescovi, e giudicarono errato, o almeno inopportuno, il dogma dell’infallibilità. Sant’Antonio Maria Claret fu uno dei 400 Padri che il 28 gennaio 1870 sottoscrissero una petizione chiedendo la definizione dell’infallibilità, come non solo opportuna, ma sub omni respectu ineluctabiliter necessaria, e il 31 maggio 1870 pronunciò un commovente discorso in sua difesa.
Il beato Pio IX, l’8 dicembre 1870, con la costituzione Pastor aeternus, definì i dogmi del Primato di Pietro e dell’Infallibilità papale (DENZ-H, 3050-3075). Questi dogmi sono oggi per noi un riferimento prezioso, su cui fondare la vera devozione alla Cattedra di Pietro.
I cattolici liberali furono sconfitti al Concilio Vaticano I, ma un secolo dopo divennero i protagonisti — e i vincitori — del Concilio Vaticano II. Gallicani, giansenisti e febroniani sostenevano apertamente che la struttura della Chiesa deve essere democratica, guidata dal basso, da sacerdoti e vescovi, di cui il Papa sarebbe solo un rappresentante. La costituzione Lumen Gentium, promulgata dal Vaticano II il 21 novembre 1964 , fu — come tutti i documenti conciliari — una costituzione ambigua, che recepiva queste tendenze, pur senza portarle alle loro conseguenze finali.
Il padre Yves Congar (1904-1995), il 9 dicembre 1962, scriveva nel suo diario: «Ritengo che tutto quanto sarà fatto fa per convertire l’Italia dall’ultramontananesimo politico, ecclesiologico e devozionale, al Vangelo sarà anche un guadagno per la Chiesa universale. Così, in questo periodo, ho accettato molti impegni in questo senso» (Diario del Concilio, 2 voll., San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005, vol. I, p. 308). Il teologo domenicano aggiungeva: «L’ultramontanismo esiste davvero… I collegi, le università e le scuole di Roma distillano tutto ciò in dosi diverse: la dose più alta, quasi mortale, è quella che attualmente si dà all’Università Lateranense» (vol. I, p. 201). «Miserabile ecclesiologia ultramontana», annotava ancora Congar il 5 febbraio (vol. II, p. 20). Egli considerava la sua lotta contro i teologi della “scuola romana” come una “missione”.
La scuola teologica romana fu l’erede del movimento ultramontano: il cardinale Alfredo Ottaviani, il cardinale Ernesto Ruffini, ma anche mons. Marcel Lefebvre, furono i rappresentanti di questa scuola durante il Concilio Vaticano II.
Lo scrittore inglese Michael Davies (1936-2004) — che attribuisce parte del disastro conciliare a una falsa obbedienza papale — ricorda che il cardinale Manning disse: «L’infallibilità non è una qualità inerente a una persona, ma un aiuto annesso a un ufficio» (in Pope John’s Council, Augustine Publishing Company, Chawleigh, Chulmleigh (Devon) 1977, p. 175). Il Concilio Vaticano I non insegna che il carisma dell’infallibilità è sempre presente nel Vicario di Cristo, ma semplicemente che esso non è assente nell’esercizio del suo ufficio nella sua forma suprema, cioè quando il Sommo Pontefice insegna come Pastore universale, ex cathedra, in materia di fede e di morale (Pope John’s Council, pp. 175-176).
Lo stesso Michael Davies può essere considerato un tradizionalista ultramontano, come tutti coloro che hanno resistito al Vaticano II e al Novus Ordo con rispetto e amore per il Papato. Questa è la posizione che sostengo nel mio libro Love for the Papacy and Filial Resistance to the Pope in the History of Church (Angelico Press, New York 2019).
Nel 1875, i vescovi tedeschi, nella loro opposizione al cancelliere Bismarck, dichiararono che il Magistero del papa e dei vescovi «è ristretto ai contenuti del Magistero infallibile della Chiesa in generale, ed è ristretto ai contenuti della Sacra Scrittura e tradizione» (Denz-H 3116). Papa Pio IX diede pieno appoggio a questa dichiarazione, con la sua lettera ai vescovi della Germania Mirabilis illa constantia del 4 marzo 1875 (Denz-H 3117). Concordo pienamente con questa affermazione ultramontana, che può costituire la base di una rispettosa resistenza alle decisioni ingiuste della Santa Sede.
La “papolatria” e il “magisterialismo” sono nati dopo il Concilio Vaticano II: un culto estremo della persona del Papa che si è sviluppato parallelamente all’umiliazione del Papato. Ciò non ha nulla a che fare con l’ultramontanismo.
Spero di aver spiegato perché sono fiero di essere un ultramontano e perché sono preoccupato per le critiche all’ultramontanismo.
Traduzione rivista dall’Autore
(fonte: rorate-caeli.blogspot.com)
Per saperne di più:
Il modernismo, non l’ultramontanismo, è la “sintesi di tutte le eresie”