Leone XII Charitate Christi il Giubileo 1825: conversione, penitenza, opere di carità, preghiera

Fare dei poveri la principale risorsa della Chiesa…” non è una invenzione della Chiesa “modernista” ma, piuttosto un vero progetto che ha brillato spesso in molti Pontefici e Pontificati come quello di Leone XII parlando, ovviamente, dello Stato Pontificio, giurisdizione diretta della Santa Sede. Tuttavia, Leone XII non si limitava al bene materiale ben comprendendo quanto il povero avesse bisogno sia del bene materiale quanto di quello spirituale: le 14 Opere di Misericordia. Ecco cosa scrive il Pontefice per il Giubileo:

Ciascuno di voi, dunque, Venerabili Fratelli, ritenga rivolte a se stesso, specialmente in questo tempo, le parole del profeta : «Grida a squarciagola, non desistere; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati». Voi stessi, per quanto potrete, e, dietro il vostro avvertimento, i sacri predicatori che voi sceglierete particolarmente idonei per condotta e parole a scuotere gli animi, inculcate negli orecchi di tutti ciò che a tutti ha minacciato Cristo: «Se non vi convertirete, perirete tutti».
I predicatori facciano capire che per potersi convertire, bisogna chiederlo con fervida preghiera, come implorava il profeta: «Facci ritornare a te, Signore, e ritorneremo». Facciano vedere quanto grande offesa a Dio è il peccato; incutano un salutare timore nelle anime ricordando la severità del divino giudizio e l’atrocità dei supplizi che sono preparati per coloro che muoiono nel peccato; per ottenere misericordia , suscitino in tutti la speranza nell’infinita bontà di Dio, il quale afferma che è in attesa di usare misericordia.
Sono sue quelle dolcissime parole: «Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo… Io non godo della morte di chi muore».

Dice il Signore Iddio: «Convertitevi e vivrete». Da qui verrà la facile conseguenza che si riconosca quanto merita di essere amato un Padre così buono e misericordioso; che si rifletta come è indegna di tanta bontà qualunque ragione di offenderlo; e, infine, che nascano il dolore interiore, la detestazione dei peccati e la sincera e decisa volontà di cambiare vita e costumi.
Così, dopo aver dimostrato la necessità della penitenza interiore e aver disposto gli animi ad essa, si passi ad illustrare la Penitenza come Sacramento.
I ministri della parola del Signore ammoniscano i fedeli che, per chi ha degenerato dopo il Battesimo, il Sacramento della Penitenza è necessario come è necessario il Battesimo per chi non è ancora rigenerato. Giustamente, quindi, è chiamato «la seconda tavola dopo il naufragio», l’unica con cui è possibile arrivare al porto dell’eterna salvezza.
Facciano loro conoscere con quali sentimenti di dolore e di umiltà, con quale fede e integrità devono confessare i propri peccati.
Né tralascino di ricordare che molto spesso è utile la confessione generale, anzi in certi casi è assolutamente necessaria, perché, lavata la colpa e condonata la pena eterna con l’assoluzione, rimane il più delle volte quella temporale: così la giustizia divina esige che siano puniti almeno con pene limitate dal tempo coloro le cui colpe non sarebbero sufficientemente punite nemmeno con supplizi senza limiti di tempo.
Con animo così preparato i fedeli potranno raccogliere i frutti del santo Giubileo.”

  • Vi è affidata la cura degli uomini di ogni condizione, ma specialmente dei poveri, per evangelizzare i quali Cristo ha dichiarato di essere stato mandato dal Padre, e verso i quali ha dato luminosi segni di benevolenza. Voi sapete bene che, sotto la spinta del bisogno, possono facilmente perdere il frutto della presente generosità di Dio. Servitevi dei beni della Chiesa avendo come norma il comando del Signore : «Ciò che è in piùdatelo in elemosina», e mettete fedelmente in pratica ciò che la Chiesa prescrive ai Vescovi circa l’uso dei beni. Abbiano facile accesso a voi i gemiti dei bisognosi; chiedete per loro l’aiuto dei ricchi, ricordando spesso il precetto dell’elemosina; difendeteli strenuamente contro ogni oppressione e sopruso.
  • Contro l’iniquità degli usurai che, come dice il Concilio Romano, derubano e mandano in rovina la povera gente, inveite tra l’altro con il vostro zelo, perché l’usura è un male molto diffuso ai nostri giorni. Un aiuto contro quest’infame genere di rapina erano una volta i Monti frumentari e i Monti di pietà che, inventati da pie persone e approvati dai Sommi Pontefici, si erano diffusi in tutto il mondo. Ci dispiace che in molti luoghi siano stati soppressi dalla rapacità di coloro che si vantavano di essere difensori della felicità dei popoli. Impegnatevi a ripristinarli e ricordate ai fedeli le indulgenze concesse dai Nostri Predecessori a coloro che si dedicano ad un’opera così buona.
  • Tra i poveri poi raccomandiamo in modo particolare quelli che non solo sono poveri, ma anche orfani e malati: si istituiscano con la massima premura case di accoglienza per assistere i giovani dell’uno e dell’altro sesso nel sostentamento e nell’educazione, e gli invalidi e i malati nella cura del loro corpo, dei loro beni di famiglia e del loro spirito.
  • In breve: siate pastori e maestri del popolo. È vostro compito, Venerabili Fratelli, non solo vigilare che il gregge a voi affidato non soffra incursioni di bestie spirituali, ma anche nutrirlo con cibo della dottrina celeste, con buone leggi e soprattutto con l’esempio, secondo quanto è stato detto anche a voi dal Signore: «Voi siete la luce del mondo…; così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli». L’esempio di per sé è efficacissimo per scuotere gli animi e per chiudere la bocca a chi parla male, come dice l’Apostolo: «Offri te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire». Così il popolo non solo vedrà quello che si deve fare, ma lo farà. Siate, come gli Apostoli, anche voi sale della terra, in modo che, una volta tolto di mezzo il fetore dei peccati, gli uomini conservino a lungo quell’integrità di vita e di costumi che voi avete loro instillato.

INFINE….

A Papa Leone XII viene attribuita una ORAZIONE che, tuttavia, non ha riscontro in alcuna fonte certa.
Sembra piuttosto la composizione di qualche Sacerdote o Vescovo che, in seguito al Giubileo del 1825 (infatti l’Orazione è ascritta al 1829 e Leone XII muore proprio nel febbraio di questo anno), ha preso dalle parole del Pontefice alcuni spunti dando poi, a questa Preghiera, un imprimatur arricchendola con le sante Indulgenze.
Ecco il testo che, riguardo al nuovo Manuale delle Indulgenze a firma di Paolo VI, non sono più a giornate o ad anni, ma solo “parziali o plenarie” ossia, le “parziali” comprendono le indulgenze date a giorni o ad anni; quella “plenaria”, piena appunto, è totale purchè – entrambe – fatte alle solite condizioni:

  • bisogna essere confessati o confessarsi entro quella settimana e pentiti di ogni peccato, anche veniale;
  • pregare un Pater Noster, Ave e Gloria, per il Sommo Pontefice e le necessità della santa Chiesa;
  • visitare il SSmo Sacramento e andare alla Messa perseguendo quelle sante intenzioni;
  • preoccuparsi di qualche opera di carità.
    ORAZIONE – Pietate Tua
  • + Ti preghiamo, o Signore, che Tu voglia nella tua infinita misericordia scioglierci dai nostri peccati, e per l’intercessione della Beatissima Vergine Madre di Dio Maria, degli Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi, degnati conservare noi tuoi servi, i nostri paesi e le nostre abitazioni in perfetta santità; purificare tutti i nostri parenti, amici e conoscenti da ogni peccato, e glorificarli con ogni virtu’; darci la salute e la pace; allontanar da noi tutti i nostri nemici visibili ed invisibili; frenare i desideri della carne, conservare la sanità dell’aria, accordare la santa carità tanto ai nostri amici, quanto ai nemici; difendere la nostra città (o paese); conservare il nostro Sommo Pastore il Papa N.N., tutti i nostri superiori spirituali, i Principi, e difendere da ogni disgrazia tutto il popolo cristiano.
    La tua santa benedizione riposi sempre sopra di noi, e a tutti i fedeli defunti concedi la pace perpetua, per Gesù Cristo Nostro Signore. Cosi sia
    .

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Leone XII – al secolo Giuseppe Monsagrati Annibale della Genga Sermattei – nacque a Monticelli di Genga, nel distretto e diocesi di Fabriano, il 22 agosto 1760. Sesto di dieci figli, la stessa nascita e una tradizione familiare di presenza nel clero – destinata con lui a consolidarsi – predisponevano Annibale alla carriera ecclesiastica; e infatti, educato a partire dai tredici anni nel collegio Campana di Osimo e passato a diciotto nel collegio Piceno di Roma, dopo aver conseguito tra il 1782 e il 1783 il suddiaconato e il diaconato, il 14 giugno 1783 fu ordinato sacerdote.

Al culmine degli anni della formazione giunse un segnale dell’attenzione con la quale a Roma si seguiva e favoriva la sua ascesa: nell’agosto del 1790 Pio VI in persona gli affidò l’incarico di pronunziare nella cappella Paolina del Quirinale l’orazione in morte dell’imperatore d’Austria Giuseppe II che tanti problemi aveva provocato alla Chiesa con il suo giurisdizionalismo. Pur costretto dall’intervento preventivo del papa a sfumare talune espressioni critiche e a sorvolare su qualche passaggio particolarmente delicato, il della Genga non tradì le attese: fu compensato con un canonicato nella basilica di S. Pietro che gli dischiuse l’accesso in Curia, un passaggio importante per il completamento della sua preparazione e in funzione dell’ingresso in diplomazia. Ancora quattro anni, e il 21 febbraio 1794, con la nomina a prelato domestico e con la consacrazione ad arcivescovo “in partibus” di Tiro, sarebbe arrivata la designazione a titolare della Nunziatura della Germania renana, con residenza a Colonia. L’antica e spinosa questione dei rapporti con la popolazione protestante e il non meno difficile problema del controllo su un episcopato quale quello tedesco assai geloso della propria indipendenza da Roma, il tutto sullo sfondo di un’epoca travagliata dai contraccolpi della Rivoluzione e, di lì a poco, dall’avanzata delle armate francesi, erano indubbi fattori di turbamento per la missione di un giovane diplomatico vissuto fin allora nell’atmosfera tranquilla e ben protetta della Santa Sede.

A scuoterlo dalle sue meditazioni fu ancora una volta Pio VII, che lo elevò al cardinalato (8 marzo 1816) e lo destinò alla diocesi di Senigallia. Afflitto dalle sue croniche infermità, il neoporporato non raggiunse mai la sua sede vescovile e già a settembre annunziava la propria decisione di farsi da parte (ma dovette aspettare quasi due anni perché fosse designato il suo successore). Almeno in parte ristabilito, ebbe come cardinale il titolo della basilica di S. Maria in Trastevere e assunse quindi le cariche di prefetto della Sacra Congregazione dell’Immunità Ecclesiastica (9 maggio 1820) e di cardinale vicario (12 maggio 1820), entrambe così rilevanti nella gerarchia di Curia da corroborare l’impressione che, lungi dall’essere sconfitto, l’intransigentismo zelante avesse ancora molto da dire nella vita della Chiesa.

Su tale scenario cadde la notizia della morte di Pio VII, avvenuta il 20 agosto 1823. Quando pochi giorni dopo si aprì il conclave fu subito chiaro che si fronteggiavano due tendenze, la zelante e la politicante, fedele, la prima, al programma di risveglio spirituale, attestata, la seconda, sulla linea del riformismo del Consalvi.

Allorché fu chiaro che si doveva trovare un accordo su un altro nome, gli zelanti e il Severoli per primo proposero quello del della Genga, rimasto fino ad allora sullo sfondo quasi ad ostentare la propria condizione di uomo molto autorevole – e dunque anche papabile – ma gravemente malato. Bastò che in seno al conclave circolasse la notizia della sua candidatura perché si trovassero i trentaquattro voti (uno più del minimo indispensabile) per eleggerlo, cosa che avvenne il 28 settembre 1823. Il nuovo papa scelse per sé il nome di Leone XII, secondo una tradizione per riallacciarsi al precedente glorioso di Leone Magno, secondo altri per gratitudine verso Leone XI che, nei pochi giorni in cui era stato pontefice nel 1605, aveva donato alla sua famiglia il feudo della Genga. L’uomo che saliva sul soglio di Pietro apparteneva sicuramente alla corrente degli zelanti della quale aveva condiviso e condivideva ancora il programma di austera ripresa della spiritualità. 

Il terreno sul quale il pontificato di Leone XII ottenne i risultati più qualificanti fu però quello dell’assistenza e della carità pubblica, o della beneficenza, come si diceva – con un termine che ricordava il precedente napoleonico – nel testo del “motu proprio” che il 16 dicembre 1826 istituiva la commissione dei sussidi allo scopo di distribuire gli aiuti alla popolazione indigente e di eliminare mendicità e vagabondaggio. Fare dei poveri la principale risorsa della Chiesa era il vero obiettivo di questa politica che, a differenza di quella francese cui è stata da taluno accostata, non si limitava a curare l’emergenza ma, preoccupandosi solo di disciplinarla e alleviarla, la rendeva strutturale e ne faceva un punto essenziale del dirigismo economico papale, capace di esprimersi anche attraverso altre misure quali il contenimento degli affitti e il blocco degli sfratti che, prese in prossimità del Giubileo del 1825, restarono a lungo nella legislazione pontificia, con disappunto dei pochi liberisti presenti allora nello Stato…

Leone XII muore in Vaticano il 10 febbraio 1829 all’età di 69 anni e 6 anni di Pontificato: cinque giorni dopo, compiute le solenni cerimonie di rito, fu seppellito in S. Pietro. Prima del trapasso aveva chiesto che la sua bara fosse tumulata nella cripta dell’altare di S. Leone Magno, il che avvenne il 5 dicembre 1830.

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“Bisogna tuttavia stare molto attenti che come conseguenza, «proprio a causa di questa occasione», per usare le parole del sacro Concilio di Trento, «i fedeli, in dispregio e ad offesa dello Spirito Santo, non considerino i peccati stessi come cosa da poco, e non cadano così in colpe più gravi, accumulando su di sé l’ira per il giorno dell’ira»…”

Questa Bolla di Papa Leone XII del 1825 non è solo un documento accorato, importante per i sacerdoti per confessare bene: infatti, è utile anche ai fedeli per capire come sia fondamentale – per la pace interiore e per tutta la società – la confessione dei peccati (sia veniali che gravi e gravissimi). La confessione esige vero e profondo pentimento, penitenza, riparazione come stabilita dal confessore.

Il documento ricorda come, nei tempi antichi, era uso per i fedeli cristiani fare anche una particolare penitenza andando a pregare in un certo numero di chiese.
Oppure – in determinati giorni- chiudersi un giorno intero nelle chiese, pregare, digiunare e riflettere sulla propria vita..

Che differenza con i tempi attuali, in cui c’è chi autorizza pranzi e cene e balli e musiche profane nelle chiese, che Gesù chiama “case di preghiera del Padre mio“…

E in quante magnifiche Chiese ne vediamo tristi esempi: chi mangia, chi ride, chi parla al telefono… un mercato!!! Chiassoso e vergognoso.
Eppure, Gesù ci ha ammoniti: “Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato“..
Non aspettiamo che l’Ira di Dio si faccia sentire.


BOLLA – Costituzione – DEL SOMMO PONTEFICE LEONE XIICHARITATE CHRISTI

Di Papa Leone XII per il Giubileo del 1825
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

1. L’amore di Cristo Ci spinge a provvedere, per quanto possiamo con il potere che Dio ha concesso a Noi, benché indegni, a che i benefici della sua passione arrivino a tutti gli uomini.

I grandi attestati di fede, di pietà e di ogni virtù sia da parte degli abitanti di Roma, sia degli stranieri che, nonostante i tempi, sono venuti qui moltissimi per il Giubileo universale, Ci hanno incoraggiato a sperare di potere suscitare ovunque nei fedeli gli stessi sentimenti per la salvezza delle loro anime, a gloria di Dio e della sua Chiesa. Assecondando i vostri desideri, Venerabili Fratelli, e quelli dei Principi cattolici ai quali sta a cuore la felicità dei loro popoli, abbiamo pensato di aprire, finito l’Anno Santo, i tesori della Chiesa a tutte le regioni della terra, come hanno fatto Benedetto XIV e Pio VI, Nostri Predecessori di felice memoria.

Perciò abbiamo pubblicato una Costituzione indirizzata a tutti i fedeli Cristiani e ve la trasmettiamo perché, per mezzo vostro, tutti possano venirne a conoscenza. In essa estendiamo a tutti i fedeli l’indulgenza dello stesso Giubileo; indichiamo quali pie opere e in quale spazio di tempo si devono compiere per acquistarla, e diamo a voi la facoltà di commutare tali opere a vostro arbitrio o di ridurle per comodità di coloro che saranno legittimamente impediti.

È inutile dire quanto è necessaria la vostra opera in questo campo e con quale impegno dovete lavorare affinché il successo corrisponda felicemente alle Nostre intenzioni. Da questa solenne celebrazione dell’Anno Santo i popoli trarranno vantaggi in proporzione alla diligenza e all’applicazione che impiegheranno per prepararvisi come si conviene. Il loro zelo dipenderà dall’impegno che userete nell’ufficio del vostro ministero pastorale. Fate sapere ad essi quale e quanto grande dono si dà loro. Mostrate il valore del tesoro che apriamo e quanto facilmente tutti possano essere partecipi di quella ricchezza, sia per le più ampie facoltà che concediamo ai ministri della Penitenza di rimettere i peccati, sia per la natura stessa delle opere imposte in espiazione dei peccati.

Voi sapete bene quanto rigida era la severità della Chiesa su questo punto prima del secolo XIV. «Chiunque – disse Urbano II, Nostro Predecessore, al Concilio di Clermont – andrà a Gerusalemme non per procurarsi onore e denaro, ma solo per devozione, per liberare la Chiesa di Dio, consideri quel viaggio al Posto di tutte le altre penitenze». Sappiamo anche che la Chiesa non era solita concedere altrimenti l’indulgenza plenaria, come osserva il devotissimo e piissimo Cardinale beato Giuseppe Maria Tomasio con queste parole : «Questa indulgenza plenaria, per la quale veniva imposta un’opera onerosissima per spese, scomodità, viaggi faticosissimi, pericoli di vita, tanto che non appariva affatto un alleggerimento, ma piuttosto un inasprimento della penitenza…, questa indulgenza plenaria, dico, della Terra Santa è stata in seguito sempre confermata da altri Pontefici». Proponendo alla considerazione dei fedeli la moderazione della Chiesa, pia madre che ha compassione della debolezza dei suoi figli e che oggi impone opere tanto più facili e leggere per un bene che supera ogni prezzo, vedrete che non ci sarà nessuno talmente snervato e negligente che non voglia acquistare benefici così grandi a così basso prezzo.

Bisogna tuttavia stare molto attenti che come conseguenza, «proprio a causa di questa occasione», per usare le parole del sacro Concilio di Trento, «i fedeli, in dispregio e ad offesa dello Spirito Santo, non considerino i peccati stessi come cosa da poco, e non cadano così in colpe più gravi, accumulando su di sé l’ira per il giorno dell’ira». Si mostri sì la generosità della Chiesa, ma non si trascurino la coscienziosità e lo zelo per richiamare gli uomini a riflettere sui peccati commessi contro la legge di Dio, a pentirsene di cuore e a confessarli integralmente e sinceramente con dolore. In questo modo saranno indotti meglio ad ammirare e ad amare la bontà di Dio, che è così ben disposto e clemente anche verso coloro i quali, senza mai sentire il bisogno di espiare il male, «una volta liberati dalla schiavitù del peccato e del demonio per mezzo del Battesimo, e ricevuto il dono dello Spirito Santo, non hanno avuto paura di profanare il tempio di Dio e contristare lo Spirito Santo».

2. Per questo motivo, seguendo l’esempio dei Nostri Predecessori, dopo aver indetto il solenne Giubileo, abbiamo ordinato di implorare pubblicamente, per il felice esito di quest’opera, l’aiuto di Dio, senza il quale nulla può la debolezza umana, e di spezzare al popolo, nelle Chiese e nelle piazze, il pane della parola del Signore, perché per mezzo di essa i ministri ardenti di zelo per le anime possano insegnare al popolo la dottrina cattolica sulle indulgenze e sul Giubileo, ricordargli i doveri cristiani e indurlo mediante un’intensa preghiera a una sincera conversione.

3. Ciascuno di voi, dunque, Venerabili Fratelli, ritenga rivolte a se stesso, specialmente in questo tempo, le parole del profeta : «Grida a squarciagola, non desistere; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati». Voi stessi, per quanto potrete, e, dietro il vostro avvertimento, i sacri predicatori che voi sceglierete particolarmente idonei per condotta e parole a scuotere gli animi, inculcate negli orecchi di tutti ciò che a tutti ha minacciato Cristo: «Se non vi convertirete, perirete tutti». I predicatori facciano capire che per potersi convertire, bisogna chiederlo con fervida preghiera, come implorava il profeta: «Facci ritornare a te, Signore, e ritorneremo». Facciano vedere quanto grande offesa a Dio è il peccato; incutano un salutare timore nelle anime ricordando la severità del divino giudizio e l’atrocità dei supplizi che sono preparati per coloro che muoiono nel peccato; per ottenere misericordia , suscitino in tutti la speranza nell’infinita bontà di Dio, il quale afferma che è in attesa di usare misericordia. Sono sue quelle dolcissime parole: «Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo… Io non godo della morte di chi muore». Dice il Signore Iddio: «Convertitevi e vivrete». Da qui verrà la facile conseguenza che si riconosca quanto merita di essere amato un Padre così buono e misericordioso; che si rifletta come è indegna di tanta bontà qualunque ragione di offenderlo; e, infine, che nascano il dolore interiore, la detestazione dei peccati e la sincera e decisa volontà di cambiare vita e costumi.

4. Così, dopo aver dimostrato la necessità della penitenza interiore e aver disposto gli animi ad essa, si passi ad illustrare la Penitenza come Sacramento.

I ministri della parola del Signore ammoniscano i fedeli che, per chi ha degenerato dopo il Battesimo, il Sacramento della Penitenza è necessario come è necessario il Battesimo per chi non è ancora rigenerato. Giustamente, quindi, è chiamato «la seconda tavola dopo il naufragio», l’unica con cui è possibile arrivare al porto dell’eterna salvezza. Facciano loro conoscere con quali sentimenti di dolore e di umiltà, con quale fede e integrità devono confessare i propri peccati.

Né tralascino di ricordare che molto spesso è utile la confessione generale, anzi in certi casi è assolutamente necessaria, perché, lavata la colpa e condonata la pena eterna con l’assoluzione, rimane il più delle volte quella temporale: così la giustizia divina esige che siano puniti almeno con pene limitate dal tempo coloro le cui colpe non sarebbero sufficientemente punite nemmeno con supplizi senza limiti di tempo.

Con animo così preparato i fedeli potranno raccogliere i frutti del santo Giubileo. Ma affinché intraprendano con la dovuta pietà e fiducia le opere, per mezzo delle quali acquisteranno questo beneficio così grande, sarà vostro compito illuminarli e persuaderli che Cristo Gesù, mediatore tra Dio e gli uomini, ha lasciato alla Chiesa il tesoro inesauribile dei suoi meriti, a cui vanno aggiunti i meriti della beatissima Vergine sua Madre e di tutti i Santi. La Chiesa, per l’abbondante redenzione del Signore, è stata elevata a tale dignità, che il potere di dispensare le sue ricchezze è in mano di colui, al quale Cristo invisibile si è reso visibile costituendolo capo della stessa Chiesa.

Fate sapere ai fedeli che a prudente arbitrio di Cristo i meriti possono essere, ora più largamente ora più strettamente, applicati ai vivi per mezzo dell’assoluzione, ai morti per mezzo dei suffragi: in questo modo i primi lavano la loro colpa e sono assolti dalla pena eterna col Sacramento della Penitenza, i secondi passano all’altra vita uniti a Dio nella carità.

Sappiano i fedeli che l’indulgenza consiste appunto nell’applicazione di quei meriti per cui le pene temporali, dovute dalla giustizia divina, vengono più o meno ridotte secondo le modalità stabilite dal Romano Pontefice, dispensatore di quel tesoro, e secondo la preparazione che i fedeli vi portano. I fedeli [sappiano] infine che l’indulgenza plenaria del Giubileo si distingue anche dalle altre indulgenze plenarie che si concedono a mo’ di Giubileo, perché durante l’anno della solenne remissione viene data ai ministri della Penitenza che sono costituiti a questo scopo una più ampia facoltà di assolvere i peccati e di sciogliere i vincoli e gl’impedimenti in cui non di rado è implicata la coscienza dei penitenti. E quando la preghiera di tutto il popolo cristiano sale al cielo, più sicura e più ampia ne discende la compassione del Signore placato dalla penitenza.

5. Tutto questo, Venerabili Fratelli, bisogna insegnarlo ai popoli; ma perché possano mettere in pratica con frutto ciò che hanno imparato, capite bene quanto sia necessaria l’opera idonea e conveniente dei sacerdoti presso i quali si devono confessare. Perciò dovete darvi da fare perché coloro che sceglierete per ascoltare le confessioni ricordino e osservino ciò che il Nostro Predecessore Innocenzo III richiede in un ministro della Penitenza : cioè che sia discreto e cauto; sappia come un medico esperto versare vino e olio sulle piaghe del ferito, e ricercare con accuratezza quelle circostanze del peccatore e del peccato attraverso le quali possa prudentemente capire che consigli dare e che rimedi suggerire, servendosi delle diverse esperienze per guarire il malato; abbia davanti agli occhi le annotazioni del Rituale Romano; veda attentamente quando e a chi si deve dare o negare o differire l’assoluzione, per non dare l’assoluzione a quelli che non ne sono degni, come sono coloro che non danno nessun segno di dolore, o non vogliono deporre odi e inimicizie, o restituire, se possono, la roba d’altri, o lasciare l’occasione prossima o la volontà di peccare e non vogliono correggere il proprio comportamento, o coloro che diedero pubblico scandalo e non intendono ripararlo pubblicamente e rimuoverlo.

Non c’è nessuno che non veda quanto ciò sia lontano dal metodo di quei confessori che, quando sentono un peccato piuttosto grave o si accorgono che uno è macchiato di più specie di peccati, subito dichiarano di non poter assolvere: vale a dire si rifiutano di curare coloro per assistere i quali sono stati costituiti da Colui che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati»; o di quei confessori per i quali la premura di indagare sulla coscienza, sul dolore e sul proposito sembra non abbia quasi nessun significato ai fini dell’assoluzione, e credono di aver preso una giusta decisione quando hanno rimandato l’assoluzione ad altro tempo.

Se in altra materia la via di mezzo è consigliabile, qui è indispensabile, affinché la troppa facilità di assolvere non comporti la facilità di peccare, e la troppa difficoltà non allontani le anime dalla confessione e le porti a disperare della salvezza.

In verità molti si mettono tra i ministri della Penitenza del tutto impreparati; tuttavia da impreparati possono diventare preparati, purché il sacerdote, vestito della misericordia di Gesù Cristo che è venuto a chiamare non i giusti ma i peccatori, sappia trattare con loro con amore, pazienza e mansuetudine. Se non fa questo, bisogna senz’altro dire che è tanto preparato ad ascoltare i peccati, quanto gli altri a confessarli.

Non sono da ritenersi impreparati i penitenti che hanno commesso peccati anche gravissimi o che da molti anni non si confessano, perché la misericordia del Signore è infinita, e inesauribile il tesoro della sua bontà; o quelli di grossolana condizione o di scarsa intelligenza che non hanno fatto un sufficiente esame di coscienza né lo potrebbero fare da soli senza l’aiuto del sacerdote. Sono impreparati soltanto coloro i quali – dopo che il sacerdote avrà messo la diligenza necessaria, non eccessiva per non infastidire, nell’interrogarli ed eccitarli a detestare i peccati, non senza aver pregato Dio nell’intimo del cuore e dopo che avrà esaurito ogni espediente della carità – saranno giudicati privi di quel sentimento di dolore e di penitenza, con cui disporsi a impetrare la grazia di Dio nel Sacramento.

Ma con qualunque animo uno si avvicini al ministro della Penitenza, ciò a cui questi deve stare più attento è che nessuno, per colpa sua, se ne vada via diffidando della bontà di Dio o irritato dal Sacramento della riconciliazione. Se poi ci fosse un giusto motivo per differire l’assoluzione, è necessario che, con le parole più cortesi che gli sarà possibile, persuada i penitenti che questo è il suo dovere e che lo richiede anche la loro stessa salute spirituale; cerchi di convincerli con molta dolcezza a ritornare quanto prima, affinché, adempiuto fedelmente quanto è stato prescritto e sciolti i vincoli dei peccati, siano confortati dalla dolcezza della grazia celeste.

Un esempio, tra gli altri, quanto mai opportuno di questa carità può essere quello di San Raimondo di Peñafort, che la Chiesa chiama insigne ministro del Sacramento della Penitenza. Conosciuti i peccati – diceva – il confessore si mostri benevolo, pronto a sollevare e a portare insieme il peso; abbia dolcezza nella debolezza altrui, pietà verso il peccato altrui, discrezione nella varietà dei peccati; aiuti il penitente pregando e facendo elemosine e altre opere buone per lui; lo aiuti sempre, calmandolo, consolandolo, dandogli speranza e, se ci fosse bisogno, anche rimproverandolo.

6. Così, accolti con pazienza e con benigna carità, i peccatori accetteranno con animo più sereno la penitenza che sarà loro imposta come soddisfazione. Devono considerare che non è nell’essenza e nella natura del Giubileo il dispensare gli uomini per mezzo dell’indulgenza da ogni obbligo di soddisfare all’offesa fatta alla giustizia di Dio con i peccati, quasi non fosse necessario compiere le soddisfazioni che per questo motivo i sacerdoti, ministri del Sacramento, impongono durante questo tempo. Infatti la soddisfazione è parte integrante del Sacramento; né, quando con il potere dato da Cristo a Noi, per mezzo dell’indulgenza mitighiamo la severità della pena dovuta per i peccati, possiamo avere altra intenzione se non che godano di così grande beneficio quelli che avranno compiuto tutto ciò che (secondo l’insegnamento dato da Cristo alla sua Chiesa) abbiamo imparato che Dio vuole si soddisfaccia alla sua giustizia per gl’infiniti meriti dello stesso suo Figlio, nostro Redentore.

Dovete dunque richiamare alla memoria dei ministri della Penitenza queste parole del sacro Concilio di Trento : «I sacerdoti devono, per quanto lo suggerisce la prudenza, imporre salutari e convenienti soddisfazioni a seconda dei peccati e della capacità dei penitenti», e anche ciò che insegna il catechismo dello stesso Concilio: che nell’imporre la pena della soddisfazione niente si deve stabilire di proprio arbitrio, ma tutto deve essere regolato da giustizia, prudenza e pietà. Con quale regola devono essere visti i peccati e come i penitenti possano conoscere la gravità delle proprie colpe è talvolta indicato da antichi canoni detti penitenziali; la misura di ogni soddisfazione deve essere calcolata in ragione della colpa.

7. Perciò si ricorderà ai sacerdoti, specialmente in questo tempo di misericordia e di remissione, ciò che dice il Dottore Angelico: «È meglio che il sacerdote dica al penitente quanta penitenza gli si dovrebbe imporre per i peccati, e gli imponga invece qualcosa che possa fare in modo sopportabile». Lo aveva già prima insegnato il Crisostomo: «Se, non volendo assolutamente aver riguardo, farai l’amputazione, avverrà spesso che il penitente, perdendo il coraggio per l’insofferenza del dolore manderà a monte medicina e vincoli e, spezzati giogo e catena, si butterà da se stesso nel precipizio. Potrei citare parecchi che – come consta – sono stati indotti a una vita estremamente depravata solo perché si esigeva da loro una pena degna e proporzionata ai peccati commessi».

8. Siccome il salutare potere che Ci è stato dato da Dio di dispensare i meriti di Dio, Cristo uomo e Signore, e dei suoi Santi mira a questo: che i fedeli, dopo aver adempiuto tutte le parti del Sacramento della Penitenza, possano supplire a ciò che di pena resta ancora da espiare, preoccupatevi che capiscano per quale ragione, in quale ordine, con quale pietà devono eseguire le opere che saranno loro imposte a questo scopo. Sappiano che queste suppliche che si devono fare andando in Chiese stabilite, sono come le stazioni che si tenevano una volta, nei tempi antichi, quando i fedeli, come era usanza, in giorni stabiliti si chiudevano nelle Chiese e lì rimanevano fino a sera digiunando, pregando e riflettendo sulla loro vita.

9. Se oggi la Chiesa per l’acquisto dell’indulgenza richiede molto meno dai suoi figli, non lo si deve interpretare come se essa pensi possibile un nostro compenso a Dio, per i peccati, minore di prima. Piuttosto, mitigando con misericordia le opere più faticose, quanta asprezza essa toglie alla soddisfazione esteriore, altrettanto impegno essa vuole che gli uomini mettano a profitto interiore dell’anima, eseguendo con più viva contrizione e con più ardente desiderio le opere che prescriverà.

10. A questo punto si fa presente che tra le opere imposte c’è la ricezione della santissima Eucaristia, di cui nulla è più efficace per accendere il fuoco della perfetta carità, perché essa è la fonte di tutti i doni celesti e contiene Cristo, il Signore dei doni. È evidente quindi che dovete mettere un grande impegno nell’istruire il popolo fedele circa la forza e la natura di così grande Sacramento, perché vi si accosti con animo ottimamente disposto e preparato.

11. Avete qui, Venerabili Fratelli, le direttive circa il sacro Giubileo, di cui vorremmo fossero preavvertiti i popoli fedeli. Contando sul vostro zelo per le anime a voi affidate, siamo certi che vi adoprerete in modo che tutti, facendo ciò che vi abbiamo indicato, non solo acquistino l’indulgenza plenaria che offriamo dal tesoro inestimabile della Chiesa, ma la acquistino in modo che il suo frutto rimanga anche nel futuro. I Nostri voti, conformi alla Nostra sollecitudine per tutte le Chiese, mirano a questo: che con l’estensione di questo beneficio a tutti i cattolici del mondo, se possibile si elimini per sempre dal popolo cristiano la corruzione dei costumi. Quali vizi sono particolarmente diffusi nel vostro gregge, lo sapete bene. Il vostro zelante impegno pastorale non tralasci mai di sradicarli dalle radici.

E chi mai avrebbe creduto possibile sentire tra i Cristiani quell’enorme scandalo di proferire parole ingiuriose contro Dio? Eppure non c’è quasi regione, dove non si giuri sconsideratamente, dove non si nomini irriverentemente il santo e terribile nome del Signore, fino al punto che non mancano coloro (inorridiamo a pensarlo, Ci vergogniamo a dirlo) i quali non hanno paura di maledire Colui che gli angeli glorificano. Contro questa empietà, che è la peggiore offesa che si possa fare alla divina maestà, il vostro zelo si faccia ardente, inveisca con tutta la forza, vigili, punisca.

12. È vostro principale compito amare il decoro della casa di Dio. Ma la vostra maggiore preoccupazione deve mirare a che non sia profanata dalla foggia del vestire di coloro che la frequentano o da qualsiasi altra empia irriverenza, perché nulla la disonora di più. E i fedeli non dimentichino mai questo avvertimento di Cristo Signore : «La mia casa è casa di preghiera» e «lo zelo per la tua casa mi divora».

13. Richiamato da voi, il popolo ricordi il precetto che il Signore stesso ha imposto con queste parole : «Ricordati di santificare il sabato», e la terribile sentenza pronunciata contro i suoi violatori: «Violarono sempre i miei sabati. Allora io decisi di riversare su di loro il mio sdegno e di sterminarli». Ma la perversità di molti è così grave che non esitano a dedicarsi in quel giorno a lavori servili; oppure, dell’esenzione da questo genere di lavori, prescritta per potersi dedicare a Dio, approfittano per servire il diavolo. Così in questi giorni di festa si abbandonano ai festini, all’ubriachezza, alla dissolutezza, a ogni opera del demonio. Si tolga di mezzo per sempre, per quanto dipende da voi, un tale scandalo, e al suo posto s’introduca l’amore della preghiera e dell’ascolto della parola del Signore, e la fruttuosa partecipazione all’augustissimo sacrificio della Messa, non solo assistendovi devotamente, ma ricevendo lo stesso corpo di Cristo.

14. Che cosa diremo dei precetti della Chiesa, che cosa in particolare dell’osservanza dell’astinenza e del digiuno? Quanti sono infatti che osservano come si deve questo precetto, quando addirittura non lo disprezzino? Anche in questo voi capite come sia necessario che vi applichiate a far conoscere ai fedeli a chi s’indirizzano i precetti della Chiesa, con quanta venerazione devono ubbidire all’autorità di una Madre così grande, di cui Cristo, suo sposo, disse: «Se qualcuno non ascolterà la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano».

15. Tutte le età certamente richiedono il vostro interessamento, ma specialmente la gioventù, dalla quale dipende l’avvenire della Chiesa e dell’umana società: a danno delle due società, l’empietà si sforza con tutti i mezzi di attirarla dalla sua parte. L’educazione e l’istruzione di essa sono in gran parte trascurate e pervertite, voi ben lo sapete, e con Noi deplorate che gli uomini sembra abbiano dimenticato la santità e i doveri del matrimonio. In occasione del così detto matrimonio civile, in voga in tanti paesi, si violano molto spesso le sante leggi di questo Sacramento che, secondo San Paolo, «è grande in Cristo e nella Chiesa».

Tra gli sposi cattolici ed eretici è divenuta assai corrente questa convenzione: che i figli seguano la religione del padre, e le figlie quella della madre. Voi ben comprendete quale debba essere il vostro zelo perché i fedeli seguano la dottrina cattolica riguardante questo Sacramento e siano indotti ad obbedire alle leggi della Chiesa, e perché questo flagello che rovina l’educazione cristiana sia estirpato dal popolo cristiano con tutta la forza della vostra autorità e delle vostre esortazioni. E in generale, fate tutto il possibile perché gli adolescenti siano impregnati di costumi e di dottrina cattolici, sia insistendo presso i giovani stessi, sia presso i genitori e i loro maestri. Si guardino soprattutto dai seduttori, e abbiano in orrore le opinioni e le massime perverse così diffuse dall’infelice situazione dei tempi; così pure evitino i libri opposti alla Religione, ai buoni costumi e all’ordine pubblico, che hanno fatto nascere e crescere la detestabile messe di tutti i mali. Ciò sia tenuto lontano dal popolo fedele come la peste. Così pure cercate di ricordare al popolo quanto giustamente e salutarmente si è provveduto da parte dei Nostri Predecessori e dei Principi cristiani affinché tali libri non si tenessero in casa, né dovete ritenere che la vigilanza e l’attenzione in materia siano eccessive.

Si dovrà provvedere a tutte le persone di ogni età, sesso e condizione, affinché si nutrano assiduamente della parola del Signore; si favorisca l’uso frequente dei Sacramenti; si provveda alle pie associazioni se già ci sono, o se ne creino delle nuove.

16. Ma per realizzare tutto ciò, voi avete bisogno di collaboratori, che il Signore ha chiamato operai nella sua vigna. Perciò ammoniteli spesso che non è lecito starsene oziosi, che devono prestare la loro opera per correggere i costumi del popolo. Indagate con diligenza sulla loro vita, sui loro discorsi, sulle loro compagnie e sulle loro abitudini: «La mano sporca non può lavare l’altra», dice San Gregorio martire, «e l’occhio pieno di polvere non può vedere la macchia; così deve essere puro chi vuol correggere i difetti degli altri».

Badate, inoltre, con diligenza alla serietà e alla modestia del loro comportamento esteriore. Affinché poi siano idonei a istruire i fedeli e a compiere rettamente i ministeri ecclesiastici, non accontentatevi dell’esame che hanno dato prima di essere iniziati agli ordini sacri, ma curate che, una volta iniziati, non smettano di esercitarsi nello studio delle sacre discipline.

Il Concilio Romano tenuto da Benedetto XIII nell’anno del Giubileo 1725 ha stabilito che le riunioni degli ecclesiastici si tengano una volta la settimana, e che in esse si propongano e si discutano alternativamente i casi di coscienza e di liturgia con esercizi pratici: ebbene, Noi vogliamo raccomandarvi ciò con maggiore calore.

17. Tra gli ecclesiastici è giusto che si distinguano in tutte le cose coloro che eccellono in dignità. Riguardo ad essi, voi dovete accertarvi che il popolo che li osserva non trovi nulla da ridire; occorre che collaborino con voi nel ministero col consiglio e con l’opera per l’edificazione del corpo di Cristo, così che giustamente con il Concilio di Trento possano essere chiamati «senato della Chiesa».

Spronate in particolare l’impegno e lo zelo dei parroci, affinché, secondo le prescrizioni dello stesso santo Concilio, istruiscano continuamente il popolo, lo nutrano con i Sacramenti, lo assistano con preghiere e orazioni quotidiane a Dio, splendano davanti a tutti per encomiabile esempio di vita, di conversazione e di virtù, indichino la via della salvezza e disimpegnino tutti gli altri uffici che in quel luogo sono loro prescritti.

18. Voi, e tutti coloro che vivono sperando nella Chiesa, custodite il seminario come la pupilla dell’occhio; sia vostra massima cura la formazione dei chierici; vigilate attentamente che nessuno sia iniziato agli ordini se, per carattere, virtù e scienza, non dimostri di essere chiamato all’eredità del Signore. Non state meno attenti all’osservanza delle famiglie religiose, servendovi delle facoltà che vi sono date dal Concilio di Trento o come Ordinari o come Delegati della Sede Apostolica.

Visitate spesso le scuole e i collegi dei giovani, per impedire che vi entri il veleno della corruzione proprio della presente epoca e perché tutto cammini secondo la santa disciplina. Insistete a che le monache, che si sono consacrate a Dio, si comportino da religiose e – come ammonisce il Concilio Romano – educhino e formino piamente e cattolicamente le fanciulle convittrici, e stiano attente che il loro ornamento e il loro vestito non siano sconvenienti a fanciulle che vivono con le spose di Cristo.

Ciò che il Concilio di Trento prescrive circa la celebrazione dei Sinodi e circa le visite alle Diocesi, consideratelo come parte importantissima del vostro ministero; vi raccomandiamo caldamente di adempierlo rispettosamente nel tempo e nel modo prescritti dallo stesso Concilio. Così conoscerete le vostre pecore e saprete di quali mali curarle, e con quali mezzi premunirle.

Vi è affidata la cura degli uomini di ogni condizione, ma specialmente dei poveri, per evangelizzare i quali Cristo ha dichiarato di essere stato mandato dal Padre, e verso i quali ha dato luminosi segni di benevolenza. Voi sapete bene che, sotto la spinta del bisogno, possono facilmente perdere il frutto della presente generosità di Dio. Servitevi dei beni della Chiesa avendo come norma il comando del Signore : «Ciò che è in piùdatelo in elemosina», e mettete fedelmente in pratica ciò che la Chiesa prescrive ai Vescovi circa l’uso dei beni. Abbiano facile accesso a voi i gemiti dei bisognosi; chiedete per loro l’aiuto dei ricchi, ricordando spesso il precetto dell’elemosina; difendeteli strenuamente contro ogni oppressione e sopruso.

Contro l’iniquità degli usurai che, come dice il Concilio Romano, derubano e mandano in rovina la povera gente, inveite tra l’altro con il vostro zelo, perché l’usura è un male molto diffuso ai nostri giorni. Un aiuto contro quest’infame genere di rapina erano una volta i Monti frumentari e i Monti di pietà che, inventati da pie persone e approvati dai Sommi Pontefici, si erano diffusi in tutto il mondo. Ci dispiace che in molti luoghi siano stati soppressi dalla rapacità di coloro che si vantavano di essere difensori della felicità dei popoli. Impegnatevi a ripristinarli e ricordate ai fedeli le indulgenze concesse dai Nostri Predecessori a coloro che si dedicano ad un’opera così buona.

19. Tra i poveri poi raccomandiamo in modo particolare quelli che non solo sono poveri, ma anche orfani e malati: si istituiscano con la massima premura case di accoglienza per assistere i giovani dell’uno e dell’altro sesso nel sostentamento e nell’educazione, e gli invalidi e i malati nella cura del loro corpo, dei loro beni di famiglia e del loro spirito.

20. In breve: siate pastori e maestri del popolo. È vostro compito, Venerabili Fratelli, non solo vigilare che il gregge a voi affidato non soffra incursioni di bestie spirituali, ma anche nutrirlo con cibo della dottrina celeste, con buone leggi e soprattutto con l’esempio, secondo quanto è stato detto anche a voi dal Signore: «Voi siete la luce del mondo…; così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli». L’esempio di per sé è efficacissimo per scuotere gli animi e per chiudere la bocca a chi parla male, come dice l’Apostolo: «Offri te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire». Così il popolo non solo vedrà quello che si deve fare, ma lo farà. Siate, come gli Apostoli, anche voi sale della terra, in modo che, una volta tolto di mezzo il fetore dei peccati, gli uomini conservino a lungo quell’integrità di vita e di costumi che voi avete loro instillato.

Questi sono i Nostri voti. Contando sulla vostra virtù e sul vostro impegno, con l’aiuto di Dio confidiamo che, sconfitti i vizi e gli errori e rinvigorita la pietà, i fedeli, secondo l’esortazione dell’Apostolo, si rivestano «come amati da Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandosi a vicenda e perdonandosi scambievolmente, come il Signore ha perdonato a noi; al di sopra di tutto poi vi sia la carità che è il vincolo di perfezione»: vincolo che unisce insieme, conserva tutte le virtù cristiane e congiunge l’uomo a Dio, nel quale sta tutta la perfezione.

Possiate raccogliere questo frutto dalle fatiche del sacro Giubileo per i meriti di Gesù Cristo, Dio e Nostro Redentore, e di tutti i Santi.

E perché il Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione Ci faccia partecipi di questa grazia per mezzo dello stesso suo Figlio Nostro Redentore, che fece questa preghiera: «Ti prego, Padre, che siano una cosa sola come noi» invocando con quanto fervore possiamo, impartiamo a voi e ai greggi affidati alle vostre cure, con grande affetto, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1825, nel terzo anno del Nostro Pontificato.

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