Come Mazzini alterò il concetto tradizionale di religione e agì contro la Chiesa Cattolica

Mazzini si rappresenta il papato e la monarchia come due spettri brancolanti nelle tenebre, che si danno appoggio a vicenda per non precipitare nel baratro, e occupata Roma, raccomandava agli amici di agire in modo da «rendere impossibile ogni vita al papato fra le sue mura».

PREMESSA

La principale obbedienza italiana, l’unica attiva all’epoca del Mazzini in Italia, il Grande Oriente d’Italia, indica una certa accondiscendenza di Giuseppe Mazzini all’Ordine Massonico… Mazzini non si iscrisse mai alla Massoneria, ma partecipò dei suoi progetti con la pretesa di rendere l’Italia INDIPENDENTE DALLA RELIGIONE CATTOLICA, dal papato… all’epoca non esisteva un “anticomunismo”, c’erano senza dubbio lotte DI POTERE tutte finalizzate a distruggere la Chiesa e il papato

è vero che Mazzini NON SI ISCRISSE MAI alla Massoneria (così sostengono oggi molti storici), ma condivideva i suoi progetti o meglio, lavorò per loro…
Qualunque s’arroga in oggi di concentrare in sé la rivelazione e piantarsi intermediario privilegiato fra Dio e gli uomini, bestemmia” (Lettera di Giuseppe Mazzini a Pio IX, 1865).
Nei Doveri dell’uomo Mazzini scrisse:
«L’Associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti».
Egli si rappresenta il papato e la monarchia come due spettri brancolanti nelle tenebre, che si danno appoggio a vicenda per non precipitare nel baratro, e occupata Roma, raccomandava agli amici di agire in modo da «rendere impossibile ogni vita al papato fra le sue mura».
Parole che non determinano la sua appartenenza alla massoneria, ma che sono parte del suo progetto… Nel marzo 1872, il giorno 17 a Roma si svolsero i funerali di Mazzini alla presenza di oltre seicento massoni vestiti a lutto e nel 1874 il 10 marzo venne da loro inaugurato il famoso monumento, dichiaratamente massone e che richiamava, Mazzini, quale padre della Patria per “averla liberata dalla tirannia papale”; nel 1905 per il centenario mazziniano si coniò una moneta che davanti recava il profilo di Mazzini, dall’altra una corona con scritto: LIBERTA’, UGUAGLIANZA, FRATELLANZA… è vero, infine, che certo potere imperiale si è valso di massoni e cattolici, dello Stato e di veri e finti sovversivi, di uomini probi e di delinquenti, per esistere e perpetuarsi… il problema non è gridare “al lupo..” ma indicare dove esattamente si trova…

Ma facciamo prima un piccolo passo indietro per comprendere almeno in parte, seppur piccola, la situazione storica in cui si colloca l’opera di Giuseppe Mazzini.

Dopo la prima ondata della Rivoluzione francese arriva, nell’esasperazione generale, Napoleone nel tentativo di ripristinare una certa monarchia ridando linfa e un nuovo respiro (si fa per dire) alla Chiesa Cattolica… nasce il “bonapartismo“, corrente di opinione, tendente al ristabilimento in Francia della dinastia napoleonica, le cui prime manifestazioni si ebbero già nel 1814, subito dopo il ritorno dei Borboni sul trono, e mantenutasi poi sotto la Restaurazione e la Monarchia di luglio, per trovare il suo trionfo politico con l’ascesa al trono di Napoleone III.

Ma Bonaparte avversa la fede; di fatto combatte la Chiesa per assoggettarla; depreda gli Stati Pontifici; sostituisce la festa dell’Assunta (15 agosto) con l’inesistente san Napoleone. Nel febbraio 1798 occupa Roma e lo Stato Pontificio, arresta e deporta Papa Pio VI…. che muore stremato a Valence (29 agosto 1799). Per tre mesi la Sede Romana resta vacante. Quando i 34 cardinali, radunati dall’imperatore d’Austria, il 1° dicembre 1799 si riuniscono in Conclave a Venezia – l’ultimo fuori Roma – nell’abbazia benedettina dell’Isola San Giorgio, occorrono 104 giorni di scrutini, per eleggere il 14 marzo 1800, il benedettino Barnaba Gregorio Chiaramonti-Pio VII.

Per oltre trent’anni in Europa i fulmini della Rivoluzione francese (1789-99) e del ciclone Napoleone Bonaparte (1769-1821) inceneriscono tutto e tutti: la sua stella è il proprio potere assoluto e la «grandeur de la France». Durante i 16 anni di dominazione franco-napoleonica le leggi giacobine e imperiali sconquassano le strutture ecclesiastiche. Un decreto (31 agosto 1802) sopprime diocesi, seminari e istituti religiosi per incamerarne i beni, rapina che fanno tutti i rivoluzionari o presunti tali. In Piemonte cancella (1° giugno 1803) 9 diocesi: Alba, Aosta, Biella, Bobbio, Casale, Fossano, Pinerolo, Susa, Tortona; e amplia le restanti 8: Torino, Acqui, Alessandria (poi sostituita da Casale), Asti, Ivrea, Mondovì, Saluzzo, Vercelli. Pinerolo passa a Saluzzo, Susa a Torino, Aosta a Ivrea. La geografia ecclesiastica è restaurata da Pio VII (17 luglio 1817) e non muta per oltre due secoli, fino a oggi: memore dell’entusiastica accoglienza ricevuta nel 1805, erige la diocesi di Cuneo.

Napoleone usa il pugno di ferro con gli ordini contemplativi; chiude 29 monasteri torinesi, ne confisca le proprietà e le vende all’asta; riduce le parrocchie torinesi da 17 a 8 e applica un rigido controllo. Saccheggia archivi e disperde biblioteche (non dimentichiamo che ciò accadrà anche in Italia per mezzo del governo massone dopo la Questione Romana).

Nel 1810 ordina di saccheggiare l’archivio vaticano: razziando opere d’arte e documenti da mezza Europa, vuole costituire il «Museo della civiltà europea liberata dalla Rivoluzione» nel Palazzo Soubise a Parigi. Con la sua caduta tramonta anche il Museo. Ma molti preziosi documenti finiscono o bruciati o come carta da imballo di droghieri e pescivendoli parigini. Vanno persi gli atti dei processi di Galileo Galilei (12 aprile-22 giugno 1633) e di Giordano Bruno, bruciato sul rogo il 17 febbraio 1600. Va distrutto o disperso il «fondo criminale» del Sant’Offizio. I resti del saccheggio, 37 casse di documenti, sono riportati a Roma dal cardinale segretario di Stato Ercole Consalvi. La distruzione di conventi e monasteri; la soppressione degli ordini religiosi, proseguita dai governi massonici del Piemonte e dell’Italia; la perdita di archivi, biblioteche, documenti e opere d’arte sono un danno inestimabile per la cultura.

altro materiale sulla questione mazziniana che ha a che vedere con la Massoneria, lo trovate qui: https://www.corrispondenzaromana.it/?s=Mazzini 

suggeriamo anche il libro di Roberto de Mattei: Il “ralliement” di Leone XIII – Il fallimento di un progetto pastorale https://www.lelettere.it/libro/9788860878656

Roberto de Mattei: Perché sono fiero di essere un ultramontano


Consigliamo ora le seguenti riflessioni:

Cattivi maestri: il pensiero religioso di Mazzini

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 7/22 del 18 gennaio 2022, Santa Prisca

Cattivi maestri: il pensiero religioso di Mazzini

“Qualunque s’arroga in oggi di concentrare in sé la rivelazione e piantarsi intermediario privilegiato fra Dio e gli uomini, bestemmia” (Lettera di Giuseppe Mazzini a Pio IX, 1865).

Nel 150° anniversario della morte di Mazzini da più parti si rivendica l’eredità del pensiero mazziniano. Chi non può rivendicare tale eredità è il cattolico militante, poiché il pensiero religioso di Mazzini è in aperto contrasto con la Rivelazione divina e il Magistero della Chiesa. Invece l’eredità mazziniana (il pensiero e l’azione terroristica) è a pieno titolo appannaggio di coloro che si riconoscono nella rivoluzione italiana (il cd. “risorgimento”), che ha combattuto la religione cattolica e la società cristiana, colpendo in particolare il Papato.

Il pensiero religioso di Mazzini (Enciclopedia Cattolica, vol. VIII, voce Mazzini Giuseppe, col. 532-533, Città del Vaticano 1952. Il testo in grassetto è redazionale).

(…) VI. Religione. – Si comprende da ciò come il Mazzini abbia alterato radicalmente il concetto tradizionale di religione. La religione non si fonda sopra un codice esterno quale è quello della Rivelazione e del magistero ecclesiastico. Tutte le religioni positive, buone in sé, in quanto e limitatamente al tempo in cui esprimono il vero sentimento dell’anima umana, rappresentano solo uno stadio dell’umanità, nel suo perenne evolversi e progredire sotto l’afflato dello spirito di Dio. « Abbiamo sètte, non Chiesa, – egli afferma – filosofie imperfette, contradditorie, non religione, non credenza collettiva che congiunga i fedeli sotto un segno e ponga armonia fra i loro lavori ».

L’idea che il M. s’era formata del cristianesimo rivela figlio inconsapevole di quell’illuminismo contro quale protestava di reagire. Il cristianesimo è da lui considerato una religione individualistica, antisociale; una religione la quale per il fatto stesso di porre « per fine la salvezza dell’individuo, per mezzo la credenza in un essere intermedio tra Dio e l’individuo, per condizione la Grazia, per dogma la caduta e la Redenzione per opera altrui, non può fondare società, che, avendo pure stesso fine, abbia per mezzo la credenza nella vita collettiva dell’umanità, sola intermediaria tra Dio e l’individuo, per condizione le opere proprie compite sulla terra, per dogma il progresso ». È espressa in queste parole, nella forma più esplicita, la profonda antitesi che esiste tra il concetto di società religiosa, quale è insegnato dalla dottrina cattolica, e quello che il M. professa. Questi attinge tuttavia ad una verità teologica, quella del corpo mistico della Chiesa e dell’azione della Grazia sulle anime, pensiero che forma il nocciolo della sua dottrina. Non può sfuggire la stretta analogia che v’ha fra l’idea mazziniana della influenza vivificatrice esercitata da Dio sulla umanità, e l’azione dello Spirito Santo sulla Chiesa; tra la divinizzazione umana quale la concepisce il M., e quella che si opera per mezzo della Grazia; tra l’incarnazione di Dio nell’umanità per la progressiva elevazione e salvezza di essa, e la incarnazione del Divin Verbo per la redenzione e salute degli uomini. Ciò chiaramente dimostra come il M. non si spogliò mai del tutto di quei principi fondamentali che gli erano stati istillati con la educazione cristiana ricevuta in gioventù (né è privo di significato il fascino ch’egli sempre subì dalla figura e dalle dottrine di Gioacchino da Fiore). Dallo scetticismo e dall’ateismo egli confessa non essere stato sfiorato che per breve tempo, durante gli studi universitari.

Il sistema religioso del M. non è che il travestimento del cristianesimo, umanizzato e spoglio del suo carattere positivo, gerarchico e soprannaturale. Tra il popolo e Dio non deve esserci alcun mediatore : «noi abbiamo un solo padrone in cielo, che è Dio; un solo interprete delle leggi sue sulla terra, ch’è il popolo. Liberate il paese da cardinali, primati e da quanti trafficanti di menzogne formano l’aristocrazia del clero!». Come la fede, così il sacerdozio vuole essere umanizzato, laico; «il più saggio e il più virtuoso fra i credenti » deve essere eletto sacerdote dal popolo, « auspice la libertà di coscienza e di elezione».

I dogmi della nuova fede non saranno più idoli e fantasmi, «ma il vero, la virtù, il genio»; la sorgente di questa nuova fede non dovrà cercarsi nel magistero gerarchico, nel Papa e nei concili, bensì nel popolo stesso, che costituisce «la legge viva del mondo» ed è investito di tale autorità che quando «dichiara che tale è la sua credenza, dovete piegare la testa e astenervi da ogni atto di ribellione». Il trionfo della rivoluzione protestante, nel pensiero di Mazzini, segna l’inizio dell’agonia del papato e della Chiesa. Essa oggi non sarebbe che « una istituzione incadaverita e maschera di religione »; e per tre secoli almeno non avrebbe esplicato altra missione fuori di quella d’inceppare la divina missione affidata da Dio all’Umanità. Egli si rappresenta il papato e la monarchia come due spettri brancolanti nelle tenebre, che si danno appoggio a vicenda per non precipitare nel baratro, e occupata Roma, raccomandava agli amici di agire in modo da « rendere impossibile ogni vita al papato fra le sue mura ».


Leggiamo anche dalla brillante penna di Angela Pellicciari:

GIUSEPPE MAZZINI: un padre della patria da discutere.

Autore: Restelli, Silvio
Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it

Riportiamo una riflessione di uno storico come Angela Pellicciari su La Repubblica Romana del 1849.

Dopo la fuga di Pio IX a Gaeta, nasce la Repubblica Romana.
La guidano Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Un passo verso la libertà, dicono i libri di scuola. Tacendo il suo vero scopo: cancellare la Chiesa. Per conto della Massoneria…

II potente gran maestro della massoneria italiana Adriano Lemmi, alla fine dell’Ottocento, riteneva che la scomparsa del potere temporale dei papi fosse il «più memorabile avvenimento della storia del mondo».
Per capire i fatti, per capire cosa è successo durante la breve vita della Repubblica Romana del 1849, per capire soprattutto l’eco che di quei fatti ancora oggi si respira, non sarà inutile ricorrere a qualche breve citazione della stampa massonica di allora.
Questa la prosa del gran maestro Mazzoni: «A Roma sta il gran nemico della luce. Lo attaccarlo ivi di fronte, direi quasi a corpo a corpo, è dover nostro».

E questi erano gli auspici della Rivista della Massoneria nel 1871:
«facciamo sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l’Universo, che il mondo ammiri, a canto del nero ed avvilito Gesuita, il libero gigante potere della Massoneria […] È in Italia, è a Roma, ove il nostro eterno avversario raccoglie le sue ultime forze. Noi siamo gli avamposti dell’esercito massonico universale».

La rivoluzione che scoppia, violentissima, a Roma, nel 1849, passata alla storia col nome di Repubblica Romana, di romano ha in effetti ben poco. Si va dal genovese Mazzini, al nizzardo Garibaldi, al genovese Avezzana, ministro della guerra, al friulano Dall’Ongaro, direttore del giornale ufficiale Monitore Romano, al napoletano Saliceti, redattore della Costituzione: l’elenco è lungo.
Come mai rivoluzionari di tutta Italia, ed anche stranieri, chiamano romana la repubblica che proclamano? Il perché lo spiega Giuseppe Mazzini, anima di quel tentativo totalitario, condotto, manco a dirlo, nel nome della libertà e della costituzione.

A chi dice «Roma è dei Romani», scrive Mazzini, bisogna rispondere: «No; Roma non è dei Romani: Roma è dell’Italia». E la popolazione romana sbigottita dalla violenza rivoluzionaria? «I Romani che non lo intendono non sono degni del nome».
I romani non degni del nome sono, come ovvio, in primo luogo i cattolici: praticamente tutta la popolazione. La gnosi, nelle sue varie incarnazioni settarie, è convinta di saperla molto più lunga della Rivelazione e del Magistero che la interpreta.
Mazzini, e con lui tutte le società segrete, si ripropongono di farla finita con la Chiesa cattolica: è un ostacolo al progresso incarnato dalle loro scientifiche convinzioni politiche. Il mito della Terza Roma, che prepotentemente si afferma durante l’Ottocento, persegue proprio questo obiettivo: mettere la parola fine alla Roma cristiana che ha oscurato (così si ritiene) la bellezza e la forza di quella pagana, riportando l’orologio della storia indietro di millecinquecento anni e tornando ai fasti del paganesimo.

Terza Roma, per l’appunto.

Questa è l’IDEA – come si diceva allora scrivendola in maiuscolo ed idolatrando il pensiero di chi tanto ideale aveva concepito – che trionfa a Roma nel 1849. Ebbri di gioia per la fine del potere temporale, i rivoluzionari governano da ubriachi, ovvero da briganti. Chi lo dice? Non solo il papa Pio IX, costretto a fuggire a Gaeta dove è ospite di Ferdinando II di Borbone, ma le stesse fonti liberali dell’epoca che descrivono le gesta del potere rivoluzionario.
Varrà la pena di citare qualche testimonianza, a cominciare, come ovvio, dal Papa. Il 20 aprile 1849 da Gaeta, nell’allocuzione Quibus, quantisque malorum, Pio IX descrive in una lunga lettera cosa succede a Roma in nome della libertà e della costituzione.
I liberali affermano di agire per il bene della Chiesa che vogliono purificata dall’incombenza del potere temporale? I liberali desiderano che la Chiesa diventi più aderente ai voleri di Cristo e, quindi, più povera, pura e libera? Analizziamo i fatti, suggerisce il Papa, e vediamo se sono davvero queste le intenzioni dei rivoluzionari.
I fatti sono i seguenti: è impedita qualsiasi comunicazione del Papa con i vescovi, il clero, i fedeli; Roma si riempie di uomini (apostati, eretici, comunisti e socialisti, come si definiscono) provenienti da tutto il mondo, pieni di odio nei confronti della Chiesa; i liberali si impossessano di tutti i beni, redditi e possedimenti ecclesiastici; le chiese sono spogliate dei loro ornamenti; gli edifici religiosi dedicati ad altri usi; le monache maltrattate; i religiosi assaliti, imprigionati ed uccisi; i pastori separati dal proprio gregge ed incarcerati.

La conclusione che Pio IX trae dall’analisi delle imprese del potere rivoluzionario è inequivocabile. La mitica Repubblica Romana ha un unico, vero, obiettivo: il fine delle società segrete (che non esitano ad utilizzare a questo scopo lo stesso nome di Cristo) è la totale distruzione della Chiesa cattolica. Proprio come convintamente sostenuto dai gran maestri e dalla rivista della la massoneria.
Gli agitatori di popolo calati a Roma nel 1849 agiscono da briganti non solo nei confronti della Chiesa e delle sue proprietà.
Pio IX documenta come i liberali mettano in pericolo l’ordine e la prosperità dell’intera società civile: l’erario pubblico è dissipato e ridotto a nulla; il commercio interrotto e quasi inesistente; i privati derubati dei loro beni da coloro che si definiscono guide della popolazione; la libertà e la stessa vita di tutti i sudditi fedeli messa in pericolo.
Le fonti liberali contraddicono le affermazioni del Papa? Niente affatto. Luigi Carlo Farini, futuro presidente del Consiglio del Regno d’Italia, ne Lo stato romano dall’anno 1814 al 1850, scrive:
«Fra gli inni di libertà, e gli augurii di fratellanza erano violati i domicilii, violate le proprietà; qual cittadino nella persona, qual era nella roba offeso, e le requisizioni dei metalli preziosi divenivano esca a ladronecci, e pretesto a rapinerie».
Quanto all’eroe dei due mondi, il generale Garibaldi, nelle sue Memorie, così racconta cosa capita – e cosa fanno – i bravi garibaldini:
«mossomi da Tivoli verso tramontana per gettarmi tra popolazioni energiche e suscitarne il patriottismo, non solo non mi fu possibile riunire un sol uomo, ma ogni notte […] disertavano coloro che mi avean seguito da Roma».
Cosa facevano i disertori? «I gruppi dì disertori si scioglievan sfrenati per le campagne e commettevano violenze d’ogni specie».

Stando così le cose – e le cose stanno così – viene spontaneo domandarsi come mai, caduti tanti miti, infrante tante ideologie, nessuno, ma proprio nessuno, abbia neppur lontanamente cominciato a mettere in discussione la leggenda creata intorno alla Repubblica Romana.
Da destra come da sinistra tutti danno per scontato che l’esperimento ideato da Mazzini abbia costituito un effettivo passo in avanti verso la libertà, la costituzione, il progresso, la giustizia. Basti ricordare che all’epoca della giunta guidata da Storace, solo pochi anni fa, la Regione Lazio spese parecchio denaro per diffondere capillarmente in tutte le scuole un opuscolo a fumetti dal titolo Mazzini e il Risorgimento.
In una delle vignette comparivano tre personaggi, all’apparenza contadini (erano accompagnati da vanghe e cazzuole), contadini che però indossavano una bella coccarda tricolore. Il primo gridava: «Hanno confiscato le terre del clero»; il secondo ribatteva: «e ora le distribuiscono ai contadini». Il terzo tirava le conclusioni: «Viva la repubblica».
La verità è che, a destra come a sinistra, più o meno mascherata, più o meno avvertita, è sempre viva un’incrollabile ostilità, che in alcuni casi è più esatto definire odio, verso la Chiesa cattolica.
Ricorda
«Comandiamo ai nostri buoni e fedeli sudditi dl non resistere, per non moltiplicare quegli odi civili, a estinguere i quali daremmo volentieri la vita in olocausto. Quando a Dio piaccia, ben potrà Egli sen’alcuna forza umana riedificare mediante l’amore dei popoli questo temporale dominio della Santa Sede, che dall’amore dei popoli ebbe origine». (Pio IX, manifesto scritto prima di fuggire da Roma, in Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere. Liberali & massoni contro la Chiesa, Ares, 1998, p. 89).
IL TIMONE n.88 – Dicembre 2009.


e ancora:

Mazzini e la religione

Il pensiero religioso del fondatore della «Giovine Italia»
di Mattia Ferrari

È stato notato che i padri della Patria italiana dovendo confrontarsi con la Chiesa per raggiungere l’unità nazionale, manifestarono spesso un atteggiamento anticlericale anche se per diversi motivi. Se Cavour e altri funzionari, pur proclamandosi cattolici, ritenevano però che lo stato avesse il diritto di legiferare sugli affari ecclesiastici, l’anticlericalismo di Giuseppe Mazzini era fondato invece su uno stampo diverso e più spiritualistico. Il rivoluzionario infatti non combatteva lo Stato della Chiesa solo perché considerato un ostacolo all’unità italiana ma la sua lotta aveva anche una valenza religiosa: dalla «Terza Roma» (intendendo quella del «Popolo» dopo quella dei Papi e degli Imperatori) sarebbe dovuta partire una nuova religione, di cui si considerava una sorta di profeta, che avrebbe sostituito il Cristianesimo ricoprendo il suo ruolo universalistico.

In realtà, Mazzini apprezzava il Cristianesimo riconoscendogli il merito di aver contribuito con la sua morale al progresso e alla libertà delle persone, tuttavia riteneva che ogni religione fosse sottoposta alla legge del progresso e che stesse per giungere un’epoca in cui una nuova fede avrebbe trionfato nel mondo. Le sua fede religiosa restava vaga ed indeterminata, e pur riprendendo molte idee e concetti dalla visione cristiana, presentava anche caratteristiche radicalmente differenti: per il rivoluzionario, Dio non manifestava il suo messaggio una volta per tutte, ma in ogni epoca faceva conoscere la sua dottrina attraverso una progressiva rivelazione. Secondo il fondatore della «Giovine Italia», Cristo veniva perciò ricondotto ad un semplice «rivelatore», l’idea di peccato scompariva e la redenzione assumeva un accento terreno attraverso la liberazione dei popoli. Mazzini credeva inoltre nella reincarnazione e nel progressivo avvicinarsi a Dio attraverso le esistenze successive[1].

Lo stesso obiettivo di costruire un’Italia repubblicana, unita ed indipendente erano considerate dal rivoluzionario un’opera religiosa in quanto Dio aveva assegnato ad ogni nazione una missione da compiere: compito dell’Italia sarebbe stato quello di fare da guida agli altri popoli europei nella lotta per l’emancipazione secondo il principio di nazionalità[2]. Nell’ottica di Mazzini, la religione avrebbe inoltre ricoperto un ruolo fondamentale nella nuova repubblica che sarebbe sorta in quanto il rivoluzionario rifiutava il concetto di laicità e, al contrario, auspicava una sorta di «teocrazia popolare» in cui l’Assemblea Costituente avrebbe ricoperto anche il ruolo di Concilio Nazionale delle Chiese[3].

Nella sua lunga attività cospirativa, il rivoluzionario non riuscì ad attuare i suoi propositi religiosi, anche perché Mazzini non ricoprì mai incarichi politici, con eccezione delle breve parentesi come Triumviro della Repubblica Romana. Durante quel periodo, sebbene i suoi avversari lo accusassero di aver governato come un dittatorie sanguinario, il Genovese diede invece prova di moderazione[4] e di buone capacità amministrative. In quell’occasione, considerata anche la situazione di emergenza in cui si trovava la Repubblica, Mazzini non ebbe l’occasione di attuare la sua riforma religiosa e, anzi, l’articolo 2 della Dichiarazione dell’Assemblea Costituente Romana stabiliva che «il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale».

Per quanto riguarda la politica religiosa, i governatori romani cercarono di manifestare alla popolazione, nonostante le condanne pontificie, la continuità della fede cattolica (unita ad un marcato accento nazionale) oltre al favore divino verso il nuovo regime. Così, se da un lato, il Governo Repubblicano organizzò l’apertura del Sant’Uffizio per indurre nel popolo avversione verso il precedente Governo Pontificio, dall’altro, nel giorno del Venerdì Santo, i Triumviri, nonostante la contrarietà degli ecclesiastici, ristabilirono un’antica usanza, abolita da Papa Leone XII, che faceva risplendere all’interno della Basilica Vaticana una croce illuminata (per quell’occasione a luci tricolori), e nel giorno di Pasqua, fecero celebrare la Messa all’interno di San Pietro da un prelato sospeso «a divinis» (l’Abate Luigi Spola, assistito da Padre Ventura e Padre Gavazzi), in seguito al rifiuto dei canonici di celebrare la funzione.[5]

Nonostante i suoi fallimenti, sia gli estimatori che i critici riconoscono che Mazzini svolse un ruolo fondamentale nella formazione del Regno d’Italia in quanto la sua tattica di provocare continui moti rivoluzionari ebbe l’effetto di tenere in allarme le Cancellerie Europee e di mantenere alta l’attenzione sul problema italiano (cosa che Cavour sfrutterà con successo). Tuttavia, i ripetuti fallimenti in progetti, secondo la definizione di Carlo Cattaneo, «intempestivi e assurdi», causarono il defezionamento di molti suoi seguaci che decisero di perseguire la strada, assai più concreta e realistica, di un’alleanza con il Regno di Sardegna per ottenere l’indipendenza italiana.

Questo provocò quindi la progressiva emarginazione di Mazzini dal processo risorgimentale: difatti, nonostante la sua disponibilità a collaborare con il Piemonte per ottenere l’unità, Mazzini non accettò mai l’istituto monarchico arrivando anche a tentare delle insurrezioni nel nuovo Regno per cercare di instaurare la Repubblica. Fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1872, Mazzini manifesterà perciò profondo disprezzo verso l’Italia costituitasi, essendo ben lontana da quella nazione immaginata che avrebbe dovuto compiere la missione affidatagli dal suo Dio.

Note

1 Confronta Giovanni Belardelli, Mazzini, Bologna 2010, pagine 76-78.

2 Giuseppe Mazzini non era invece pregiudizialmente ostile al colonialismo europeo in quanto riteneva che l’Europa fosse destinata a «portare il resto del mondo all’incivilimento progressivo». Confronta Giovanni Belardelli, Mazzini, Bologna 2010, pagine 218-220.

3 Sullo stretto rapporto tra politica e religione nel pensiero di Mazzini è esemplare quello che scrisse al Papa Pio IX nel 1847: «Noi fonderemo un Governo unico in Europa, che distruggerà l’assurdo divorzio fra il potere spirituale ed il temporale».

4 Vi furono, durante i mesi della Repubblica Romana, alcuni casi di assassini di preti e sacerdoti, come il massacro nel convento di San Callisto operato da una colonna di finanzieri comandata da Callimaco Zambianchi. Queste uccisioni non furono, però, ordinate dal Governo Repubblicano, che anzi, tentò di porre freno alle violenze.

5 Per la descrizione di questi episodi confronta Stefano Tomassini, Storia avventurosa della rivoluzione romana, Milano 2008, pagine 259-261.

(aprile 2017)

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